PREHISTORIC PLANET VISTO DA UN PALEONTOLOGO

PREHISTORIC PLANET VISTO DA UN PALEONTOLOGO

Nessuno della mia generazione ignora l’enorme valore della produzione documentaristica di Sir David Attenborough, voce narrante della serie in cinque puntate di Prehistoric Planet.
Uno dei primissimi documentari che ricordo, risalente alla mia infanzia, a metà degli anni ottanta, è proprio uno degli episodi de Il Pianeta Vivente di Attenborough, trasmessi all’interno del programma Il Mondo di Quark di Piero Angela.

Alcuni anni fa, durante la preparazione di un travagliato manoscritto che spero veda la luce nei prossimi mesi, il paleozoologo Darren Naish, coautore con me in quello studio, mi accennò che aveva appena iniziato una tanto impegnativa quanto eccitante collaborazione con la Bbc e che coinvolgeva proprio Attenborough: Prehistoric Planet.

Prehistoric Planet rientra nel filone della “paleo-docufiction digitale”, inaugurata un ventennio fa da Walking with Dinosaurs: si tratta di fiction con filmati in ambienti naturali più o meno editati in digitale, in cui sono inclusi “personaggi animali” ricostruiti in digitale, in questo caso, animali estinti.

Il tutto per dare una “parvenza” di realismo documentaristico a quella che, comunque, resta sempre una sceneggiatura animata. Questo filone ha prodotto risultati dignitosi, come il primo Walking with Dinosaurs, ma anche le inevitabili degenerazioni, come l’imbarazzante Jurassic Fight Club.

La presenza di David Attenborough, come voce narrante, esplicita le intenzioni della produzione di essere il nobile prosecutore delle istanze del primo Walking with Dinosaurs. Intenzioni che sono concretizzate dal notevole gruppo di consulenti paleontologici coinvolti nella produzione.

Darren Naish stesso è il pilastro principale di questa fondazione scientifica, che ha coinvolto per consulenze particolari autori come Brusatte, Hutchinson, Habib, Witton, Hartman e altri. Tutti autori attualmente attivi in vari rami della paleontologia dei rettili mesozoici.

Per correttezza verso il lettore, chiarisco subito che io non sono un fan particolarmente appassionato delle “paleo-docufiction digitali”, nel senso che credo sia un filone ormai abbastanza canonico e ripetitivo, per quanto spinto al massimo in termini di accuratezza scientifica ed esecuzione visiva.

Questo mi rende un osservatore abbastanza distaccato e non partigiano: conosco alcuni dei protagonisti del progetto, ne apprezzo molto il lavoro e l’impegno profuso, ma non nutro alcun attaccamento emotivo o feticcio verso questo tipo di produzioni.

L’unico momento emozionante per me è stato l’introduzione. Vedere la persona di David Attenborough, ormai ultranovantenne, che a fianco di uno scheletro di dinosauro parla allo spettatore, allo stesso modo con cui egli stesso, oltre trenta anni prima, ci aveva parlato di fianco ad altri scheletri di dinosauro nella mitica serie Vanished Lives (serie che considero la migliore trasmissione divulgativa di paleontologia mai realizzata), mi ha veramente emozionato.
Egli è un grande venerabile a cui vanno tutta la nostra devozione e affetto, nel senso più sincero del termine.

 

Il primo episodio “marino” di Prehistoric Planet

La serie si articola in episodi tematici, legati a particolari contesti ambientali. Il primo episodio si concentra sugli ambienti marini. Dalla prima scena intuiamo che l’età rappresentata è l’ultimissima parte del Cretacico, dato che il protagonista, sebbene in un contesto marino inusuale per lui, è il più classico dei personaggi delle “paleo-docufiction digitali”, il Tyrannosaurus (ovviamente, rex).

Per quanto inusuale nelle rappresentazioni, l’idea di un grande theropode capace di nuotare e di raggiungere isole prossime al continente non è per niente eterodossa. Nulla, nella anatomia di questo animale, contraddice una tale capacità.

Il video mostra un maschio adulto con la sua nidiata di ormai solo cinque figli sopravvissuti al primo anno di vita. Come ho ripetuto innumerevoli volte sia sul blog sia nei miei libri, tutto ciò che abbiamo scoperto finora sui dinosauri mesozoici suggerisce una blanda forma di cure parentali, e una elevata mortalità infantile: la scena vista in Prehistoric Planet segue proprio questo filone di interpretazioni.

Da commentare è invece la scelta di mostrare una cura parentale di tipo paternale (ovvero, il maschio, e non la femmina, che si fa carico di proteggere la prole per un tempo più o meno lungo). L’ipotesi segue alcuni studi sulle covate dei maniraptori il cui rapporto tra numero di uova vs massa adulta collima con quello degli uccelli con cure paternali senza coinvolgimento della femmina.

Tuttavia, tale ipotesi è stata formulata sulla base delle covate di maniraptori, ma nulla è noto in merito alle covate di Tyrannosaurus, e quindi non è automatico concludere che anche nei tyrannosauroidi ci fosse quel tipo di relazione sociale.

