LAMENTARSI DELLE RAPPRESENTAZIONI DEI DINOSAURI

LAMENTARSI DELLE RAPPRESENTAZIONI DEI DINOSAURI

L’iconografia dei dinosauri è cambiata continuamente fin dalla loro primissima scoperta negli anni venti dell’Ottocento.

Le prime rappresentazioni artistiche dei dinosauri sono figlie della loro epoca. I pochi resti fossili noti dei dinosauri, ancora privi di scheletri decentemente completi, e un clima culturale non ancora pronto per l’idea di evoluzione come la concepiamo oggi, avevano ispirato rappresentazioni molto fantastiche.
I dinosauri, prima ancora di ricevere tale nome, erano quindi gli equivalenti romantici dei draghi medievali.

Quando Richard Owen introduce il termine “dinosauro” lo fa all’interno di una ben precisa strategia ideologica. Egli deve fronteggiare una visione progress(iv)ista e trasformista del mondo biologico (non soltanto di stampo lamarkiano), e usa i suoi Deinos-sauria, “rettili terribilmente grandi”, come prova di una non-linearità della storia biologica, come evidenza fossile inequivocabile che la storia della vita non fu una progressiva marcia verso la perfezione, bensì una arbitraria successione di creazioni e catastrofi, guidata “fuori dal mondo”.

L’iconografia del dinosauro oweniano è quindi una idealizzazione para-mammaliana dell’archetipo rettiliano. I dinosauri della metà del XIX secolo sono una sorta di “mammiferoidi squamati”, signori di un’età antidiluviana fine a sé stessa, priva di connessioni dirette con le faune attuali.

L’avvento del darwinismo, come sistema evoluzionistico maturo, porta all’abbandono del dinosauro oweniano. La scoperta di scheletri decentemente completi ispira le prime rappresentazioni “canoniche” dei grandi rettili mesozoici.

L’avvento di una rapace generazione di paleontologi americani toglie all’Europa il ruolo di guida nella paleontologia dei dinosauri. La fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento rappresentano l’età “classica” della dinosaurologia.

Icone come Iguanodon, Stegosaurus, Triceratops, Diplodocus e Tyrannosaurus vengono canonizzate, e le loro forme plasmate anche aderendo a una visione neolamarkiana dell’evoluzione, che considera gli estremi dimensionali e morfologici dei dinosauri canonici “patologia evolutiva”, senescenza della razza, l’espressione evidente di un declino, la drammatica degenerazione della stirpe rettiliana, prossima all’estinzione.
Nasce, a livello popolare, l’uso della parola “dinosauro” come dispregiativo, sinonimo di “obsoleto, retrogrado, ipertrofico, fallimentare”.

L’iconografia dinosauriana della metà del Novecento si conforma a questa visione, e genera capolavori fantastici come “The Age of Reptiles” di Rudolph Zallinger, nel quale i dinosauri, intesi come gigantesche montagne di carne senza cervello, troneggiano nella propria staticità.

La rivalutazione critica della biologia dei dinosauri, avvenuta in area anglosassone tra gli anni sessanta e ottanta del Novecento, produce una nuova iconografia dinosauriana. Il “rettile rivalutato” di stampo bakkeriano non è altro che la reazione uguale e contraria alle acefale montagne di carne della generazione precedente.

Gli iperattivi Deinonychus di J. Gurche, quasi una versione dinosauriana delle tartarughe ninja, sono irreali quanto i brontosauri impaludati di Zallinger, sebbene per motivi opposti. E il suo equivalente cinematografico, il malvagio raptor di Jurassic Park, capace di aprire porte, cacciare in branco con tecniche organizzate, e correre a 80 km/h, è solamente la punta estrema di una volontà di revisionare l’iconografia degli anni quaranta.

Al pari dei lucertoloni senza vita del 1940, i dinosauri degli anni novanta sono antropomorfici, nella misura in cui manifestano non tanto la biologia di un taxon fossile, quanto le suggestioni e illusioni dei paleontologi del loro tempo.

La rivoluzione piumata degli ultimi decenni, in cui viviamo oggi, ha definitivamente demolito la dicotomia rettile-uccello, concludendo quella rivoluzione darwiniana che Huxley aveva provato a introdurre nella dinosaurologia quasi 120 anni prima.

Il risultato di questa rivoluzione è stata la progressiva accettazione del piumaggio come componente significativa della biologia dinosauriana. Come tutte le rivoluzioni, all’inizio essa ha generato reazioni ostili, controffensive della parte detronizzata, ma anche molti eccessi.

I così detti “feather nazi” sono niente altro che l’estremizzazione della rivoluzione, al pari del raptor strafatto di crack della generazione precedente, e il tyrannosauro obeso di Zallinger. Ogni generazione ha le sue iconografie estreme. Solo ora, forse, ci stiamo rapportando in modo critico alla multiforme diversità dei dinosauri, e produciamo iconografie mature e consapevoli dell’eterogeneità.

Eppure, molti tra coloro che si appassionano ai dinosauri, e vengono a contatto con la nuova iconografia “piumata”, manifestano contrarietà, repulsione e nostalgia.

“I dinosauri erano meglio quando avevo dieci anni”, replicano i nostalgici. La reazione è, tuttavia, miope. Se avete seguito la storia che ho appena ripercorso, avrete notato che a ogni momento della vicenda, dal 1830 a oggi, è corrisposto un particolare canone iconografico.

I dinosauri draconiani di Mantell (anni 1830) sono diversi dai mammalo-morfi di Owen (anni 1860) che sono diversi dai dinosauri senza anima di Zallinger (anni 1940), che sono diversi dai raptor super-eroistici di Gurche (anni 1980) che sono diversi dai nostri “polli giganti” (anni duemila).

Ogni età ha avuto la sua iconografia. Lamentarsi della “nuova” rimpiangendo la precedente è solo il segno di ignoranza verso una storia continuamente in divenire. Chi rimpiange i dinosauri “alla Jurassic Park” non comprende che anche quelli erano “bizzarrie alla moda” quando furono introdotti e soppiantarono nell’immaginario popolare l’icona precedente.

Non avremo mai una “iconografia definitiva” dei dinosauri. Lamentarsi della forma attuale, rimpiangendo il passato prossimo, significa non comprendere la dimensione storica e contingente delle nostre rappresentazioni, di tutte le rappresentazioni paleontologiche: passate, presenti e future.

 

(Da Theropoda).

 

 

 

1 commento

  1. Molto interessante. Avevo sempre pensato che l’evoluzione iconografica dei dinosauri fosse legata a nuove conoscenze. Ho capito ora che entrano in gioco aspetti culturali generazionali e mode. Forse questo testimonia la “vicinanza” che sentiamo coi dinosauri, la loro presenza costante nell’immaginario collettivo di tutte le generazioni: comunque fossero ci piacciono.

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