L’ASSASSINO DELLA MADRE DI DYLAN MCDERMOTT

L'ASSASSINO DELLA MADRE DI DYLAN MCDERMOTT

L’attore Dylan McDermott è noto al pubblico italiano soprattutto per il ruolo di Bobby Donnell, il protagonista di The Practice – Professione avvocati, la lunga serie televisiva andata in onda su Rai Due sino al 2005. McDermott deve gran parte della sua popolarità a questa serie, ma ha anche interpretato una trentina di film per il grande schermo. Un’altra serie tv di cui è protagonista si intitola American Horror Story: Dylan interpreta un padre di famiglia che si ritrova ad abitare in una casa stregata. Proprio il titolo di questo telefilm sembra descrivere bene la tragedia che ha vissuto McDermott quando era bambino. Una storia terribile che, a sorpresa, si è conclusa pochi anni fa.

Dylan nasce con il nome di Mark Anthony a Waterbury, una città dello Stato del Connecticut a un centinaio chilometri da New York. È il 1961, suo padre Richard McDermott ha solo 17 anni, fa l’istruttore di nuoto e raggranella qualcosa giocando a biliardo. La madre, Diane Marino, è ancora più giovane, dato che di anni ne ha 15.

I due, malgrado l’età, si sposano per dare una famiglia al piccolo, ma la convivenza risulta difficile e sei anni dopo divorziano. Dylan e la sorellina Robin, nata nel frattempo, rimangono con la mamma. Ma già da tempo il padre non vive con loro, al suo posto ora c’è John Sponza, un uomo alto, massiccio, ricoperto di tatuaggi. Dylan ha solo sei anni e la sorellina quasi uno, ma entrambi hanno istintivamente paura di lui. La loro sensazione è giustificata perché Sponza ha stretti legami con la criminalità organizzata, si tratta di un vero e proprio delinquente. Difficile capire cosa ci trovi in lui la mamma, la quale, d’altronde, avendo abbandonato presto la famiglia d’origine ed essendo cresciuta senza una guida, probabilmente non gli dà importanza.

Il 19 febbraio 1967, il cadavere di Diane viene trovato in casa accanto a una pistola, probabilmente l’arma che le ha procurato la morte. Alla polizia, John Sponza dice che si è trattato di una tragica fatalità: la sua donna stava pulendo l’arma con uno straccetto, quando è accidentalmente partito il colpo che l’ha uccisa. Agli agenti Sponza non piace per niente, sanno che è un malvivente e forse vorrebbero sbatterlo in prigione con una scusa qualsiasi, ma il giudice non convaliderà mai un arresto senza prove concrete contro di lui. Prove che l’abbia uccisa l’uomo, in effetti, sembrano non esserci. O meglio, ci sono, ma non servono a niente: sulla pistola sono impresse le impronte digitali di Sponza, ma questo è logico perché l’arma è sua. Sarebbe pure inutile fargli il guanto di paraffina per rilevare le particelle di polvere da sparo depositate sulla sua pelle, perché l’uomo ha usato la pistola di recente. Di testimoni non ce ne sono: quando è successa la tragedia, in casa c’erano solo lui e Diane. Per farla breve, nessuno potrà dimostrare che le cose siano andate in maniera diversa da come le racconta Sponza.

Benché la morte venga registrata come accidentale, nel vicinato e tra i parenti corre voce che la ventunenne Diane si sia suicidata. Rimasto senza mamma, il piccolo Dylan si trasferisce dalla nonna materna, Avis Marino, sempre a Waterbury, insieme alla sorellina ancora troppo piccola per capire ciò che sta accadendo.
Appena diventa adolescente, Dylan va a trovare papà Richard. Si è sistemato aprendo un locale, il West Fourth Street Saloon, nel Greenwich Village, il quartiere degli artisti di New York. Il padre, che fino ad allora lo aveva visto poco, lo accompagna al cinema e poi gli propone di andare ad abitare da lui. Il ragazzo accetta volentieri, ma in quel periodo comincia a cambiare carattere. Da tranquillo che era, diventa un attaccabrighe sempre pronto alla rissa e comincia a bere alcolici. Nello stesso periodo fa amicizia con Eve Ensler, la terza moglie del padre, che lo adotta quando Dylan ha 15 anni e lei 23. Eve, un’ebrea femminista scappata di casa per sfuggire agli stupri del padre, sta per diventare famosa come drammaturga. Tra le sue opere teatrali, quella che avrà maggiore successo sarà la trasgressiva I monologhi della vagina, portata in scena da Susan Sarandon, Glenn Close, Melanie Griffith e Winona Ryder, e rappresentata con successo anche in Italia.

La giovane matrigna, forse perché ha anche lei un passato drammatico, capisce che quel ragazzo ha bisogno di una guida e di una ragione di vita. Lo convince a non abbandonare la scuola e lo fa avvicinare al mondo della recitazione. Dylan finisce per appassionarsi di cinema, guarda i film di Marlon Brando e Humphrey Bogart sperando di diventare un attore bravo come loro. Intanto Eve scrive piccole parti nelle sue opere teatrali adatte al figlio adottivo, dal quale la separano soltanto otto anni. Proprio in questo periodo, il giovane McDermott prende il nome di Dylan, lo stesso che la sua nuova madre aveva deciso di dare al proprio bambino, perso per un aborto spontaneo. Un gesto che suggella ancora di più la vicinanza del ragazzo a Eve, anche dopo che lei avrà divorziato da suo padre. Dylan finisce per laurearsi in recitazione alla Fordham University di New York, ma la sua non è stata una gioventù spensierata. Dentro di lui c’è sempre un demone che lo divora, anche se non ama parlarne. Solo a 23 anni, grazie ai continui sforzi di Eve, riesce a uscire dalla dipendenza alcolica.