In attesa di avere dati diretti da covate tyrannosauridi, quindi, questo dettaglio è, per quanto accattivante, del tutto speculativo per T. rex [speculazione personale: vista la enorme massa adulta di Tyrannosaurus, il mio sospetto è che il modello paternale maniraptoriano non si possa applicare a questo dinosauro].

Tyrannosaurus funge da inevitabile apripista dinosauriano per un episodio che poi si concentra su altri gruppi zoologici: pterosauri, mosasauri, plesiosauri, ammoniti, disseminati su vari continenti (per fortuna, non è tutto e solo “Laramidia Land of the Rex” come spesso accade in questi prodotti).

L’elemento legante i vari sotto-episodi interni alla prima puntata è probabilmente la riproduzione e le strategie riproduttive. Abbiamo le cure paternali di Tyrannosaurus, ma anche le differenze di strategia (e di livello di cure parentali) tra differenti specie di pterosauri contemporanei (con alcune specie che manifestano cure più intense verso la prole confrontate con altre specie invece prive di cure parentali e con i piccoli autonomi e iper-precoci nella capacità di volo).

Poi le cure parentali spinte al massimo nei plesiosauri (che sappiamo produrre un numero molto piccolo di prole alla volta, e quindi presumibilmente caratterizzati da cure parentali lunghe e intense), alle competizione tra mosasauri maschi per il territorio, allo spettacolare rituale di corteggiamento delle ammoniti.

Bisogna rimarcare che i dettagli fini di questi scenari, pur fondati su evidenze paleontologiche, restano analogie tratte dal mondo vivente ma non sono necessariamente corrette se applicate ai casi mostrati.

Ad esempio, occorre sottolineare che la presenza di indicatori di cure parentali molto forti non implica necessariamente la presenza di comportamenti sociali complessi. Le api e le formiche manifestano cure parentali e difesa della prole estreme, pur non manifestando particolari complessità neuronali.

Pertanto, non è così automatico come può apparire nel video che le relazioni tra una madre plesiosauro ed il suo piccolo fossero analoghe a quanto osserviamo nei cetacei di oggi.

Il documentario si chiude con Attenborough che ci invita a visitare la pagina di Prehistoric Planet per visionare i video didattici in cui è spiegata la scienza “dietro” la fiction.

Nel complesso, il prodotto è superbo, anche per un osservatore abbastanza esigente ed emotivamente arrugginito quale sono io. La cura per il dettaglio anatomico è notevole, anche se non assoluta.

I giovani Tyrannosaurus mi sono sembrati un poco artificiosi nelle posture degli arti, così come resto ancora dubbioso sulla presenza di strutture labiali in Tyrannosaurus adulto vista la texture della regione subcutanea delle sue ossa facciali. Ma sono annotazioni minori per un prodotto comunque molto piacevole da seguire.

Ripeto, la mia critica di base non è a questo prodotto o alla sua realizzazione, ma alla intera filosofia della “paleo-docufiction digitale”. Pur ammirando l’Attenborough del 2022 che commenta un filmato virtuale, resto ancora dell’idea che l’Attenborough del 1989 che si introduce di persona nella vera miniera di ambra dominicana mentre viene estratta l’ambra sia ancora insuperato e insuperabile.

 

Il secondo episodio “desertico”

Nel secondo episodio di Prehistoric Planet siamo condotti in contesti desertici.
L’episodio di apre con la spettacolare scena di combattimento tra due maschi di titanosauro all’interno dell’harem di femmine di uno dei due contendenti. Il genere è menzionato essere Dreadnoughtus.

Alcuni commentatori online hanno lamentato la presenza del pollice con ungueale nella ricostruzione di questo titanosauro, rimarcando che questo dito scompare nei titanosauri più derivati. Tuttavia, la formula falangeale della mano di Dreadnoughtus non è nota, e generi relativamente prossimi come posizione filetica (come Diamantinasaurus) conservano questo dito.

Pertanto, la questione se la mano di questo sauropode avesse ancora un pollice funzionale è ancora aperta. La ricostruzione propone che i maschi di questo dinosauro avessero un sistema di sacchi gonfiabili lungo il collo, connessi al sistema dei sacchi aerei.

Ovviamente, non abbiamo prove dirette di questo attributo, che è vagamente ispirato a certi uccelli e anfibi odierni. La questione è se i sacchi aerei cervicali dei sauropodi permettano un simile apparato di sacchi dilatabili a ripetizione.

Ho apprezzato moltissimo la dinamica “al rallentatore” di questi animali. A differenza dei mostri cinematografici, difatti, gli animali reali sono vincolati alle leggi della fisica, per le quali l’agilità si perde inevitabilmente all’aumento della massa corporea. La vita di un titanosauro gigante è quindi improntata sulla solennità e non sulla frenesia.

A un certo punto si intravedono degli enantiorniti svolazzare intorno ai sauropodi, e io ho esultato.

