Nel 1932 esce Jumbo, pubblicato della casa editrice Saev di Lotario Vecchi: per unanime parere degli storici del fumetto (e per le testimonianze vive dei suoi lettori) è il primo periodico a fumetti “moderno” italiano.
Il problema è che tutti ne hanno parlato, ma nessuno ha mai affrontato lo studio di questo settimanale con criteri bibliografici e scientifici, certo anche per la rarità della collezione. Non che voglia farlo qui ora, per carità. Voglio solo provare a raccontare la storia del periodico come se fosse un vero e proprio scavo stratigrafico, per tornare alle favolose origini del fumetto in Italia e del fumetto italiano.
Insomma, affronto un territorio vergine.
La rivoluzione di Jumbo
Questo settimanale è storicamente importante, ma i contenuti vi lasceranno sicuramente un po’ perplessi: fra il 1932 e il 1937 sembra passi un secolo, non pochi anni.
Dunque facciamo un salto indietro fino al 17 dicembre 1932, quando il fumetto moderno non è ancora arrivato in Italia. Quest’affermazione può sembrare assai lontana dal vero, perché il Corriere dei Piccoli è sulla breccia dal lontano 1908, e vari suoi epigoni (alcuni di ispirazione cattolica e uno socialista, “Cuore”) sono nel frattempo sorti e tramontati. Ci sono state anche edizioni italiane di riviste francesi, contenenti pseudo-fumetti come il primo “Intrepido” di Picco e Toselli. Quando però, il 17 dicembre 1932, esce il primo numero di Jumbo, è come una rivoluzione copernicana: le edicole sono prese d’assalto, e non è un’immagine retorica. Racconta lo storico Giorgio Salvucci, un testimone: “Jum..bo, Jum..bo, vo..glia..mo Jum..bo!!! Questa invocazione scandita da un gruppetto di ragazzini dai 7 ai 10 anni nelle orecchie di uno spazientito edicolante nel lontano 1933 (come protesta del ritardato arrivo del numero settimanale) ed il successivo arrembaggio alla cesta del ciclista – finalmente arrivato – per accaparrarsi la copia del sospirato giornaletto, sono fatti vissuti che pongono in tutta evidenza l’importanza dell’avvento di Jumbo nella storia del giornalismo italiano”, (Giorgio Salvucci, Il primo giornalino italiano, in Il Fumetto).
Sfogliando oggi il primo numero di Jumbo, non si coglie appieno, almeno di primo acchito, questa carica rivoluzionaria: insomma, non è certo come con L’Avventuroso. E allora?
Come necessaria premessa, ecco qui sotto le pagine salienti del numero 51 del Corriere dei Piccoli, uscito il 18 dicembre 1932, contemporaneamente al n. 1 di Jumbo. Ci danno un’idea esatta di quel che leggevano i ragazzi italiani prima dell’ubriacatura “americana” degli anni trenta.
Il grande Bonaventura del grandissimo Sergio Tofano

Antonio Rubino, uno dei “padri fondatori” del Corriere dei Piccoli.

Una tipica rubrica educativa, illustrata dal notevole ma dimenticato Domenico Natoli, attivo fino agli anni sessanta.

Barney Google di Billy DeBeck, violentato e rimontato.

Bringing Up Father (Arcibaldo e Petronilla) di George McManus.

Marmittone di Bruno Angoletta.

Sor Pampurio di Carlo Bisi.

Niente meno che Felix The Cat (Mio Mao) di Otto Messmer / Pat Sullivan.
Ho scelto le sole pagine a colori e con fumetti, tralasciando, tranne una, quelle contenenti redazionali, racconti illustrati eccetera, ovvero nove su un totale di sedici. Come si vede, sono tutte stelle di prima grandezza, capolavori immortali. E allora, perché l’uscita di Jumbo è tanto epocale?
Ho letto tutte le testimonianze, e anche parlato personalmente, oltre trent’anni fa, ma con contatti che si sono protratti fino a oggi, con i “sopravvissuti” del 1932, ovvero con i lettori che acquistarono Jumbo in edicola. Essi erano e sono tutti concordi nel dire che quel settimanale fu un’autentica rivoluzione. I testimoni concordano soprattutto su una sensazione importante: Jumbo fu il primo giornale a fumetti che sentirono proprio loro, che li distinse da genitori e fratelli maggiori, in parte ostili al nuovo venuto. Non va dimenticato che il Corrierino era per lo più imposto dai genitori.
Quindi credo di non esagerare dicendo che Jumbo fu la prima bandiera generazionale, come lo fu, trent’anni dopo, Linus. Cerchiamo di capire perché.
La presentazione dei personaggi
Notiamo che Jumbo è rivolto ai “bimbi”, ma nello “strillo” si parla di “ragazzi”: un target, diremmo oggi, piuttosto ampio e solo in parte sovrapponibile a quello del Corriere dei Piccoli. Altro dato importante, il settimanale costa solo 20 centesimi, ben dieci in meno rispetto al prestigioso concorrente, benché quest’ultimo conti il doppio delle pagine. Ma, nel 1932, dieci centesimi in meno, ogni settimana, sono un piccolo capitale.

