DAN COOPER PRENDE I SOLDI E SI BUTTA CON IL PARACADUTE

DAN COOPER PRENDE I SOLDI E SI BUTTA CON IL PARACADUTE

Un freddo intensissimo, una pioggia battente e un vento che penetra come raffiche di mitra nei vestiti leggeri. Difficile persino rimanere coscienti. E il paracadute che non si apre ancora, in questa caduta infinita. Là sotto, nel buio della notte, i fulmini delineano per lunghi istanti i profili aguzzi delle montagne in attesa dell’inevitabile conclusione…

Tutto comincia il 24 novembre 1971, alla vigilia del Giorno del Ringraziamento, la festa nazionale americana. Davanti alla biglietteria, un uomo che si presenta come Dan Cooper chiede un biglietto per Seattle, la grande città del confinante stato di Washington.
In Italia, forse, la bigliettaia avrebbe alzato lo sguardo incuriosita, dato che Dan Cooper è il nome dell’avventuroso pilota dei fumetti pubblicati dal Corriere dei Piccoli. Invece, neppure ci fa caso.

Dan Cooper sale sul Boeing della Northwest Orient Airlines e si siede nel posto che gli è stato assegnato. Accende una sigaretta, si toglie e si rimette gli occhiali da sole, poi chiama l’hostess per un whisky.

L’uomo ha circa 45 anni, è alto un metro e ottanta, indossa impermeabile leggero, mocassini, giacca nera, camicia e cravatta. Con sé ha solo una valigetta.
A bordo ci sono 37 passeggeri, seduti a macchia di leopardo nei cento posti disponibili. Il personale di servizio è composto da 6 persone. Alle 14 e 50, l’aereo parte per un volo che dovrebbe durare mezz’ora.

Dopo pochi minuti, Dan Cooper porge un biglietto alla hostess Florence Schaffner. La giovane assistente di volo, pensando sia il numero di telefono del solito uomo in cerca di avventure, lo mette nella borsetta senza neanche guardarlo.
Allora Cooper le si accosta dicendole sottovoce: «Signorina, farebbe meglio a dargli un’occhiata. Ho una bomba nella valigetta».

Florence legge il biglietto, nel quale c’è scritto di sedersi e che quell’uomo sta per prendere il controllo dell’aereo. Lei obbedisce e si siede, anche se, con una certa sfrontatezza, chiede di vedere la bomba. Cooper apre la valigetta mostrandole otto cilindri rossi collegati a un aggeggio, e dice: «Voglio 200mila dollari in valuta americana, due paracadute e altri due di riserva. Un’autobotte deve attendere a Seattle per rifornire l’aereo appena atterra».

L’hostess prende nota nel suo taccuino e va alla cabina di pilotaggio a riferire. Il personale della torre di controllo di Seattle viene informato dal pilota, William Scott, e a sua volta avverte le autorità di polizia.

Il presidente della compagnia aerea, Donald Nyrop, decide di pagare i 200mila dollari. Siccome per raccogliere i contanti ci vogliono un paio d’ore, ai passeggeri dell’aereo, ignari di tutto, viene detto che il ritardo è dovuto a un piccolo problema meccanico.

Florence è tornata a sedersi accanto a Dan Cooper, che, con aria tranquilla, guarda dall’oblò riconoscendo la città di Tacoma e indicando esattamente la distanza con la base aerea militare più vicina. Poi chiede un altro whisky, che paga lasciando il resto alla hostess come mancia.

A Seattle, i tempi vanno per le lunghe perché la polizia prende nota del numero di serie di ciascuna delle diecimila banconote da 20 dollari che verranno consegnate. Quando tutto è a posto, alle 17 e 40 l’aereo viene fatto atterrare.

Attraverso la scaletta di servizio, che sporge dal portellone posteriore, un impiegato della Northwest passa al pirata dell’aria lo zainetto con i soldi e i paracadute. Lui, in cambio, libera tutti i passeggeri e due hostess, tra le quali Florence.  

Mentre avviene il rifornimento di carburante, Dan Cooper spiega ai piloti che vuole essere portato in Messico, e dà loro indicazioni molto precise: l’aereo non dovrà superare i 190 km orari, la velocità minima, e non dovrà volare a più di 3 chilometri d’altezza.

Occorrerà fare tappa a Reno, in Nevada, per un nuovo rifornimento di carburante, gli risponde il capo pilota. L’aereo riprende il volo alle 19 e 40, con il pilota Scott, il copilota Rataczak, l’ingegnere di volo Anderson, la hostess Mucklow e Dan Cooper.

Due aerei caccia F-106 seguono discretamente il Boeing, uno sopra e uno sotto, tenendosi a debita distanza. Dan Cooper ordina che vadano tutti in cabina di pilotaggio, mentre lui rimarrà seduto su una delle poltrone per i passeggeri.

Dieci minuti dopo il decollo, una spia luminosa sul pannello di controllo indica che il portello posteriore di servizio è stato appena riaperto. Siccome il dirottatore aveva fatto depressurizzare l’aereo prima della partenza, lo sbalzo comporta solo un riassetto di rotta.