La seconda scena è ambientata in Asia Centrale. Abbiamo un gruppo di Tarbosaurus che sonnecchia intorno alla carcassa di un sauropode, in un contesto ambientale arido e roccioso. Nella scena entra anche una coppia di dromaeosauridi (specificatamente, come ovvio, dei Velociraptor). Anatomicamente, i dettagli di tutti i theropodi mostrati sono molto buoni.

La narrazione (sempre di Attenborough) dichiara che Velociraptor spesso caccia in gruppo, ipotesi abusatissima e probabilmente errata, frutto di una serie di miti ed errate interpretazioni dei contesti tafonomici.

Semmai, sarebbe stato innovativo mostrare i due Velociraptor non come una coppia associata bensì come animali opportunisti che convergono sulla carcassa del sauropode per banchettare non appena i Tarbosaurus si sono allontanati: al loro posto, il ruolo di spazzini viene dato agli pterosauri azhdarchidi (anche questa, una scelta molto convenzionale e stereotipata).

A questo punto, l’appassionato di dinosauri commenterà che Velociraptor e Tarbosaurus non sono vissuti nello stesso momento, dato che il primo si ritrova nella Formazione Djadochta mentre il secondo è nella Formazione Nemegt.

La medesima obiezione potrebbe nascere alla vista della scena successiva, molto spettacolare e vagamente analoga a quella del film Disney Dinosauri (del 2000), in cui orde di dinosauri di varie genie si abbeverano a una pozza temporanea nel mezzo del deserto.

Gli animali mostrati sono titanosauri, adrosauridi, therizinosauridi, ankylosauridi e Tarbosaurus, tutti tipicamente nemegtiani, mentre non appaiono protoceratopsi, tipicamente associati agli ambienti aridi djadochtiani. La faccenda è più elaborata dalla sola discussione sulla contemporaneità delle specie.

Studi recenti propongono che i sedimenti nemegtiani e quelli djadocthiani non siano diacroni (= di età diverse) bensì sfumino lateralmente uno nell’altro (con una terza Formazione, la Barun Goyot, che funge da transizione tra le due), e che pertanto le faune nemegtiane e djadochtiane siano state (più o meno) contemporanee, solo separate geograficamente e climaticamente.

Inoltre, studi tafonomici suggeriscono che la diversa composizione faunistica che osserviamo tra i due tipi litologici sia un filtro prodotto dai diversi processi di fossilizzazione nei due differenti contesti ambientali (più umido nella Nemegt e più arido nella Djadochta).

Pertanto, è possibile che gli animali tipicamente nemegtiani possano essere vissuti (forse con differenti abbondanze relative) anche in contesti djadochtiani e viceversa, ma che i differenti ambienti deposizionali abbiano poi prodotto la diversità faunistica che appare a livello paleontologico.

Piccolo rammarico: peccato non aver introdotto nella scena Halszkaraptor, visto il mix di aridità diadochtiana e pozze d’acqua… L’episodio si concentra invece sulle vicissitudini di un parvicursorino (Mononykus), mostrato come un insettivoro specializzato.

Studi recentissimi mostrano una spiccata specializzazione notturna per gli alvarezsauridi, mentre nel filmato l’animale è mostrato sempre in pieno giorno. [Edit: un lettore della pagina Facebook mi fa notare che la maschera facciale con cui hanno ricostruito Mononykus ricorda gli animali notturni, quindi deduco che gli autori fossero a conoscenza dello studio che ho menzionato e lo abbiano seguito e considerato].
Peccato che nella scena non si veda nessuno dei tanti mammiferi tipici dei contesti djadochtiani.

L’episodio prosegue con due scene relativamente convenzionali. Una ripropone una delle specie di pterosauro viste nel primo episodio, e ne mostra i (molto speculativi) rituali di corteggiamento. La seconda mostra un branco di adrosauri sudamericani che migra attraverso il deserto in cerca di condizioni più favorevoli.

Nel complesso, si conferma l’eccellente resa anatomica e grafica delle ricostruzioni, oltre al desiderio di ridurre al minimo le spettacolarizzazioni hollywoodiane per puntare invece sulla naturalezza e analogia fondata scientificamente (anche quando speculativa).

 

Il terzo episodio sulle “acque dolci”

Il terzo episodio di Prehistoric Planet, la nuova serie di “paleo-docufiction” Bbc/Apple narrata da David Attenborough, è dedicato alle acque dolci.

L’episodio si apre con una colonia di pterosauri abitante una ripida scogliera di un canyon scavato da un fiume. La colonia è attaccata da un trio di Velociraptor, uno dei quali riesce rocambolescamente a catturare un rettile volante.

Onestamente questa scena, per quanto resa in modo eccellente, è un poco irrealistica. Trovo improbabile che animali come Velociraptor si avventurino in un contesto tanto ripido e pericoloso per nutrirsi di qualche pterosauro, animale che, nella sostanza, è tutto pelle, sacchi aerei e ossa. Il gioco non vale la candela. [Sì, so che ci sono evidenze di questa relazione alimentare, ma ciò non è una prova che sia avvenuta in questo contesto estremo].

