JURASSIC WORLD 3, AL PEGGIO NON C’È MAI LIMITE

JURASSIC WORLD 3

I sequel sono ripugnanti a causa del loro corpo freddo, colorito pallido, scheletro cartilaginoso, pelle immonda, aspetto feroce, occhio calcolatore, odore sgradevole, voce stridula, tana squallida e terribile veleno; per questa ragione il Creatore non ha esercitato il suo potere per crearne un franchise.

Michael Crichton

 

Saprete di sicuro che in questi giorni esce l’attesissimo (circa) terzo (sesto) episodio della saga di Jurassic World (Park). Voci dicono che questo sarà l’ultimo-definitivo-episodio-conclusivo, quello che risolve tutti gli enigmi (perché, c’erano degli enigmi?), ma poi sappiamo che in realtà Malcolm resuscita, che era soltanto “quasi morto” quando i militari passano tutto col napalm, e quindi ci sarà il settimo capitolo, perché tira più un incasso di sequel che un carro di consistenza narrativa.

 

Disclaimer

Ci sono vari spoiler anche se non vi svelo (troppo) la trama.

 

Prologo in forma di Flash Back

Parte l’effetto flash back… ♫♪ ♫♪

Era l’anno 2001 quando io e l’amico, nonché compagno di università Simone “Dinosauri in Carne e Ossa” Maganuco, andammo al cinema per la prima di Jurassic Park 3. Arrivammo al cinema di corsa, perché eravamo in ritardo, e temevamo di non trovare dei posti centrali oppure trovare il cinema pieno… e invece poi scoprimmo che gli spettatori erano sì e no una decina.

Ricordo che dopo la visione del film, all’uscita dal cinema, eravamo tra il deluso e il rammaricato, che il film era stato una mezza pacchianata, che qualcosa non quadrava con ciò che ricordavamo essere (o pensavamo fosse) stato un film della serie di Jurassic Park.

Eravamo entrati al cinema come giovinetti ingenui, vagamente dinomaniacali anche noi, e quel giorno diventammo uomini adulti, disillusi e senza più la luce giocosa degli anni novanta [da leggere tutto con sottofondo tragico, luce crepuscolare, aria sinfonica in ascesa e coro gregoriano]… ♫♪ ♫♪

… effetto di fine flash back.

 

Di come sono stato 4 ore al cinema

Tre giorni prima della fatidica data, scopro che una grossa catena di multisala operante anche nella Food Valley propone una anteprima più anteprima delle anteprima mondiali, la sera del primo giugno (“ohmioddddio è dopodomani!”) in cui potrai vedere col prezzo (astronomico) di un solo biglietto non uno ma ben due film, e che uno dei due non è altri che il Primo Episodio del Franchise, Billy Park Uno, l’Originale e Inarrivabile, proprio quello che ha generato tutto, quello che conosci a memoria proprio come un dinomaniaco senza vita sociale, quello che hai visto al cinema solo una volta, la prima et virginale volta, nell’ormai mitizzato settembre del 1993, quando non esisteva ancora un Franchise e i dinosauri in CGI erano la novità più incredibile impossible e fantascientificamente figa della storia del genere umano.

Mi leggo i dettagli della “Maratona Giurassica” che il cinema mi propone, e concludo che non posso perdermi questa occasione! E così ieri sera, alle quasi 10 di sera ero in poltrona, in una sala cinematografica con altri cinquanta pazzi assortiti (tra cui almeno una mezza dozzina di persone di varie età con addosso maglietta nerdossissima col logo di Billy Park) a rivedere un film di cui il tuo cervello è assolutamente saturo, ma lo fai perché è una cavolo di operazione nostalgia in cui ci sei cascato come un dinomaniaco brufoloso, e perché è tutto aggratis*, sì, perché il biglietto poi vale anche per la visione di un film di Colino Trevorrovo che dura ben due ore e mezza che parte a mezzanotte e dieci.

Risultato, sono rientrato a casa alle 3 del mattino come un adolescente che tanto domani è festa nazionale quindi tutti possono sfruttare l’operazione nostalgia.

