QUANDO STELIO FENZO CONOBBE UGO PRAT

QUANDO STELIO FENZO CONOBBE UGO PRAT

Stelio Fenzo, come ricordi i tuoi esordi nell’Asso di Picche, la storica rivista veneziana con Hugo Pratt, Alberto Ongaro e Mario Faustinelli?
Ho conosciuto Hugo Pratt a casa di Paolo Trivellato, un comune amico, quando ritornò assieme a sua madre dal campo di concentramento in Africa. Alcuni anni dopo con questo mio amico che disegnava molto bene eravamo soliti andare a casa di Faustinelli dove sapevamo che Hugo assieme ad altri stava preparando delle storie che sarebbero state editate nella serie “Uragano” dove appunto nacque l’Asso di Picche. Io e il mio amico Trivellato portavamo a far vedere i nostri disegni per avere un giudizio. Da notare che, al tempo in cui lo conobbi, Hugo si chiamava ancora Ugo Prat, senza la “H” e con una sola “t”. Cambiò il nome più tardi, un po’ all’americana, quando firmò le prime tavole dell’Asso di Picche.

Parlaci della tua formazione di disegnatore. Chi ti ha aiutato?
Quando guardava i nostri disegni, Hugo si limitava a dirci di continuare così. Chi invece con grande pazienza mi insegnò a disegnare fu Giorgio Bellavitis che faceva parte del gruppo e che in quel momento stava disegnando Robin Hood. Andavo a casa sua e là mi insegnava a disegnare il corpo umano partendo dallo scheletro e dai muscoli per passare poi alle fisionomie fino ai vestiti. Allora non c’era Internet né testi di anatomia artistica, quindi io cercavo di aiutarmi con i testi universitari di medicina molto complicati.

Stelio, come iniziò la tua collaborazione con il mitico Vittorioso?
Nel 1950, approfittando dell’anno santo, vestito da boy-scout (per fruire di un jamboree scoutistico come alloggio) mi recai a Roma e mi presentai con la mia cartella di lavori nella sede de “Il Vittorioso” in via della Conciliazione. In redazione li mostrai ai disegnatori che trovai quel giorno: Polese, Giovannini e altri, i quali li guardarono con sufficienza (se ben ricordo) e continuarono a parlare tra loro. Chi invece me li guardò con attenzione fu Gianni De Luca, che mi invitò a casa sua. Trascorsi così una giornata indimenticabile con De Luca che mi portò a casa del grande Caesar e della barzelletta umana Jacovitti. Il giornale mi mandò a casa più tardi alcune sceneggiature che disegnai per gli “Albi del Vittorioso”. Poi, grazie a Giorgio Bellavitis, che era stato chiamato a Londra dalla editrice Fleetway. Ebbi modo di lavorare con una agenzia diretta da un angloitaliano, Velio Vuolo, che mi mise in contatto con case editrici che per quei tempi pagavano molto bene.

Negli anni sessanta eri l’unico collaboratore di Hugo Pratt!
Nei primi anni sessanta, tornato dall’Argentina, Hugo venne ad abitare al Lido di Venezia vicino a casa mia assieme alla moglie Anna e ai figli Silvina e Jona. Stavamo molto tempo assieme quando non se ne andava in giro per il mondo, e fu grazie a Hugo, tramite Dino Battaglia, che mi fornì l’indirizzo, che ebbi modo di contattare Renzo Barbieri. Risolsi così il problema della mancanza di lavoro in cui ero caduto per la crisi dei disegnatori italiani in Inghilterra, la quale era stata “invasa” dai disegnatori spagnoli che chiedevano meno soldi per le loro collaborazioni. A quel tempo Hugo lavorava per il “Corriere dei Piccoli” e di tanto in tanto andavo ad aiutarlo. Nello stesso tempo mi uniformavo al suo modo di disegnare. Parecchie di quelle vignette sembravano disegnate da lui.

L’Ombra, il personaggio scritto da Alberto Ongaro e disegnato da Hugo Pratt al quale Stelio Fenzo ha collaborato come “negro”

 

Per caso, hai delle foto di quel periodo in cui tu e Pratt siete ritratti assieme?
Foto di quel periodo purtroppo non ne possiedo. A quel tempo le foto non si facevano con la facilità di adesso. Con i proventi dei lavori che facevo per Hugo acquistai una Asahi Pentax (400mila lire di allora!), che possiedo ancora, e che imparai a usare molto bene tanto che le pellicole impressionate me le stampavo in camera oscura.

Corto Maltese lo dobbiamo un po’ anche a te, Stelio Fenzo. Fosti tu a rendere possibile l’incontro tra Hugo Pratt e l’editore Ivaldi, che pubblicò in seguito la sua prima avventura sulle pagine della rivista “Sgt. Kirk”. In un fumetto di quattro tavole hai anche raccontato lo storico incontro.
Sì, il Capo della Massoneria Veneziana di allora, Luigi Danesin, incaricò Claudio Nobbio, direttore dell’albergo Sofitel a Venezia, di contattarmi per raccontare tramite disegni il modo con il quale Florenzo Ivaldi poté incontrare Hugo Pratt. L’incontro avvenne nel settembre 1967 in una trattoria del Lido… e così nacque Corto Maltese! Queste tavole le disegnai in una notte e un giorno in tutta fretta perché dovevano apparire su un giornale massonico che sarebbe stato distribuito durante un convegno di massoni a Livorno, se ricordo bene. L’incontro con Ivaldi fu la fortuna di Hugo.


