LITTLE NEMO NELLA TERRA DEL SONNO LEGGERO

LITTLE NEMO NELLA TERRA DEL SONNO LEGGERO

C’era una volta negli Stati Uniti d’America un giovane artista che cercava la sua strada per il successo e la trovò, almeno in parte, con il fumetto di Little Nemo.
Aveva talento da vendere e mille idee che gli ronzavano nella testa, il suo nome era Winsor McCay (1869-1934). Winsor fu un pioniere del fumetto e del cinema di animazione. Sebbene il grande successo commerciale non arrivò mai pienamente, le sue scelte stilistiche coraggiose e controcorrente gli garantiscono un perpetuo posto alla tavola dei grandi della Nona Arte.

In un’epoca in cui le strisce strettamente umoristiche dominavano il mercato, ebbe il coraggio di proporre ai quotidiani un personaggio che viveva in un mondo di sogni e di incubi, Little Nemo, che sarebbe entrato nell’immaginario collettivo come il prototipo del bambino sognatore. L’esordio della striscia risale al 15 ottobre 1905, il giornale che per primo mostrò al mondo le avventure di Nemo fu il New York Herald: i suoi inserti domenicali a colori ospitarono le splendide tavole di McCay realizzate in un accuratissimo e raffinato stile liberty.


Litle Nemo in Slumberland, questo era il nome completo della tavola domenicale, rimase in quella sede per circa 6 anni, fino a quando l’autore non decise di accettare l’offerta di lavoro del New York American della catena concorrente. Qui Winsor riprese la serie il 2 aprile del 1911, ribattezzandola “In The Land of Wonderful Dreams”, e la portò avanti per circa tre anni, prima che il ricorso nelle sedi giudiziarie dell’Herald (che deteneva i diritti del personaggio) lo “costringesse” a ritornare alla casa madre. Tuttavia, la popolarità di Little Nemo si era progressivamente affievolita e alla fine del 1927 la serie fu interrotta. Molti anni dopo Robert McCay, figlio di Winsor, da molti ritenuto il modello ispiratore del personaggio, cercò di riportarlo in vita, ma i suoi volenterosi tentativi non diedero gli esiti sperati.

Dopo questa breve storia editoriale rimane da dare una risposta plausibile alla domanda “Chi era Little Nemo?”. Si trattava di un ragazzino americano dall’età imprecisata, tra i 5 e i 10 anni. Il suo nome era composto dall’aggettivo “Little” (piccolo) accoppiato al sostantivo latino “Nemo” (nessuno): Piccolo Nessuno. Come vedremo, la scelta di questo nome ha la sua rilevanza.

Ogni notte, durante il sonno, il bambino viveva straordinarie avventure, incontrava persone ed esseri fantastici compiendo ardite escursioni nei territori dell’impossibile. D’altra parte, come dicevamo prima, la vocazione al viaggio era già tutta in quel Nemo, “Nessuno”, che è l’alter-ego di Ulisse (quando si presenta al ciclope Polifemo), il viaggiatore per eccellenza, e anche il nome del capitano che esplorava gli abissi con il sommergibile creato da Verne.

Ogni avventura di Nemo durava una tavola e si concludeva, inevitabilmente, con il brusco risveglio del protagonista causato dai motivi più disparati: una caduta dal letto, la voce dei parenti, la luce dell’alba. Spesso, in questo modo, il piccolo avventuriero riusciva a salvarsi all’ultimo momento dai pericoli in cui si era andato a ficcare, tutto preso dal desiderio di esplorare l’ignoto.

All’inizio i viaggi notturni di Nemo avevano il solo scopo di incontrare Principessa, una ragazzina della sua età alla disperata ricerca di un compagno di giochi. L’impresa però era abbastanza improba, perché la bambina altri non era che la figlia del potente Re Morfeo, Signore del misterioso Regno di Slumberland (ossia la Terra del Sonno Leggero), un reame senza confini le cui dimensioni oscillavano tra l’immenso e il minuscolo, e la cui estensione spaziava dalle più profonde fosse degli Oceani alla più lontana stella dell’Universo.

Intenerito dal pianto della sua figliola, Morfeo aveva deciso di assecondarne i desideri inviando sulla Terra una serie di emissari che spesso, proprio per le caratteristiche peculiari di Slumberland, apparivano mostruosi agli occhi degli umani. Il loro scopo era quello di rintracciare Nemo e di condurlo a corte, un impresa che si rivelerà meno facile del previsto per tutta una serie di impedimenti.

Per questo motivo l’incontro tra i due bambini avverrà dopo circa un anno di tavole e si coronerà con un tenerissimo bacio. In realtà, l’approdo a Slumberland era già avvenuto qualche mese prima, ma sulla strada Nemo aveva avuto la sfortuna di incontrare il perfido Flip: l’unico vero “villain” della serie era un nobile decaduto, mosso dalla profonda gelosia nei confronti di chiunque potesse portargli via Principessa. Anche nell’aspetto, la caratterizzazione del personaggio era fortemente connotata perché aveva sul volto un pesante trucco da pagliaccio e, dalle sue labbra, pendeva un sigaraccio puzzolente. La sua arma migliore era la scritta sul suo cappello: “Wake up” (Svegliati!). Quando Little Nemo la leggeva si ritrovava improvvisamente nel mondo reale. Tuttavia, con il passare degli anni, anche Flip andò incontro a un ravvedimento virtuoso diventando amico e compagno di avventure del protagonista.