Non nascondo che nei precedenti giorni ho avuto una chiara aspettativa (direi “pregiudizio” se non fosse che due film precedenti hanno fornito la base empirica per il livello di aspettativa): che una volta visto, il film risultasse un giocattolone scemotto tarato sulle aspettative cinematografiche di un ragazzino di 12 anni. Che chiunque abbia un cervello più vecchio di 15 anni e conosca il significato delle parola “sceneggiatura” e “dialogo” sarebbe basito dalla grana minestronica della storia. Che trama e personaggi fossero come la curvatura dello spaziotempo di chi crede che l’Australia non esista, che la grafica dei dinosauri fosse dozzinale e pacchiana, e, soprattutto, che l’accuratezza dei dinosauri fosse ancor meno solida della già traballante iconografia dei precedenti due episodi.

Dato che tutti questi pregiudizi si sono rivelati perfettamente azzeccati, non perderò tempo e vi confermo che, sì, tutto è stato confermato. Insomma, il film è effettivamente un giocattolone scemotto tarato sul cervello di un bambino, la trama è ridicola e sconclusionata in cui eventi a caso sono inseriti senza un vero filo narrativo, i dialoghi sono da strapparsi il cuoio capelluto, sulla resa grafica faccio una annotazione contingente qui sotto, e i dinosauri… beh, alla fine sono un paleontologo quindi un qualche commento sulle bestie lo dovrò fare.

Ora, riavvolgiamo il nastro e ritorniamo a ieri, all’arrivo al cinema. Tutto questo miscuglio di aspettative negative sarebbe già sufficiente per azzerare qualsiasi pretesa di emozione e divertimento in chi sia nato prima dell’anno 2010, ma sarei stato comunque ancora disposto a spegnere tutti i filtri cognitivi colti, paleontologici, cinefili e post-adolescenziali e a buttarla tutto in trash puro, se 10 giorni fa non avessi visto la paleo-docufiction Prehistoric Planet (nota bene: io evito di usare la parola “documentario” per una serie di animazioni digitali, non importa quanto belle e accurate).

Ormai, qualsiasi illusione di trovare la pagliuzzetta di piacere anche nel puro trash di questo franchise è stata completamente cancellata dalla visione di quella serie. Il confronto tra le due produzioni è inevitabile. Il mio cervello finisce sempre lì, non è nemmeno colpa mia: Prehistoric Planet ha creato un nuovo standard per chiunque voglia proporre qualcosa di anche solo vagamente dinosauriano a livello iconografico. E non importa se uno è un film di avventura e fantascienza (annacquatissima) e l’altro è un prodotto divulgativo (annacquatissimo nella forma di una fiction iperrealistica), non è su quel banale distinguo che affonda il tarlo nel mio cervello. Da 10 giorni tutto è ormai diventato una questione puramente estetica, a prescindere dal contesto: è una lotta impari tra il gusto per il bello (Prehistoric Planet) ed il gusto per far soldi (Il Franchise Jurassico).

Quindi, sì, non avevo alcuna anche solo remota illusione che il film fosse interessante o piacevole. Con zero aspettative, mi sono seduto in poltrona due ore e mezza prima di effettivamente vedere Billy Mundo Trino.

Quando il film è partito, non vi nascondo che mi sale l’adrenalina a mille! Con l’introduzione tonante, e l’avvio subito d’azione, non nascondo che avevo un’espressione da ragazzetto idiota carica di emozioni, trovarmi seduto in poltrona, al cinema, a vedere questo…

Sto parlando del primo film visto, Jurassic Park.

Ok, andiamo avanti di due ore. Mezzanotte e spicci, parte Jurassic World Tre.

Ora, presumo che chi legge questo post abbia già visto il film. No, non me ne frega molto di evitarti degli spoiler, quelli sono problemi tuoi, è che se davvero hai già visto il film è più agevole andare direttamente ai vari punti su cui questo post può dire qualcosa di “meritevole” (ahahahahah! ma veramente?) senza dilungarmi in mero racconto del plot. Ho quindi selezionato i seguenti argomenti, senza perdermi troppo nel dire cosa e come e perché avvengono.