In effetti, l’improbabilità della situazione, la scelta di Velociraptor, e la volontà di rappresentarli come una squadra di tre elementi mi pare l’ennesima adesione ormai un po’ ripetitiva all’immagine di “dinosauro ninja” capace di mirabolanti imprese acrobatiche in contesti estremi, che Jurassic Park ha imposto per questi paraviani.

Nella seconda scena, abbiamo un Tyrannosaurus che banchetta con la carcassa di un Triceratops, anche questo un cliché paleoartistico ormai canonico. L’animale, ferito dal combattimento con la preda e solcato dalle cicatrici della sua età, incontra poi una femmina della propria specie, con la quale si accoppia.
La resa anatomica di questi animali è molto buona, ed è apprezzata la volontà di mostrare la corporatura massiccia e graviportale di questo dinosauro.

Nella terza scena, abbiamo un Deinocheirus immerso in uno stagno che cerca qualche ristoro dagli insetti che lo tormentano. L’animale è avvolto da un denso manto di piume, che in acqua dovrebbe inzupparsi e renderlo ancora più pesante e impacciato.

Nell’episodio precedente, ambientato in un contesto desertico, si intravede un therizinosauride anche questo fittamente piumato. Queste scelte nella ricostruzione dei due maniraptoriformi giganti mi paiono un poco irrazionali, visto che i realizzatori della serie non hanno avuto problemi a rappresentare i grandi tyrannosauridi, di massa comparabile a quella di Deinocheirus e Therizinosaurus, come ricoperti solamente da una sparuta lanugine fine di piume semplici.

Quindi, perché non adottare il medesimo look “leggero” anche per i due maniraptoriformi? Cosa dovrebbe permettere la riduzione del piumaggio in un clade ma impedirlo in altri? Faccio notare ai vari “feather-nazi” o “scaliban” che leggono che io non ho alcuna particolare tifoseria per una o l’altra delle possibili opzioni: qui noto una mancanza di coerenza logica, che forse è involontaria.

Sospetto che, in questo caso, ci sia una sorta di “pregiudizio ornitomorfo” per cui tanto più un taxon è prossimo agli uccelli (in questo caso, i maniraptoriformi rispetto ai tyrannosauridi) e tanto più debba mantenersi piumato, costi quel che costi.
Ovviamente, solo la scoperta di tracce di pelle in questi animali può risolvere la questione.

Nella scena successiva, abbiamo gli sfortunati tentativi di un Quetzalcoatlus di portare a termine la propria covata. Gli pterosauri sono tra gli animali più rappresentati di questa serie, non limitandoli a comparse sullo sfondo.

Passiamo poi a seguire le peripezie rivierasche di una madre Masiakasaurus e dei suoi tre nidiacei, uno dei quali finirà divorato da un gigantesco anuro Beelzebufo. Qualcosa nel Masiakasaurus non mi convince, forse le proporzioni apparentemente “generalizzate” o la postura data all’arto anteriore.

I giovani, di cui non abbiamo resti, appaiono come una versione isomorfa miniaturizzata dell’adulto, cosa che mi pare poco realistica, dato che sappiamo quanto marcata fosse la trasformazione delle proporzioni corporee (in particolare, nella testa) durante la vita dei dinosauri.

L’episodio si chiude con la sortita di alcuni elasmosauri nella zona salmastra al confine tra fiume e mare.

Nel complesso, questo episodio, pur rimanendo qualitativamente molto migliore di altre produzioni passate, mi pare meno riuscito dei primi due. Alcune scene sono stereotipate, e poco “ispirate”. La colpa non è dei realizzatori della serie, ma degli animali: per quanto ci possiamo sforzare di scrivere “sceneggiature” naturalistiche per una serie dedicata ad animali, il numero di comportamenti e di situazioni accattivanti che siano comunque naturalisticamente plausibili è piuttosto piccolo.
Dopo che hai fatto migrare, combattere, nidificare e defecare i tuoi animali, resta ben poco che possono recitare.

A parte queste lamentele marginali, la serie resta una gioia per gli occhi, con un dettaglio anatomico magistrale e una finezza grafica superlativa.

 

Il quarto episodio “polare”

Il quarto episodio di Prehistoric Planet è dedicato alle zone polari, sia Nord sia Sud. L’osservatore poco informato sui progressi della paleontologia mesozoica si troverà spaesato di fronte allo scenario di dinosauri nella neve, dato che, tradizionalmente, il mondo preistorico era rigidamente diviso in epoche con una netta connotazione climatica, con il Mesozoico sempre dipinto come un età unicamente torrida.

Negli ultimi quaranta anni, abbiamo scoperto in Australia meridionale, Alaska e Antartide le prove di faune dinosauriane adattate, in varie fasi del Mesozoico, a climi simili a quelli che oggi abbiamo in Europa centro-settentrionale, quindi caratterizzati da inverni freddi e dalla presenza della neve.

La voce narrante di Attenborough ci informa che il clima nelle zone polari di allora, pur essendo più caldo di come è oggi, era comunque sufficientemente rigido per includere la neve, specialmente durante i lunghi mesi di notte polare (questa è, allora come oggi, un effetto dell’inclinazione dell’asse terrestre, di circa 23° rispetto al piano dell’orbita attorno al sole, che produce una asimmetria nelle ore di luce giornaliera durante i diversi momenti dell’anno).

