ARIEL CASTRO E LE SUE GIOVANI SCHIAVE

Ariel Castro

In un quartiere della città americana di Cleveland, alle 17 di lunedì 6 maggio 2012, il trentenne Charley Ramsey, di ritorno dal lavoro come lavapiatti di un ristorante, sta mangiando un cheesburger in sala da pranzo. All’improvviso sente delle urla agghiaccianti provenire da una casa vicina. Potrebbe essere una semplice lite coniugale dalla quale è bene tenersi alla larga, ciononostante Charley decide di uscire immergendosi nella umidità della serata.

Si ferma davanti alla porta chiusa di un edificio fatiscente di Seymour Avenue. In tutto quel quartiere densamente abitato, apparentemente solo lui ode le grida. Dietro l’uscio di legno bianco, con il quale è fatta tutta la casa, una donna piange ripetendo «aiuto!» e, allo stesso tempo, armeggia furiosamente con la serratura. Evidentemente è stata chiusa dall’esterno e non ha le chiavi.

Cosa devi fare, Charley? Potresti voltare la testa dall’altra parte e decidere di non andare alla ricerca di guai, in quella città dove ognuno si fa i fatti propri. Quella donna potrebbe essere una pazza e se qualcuno l’ha rinchiusa magari c’è una ragione valida. Tra l’altro tu conosci il proprietario, un ispanico molto alla mano. Potresti tornare a casa tua, sì, e chiamare la polizia come qualcuno aveva già fatto inutilmente in passato. O forse dovresti agire, aiutare quella donna. Rimane il fatto che, per arrivare a lei, bisogna abbattere una porta.

Al diavolo! Pensa Charley, iniziando a prendere violentemente a calci l’uscio fino a sfondarlo. Ora davanti a lui c’è una donna sporca in pigiama e ciabatte, che lo guarda in silenzio come se fosse appena uscita dalla tomba, con accanto una bambina di sei anni. Lo strano incantesimo si rompe subito. La donna balbetta di una prigionia lunga dieci anni, dice di chiamarsi Amanda Berry, di essersi liberata dalle catene e accenna ad altre prigioniere.

Quasi altrettanto spaventato, Charley accompagna i due fantasmi a casa sua. Va al telefono, compone un numero e lo porge alla donna: «Faccia lei, spieghi tutto alla polizia». Neppure l’operatore della centrale ci capisce molto, le dice che manderà un’auto della polizia, appena ne trova una disponibile.

«Dovete arrivare prima che lui ritorni!», grida Amanda al telefono. «Saremo lì a momenti», risponde l’altro, «come si chiama l’uomo di cui ha paura?». «Ariel Castro, ha 52 anni. Io, invece, sono Amanda Berry. Sono stata tra le notizie del telegiornale per più di dieci anni! Oggi ho 27 anni e una figlia di 6».

Finalmente, alle 17.54, arriva la prima pattuglia. Subito dopo aver parlato con Amanda, gli agenti entrano nella casa da dove è scappata. Ne escono insieme ad altre due donne magre e spaurite, Michelle Knight, di 31 anni, e Gina DeJesus, di 23. Arrivano altre auto delle polizia e alcune iniziano a perlustrare la zona.

In un fast food vicino viene individuato e arrestato Ariel Castro, un autista di scuolabus licenziato nel novembre scorso. All’inizio si pensa che l’uomo non possa aver fatto tutto da solo, e si cercano anche i suoi fratelli: Pedro, di 54 anni, e Onil, di 50. Li trovano in casa della madre, dove vivono ancora perché disoccupati e alcolizzati. Al momento, comunque, non ci sono elementi per accusarli di complicità. Un lunghissimo incubo sembra finito, ma la sua storia deve essere ancora ricostruita e raccontata.

Cleveland, che raggiunge i due milioni di abitanti con l’area metropolitana, è una città affacciata sull’Erie, il grande lago tra Stati Uniti e Canada. Si trova nell’Ohio, un popoloso e ricco stato industriale del quale si sente parlare poco a causa del carattere schivo e laborioso degli abitanti. La sua popolazione discende dagli emigrati provenienti dalla Germania e fino a un centinaio di anni fa in queste terre si sentiva parlare tedesco. Poi, quando la Germania ha scatenato la Prima guerra mondiale, tutti cambiarono cognome prendendone uno inglese per evitare discriminazioni.

Negli ultimi decenni, in Ohio la composizione etnica è profondamente cambiata. Dal Sud degli Stati Uniti sono arrivati gli afroamericani in cerca di lavoro e, più recentemente, c’è stata l’invasione degli immigrati latinoamericani provenienti soprattutto dall’isola di Portorico. Si tratta di una comunità che rappresenta ormai la maggioranza degli abitanti di Seymour Avenue, chiamato per questo motivo il “ghetto dei portoricani”. Lo stesso rapitore e una delle donne sequestrate hanno nomi ispanici, mentre Charley Ramsey, l’uomo che ha liberato Amanda, ha la pelle scura: «Quando una ragazza bianca si butta tra le braccia di un uomo nero capisci subito che c’è qualche problema», ha dichiarato ironicamente ai giornalisti.

Ma partiamo dall’inizio. Nel 2002, quando ha 21 anni, Michelle Knight scompare appena scende dal treno nella stazione di Cleveland. Nell’aprile 2003 è la volta di Amanda Berry. Malgrado sia molto giovane, lavora già come cameriera in un Burger King. Uscita alla fine del turno, sparisce dopo aver accettato il passaggio in macchina da uno sconosciuto. Voleva tornare a casa presto per organizzare la festa del giorno dopo, quando avrebbe compiuto 17 anni. Per ultimo tocca alla quattordicenne Gina DeJesus, portata via nel 2004 quando stava tornando a piedi da scuola.