 

1) Il vero motivo di Jurassic World 3

Il vero motivo per cui esiste Jurassic World 3, ed anche la sola cosa che accomuna me e il regista, è per inventare una qualunque scusa per fare un primo piano alla protagonista femminile, la rossa figlia di Ron Howard.

Il film avrà almeno una quarantina di momenti in cui il bel faccione lentigginoso della figlia di Ricky Cunningham appare in primissimo piano, che al cinema significa una ampiezza zigomatica di una dozzina di metri.

La vediamo accigliarsi nel suo ruolo di mamma di clone. Sbarrare gli occhi verdi suoi mentre cade nel vuoto. Immergersi lentamente in un pantano paludoso. Ok, va benissimo, è tanto caruccia che io non mi lamento. Per me si poteva fare tutto il film così e avrebbe guadagnato qualche punto. Ma Trevorrow, secondo me, ha un qualche feticismo nei suoi confronti.

 

2) Jurassic Patinato

Questo film è figlio della sua numerazione. Al sesto episodio, il bidone giurassico è stato raschiato fino al contatto tra crosta e mantello terrestre. Non è colpa di nessuno, tranne di chi si ostina a pensare di essere originale con i dinosauri di Hammond. E così, a Hollywood hanno pensato che si poteva trasformare un film improntato su una tradizione di location climatico-geografica standard e sulla ristrettezza di spostamenti (capisaldi di quell’universo immaginifico) in una brutta copia di un Bond Movie.

Ecco quindi che si scelgono delle location fighe e patinate, dotate (almeno per l’americano medio) di connotazioni esotiche ben diverse dal clima costaricano. Ecco quindi le scene alla 007 a Malta e le scene cyber-fighetto-prendoperilculoApple ambientate… beh, ora non riesco a dirlo, gli devo dedicare un paragrafo apposta, beh, sono ambientate in una location molto cool in una zona dell’Europa continentale.

Ma pensare di fare un Bond Movie coi dinosauri è ridicolo, e difatti il risultato è la scena in assoluto più stupida e ridicola dell’intera storia del franchise (la descrivo sotto perché non si può far finta che non sia avvenuto un simile oltraggio all’intelligenza dello spettatore).

No, aver rimosso la calura sudaticcia centroamericana, che è un marchio ambientale del mondo jurassicparkiano, sostituendola con la neve, il sole mediterraneo o l’altra ambientazione europea non hanno per niente convinto. Non funziona. Ma davvero, il mercato nero dei dinosauri in qualche scantinato di Malta è una cosa che non solo fa ridere, ma è anche stonata.

Qui non si parla di realismo o meno (evitate i commenti “ma non è un documentario su Malta!”), bensì di intonare oppure stonare all’interno dell’universo narrativo già esistente che fa da base a un sesto episodio. I dinosauri per le vie di Malta sono come ambientare un episodio di Guerre Stellari dentro la Stazione Spaziale Internazionale. Bellissima location, sia chiaro, sempre fantascienza spaziale è, ma la coerenza con il resto del contesto narrativo originario va un po’ a farsi benedire.

 

3) Jurassic Marvel

Collegato al punto precedente è l’altro tentativo fallito del film, ovvero di salire di corsa sul filone di film emanato dal carrozzone dell’universo cinematografico della Marvel per sperare di fare una versione analoga con il Franchise Giurassico. Ma illudersi di metamorfosare un franchise maturo nelle forme di una altro franchise maturo è analogo al voler trasformare una cellula di un organo in una cellula di un altro organo senza passare per le staminali. Non funziona.