La serie principale, con il personaggio eponimo, e buona parte di quelle secondarie, sono inglesi. L’elaborata testata imita in modo efficace quella del britannico Rainbow edito dall’Amalgamated Press fin dal 1914, da cui provengono Jumbo e amici, ovvero Tiger Tim e i Bruin Boys di Herbert Foxwell. Già da questo volantino notiamo che, a differenza del Corrierino, Jumbo conserva i fumetti, ovvero i balloon, senza le ormai stantie didascalie in rima. Per gli storici del fumetto, è proprio questa la novità “rivoluzionaria”, ma come vedremo fra non molto, forse è stata un po’ sopravvalutata.
La seconda e la terza striscia del volantino presentano fumetti americani, della potente agenzia di William R. Hearst, ovvero il King Features Syndicate. Sono vecchie conoscenze, per i lettori del Corriere dei Piccoli: nientemeno che Fortunino (Happy Hooligan) e La Checca (And Her Name Was Maud), entrambe di Frederick Burr Opper. Fortunino è assai meglio conosciuto da noi con il nome di Fortunello, a lungo una bandiera del Corriere dei Piccoli. Consultando le schede di Giorgio Salvucci pubblicate su Il Fumetto e la fondamentale opera di Alfredo Castelli “Eccoci ancora qui!”, risparmiandomi così una lunga ricerca, scopro che Fortunello scompare dal Corrierino già nel 1920. Poco dopo l’editore Nerbini di Firenze lo lancia addirittura in un settimanale a lui dedicato, “Il giornale di Fortunello“, appunto. La serie ricompare sul Corriere dei Piccoli nel 1928, e da quella data è pubblicato ininterrottamente fino giusto al n. 1 del 1932. Dopo una parentesi di qualche anno su Jumbo, il settimanale di Via Solferino lo riprende per breve tempo nel 1934.
Frederick Burr Opper, scomparso nel 1932, fu uno dei grandi autori della prima generazione di cartoonist americani. Perché le sue creature, popolarissime in Italia, abbiano subito tali e tanti passaggi di mano è un po’ un mistero.
La terza star, presentata in calce alla prima pagina del volantino, è una di quelle che faranno la differenza di Jumbo rispetto al Corrierino e agli altri settimanali. Si tratta ancora di una serie britannica, Little Snow Drop di Frank Jennens, apparsa per la prima volta nel 1927 su Tiny Tots. Da noi la serie si chiamerà Il segreto del nonno.
Cos’ha di particolare questa serie, oltre al fatto che anch’essa conserva i balloon originali? È un racconto avventuroso, anche se del tipo strappalacrime che verrà imitato di lì a poco da L’Intrepido. Cose simili, sotto forma di narrativa disegnata, in Italia non si erano mai viste (altrove certo sì: in Belgio c’è, dal 1929, nientemeno che Tintin). C’erano state, e ci saranno ancora per molti anni, le cosiddette dispense, ovvero lunghissimi romanzi popolari diluiti in uno sterminato numero di fascicoli settimanali. Ma, appunto, nessun fumetto del genere, né sul Corrierino né altrove.
La cosa è ancora più notevole per le serie pubblicizzate sul verso del volantino.
Lucio l’avanguardista, a differenza della serie di Jennens, non è affatto “strappalacrime”. Il protagonista è un adolescente, sul tipo degli eroi alla Horatio Alger, ma con un’intraprendenza e un aplomb tutti britannici. Inglese è, per l’appunto, il suo autore, Walter Booth, che lo lanciò nel 1920 su Puck con il nome di Rob The Rover. Ma chi è, nel 1932, un “avanguardista”? E perché il suo aereo, con il quale esplora i luoghi più fantastici del vasto mondo, si chiama “Dux”? È uno dei più sconcertanti e a suo modo divertenti episodi di cui è costellata fittamente la storia del fumetto in Italia, e lo vedremo tra poco.