In questo episodio, emergono alcuni limiti della serie.
Il primo è stato la decisione di limitare episodi e scene (almeno per questa prima stagione? ci saranno seguiti?) alla fine del Cretacico, con il risultato che le più interessanti faune polari note sono state automaticamente escluse dall’episodio (come quella australiana di metà Cretacico o quella antartica di inizio Giurassico).

Il secondo è una inevitabile ripetitività di eventi e protagonisti. Anche in questo episodio, come nei precedenti, abbiamo un trio di Dromaeosauridae a caccia in contesti più o meno ardui, ed abbiamo i tyrannosauridi come unici grandi predatori.
Lo spettatore non pratico di faune mesozoiche può quindi concludere erroneamente che Dromaeosauridae e Tyrannosauridae erano i principali se non unici predatori nell’era dei dinosauri.

Ammetto di essere rimasto subito perplesso per alcune scelte “estetiche”. Vediamo dinosauri ornithischi immersi nella neve e del tutto privi di qualche adattamento alla vita in contesti freddi. Gli hadrosauridi hanno la pelle totalmente squamata e proporzioni corporee alquanto affusolate, e i ceratopsi (Pachyrhynosaurus) sono ricoperti solo in parte da una rada copertura di aculei del tutto insufficiente a proteggere dal freddo.

La narrazione ci informa che gli animali stanno migrando a nord con la primavera, ma questo non cambia il fatto che siano animali immersi nella neve e privi di qualche evidente protezione contro il congelamento.

Nemmeno i giovani hadrosauridi, quelli che sarebbero i più avvantaggiati da una tale opzione, paiono aver ricevuto quel manto che, senza problemi, abbiamo invece visto dare ai piccoli Tyrannosaurus nel primo episodio della serie.

Sembra quindi che, per gli ideatori della serie, la biologia di questi animali non abbia la capacità di acquisire un manto protettivo, anche solo stagionale, pur disponendo (almeno i ceratopsi nel filmato) di filamenti potenzialmente idonei a fornire un vero manto se opportunamente selezionato.

Eppure, la stessa serie, solo due scene dopo, ci mostra dei tyrannosauridi, parenti prossimi di Tyrannosaurus e Tarbosaurus (visti nella loro livrea “nuda” ma pur dotata di filamenti sottili negli episodi precedenti) essere qui ricoperti da un vistoso manto piumato.

Cosa impedisce una analoga evoluzione negli ornitischi, per i quali conosciamo la presenza di un manto filamentoso in almeno tre specie? Trovo queste distonie tra i diversi dinosauri (già notate anche nell’episodio ambientato nei deserti) illogiche e poco felici per una serie che in altri casi non ha avuto paura di osare nel mostrare ardite (ma pur sempre fondate scientificamente) analogie con il mondo moderno.
Mammuth e rinoceronti lanosi non sono valide ispirazioni?

L’idea che un branco di grandi hadrosauridi possa andare in panico per tre dromaeosauridi (come vediamo nella seconda scena dell’episodio) mi pare iperbolica e un poco drammatizzata. Abbiamo già visto molte volte che ai dromaeosauridi è concesso un qualche potere speciale che gli animali comuni non hanno, per cui essi sono dipinti come iper-predatori dalle prestazioni inusuali.

Io continuo a vederli come grossi uccelli e non come macchine di morte, quindi ritengo difficile che una ventina di hadrosauridi di qualche tonnellata l’uno, messi assieme, si scompongano alla vista di 90 kg (in tutto, sommando i tre animali) di carne piumata.

Il documentario mostra il legame famigliare tra giovani e adulti in Hadrosauridae come più stretto e duraturo rispetto a quello visto negli altri dinosauri, al punto che vediamo madri nutrire i piccoli nel nido e genitori che cercano di soccorrere i giovani finiti in acqua.

Che ci fossero diversità nel grado di cure parentale nei dinosauri mesozoici è possibile, ma non è dato sapere se e quanto fosse intenso questo legame in gruppi specifici. Attualmente, la grande maggioranza dei dinosauri è ritenuta avere prole precoce ed iper-precoce, con la sola eccezione di Hadrosauridae in cui è stato proposto una prole semi-inetta (anche se su argomenti che meriterebbero una rivalutazione).

Tuttavia, le analisi attuali non permettono di stabilire che tipo di cura parentale fosse operata dagli hadrosauridi alla prole né quanto durasse la fase di “semi-inettitudine” della prole. Se dobbiamo essere onesti, quindi, l’immagine di mamma hadrosauride che sfama i piccoli nel nido è più un retaggio di certa iconografia della fase più intensa del “Rinascimento dei Dinosauri” (negli anni ottanta e novanta) che una effettiva evidenza scientifica.

