E ADESSO ODESSA (CON UNA COPERTINA SBAGLIATA)

Odessa

La Sergio Bonelli Editore ci riprova con Odessa, una serie fantascientifica (anzi, “science-fantasy”, come la definisce Davide Bonelli nella presentazione) a colori. Il formato è quello canonico della casa editrice: 96 pagine più copertina, formato libretto, ma a colori come sempre più spesso succede per le produzioni di via Buonarroti. Il prezzo di copertina di 5 euro e 90 è sicuramente proporzionato ai costi e alle attese di vendita, ma rischia di risultare alto per le abitudini d’acquisto dei lettori di Tex e Dylan Dog. Perché, inutile girarci intorno, una volta di più, sempre tra quei lettori l’editore dovrà cercare gli acquirenti della nuova testata. Le nuove generazioni si avvicinano a fatica, non dico agli albi bonelliani, ma semplicemente alle edicole.

Dunque, diamo un’occhiata a questa nuova… cosa? Serie? Miniserie? “Serie a stagioni”? La casa editrice non lo dice, perciò, vista l’aria che tira, suppongo che si tratti di una “serie-se-vende”. Pronta a chiudere dopo un certo numero di uscite programmate se i risultati fossero negativi, come già successo con altri personaggi proposti recentemente. L’analisi riguarda l’unico numero di Odessa uscito, perciò prendetela con gli inevitabili limiti che questo comporta. D’altronde, una prima uscita è un po’ come le prime dieci pagine di un romanzo: poco per un giudizio completo, ma quanto basta per valutare se continuare a leggere o fermarsi.

Cominciamo dalla copertina. Gino Bartali avrebbe detto: “Gli’è tutto sbagliato. Gli’è tutto da rifare”. Il logo della testata è biancorosso. Si “appoggia” su un riquadro scendente dall’alto, biancorosso anch’esso. Dietro a entrambi c’è per sfondo un cielo… biancorosso. Le mie (relative) cognizioni di grafica dicono che il logo deve contrastare con il colore di sfondo, per “uscire” bene: giallo su blu, bianco o giallo su rosso o nero… (Alla Bonelli sono anni che manca un art director – NdR).

E che dire dell’immagine? Può darsi che riesca a suggerire il tema della storia, quello della “fusione” (d’altronde già chiaramente dichiarato nel titolo dell’episodio), ma quello che di solito attira e fa affezionare il lettore è il personaggio, qui ridotto a una misera silhouette che non dice e non trasmette niente. Avrebbe sicuramente funzionato meglio l’immagine interna del frontespizio, anche se troppo statica per una copertina che dovrebbe comunicare avventura, azione, magari senso di pericolo per il protagonista per creare da subito il cliffhanger capace di spingere il lettore all’acquisto per vedere “come va a finire”. Più che fusione, la cover dimostra confusione.

Veniamo alla storia, che pare fosse inizialmente destinata a Nathan Never e solo successivamente trasformata in serie autonoma. L’idea di Odessa è probabilmente abbastanza originale. Almeno, io non l’avevo letta da nessun’altra parte. Lo svolgimento risulta invece “già visto”. Niente di particolare, ma sarebbe difficile attenderselo in un mensile “popolare”. La vicenda scorre comunque in modo veloce e tutto sommato piacevole tra presente e presente-altro, passato e futuro, senza inciampi e senza creare confusione nel lettore. Un po’ fastidiose le spiegazioni contenute nelle “didascalie-pensiero”, vizio non del solo Davide Rigamonti, autore della sceneggiatura; qualcosa di simile si ritrova nelle storie “del passato” sul Grande Diabolik, dove al protagonista di turno vengono fatti ricordare lontani avvenimenti tramite pensieri nei quali li narra… a se stesso. Un’insopportabile scelta narrativa, oltretutto immotivata perché basterebbe usare dei normali flashback per ottenere lo stesso risultato in modo meno innaturale (sto parlando di Diabolik).

Passiamo ai disegni di Matteo Resinanti, senza infamia e senza lode. Abbastanza tradizionali nell’impianto, accompagnano la storia in modo lineare e scorrevole, qua e là leggermente troppo carichi e appesantiti spesso dalla colorazione “moderna” eccessivamente scura di Mariano De Biase e da qualche effetto speciale di troppo. Magari potranno piacere alle nuove generazioni… se si avvicineranno mai a questa pubblicazione. Ho letto in rete che alcuni alieni sono più o meno ispirati a creature già viste altrove. Io, non bazzicando troppo film e videogiochi, posso notare appena un po’ di somiglianza tra i Sermoth e Alien, e sottolineare la banalità del simil-triceratopo Hulhum. Niente comunque che mi scandalizzi, in un mondo dell’intrattenimento ormai tanto vasto e articolato da rendere impossibile “inventare” qualcosa di assolutamente inedito.