Delle tre ragazze si parla spesso nelle televisioni locali dell’Ohio, anche perché scomparse tutte in una zona ristretta intorno a Seymour Avenue. Alla fine si arriva alla conclusione che sono scappate da casa per rifarsi una vita altrove. Nessuno sa che si trovano prigioniere nella vecchia e squallida casa cadente della via. Per alcuni vicini quell’edificio è addirittura disabitato, dato che non si vede quasi mai la luce filtrare dalle finestre ben coperte da tendoni e pannelli. Un caso tutt’altro che insolito nel quartiere, il più povero di Cleveland, dove molte altre abitazioni hanno i vetri delle finestre rotti dopo che i proprietari sono stati cacciati dalle banche perché non potevano più pagare il mutuo.

Quella casa viene considerata una specie di grande ripostiglio di un allevatore di polli (tutto intorno c’è una recinzione per non farli scappare), che ogni tanto si fa vedere all’esterno per una decina di minuti. Solo d’estate l’ispanico rimane più a lungo, organizzando dei barbecue all’aperto con gli amici. In queste occasioni qualche vicino ha la possibilità di scambiare alcune parole con Ariel, trovandolo simpatico e gioviale.

Tra gli invitati c’è anche Charley Ramsey, il quale, dopo aver permesso la liberazione delle donne, dichiarerà: «Ho ballato più volte la salsa davanti alla sua casa senza sospettare nulla». Non sapeva che tre stanze dell’edificio sono attrezzate con catene e lucchetti per tenere prigioniere le ragazze, alle quali il loro carnefice passa il cibo attraverso alcune feritoie. Da quelle stanze non si può fuggire perché i cardini delle pesanti porte sono stati rinforzati con elementi di metallo. Con il passare degli anni le ragazze diventano donne, soffrendo mille torture e la malnutrizione.

Essendo le schiave sessuali di Ariel Castro, inevitabilmente rimangono incinte. Lui le fa abortire prendendole crudelmente a pugni e bastonate sulla pancia. Solo ad Amanda consente di mettere alla luce una figlia, utilizzando un canotto gonfiabile riempito d’acqua, che viene chiamata Jocelyn.

All’esterno, qualcuno comincia a nutrire dei sospetti. Una vicina telefona alla polizia denunciando la presenza di una ragazza nuda che correva dietro la casa decrepita, finché un uomo l’aveva afferrata e riportata dentro. Non viene creduta dalla polizia, che neppure manda un agente a indagare.

Un altro vicino, Israel Lugo, gira intorno a quella casa tutte le sere per portare a spasso il cane. Lui è uno dei pochi a sapere che è abitata, dalle fessure delle finestre riesce persino a capire quando chi sta dentro cambia canale al televisore. Quando sua sorella gli dice di aver visto affacciarsi a una finestra una donna con una bimba in braccio che chiedeva aiuto, si decide di andare dalla polizia.

Gli agenti arrivano, bussano alla porta e siccome nessuno risponde se ne vanno. Ariel Castro continua tranquillamente il lavoro con il suo scuolabus. Nel 2004, altri due agenti bussano alla porta per chiedergli conto di un bambino che aveva dimenticato nel pulmino, ma anche stavolta non si affaccia nessuno e se ne vanno. Probabilmente non sanno neppure che la moglie Grimilda lo aveva lasciato portandosi dietro i due figli, dopo averlo denunciato perché la picchiava di continuo. I figli si chiamano Arturo ed Emily, quest’ultima verrà condannata a 25 anni di prigione per aver tentato di sgozzare la figlioletta di 11 mesi.

Di sera, quando è libero dal lavoro, Ariel Castro va a suonare in due piccole band di musica latinoamericana, i “Fuego” e i “Los boy’z del merengue”, che a un certo punto lo licenziano perché arriva sempre tardi. La mamma di Amanda ha sempre tenuto in ordine la cameretta della figlia in attesa del suo ritorno, finché muore di crepacuore nel 2006. Le autorità cominciano a pensare che le tre scomparse siano state uccise, perché, in genere, chi scappa da casa prima o poi si fa risentire.

Nel 2012 vengono organizzati alcuni scavi nei terreni dei luoghi appartati del quartiere, alla ricerca dei loro resti. Pedro Castro, fratello di Ariel, passando di lì, rilascia una dichiarazione a un giornalista: «Lo Stato non sa più come buttare via i soldi». Nello stesso anno, un’anziana telefona alla polizia dicendo di aver intravisto tre donne nude, legate a guinzagli per cani, camminare carponi nel giardinetto dietro la casa di Castro. Nessuno si scomoda per andare a bussare di nuovo porta, perché la polizia pensa che si tratti dei deliri di una ubriacona.  

Una volta liberate, Michelle, Amanda e Gina vengono portate in ospedale. Le ultime due ci rimangono solo una notte, prima di essere dimesse e poter finalmente riabbracciare i familiari. Michelle rimane in clinica perché ha il volto sfigurato dalle percosse e problemi di udito a causa dei timpani spaccati. Molti si chiedono come sia possibile che, in tutti questi anni, non siano mai riuscite a fuggire. Gli psicologici tirano in ballo la “sindrome di Stoccolma”, uno stato mentale che costringe la vittima a obbedire al suo rapitore.
A trovarsi prigioniero, adesso, è Ariel Castro, accusato di sequestro di persona e di violenza carnale.

Intanto, tutta America si congratula con Charley Ramsey, il vicino di casa della storia che, senza temere i pericoli, è corso a liberare con le proprie mani una persona rapita.

Nel settembre del 2013, dopo essere stato condannato a più di mille anni di carcere, Ariel Castro si impicca nella sua cella.




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