Sì, abbiamo Starlord come protagonista, e questi è, confrontato con i suoi predecessori (per giunta di 30 anni più anziani, poveracci loro) un supereroe capace di fare cose sovrumane, ma il fatto è che se c’è un connotato antropologico imprescindibile del mondo giurassico è che i suoi protagonisti sono persone normali, forse con personalità eclettiche (Malcom) o competenze inusuali (Grant), ma pur sempre uomini normali, che se la fanno sotto quando vedono un Tyrannosaurus, che non sono capaci di domare un raptor a mani nude e che non inseguono i dinosauri in motocicletta. Ma non solo i protagonisti giurassici non sono marveliani, ma non lo sono nemmeno i loro caratteri.

Sì, sono sarcastici, sono disillusi, ma non sono marveliani. Scimmiottando modi e psicologie da supereroe Marvel non si salva un tipo di film, semplicemente si vuole negare la morte della serie.

 

4) Quanto odio gli spiegoni

Regola numero uno di ogni buon film: evita come la morte gli spiegoni. Lo spiegone (una scena non funzionale alla vicenda, in cui una voce, interna o narrante, spiega antefatti o retroscena al fine esplicito di informare gli spettatori per accelerare la comprensione degli eventi in arrivo) è la dimostrazione della incapacità dell’autore di rendere la vicenda coerente, consistente, ovvero, un mondo funzionante e dotato di autonomia narrativa.

Lo spiegone è il più becero espediente di chi vorrebbe farti entrare in una storia cinematografica ma non ci riesce con i metodi giusti, vuoi perché è un pessimo narratore, vuoi perché ha messo già troppa carne al fuoco, vuoi perché non è bravo a modulare i diversi livelli del plot.

In questo caso, il film si apre con un “reportage giornalistico” del tutto slegato dal successivo svolgimento dei fatti, ma durante il quale una voce fuori campo ci informa che i dinosauri negli ultimi anni della storia interna, successivi all’episodio precedente, hanno fatto questo e quello, che il nuovo cattivo si chiama tizio caio e sta facendo questo e quello, e che ora nella storia si sono accumulati vari problemi interni alla vicenda che fanno da base per il nuovo episodio.

Ecco, se devi affidarti a questo espediente narrativo per far funzionare il tuo film, allora devi cambiare mestiere. Fai lo scrittore di dialoghi, ma non fare il regista o lo sceneggiatore serio. Un film ben fatto sa spiegarti la vicenda con le sue stesse scene, in modo “epifenomenico”, con le azioni in svolgimento, con un plot sufficientemente articolato da rendere palese ciò che non puoi (per tempo o estetica) esplicitare in modo didascalico.

Un film ben fatto produce una “proprietà emergente” che è il contesto intorno a cui si volge la vicenda: lo spiegone compensa la mancanza di proprietà emergenti nel film. L’universo del film non richiede che sia spiegato, se il regista è bravo a metterlo progressivamente in atto con la scelta ed il dosaggio di tutti gli elementi non verbali.

Non puoi delegare questo fondamentale elemento di ogni buon film a una voce introduttiva che finge di fare una cosa interna alla vicenda ma di fatto sta solo spiegando le ragioni della vicenda agli spettatori, ovvero a soggetti esterni alla vicenda. Ripeto, lo spiegone è il più grossolano tra tutti i piccoli brutti espedienti di un film fatto male.

 

5) Le Dolomiti

No, veramente, quando lo spiegone ci informa che la nuova base dei cattivi, di fatto il nuovo Jurassic Park, è situata ai piedi delle Dolomiti, in Italia, a casa nostra, stavo per scoppiare a ridere in sala e urlare “Ma come? Ma dai! Ma che cavolata!”.

Ok, capisco che è una location fighissima e patinata, quindi funzionale a quanto detto sopra al punto 2, ma veramente pensiamo di piazzare un enorme complesso fantascientifico con dinosauri clonati presumibilmente abituati ad un clima subtropicale caldo-umido ai piedi delle Dolomiti, nella nostra vecchia e cara Repubblica Italiana fondata sul lavoro la cui sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti sanciti dalla Costituzione?