La scena della colonia di nidificazione di Ornithomimus è esplicitamente virata sul comico, come denota la stessa colonna sonora. Finora, purtroppo, non conosciamo nidi o colonie per questi theropodi, quindi la scena si basa, in parte, su quanto sappiamo dei siti di nidificazione di altri maniraptoriformi e sull’ipotesi che almeno i maniraptori avessero un sistema paternale di cura parentale (ovvero, basata sul legame tra padre e covate).

Un’altra icona classica degli anni ottanta, e che viene riproposta nell’episodio di oggi, è l’idea che i ceratopsidi si serrino in ranghi difensivi qualora siano attaccati dai tyrannosauridi. Non ho mai amato molto questo parallelismo con alcuni bovidi moderni.

In una scena successiva, seguiamo un gruppo di lambeosaurini insediare il proprio sito di nidificazione in una zona geotermicamente attiva, per sfruttare il calore del terreno per la nidificazione.

Va sottolineato che questa idea prende spunto da studi su covate di sauropode rinvenute in contesti geotermici. Tuttavia, la modalità di riproduzione dei sauropodi è diversa da quella hadrosauriana (i primi hanno prole iper-precoce e abbandonavano le covate dopo la deposizione, i secondi sono qui mostrati con prole semi-inetta e cure parentali prolungate), quindi non so quanto il modello della covata geotermica sia traslabile da uno all’altro gruppo.

In effetti, a giudicare dal finale della scena, con il sito di nidificazione invaso da miliardi di zanzare, non so nemmeno quanto sia vincente evolutivamente una tale strategia riproduttiva.

Una scena ci porta in Antartide, dentro una lussureggiante foresta abitata da alcuni parankylosauri del genere Antarctopelta. La ricostruzione degli animali si avvantaggia della recente descrizione di Stegouros per darci un’immagine meno speculativa del dinosauro antartico.

Nella scena, un trio (probabilmente, fratelli di covata) di dinosauri corazzati cerca rifugio per il letargo in una cavità usata da diversi anni ma non più in grado di ospitarli tutti ora che sono cresciuti. Un dettaglio degli animali, e che si ritrova in tutti gli ornitischi dell’episodio, è snervante: tutti questi animali emettono dei versi veramente fastidiosi!

Possibile che non si riesca a uscire dall’idea che questi animali vocalizzino solo con bassi grugniti emessi più o meno a caso? Si salvano solo, in parte, i lambeosaurini, ai quali si aggiunge una nota polifonica con qualche strumento a fiato. Tanta esuberanza nei comportamenti e nelle situazioni ambientali, ma poi una rigorosa adesione a un canone sonoro di ridotta variabilità?

Eppure, anche solo restando nell’ambito dei rettili e degli uccelli non-canori, è legittimo immaginare una serie di soffi, borbottii, battiti di mascelle e sibili modulati in questi animali. Niente di tutto ciò, tutto è limitato a bassi mugugni monofonici.

Ma, soprattutto, continua lo stereotipo del “buon ornitischio”, della “pecora mesozoica”, dallo sguardo che invece di essere rettilianamente inespressivo (cosa che in un dinosauro è realistica) appare proprio intontito e bonario (cosa che è del tutto arbitraria).

Unico sgarro dal canone è nel momento in cui il ceratopside è attaccato, ma anche in quel caso l’animale è pur sempre un passivo difensore e il suo latrato un atto di disperazione verso un torto ricevuto dal più nobile e attivo predatore.

Questo episodio mi ha lasciato con qualche perplessità. La resa grafica e le animazioni restano sempre eccezionali, e la cura anatomica è una gioia per il mio occhio, ma il mix di incongruenze tegumentarie, cliché comportamentali e stereotipi fonetici non mi permette di godere fino in fondo del prodotto.

Voto pur sempre molto alto, sia chiaro, ma per il mio palato forse troppo tecnico sul piano scientifico questo quarto capitolo non appare al livello magistrale dei primi due episodi.

 

Il quinto episodio “forestale” di Prehistoric Planet

L’episodio si apre con un gruppo di titanosauri giganti che si fa strada nella foresta abbattendo alberi. L’ipotesi è plausibile, anche se è probabile che i dinosauri più grandi fossero probabilmente abitanti di contesti aperti e poco fittamente vegetati (come le savane alberate) piuttosto che l’interno di una foresta.

Qui è bene ricordare che per la loro natura chimica e biologica le foreste sono uno dei posti meno adatti alla fossilizzazione, e che pertanto le nostre conoscenze su quali animali le abitassero sono limitate a quei casi in cui all’interno della foresta erano presenti micro-ambienti favorevoli alla preservazione della materia organica (accumuli di resina oppure pozze anossiche).

Nella seconda scena, incontriamo un branco di Triceratops che attraversa la foresta. La narrazione di Attenborough ci informa che la vegetazione di cui si nutrono ha evoluto tossine contro gli erbivori, e che questi ceratopsi, come risposta adattativa, hanno imparato a consumare certi sedimenti in una grotta dotati di funzione antidotica verso le tossine.