Nel 1989, Dylan McDermott debutta al cinema con un ruolo importante in Twister, una commedia ambientata durante una tempesta (da non confondere con il film drammatico dallo stesso titolo). Il successo arriva nel 1993, quando entra nel cast del film Nel centro dei mirino, con Clint Eastwood. Proprio grazie a questa partecipazione, nel 1997 ottiene il ruolo di protagonista nella fortunata serie The Practice – Professione avvocati, andata in onda per ben otto anni. Dylan viene inserito nella lista dei “50 uomini più belli del mondo” e diventa noto come “il rubacuori del prime-time” (il momento di maggior ascolto della televisione, subito dopo il telegiornale della sera). Un successo che gli fa vincere il Golden Globe.

Insieme alla carriera procede la vita sentimentale di Dylan McDermott. Dopo aver frequentato a lungo Julia Roberts, conosciuta nel 1989 sul set del film Fiori d’acciaio, si innamora di Shiva Rose, figlia di un produttore televisivo iraniano emigrato in America, pure lei attrice anche se non altrettanto nota. I due si sposano nel 1995 e hanno due bambine, Colette e Charlotte. Il loro sembra un matrimonio felice, quindi rimangono tutti sorpresi quando, nel 2007, dichiarano di essersi separati. Due anni dopo arriva il divorzio.

In tempi recenti, Dylan McDermott ha ammesso che la recitazione rappresenta un modo per superare i suoi problemi psicologici, che un tempo aveva tentato di affogare nell’alcol. Problemi nati nel 1967, quando aveva solo 6 anni e giocava nel giardino della villetta familiare, a pochi metri dalla stanza dove la mamma moriva uccisa da un colpo di pistola. Lui non ha mai creduto all’incidente. Non allora, che era solo un bambino, e tanto meno adesso, che è diventato un uomo ricco di esperienza. Per anni è stato tormentato dalla stessa domanda: “Com’è morta veramente mia mamma?”. Finalmente, nel 2011, si decide a parlarne con la polizia di Waterbury, la quale accetta di riaprire le indagini. Dai polverosi faldoni di 44 anni prima vengono tirati fuori i rapporti redatti dai funzionari di polizia. Si tratta di un “cold case”, un “caso freddo”: in italiano, semplicemente un delitto irrisolto.

La morte di Diane, archiviata come accidentale, ora viene rubricata come omicidio, almeno nell’ipotesi investigativa. Il sospetto assassino è ancora lui, il convivente John Sponza, il malavitoso che l’aveva sempre fatta franca. Da documenti e testimonianze si scopre che l’uomo era un tossicodipendente da quando aveva 15 anni e che era un importante informatore della polizia. Questo spiega perché era sempre riuscito a evitare la prigione: il pesce piccolo serviva per prendere quelli grossi. C’è un altro particolare: secondo il referto del medico legale, reso noto solo nel 2011, il racconto di Sponza non coincideva con la meccanica dell’incidente, perché Diane era stata uccisa con un colpo dietro la nuca, di difficile esecuzione se sparato dalla donna stessa. E certo non poteva essere partito mentre puliva l’arma.

Ma la scoperta più sconcertante è che il calibro del proiettile trovato nel corpo della donna non corrisponde con quello della pistola trovata vicino al suo cadavere: quindi deve essere stata un’altra arma a ucciderla. Infine, il medico legale aveva scritto che sul corpo c’erano segni evidenti di un pestaggio. Parole che, rilette anni dopo, lasciano intuire come siano andate veramente le cose: durante un litigio, Sponza ha picchiato selvaggiamente la sua compagna, uccidendola infine con un colpo di pistola. Probabilmente era sicuro di farla franca grazie al suo ruolo di prezioso informatore. Infatti, nessuno aveva poi dato peso alle prove indicate dal medico legale e John Sponza aveva potuto sparire dalla circolazione in tutta tranquillità.

Nei faldoni è conservata anche una testimonianza interessante, quella del piccolo Mark, che in futuro prenderà il nome di Dylan. Il bambino aveva raccontato che Sponza picchiava spesso la madre. Non solo, aveva anche l’abitudine di puntare minacciosamente la pistola sullo stesso Dylan e, addirittura, sulla sorellina di pochi mesi. Quando Diane è morta lui si trovava fuori, nel giardinetto, anche se faceva molto freddo, proprio perché l’uomo li aveva minacciati ancora una volta.

Quando Michael Gugliotti, il sovrintendente di polizia che si è occupato della riapertura del caso, ha comunicato le sue conclusioni a Dylan McDermott, quest’ultimo gli ha confessato che il suo unico modo per sopravvivere alla tragedia era stato quello di pensare al momento in cui la verità sarebbe venuta alla luce. Alcuni giornali hanno scritto che è stato ufficialmente stabilito che Diaire è morta per mano del suo compagno. In realtà, questa ipotesi potrebbe essere ratificata solo dalla sentenza di un tribunale, ma non si possono processare i morti.

Infatti Sponza è deceduto nel 1972, probabilmente durante un regolamento di conti tra gang rivali. Il suo cadavere crivellato di colpi è stato trovato nel bagagliaio di un’auto parcheggiata davanti a un supermercato, in una cittadina del Massachusetts.
La sola verità di cui bisogna accontentarsi è che la polizia afferma di aver recuperato prove sufficienti per formulare un’accusa di omicidio contro John Sponza. Un’accusa che purtroppo non potrà mai essere convalidata. Ma a Dylan McDermott questo non importa e dopo la conclusione delle indagini ha scritto su Facebook: “Voglio ringraziare tutti per il vostro straordinario sostegno. Significa così tanto per me. È stato un viaggio lungo e difficile, terminato con una vittoria”.

 

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