Ma la probabilità che anche solo come gioco mentale una cosa del genere sia realizzata in Italia, superi l’iter burocratico giurassico italico e sviluppi quello che vediamo nel film è persino minore di quella di trovare Dna di dinosauro in ambre fossili con cui clonare il T.rex. E poi, capisco che per l’americano medio le Dolomiti sono esotiche come il Tibet o qualche acrocoro brasiliano, ma tu, italiano, ce lo vedi un mega-complesso incastonato nella natura, di dimensioni e impatto ambientale mastodontico, inserito da qualche parte nel bellunese?

Ma davvero Trevorrow pensa che le Alpi italiane sono come le Montagne Rocciose del Wyoming, distese infinite in cui puoi cavalcare nel nulla disabitato per giorni senza rischio di dar fastidio a qualcuno? In Italia? Dove abbiamo un paesino ogni 10 km, dove la montagna è un continuo strade, baite, malghe, dove ogni mese dell’anno abbiamo turisti, famiglie, campeggi, escursioni… no, veramente, capisco che questo punto è comprensibile solo da chi sia squisitamente italiano, ma resta il fatto che è un “Ma quando mai?” di dimensioni enormi.

E poi, alla fine, scopriamo che l’Onu dichiara le Dolomiti santuario incontaminato e riserva off limits dei dinosauri, in stile Isla Sorna… peccato per tutti quelli che lì ci vivono e lavorano e fanno le vacanze, e che siamo nel continente più antropizzato del mondo dove non c’è un buco di spazio per far vivere in isolamento titanosauri e T-rex.

 

6) Le parolacce

Alla prima parolaccia ho sorvolato, pur notando l’anomalia. Poi ne sono arrivate altre. E la cosa si è ripetuta. In modo spesso gratuito. Cioè, in un film del franchise di Jurassic Park i protagonisti dicono parolacce, tipo “s***zo” et similia… Non si era mai sentito prima in questi film. Mi sono sentito a disagio, visto che è un film che (al netto della violenza da videogioco) le famiglie guardano con i bambini.

Ci sono rimasto malissimo.

 

7) Il politicamente ipocrita

Hollywood vive sotto assedio. Se non dimostri di essere inclusivo, la rete ti mette in croce. Quindi, non importa come, ma spesso i film si sforzano di includere qualcuno appartenente a categorie sociali altrimenti non rappresentate. L’idea in sé è nobile, ma sul piano artistico è spesso un disastro, perché si applica in modo meccanico, palesemente forzato, sovente senza anima né stile.

E così, per un mezzo secondo del film scopriamo che uno dei personaggi “tosti” del film, una donna di colore, è lesbica. Lo scopriamo tramite una breve considerazione [da liceale in calore] che la tipa fa assieme al protagonista (col quale ha subito creato un feeling molto “bro”, tipico dei duri hollywoodiani): anche a lei piacciono le rosse.

Fine della tematica inclusiva nel film.

 

8) I dinosauri…

Avrei potuto sottolineare quanto siano brutti, sia a livello anatomico che comportamentale, i dinosauri in questi film. Poi è arrivato Prehistoric Planet, che ha fatto disintegrare qualsiasi scena con dinosauri presenti nell’ultimo episodio del franchise. Non c’è altro da dire.

Sul piano squisitamente paleontologico e paleoartistico, Prehistoric Planet è l’asteroide del franchise, il bolide venuto dallo Spazio Esterno che cancella in un sol colpo 30 anni di dinosauri hollywoodiani in Cgi. C’è un “prima” ed un “dopo” Prehistoric Planet, e il Jurassic franchise è nel prima, esattamente come ci fu un “prima” ed un “dopo” Jurassic Park in termini di estetica iconografica dei dinosauri, e i pupazzetti in stop-motion dei film della mia infanzia erano nel prima.

Cito solo una scena, quella in cui il protagonista, Starlord, doma un Parasaurolophus a mani nude, legandolo ad un tronco. A un certo punto, il dinosauro, pesante 20 volte l’uomo, cerca di liberarsi dal cappio. L’eroe fa la sua mossa magica che calma i dinosauri, e il dinosauro si ammansisce tornando a essere il solito stupido ornitischio senza midollo.