Ora, so bene che alcuni uccelli odierni (in particolare, pappagalli) consumano certi tipi di sedimento che assumono per integrare la dieta o come antidoto, e so bene che è documentato il caso di un branco di elefanti che va in grotte per consumare il sale lì depositato, ma il mescolare le due situazioni in un singolo fenomeno, e applicarle a Triceratops è pura fantascienza. Punto.

I due casi moderni sono relativi a specie molto sociali, con complessi nuclei famigliari, dotate di cervelli enormi e spiccata curiosità: vogliamo pensare che Triceratops, con il suo cervello modesto e nessuna prova di aver evoluto una socialità complessa e cure parentali prolungate, sia davvero un buon candidato per riunire in sé entrambe quelle due situazioni (già di per sé ciascuna veramente al limite)?

Anche ammettendo che alla base di tutto ci sia la tossicità delle piante, ma non è più semplice in quel caso cambiare dieta, smettere di consumare piante tossiche, cambiare ambiente? Queste situazioni estreme e quasi forzate, a cui ci sta abituando Prehistoric Planet sono, almeno per il mio palato, un poco indigeste (forse devo trovarmi una grotta).

Nella scena successiva, viene mostrato un rituale di corteggiamento in Carnotaurus. Palesemente ispirato a certi squamati e uccelli attuali, il maschio tende a mantenere un’area di foresta libera da detriti per usarla come arena in cui corteggiare la femmina.

Il colpo di scena è l’aver immaginato le piccole braccia di questo theropode come vistosamente colorate, come appendici quindi soggette alla selezione sessuale. Ho grossi problemi a considerare questa idea plausibile.

La selezione sessuale, se efficace, non si limita a rendere una appendice più colorata, ma generalmente la amplifica come dimensioni e complessità. Se davvero le braccia di Carnotaurus fossero selezionate per il corteggiamento, favorendo i maschi con le appendici più vistose, ci aspetteremmo l’evoluzione di strutture molto esagerate e voluminose, e non di moncherini vestigiali.

Quindi, questa scena sarebbe stata perfetta se al posto di Carnotaurus i creatori della serie avessero usato Megaraptor oppure Therizinosaurus con le loro mani esagerate e gli artigli fuori misura. Oppure se gli autori avessero immaginato le braccia di Carnotaurus adornate da qualche esagerata struttura molle o da penne elaborate. Ma le braccia da sole sono quanto di meno utile un theropode abbia evoluto per esporre un segnale sessualmente stimolante.

Se qualcuno vuole suggerire che prima comparvero le braccia corte e poi su queste si concentrò la selezione sessuale, allora dovrà spiegarmi quale meccanismo ha spinto quella parte del corpo a diventare colorata proprio nel theropode con le braccia più piccole e insignificanti (parola non scelta a caso: la selezione sessuale si basa su significati, su messaggi mediati dal corpo).

Nella quarta scena, ambientata in Asia, un tyrannosauride alioramino cerca di catturare un Corythoraptor mentre pascola con il resto del gruppo in una foresta. Come sempre, la resa anatomica e dinamica degli animali è superlativa, e rende questa serie il migliore prodotto finora realizzato con dinosauri in Cgi.

Nella scena successiva, la narrazione si focalizza (letteralmente) su un fenomeno che doveva essere ricorrente nel Mesozoico, a giudicare dalle tracce lasciate in molti livelli sedimentari: gli incendi. Anche qui, viene mostrato un comportamento un po’ fantasioso e al limite, quello dell’ankylosauro che sgranocchia del legno carbonizzato come “digestivo” contro le tossine vegetali.

Anche in questo caso, è plausibile che un animale debba attendere (o andare alla ricerca) di legno combusto per espletare una funzione digestiva? Sappiamo che alcune scimmie hanno acquisito questo comportamento, ma quanto è traslabile su un ankylosauride?

Dobbiamo sempre ricordare che questi animali non mostrano prove dirette né evidenze neurologiche di essere dotati di trasmissione culturale, e pertanto se acquisiscono un comportamento, questo deve essere innato oppure frutto di una iterazione forzata.
La combinazione di piante tossiche, incendi e cervello da ankylosauride mi pare un mix insufficiente per produrre un tale comportamento.

La penultima scena mostra alcuni Therizinosaurus (sia giovani sia un adulto, sebbene non formanti un gruppo famigliare) che cercano di depredare un favo per il suo miele. La scena è notturna, sebbene sia da notare che l’unico cranio noto di therizinosauride abbia la morfologia della zona oculare tipica delle specie diurne.

L’ultima scena è ambientata su un’isola dell’Europa orientale, popolata da pterosauri giganti che se ne vanno a spasso per impalare prede col becco (uno dei soggetti preferiti da questa serie), piccoli ornithopodi (Zalmoxes), titanosauri e hadrosauroidi.

Purtroppo, non viene mostrato Balaur, forse per evitare la controversia sulla sua natura (avialae o dromaeosauride?). A parte le facce “iper-guanciottose” degli Zalmoxes, su cui si potrebbe discutere per giorni, la scena è originale come contesto, e una degna chiusura dell’episodio.