Durante la lunga collaborazione con Hugo Pratt hai disegnato vari suoi personaggi come Capitan Moko, Kiwi, il secondo episodio di Capitan Cormorant e ben tre dei cinque episodi de L’Ombra per il “Corriere dei Piccoli”. Vi capitava di lavorare sulle stesse tavole scambiandovi i ruoli alle matite e alle chine?
Quando Hugo disegnava per il Corriere dei Piccoli a volte capitava che lui faceva le matite abbozzate di qualche vignetta e io le finivo completandole e passandole a china. Purtroppo (per il tempo passato) non saprei dire quali. Poi ricordo un episodio de L’Ombra cominciato da lui e che terminai io.


Uno dei tuoi personaggi più famosi, soprattutto all’estero, è Jungla

Jungla è stata veramente un personaggio famoso in Italia e soprattutto in Francia e Belgio. La creammo io e Paolo Trivellato per l’editore Renzo Barbieri: gli portammo una tavola di presentazione e accettò di pubblicarla.


Stelio, della lunga esperienza a “Il Giornalino” cosa ricordi con maggior piacere?

Il ricordo più bello è che con il Giornalino finalmente ero entrato in una vera casa editrice che raccoglieva i migliori disegnatori Italiani dell’epoca e fra questi soprattutto il grande Gianni De Luca (lo stesso che tanti anni prima avevo incontrato al Vittorioso) con il quale avevo un feeling più che unico!

Per tanti anni sei stato una delle colonne del Giornalino, per il quale hai disegnato numerose serie a fumetti come Lord Jim, Robin Hood, L’ultimo dei Mohicani, Simba, le tartarughe Ninja… come ti trovavi a passare da una ambientazione all’altra, da un periodo storico all’altro?
Mi è piaciuto disegnarle tutte con una leggera preferenza per Simba, che era un po’ una mia creatura ed era sceneggiata da mia moglie Loredana. Anche con le Tartarughe Ninja mi sono divertito, sebbene mi siano state imposte dalla redazione. Gli americani che le volevano presentare in Italia avevano chiesto alla redazione di far fare dei provini ai disegnatori della rivista. Il direttore mi chiese di preparare i provini e io tergiversai perché volevo disegnare la storia di papa Giovanni XXIII, mio amico da tanti anni. Gli americani scelsero me e quindi ne feci un migliaio di tavole o giù di lì, fino a quando decisi di fare l’ultima storia intitolata “Salvate Venezia”, dove appare il sindaco Paolo Cacciari. Parecchie persone sostengono che le mie Ninja siano molto più belle di quelle americane. Bontà loro!

Papa Roncalli era tuo amico?
Sì, quando Roncalli, prima di essere eletto papa, era patriarca di Venezia io alla sera talvolta andavo in patriarcato (abitavo a San Zaccaria nei pressi di San Marco) e assieme al suo segretario don Loris Capovilla, morto da poco, giocavamo a terziglio. Quando nel 1961 mi sposai, Giovanni XXIII mi volle a Roma assieme a mia moglie in una lunga e indimenticabile visita privata.

Parliamo di premi: “Nettuno del Giambologna” nel 1977 e poi nel 2012 a Bruxelles, direttamente dal Ministro della Cultura belga, il “Prix Saint-Michel Prestige” alla carriera. Cosa ricordi di quei due momenti?
Nel premio Nettuno conobbi Milo Manara, mentre Dino Battaglia lo conoscevo da tempo. Per quanto riguarda il Premio alla carriera ero stato invitato a Bruxelles e quando nel Palazzo del Comune fui chiamato dal ministro a ricevere l’attestato non mi resi conto di quanto mi stava succedendo. Mi trovavo in un paese straniero! In Italia, al contrario, le autorità non sapevano nulla del mio lavoro. Come si dice: nemo propheta in patria.

“L’amico Achmed”, serie presentata a puntate da Il Giornalino

 

Stelio, ti occupi anche di regia…
Il cinema e il fumetto sono nati entrambi alla fine del 1800. Sono cugini. Negli anni Sessanta assieme a Leone Frollo, mia moglie Loredana (sceneggiatrice di tanti miei lavori) e Lucio Rosa realizzai tre piccoli film per la Fedic (Federazione Italiana dei Cineclub) che teneva annualmente una Mostra a Montecatini e per tre anni quei film a passo ridotto presero il primo premio.

Tornando ai fumetti, c’è qualcosa di cui sei particolarmente orgoglioso e che secondo te rappresenta al meglio la tua arte?
Non parliamo di arte bensì di lavoro. Sono orgoglioso perché per tutta la mia vita ho scelto di fare non l’architetto ma il cartoonist per potermi rivolgere ai ragazzi. E questo mi ha mantenuto giovane… un vecchio Peter Pan.

Stelio Fenzo visto dall’autore di questa intervista

 

 

2 commenti

  1. Grazie per questa bella intervista a un autore forse ingiustamente poco celebrato in Italia (nemo propheta in patria, appunto…)

  2. Confermo, fare un certo effetto (in negativo), sentire dei disegnatori ricevere premi importanti all’estero, dove il fumetto è Cultura.
    Non riesco ad immaginare la profonda delusione del diretto interessato che non vede riconosciuti i propri meriti nella sua patria.

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