Ora, aldilà delle pretese di realismo, aldilà dei dinosauri, ma voi pensate che un animale di alcune tonnellate, con una forza muscolare capace di muovere quella massa corporea, se viene preso al cappio da un uomo posizionato meno di 10 metri da lui non reagisca caricando, per calpestare il piccolo ominide che gli sta dando fastidio?

No, l’ornitischio pare in preda ad un panico paralizzante, come se Starlord emanasse una specie di scudo energetico che impedisce all’animale di reagire. Trovo la scena totalmente scema, specialmente se la confrontiamo con il tipico comportamento dei theropodi nel franchise, i quali, anche il più piccolo compsognato, sono delle macchine da guerra difficilissime da domare. Ma questo, lo sappiamo, è un vecchio pregiudizio di questi film: i dinosauri erbivori sono delle pecore lobotomizzate, i carnivori sono xenomorfi.

 

9) Atroci raptor

Arriviamo finalmente alla scena più stupida e patetica nella storia del franchise. Quella della liberazione degli Atrociraptor a Malta. Scopriamo che quella idea sviluppata nel precedente film che tutti hanno bollato come idiota (ovvero, che l’Indorutto sia un killer comandabile con un puntatore laser, nel senso che se vuoi uccidere qualcuno devi prima puntargli un fucile con mirino laser, dimenticare che ora basterebbe premere il grilletto del fucile e chiudere la questione, per poi attendere che il dinokiller si avventi sulla persona puntata dalla lucetta rossa) è stata implementata.

Ora, dei dromaeosauridi vengono addestrati per fare la stessa scemenza dell’Indorutto. Si aprono le gabbie ed escono i nostri terribili Atrociraptor. Circondano le vittime designate, che la cattiva di turno, a distanza, sta puntando con una lucetta laser.

Piccolo problema: le vittime sono alcuni agenti speciali della Cia che impugnano delle pistole automatiche. Ovvero, armi molto più letali ed efficienti di qualsiasi povero dromaeosauride. Penserete, adesso i buoni – che, ripeto, sono agenti della Cia, non pensionati di Voghera – sparano due colpi all’istante ed i nostri raptor cadono stecchiti a terra con il cervello spappolato (i proiettili a quella distanza seccano qualsiasi essere vivente).

No, ma per niente: parte la scena più “Ma cosa fate?” della storia del cinema: i raptor e gli agenti Cia si fissano immobili, le pistole sono belle visibili e in mano… nessuno spara, i buoni scappano.

Ma cosa? Dove? Quando? Perché?

Delle pistole automatiche. In mano ad agenti della Cia. Professionisti addestrati per sparare prima di essere colpiti dal nemico. Contro quattro stupidi animali ammaestrati.

E niente, tanto gli ornitischi sono patetici nella loro passività tanto i theropodi sono supermegaultrainvincibili.

Roba da “La Pallottola Spuntata”, solo che qui regista e sceneggiatore si prendono sul serio e pensano di aver fatto qualcosa di figo. No, se pensi che quella scena sia figa hai le aspettative action di mio nipote di 3 anni.

 

10) Il fanchise

Tra easter eggs, fan-service dozzinale, battutine auto-ironiche a casaccio (messe in bocca a Malcom eletto “ipocrita voce del regista”), questo film conferma il disastroso trend che sta trasformando i franchise in fanchise, ovvero prodotti non più destinati al pubblico (nel senso etimologico di “tutti noi”), ma esplicitamente codificati ad uso e consumo unicamente dei “fan”.

Questo fa si che una parte importante del film sia incomprensibile e/o irricevibile per tutti quelli che non sono dei maniaci sfegatati fissati con tutte le emanazioni del franchise, ovvero, con una fetta non indifferente di pubblico.