Per ultimo, McCay aggiunse al cast un suo vecchio personaggio tratto da un fumetto precedente: Imps, un piccolo selvaggio incontrato da Nemo e i suoi amici durante una delle loro peregrinazioni. Era capace di esprimersi solo con un insieme di scombiccherati e incomprensibili versi. Attorno a questo nucleo di base ruotarono uno stuolo infinito di personaggi bislacchi, come il bambino di zucchero Bon Bon e lo stupefacente Dottor Pillola: tutti realizzati con l’accuratezza grafica caratteristica dell’autore.

In Italia, Little Nemo approdò per la prima volta, con il nome di “Bubi nella Terra del Dormiveglia”, sulle pagine del Corriere dei Piccoli dal 1912 al 1914 e, successivamente, fece la sua ricomparsa solo nel 1935 sul periodico settimanale dedicato a Topolino. Una buona ristampa fu quella della Garzanti nel 1969, a cui seguì l’edizione curata da Lo Vecchio nel 1984. L’ultima apparizione risale al 2005, quando la Coconino Press ne pubblicò una raccolta.

La storia di Little Nemo, in apparenza, non è particolarmente gloriosa: il personaggio ha avuto una sua parabola ed è uscito fuori dal mondo dei Comics relativamente presto. Considerando meglio le cose, però, le tracce che si è lasciato dietro non sono poi così labili. Registi contemporanei come il francese Arnaud Selignac (col film “Dream One”) o il giapponese Masami Hato (col suo Little Nemo: Adventures in Slumberland) attingeranno al vastissimo serbatoio di fantasia surreale di McCay. Un dotto ed erudito artista italiano, Vittorio Giardino, si è sentito in dovere di omaggiare la creatura di Winsor, scegliendola come punto di riferimento per la sua Little Ego.

Little Nemo, dopo più di 100 anni di vita, è ancora lo stesso bambino di allora. Il tempo non ha scalfito la sua voglia di avventura e non ne ha intaccato la continua ricerca del “mai visto prima”. Un monito a tutti noi che, trascinati dal fiume della vita, abbiamo riposto i nostri vecchi sogni in uno scrigno. Ogni tanto dovremmo ricordarci di quel bambino che è ancora dentro di noi e permettergli di volare con la stessa leggerezza della nostra infanzia, ma, sventuratamente, troppo spesso le incombenze quotidiane ci ancorano al suolo.

L’edizione in lingua inglese di Little Nemo, pubblicata nel 2014 dalla Taschen, è la migliore in assoluto: in due tomi formato 33,4 x 44 cm, presenta un saggio introduttivo di 144 pagine e tutte le 549 tavole realizzate da Winsor McCay

 


POSCRITTO

di Sauro Pennacchioli

Slumberland, la città sognata da Little Nemo, riprende le forme della cittadella costruita (e poi smontata) alla periferia di Chicago per l’Expo del 1893.
Era composta da edifici che volevano essere all’avanguardia, ma che in realtà erano rétro rispetto all’architettura europea del periodo.

Oltre a ispirare la città agognata da Little Nemo, la cittadella di Chicago riecheggiò in tante metropoli fantastiche dei fumetti.
In particolare, l’Expo di Chicago ispirò Walt Disney, che la immaginò da bambino attraverso i racconti del padre che ci aveva lavorato come operaio: da quelle suggestioni nacque Disneyland, nella versione originale edificata a Los Angeles.

L’Esposizione di Chicago fu anche responsabile del “ritardo modernista” dell’architettura americana vera e propria, che, come la guglia del grattacielo Chrysler dimostra, rimase decorativa fino agli anni trenta.

Per saperne di più consiglio il bellissimo e informatissimo libro di Erik Larsen “Il diavolo e la città bianca”.

 



GIORNALE POP cerca articolisti e redattori.

Chi fosse interessato scriva a info@giornalepop.it

La collaborazione sarà di tipo volontaristico.

2 commenti

  1. Gran bell’articolo.
    Mi emoziono a sapere che ho anch’io quell’edizione DELUXE che hai postato (quella su fondo nero e la costolina telata) :)))))

  2. […] Verso il 1950, Walt Disney costruisce la prima Disneyland vicino a Los Angeles. Il parco a tema diventa un divertimento popolare, non più una esclusiva per i ricchi. La via principale dei suoi parchi divertimento è sempre la rappresentazione perfetta, pulita, verniciata di fresco di una piccola città americana. Molti hanno pensato che si fosse ispirato alla sua città natale, Marceline nel Missouri, all’epoca della sua infanzia cioè all’inizio del novecento. (Ma l’ispirazione veniva anche dall’expo di Chicago). […]

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati con *

Dichiaro di aver letto l'Informativa Privacy resa ai sensi del D.lgs 196/2003 e del GDPR 679/2016 e acconsento al trattamento dei miei dati personali per le finalità espresse nella stessa e di avere almeno 16 anni. Tutti i dati saranno trattati con riservatezza e non divulgati a terzi. Potrò revocare il mio consenso in qualsiasi momento, integralmente o parzialmente, con effetto futuro, ed esercitare i miei diritti mediante notifica a info@giornalepop.it

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*