 

Considerazioni finali su Prehistoric Planet

Questa serie mi ha abituato a provare un mix di sentimenti. Da un lato l’enorme soddisfazione per la cura anatomica e per il modo di rendere movimenti e posture (che contrasta con i mostri innaturali realizzati da ben più ricche produzioni), dall’altro la quasi ossessiva ostentazione di comportamenti “bizzarri” oppure “bordeline” che è palesemente figlia del filone “All Yesterdays”.

Il problema di questa impostazione è che tale atteggiamento (in teoria non particolarmente dannoso) ha prodotto fin troppi fraintendimenti dentro la comunità di paleo-fan, i quali per giunta sono spettatori ben più consapevoli della persona media.

Il pubblico medio, del tutto ignaro di questi dibattiti e di queste teorizzazioni paleoartistiche, quando vede i Triceratops in grotta temo che concluda sbrigativamente che questi animali mangiassero terra e, peggio, vivessero con i cavernicoli.

Temo che questo ostentare scene “estreme” sia una forma di autoreferenzialità tutta interna al mondo paleontologico che non aiuta la divulgazione di una paleontologia de-mostrificata.

Il voler mostrare scene “non convenzionali” (pur mantenendosi dentro un alveo di “ispirazione scientifica” che però non viene quasi per niente argomentata) ha il difetto di produrre forzature che, se non opportunamente esplicitate, spiegate e giustificate, producono nuovi falsi miti paleontologici, ai quali, ovviamente, poi dovranno far fronte i paleontologi divulgatori.

Come dimostrano già i commenti online a questa serie (che spaziano dall’ostilità emotiva alla farneticazione più o meno politica, al fanatismo acritico), il sostituire i dino-mostri con i sottili bizantinismi paleoartistici (molto di nicchia), pur con ottime intenzioni, ha però anche l’effetto immediato di creare una nuova generazione di dinomaniaci non meno fanatici verso il nuovo canone di quanto lo siano i cultori del Jurassic Franchise.

So di essere in minoranza con queste considerazioni, ma è la mia valutazione personale di questa produzione, che, ripeto, ha dei punti di forza altissimi, ma è anche generatrice di effetti non meno impattanti, con implicazioni che forse potete ignorare o sottovalutare, ma che ai miei occhi sono evidenti e significative.

 

 

(Da Theropoda).

 

 

 

 

4 commenti

  1. Quindi, mi sembra di capire che la conclusione sottintesa sia: i dinosauri, va bene studiarli e parlarne e divulgarne gli studi con pubblicazioni più o meno volgarizzate, ma rappresentarli proprio NO. La figura, soprattutto quella in movimento, crea false impressioni, polarizzazioni che fanno male alla scienza, quindi sì ai dinos, NO all’iconografia. Se sbalio, mi corigerete.

    • Il punto non è l’iconografia, ma – come in questa serie – l’aver puntato molto (forzatamente, secondo me) sulle ipotesi bizzarre e volutamente non-convenzionali, col risultato che il mix “realismo anatomico estremo” + “comportamento non fantasy ma pur sempre ipotetico e borderline” crea nello spettatore l’illusione che allora i dinosauri erano animali con comportamenti borderline, cosa che non è per niente un fatto scientifico. Se i realizzatori tengono a questa impostazione “borderline” delle situazioni, allora dovrebbero associare le scene a momenti in cui il pubblico viene informato esplicitamente del fatto che sono comportamenti ipotetici (per quanto ispirati dalla natura) applicati sui dinosauri in modo più o meno arbitrario.
      Esempio storico: se fai un film su Napoleone perfetto nei costumi, ambientazioni, riferimenti storici, e poi nelle scene private lo mostri sempre e solo a letto con decine di donne bellissime (cosa non impossibile per un uomo del suo status e potere, ma priva di evidenze storiche), lo spettatore può pensare che Napoleone fosse non solo un militare e politico ma anche Casanova… cosa che, dal punto di vista della divulgazione storica (motivo originario della rappresentazione) è del tutto fuorviante e ingiustificato storicamente.

      • Ho ben capito la spiegazione, per la quale ringrazio. Il punto è che una CGI sui donosauri, per quanto NON sia un film con una trama, è sempre una fiction. E le fiction, per evitare che uno cambi canale a tempo zero, non possono far vedere due ore di enormi rettili che pascolano lentamente in un prato, mangiando qualcosa ogni tanto. Quello lo fa già mio cugino, che peraltro ha una stazza simile.

  2. Grazie per la tua chiave di lettura! Devo dire che anche a me, nella mia ignoranza, alcune delle cure parentali mostrate hanno dato una impressione un po’ troppo “mammaliana”.

    La scena degli hadrosauridi perseguitati dalle zanzare invece io l’ho trovata assolutamente identica a quella di un altro documentario narrato sempre da Sir David che vidi anni fa, con la differenza che i protagonisti erano renne, che scendevano in pianura per sfamarsi delle erbe appena spuntate per poi dover scappare in altitudine per sfuggire alla moltitudine di zanzare nate col disgelo. Anche la dinamica (con il giovane esemplare in difficoltà che poi alla fine ce la fa) sono molto simili

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