Come previsto, l’aereo atterra alle 22 e un quarto all’aeroporto di Reno. Dal portellone posteriore, ancora aperto, la polizia entra alla ricerca del dirottatore. Anche se tutto fa pensare che si sia buttato giù con il paracadute e, infatti, del misterioso Dan Cooper non c’è nessuna traccia.

L’identikit di “Dan Cooper”



Secondo i calcoli del pilota, il pirata dell’aria deve aver toccato terra nella zona del fiume Washougal, un affluente del Columbia. Ma le le immediate ricerche svolte in quella impervia regione montuosa, piena di boschi e spopolata, risultano inconcludenti.

Non si trova neppure il paracadute che, essendo d’intralcio, dovrebbe essere rimasto sul posto.
Che fine ha fatto Dan Cooper? Detto anche “D.B. Cooper”, dato che, per un errore di comprensione, durante il dirottamento era stato chiamato così dai telegiornali.

Dalla descrizione molto precisa del terreno sottostante fatta alla hostess, l’Fbi ritiene che il pirata dell’aria sia un ex militare dell’aeronautica. Anche il nome che si è scelto, Dan Cooper, sembra interessante. È quello di un personaggio dei fumetti belga scritto in francese, ben conosciuto in diversi Paesi europei, anche se mai pubblicato negli Stati Uniti né tradotto in inglese.

Il fumetto di Dan Cooper, creato nel 1954 dal belga Albert Weinberg


Nella finzione del fumetto, Dan Cooper è un pilota collaudatore dell’aviazione canadese. In una copertina dei suoi albi, lo si vede mentre si butta con il paracadute. Si pensa che il dirottatore possa averlo visto durante un viaggio in Europa. Oppure che il dirottatore sia canadese, per due buone ragioni.

La prima è che in Canada si parla inglese salvo nella regione del Quebec, dove la lingua è il francese. Qui si possono facilmente trovare gli albi di Dan Cooper. La seconda ragione è che il pirata ha chiesto i 200mila dollari in “valuta americana”.

Nessun cittadino degli Stati Uniti si esprimerebbe così, dato che non si aspetterebbe mai di ricevere dollari di altre valute nazionali nel proprio Paese. Invece per un abitante del Canada, una nazione con una moneta che si chiama anch’essa dollaro, la specificazione viene naturale quando si trova all’estero.

Inoltre deve trattarsi di una persona scaltra, perché chiedendo diversi paracaduti ha dato l’impressione di volersi lanciare insieme a un ostaggio, assicurandosi così che non venissero manomessi. Aveva saputo scegliere l’aereo passeggeri in grado di volare più lentamente, per avere modo di buttarsi con il paracadute. Sapeva anche che si poteva aprire il portellone posteriore mentre era in volo, circostanza che solo i tecnici conoscono.

A conclusione delle loro analisi, gli esperti dell’Fbi si convincono che non poteva trattarsi di un paracadutista esperto. Perché altrimenti non si sarebbe buttato di notte, sotto la pioggia, con un vento di 200 km orari sul viso, per di più calzando mocassini e indossando un soprabito leggero. Doveva trattarsi, piuttosto, di un disperato con gravi problemi finanziari che stava tentando il tutto per tutto.

Probabilmente il forte vento ha impedito al paracadute di aprirsi e l’uomo si è schiantato a terra. Se anche fosse sopravvissuto, si sarebbe trovato su montagne impervie circondato da decine di chilometri di foresta. Insomma, non aveva scampo.

Nell’anno successivo, ben 15 americani cercano di imitare Dan Cooper, alcuni dei quali riescono anche a paracadutarsi con il soldi del riscatto, ma vengono tutti arrestati nel giro di pochi giorni. Solo nel 1978, nella zona dove si ritiene sia finito Dan Cooper, un cacciatore di cervi trova un foglio del dirottatore con gli appunti relativi al portellone posteriore del Boeing.

Due anni dopo, un bambino di otto anni in vacanza, Brian Ingram, scopre sulle sponde del fiume Columbia tre pacchetti contenenti 5800 dollari in banconote da 20 molto rovinate. Sono indubbiamente una parte del riscatto, a giudicare dai numeri di serie.

Il mistero sull’identità del pirata dell’aria sembra risolversi nel 2007, quando una signora dello stato del Minnesota, Lyle Chistiansen, comunica all’Fbi che Dan Cooper era in realtà suo fratello Kenneth, deceduto da poco. Guardando le sue fotografie, Florence, la hostess che rimase più a lungo con lui, afferma di riconoscerlo malgrado siano passati 36 anni.

Kenneth Christiansen aveva fatto il servizio militare nei paracadutisti e aveva lavorato a lungo come meccanico proprio alla Northwest Airlines. Inoltre, subito dopo il dirottamento aveva comprato casa in contanti. Ciononostante l’Fbi esclude che possa essere lui, perché era molto più basso e perché aveva fin troppa esperienza con i paracadute, per lanciarsi in quelle condizioni di tempo.

Il caso Dan Cooper è l’unico irrisolto della pirateria aerea americana.



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