Segue Ken Trevor, il tamburino di Drake, opera di S. Pride e Yorick, anche loro inglesi. Su queste serie “avventurose”, che risuonano coi primi film “parlati” giunti in Italia, molti dei quali raccontano meravigliose avventure alle quali sono particolarmente sensibili gli adolescenti, si fonda lo strabiliante successo di Jumbo.
Finalmente Jumbo arriva in edicola
Lucio l’Avanguardista
I tre numeri del 1932, usciti a dicembre di quell’anno, vanno letteralmente a ruba. Nel 1933 la numerazione ricomincia da 1, e corre ininterrotta fino al n. 306 del 1938. Nel primo anno di vita, Jumbo cambia pochissimo la sua impostazione grafica: dal n. 18 del 6 maggio la prima pagina è a colori (quadricromia).
Il lettering dei fumetti ben presto passa dal manuale alla composizione tipografica: una caratteristica che resterà peculiare delle edizioni Saev e affiliate, e che ben pochi altri editori imiteranno, anche nel dopoguerra (salvo la notevole eccezione della Universo dei fratelli Del Duca – NdR).
I personaggi inglesi che abbiamo già visto durante il 1933 proseguono tranquillamente le loro avventure. Per loro mi viene in aiuto un’approfondita ricerca di Giorgio Salvucci, I fumetti inglesi, apparsa su Fumetto n. 16 del dicembre 1995. Per quanto riguarda Little Snow Drop di Frank Jennens, che abbiamo lasciato in sospeso nell’ultimo post, posso aggiungere che la serie (si concluderà sul n. 17 di Jumbo) aveva avuto origine nel 1927 sul britannico Tiny Tots, mentre altri fumetti di Jennens appariranno sulle testate Saev fino al 1938.
Nel numero 18 (durerà fino al n. 54 del 1934), inizia la pubblicazione di Povera bimba, senza mamma, sola nel mondo (tutto un programma!), ovvero Poor Little Lone Girl di Louis Gunnies.
Ma Jumbo vive le sue fortune soprattutto su Lucio l’avanguardista, ovvero il già citato Rob The Rover di Walter Booth. Le sue avventure, benché datatissime, per la mancanza dei balloons e lo stile grafico ottocentesco, sono ancora affascinanti e godibili. Nel 1933, e fino al dicembre di quell’anno (vedremo presto perché) offrono ai lettori grandi fremiti avventurosi e suggestive, dettagliatissime ambientazioni esotiche.
Il 28 ottobre, durante il ventennio fascista, si festeggia la marcia su Roma (1922). La redazione di Jumbo, per l’occasione, ricorre nuovamente all’abilissimo (ignoto) disegnatore per ritoccare pesantemente la tavola che segue, in cui Rob The Rover / Romano Roveri viene accolto con tutti gli onori addirittura… alla sede del Fascio di Londra! Sarei curiosissimo di vedere la versione originale di questa tavola (come di altre).
Annunciata da una campagna pubblicitaria che prevede anche la distribuzione nelle edicole di un volantino gratuito, alla fine dell’anno Jumbo inizia le pubblicazioni di Colomba Bianca, regina dei Navajos, che secondo me è alla base del fumetto western italiano. Gian Luigi Bonelli nel 1933 è già in forze alla Saev come redattore, e vedremo presto le sue prime prove come soggettista e sceneggiatore. Difficile non vedere in Colomba Bianca una progenitrice della Lilyth di Tex Willer.
Colomba Bianca (ricorro sempre al citato saggio di Salvucci) è White Dove, Chief of The Chekoways, opera di Sidney Pride, apparsa sul settimanale inglese Crackers in quello stesso 1933. Pride è autore anche di Ken, il tamburino di Drake, che ha esordito sul primo numero di Jumbo. Colomba Bianca, benché sia più un romanzo illustrato che un fumetto (ma le vignette sono sequenziali) ha un immediato successo. Peccato che la concorrenza a Jumbo sia già agguerrita, e che l’ultima settimana del 1933 riservi una grande sorpresa…
(Gli altri articoli di Giornale POP dello stesso autore, dedicati ai fumetti pubblicati in Italia negli anni trenta e oltre, li trovate cliccando QUI).