Io, pur conoscendo il mondo giurassicparkiano, non mi considero un fan, e sicuramente ho colto solo una parte dei vari rimandi dedicati solamente ai “true believer”. Molti li ho trovati stucchevoli e ingenui, e avrei preferito più attenzione alla consistenza narrativa invece che a come e dove piazzare una battuta o un abbigliamento stimola-fan.

Tale atteggiamento implica che questi film non sono più produzioni artistiche dotate di una loro anima autonoma, ma bieche operazioni di marketing in cui si individua un target antropologico (o lo si pianifica a tavolino, per poi allevarlo), lo si ammansisce con queste piccolezze tanto carucce, si consolida lo spirito del gregge (il vero fan è quello che colleziona più easter egg, se non li cogli forse non hai dedicato abbastanza tempo al franchise e fai una figura mediocre davanti agli altri della Community), al fine di spillarne il più possibile le sostanze pecuniarie.

 

Conclusione

Jurassic World 3 Abominion ha confermato quanto esso fosse prevedibile. Un film prevedibile è un film noioso. Dato che non avevo alcuna aspettativa, il film non è stato né una delusione né una rivelazione. Solo noioso.

Esattamente questo, il piattume si è manifestato con il peggior effetto si possa ricevere dalla visione di un film: la noia. Sì, in almeno quattro momenti del film mi sono annoiato, mi sono “staccato” dalla visione del film, dal “viverci dentro”, per “tornare” ad essere una persona seduta in un cinema, e a domandarmi che ore fossero, se fosse già l’una di notte o le due meno venti. Quando ciò accade durante la prima visione, il film ha fallito.

In conclusione, questo nuovo episodio ha introdotto elementi che, volendo essere onesti, non sono positivi per chi voglia godersi un paio di ore di cinema, ma soltanto per chi, legittimamente, ama accumulare gadget della saga.

In sintesi, si palesa per essere l’ennesimo prodotto di fan-service autoreferenziale, in cui i dinosauri ormai non sono nemmeno animali (non dico dinosauri), alla fine nemmeno mostri, sono direttamente dei giocattoli.

La visione al cinema, in successione, prima del film del 1993 e poi di questo del 2022, mi ha aiutato a cogliere cosa e come sia cambiato un certo mondo del cinema. Ovvio che non si può mettere sullo stesso piano Spielberg e Trevorrow, ma il limite del secondo film non si riduce alla contrapposizione tra un autore poliedrico che ha fatto la storia del cinema e un tizio che finge di essere un fanboy per far contento il target della strategia di marketing.

Il primo film, nei suoi limiti di avventura fantascientifica con dinosauri, almeno restava in toto un film, senza spiegoni (no, Mister Dna non è uno spiegone, è funzionale alla trama, e se non lo cogli ripassati la lezione), senza fan-service (ok, ancora da elaborare in un primo episodio, ma perlomeno senza continue strizzatine di occhio agli spettatori), senza superomismo Marvel nei personaggi, senza mostrificazione schizofrenica dei dinosauri.

Notate che non sto parlando di accuratezza, scientificità o realismo. Dopo Prehistoric Planet non perdo tempo a evidenziare l’ovvio. Parlo solo di come un film viene realizzato e prodotto, e di come uno spettatore nemmeno troppo lontano dai “fan” come formazione culturale si senta del tutto annoiato (sì, questo è il termine giusto) da questi prodotti.

La noia al cinema non la desidera nessuno, nemmeno un criticone bastardo come me. Se avviene, è colpa del film, non di chi ha speso il biglietto e provato a dedicare una serata a star seduto in una sala buia.

Voto finale: 4 e 1/2.

Non do 3 solo per il punto 1 descritto sopra.

 

 

(Da Theropoda).

 

 

1 commento

  1. Caruccia la figlia di Cunningham, ma un po’ troppo uguale al papà con i capelli lunghi. L’idea di ambientare un episodio di Guerre Stellari dentro la Stazione Spaziale Internazionale è MERAVIGLIOSA, scrivo subito una mail alla Disney. Last but not least, questo articolo mi ha fatto venire una gran voglia di vedermi Prehistoric Planet.

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