Dunque, una serie da seguire o abbandonare subito? Personalmente abbandonerò, ma solo perché da ormai un quarto di secolo non trovo più interesse nella produzione seriale da edicola in genere, e bonelliana in particolare. Preferisco spendere il tempo nella lettura di un piacevole romanzo. Oltretutto, al tempo degli ebook, coi 5,90 euro di Odessa ci compro dai due ai quattro libri (e questo è un altro elemento dell’attuale crisi editoriale)… ma questo è un problema mio. Dirò perciò che Odessa è un prodotto leggibile, non so quanto appetibile per la maggioranza dei lettori tradizionali della Bonelli (né quanto capace di strappare lettori ai comic book o ai manga), un po’ costoso e sicuramente migliorabile.
Per il resto… che il mercato gliela mandi buona.

 

14 commenti

  1. Veniamo alla storia, che pare fosse inizialmente destinata a Nathan Never e solo successivamente trasformata in serie autonoma

    Stanno per chiudere Nathan Never e dirottano le storie rimanenti in una nuova serie?

  2. Personalmente, non ho notizie in questo senso. Certo, gli ultimi dati di vendita davano Nathan Never ormai sceso pericolosamente vicino al punto di pareggio, per cui la tua ipotesi potrebbe anche essere realistica… ma potrebbe anche essere che in redazione abbiano visto la possibilità di “spendersi” quell’idea in una serie autonoma, e ci stiano provando.

  3. Banff! La macchina del tempo ci porta indietro di 5 lustri e infiliamo il primo numero di (O)dessa in edicola a fianco dei migliori fumetti di allora: Zagor e Balboa. Osserviamo cosa succede… Ecco avvicinarsi un esemplare dell’ormai estinta razza di adolescente-lettore-di-fumetti, lo prende, lo guarda sorpreso ed esclama “Naaaa, un altro comics pubblicato in formato ridotto! Dessa, stanno titolo, però i colori shock mi piacciono: sono gli stessi del nuovo Intrepido! E i disegni, guarda, deve essere qualche artista minore scappato dalla Marvel”. Insomma sembra piacergli.
    Ma torniamo nel nostro continuum temporale e, stavolta, guardiamo noi cosa c’è di nuovo in edicola. Troviamo la linea Audace in cui i più verbosi scrittori del mondo (quelli che lavorano per SBE, ovvio) urlano al mondo intero che vogliono rinunciare alla tradizionale prosa spiegazionista per uno stile più asciutto, moderno, adulto, in cui i dialoghi suggeriscono e non insegnano. E persino il (poco) fedele discepolo del Toninelli su Zagor Le Origini urla la propria volontà di una prosa minimalista. E su (O)dessa? Va be’, torniamo ai primi anni 90 che magari là quel modo di raccontare va ancora bene.

  4. Mi basta il protagonista Emo per scartarlo a priori

  5. di solito attira e fa affezionare il lettore è il personaggio, qui ridotto a una misera silhouette che non dice e non trasmette niente.

    Ma anche nelle copertine di Dylan Dog fatte da Cavenago, Dylan in molte manco si vede. Tutti comunisti?

  6. Preso e letto.
    Verboso, spiegazionista, buonista. Non c’è stato un personaggio che mi ha colpito, tutti sembrano anonimi, la tematica abbiamo capito che è quella della possibile convivenza tra razze aliene(con le solite frecciatine meta testuali ai populisti anti migranti) che poi dovranno affrontare assieme un grande pericolo, e che vivono in un posto che li riunisce tutti, problemi di vario tipo che i nostri eroi dovranno risolvere. Detto questo, considerando che sono 5,90 bombe al mese non proseguirò.

  7. Dunque, prima avevano messo testi di alto livello in una serie che non poteva vendere perché ambientata nella Roma dell’Ottocento. Adesso hanno messo un’ambientazione più alla moda in una nuova serie, ma con testi di livello meno alto sempre per paura di vendere. E in ogni caso hanno fatto entrambe le serie a colori, che solo per questo motivo non possono vendere perché fuori dalla tradizione bonelliana e troppo costose. Forse siccome la gente legge meno fumetti è inutile agire razionalmente?

    • Probabilmente oggi la cosa più irrazionale che un editore possa fare è proprio pubblicare fumetti. Per fortuna La passione fa spesso fare scelte irrazionali 😀
      Detto questo è evidente che una casa editrice che esce in edicola con la linea Audace e quella Yang non non sta facendo scelte razionali, al contrario sta cercando con logica e metodo una soluzione alla crisi.
      Se poi quella stessa casa editrice porta in edicola con un fumetto vecchio in tutto, cosa dovremmo dire noi lettori?

      • Non c’entra “vecchio e nuovo”. La linea giovanile è stata già chiusa, come era prevedibile, e certo la Bonelli non si rafforzerà con la linea Audace, destinata a un pubblico di nicchia. Quello che non si fa più, purtroppo, è il fumetto popolare (che non è vecchio o nuovo di per sé).

        • Perdonami, Sauro, ma proprio nella popolar culture vediamo l’evoluzione del linguaggio come espressione delle mutazioni sociali. Il fumetto popolare non fa eccezione: è inimmaginabile scrivere oggi come negli anni 40! Sarebbe, questa sì, un’operazione di nicchia, elitaria. Odessa vorrebbe essere un fumetto popolare, ma il linguaggio, fermo a 25 anni fa, glielo impedisce.

          Anche il prezzo, a dire il vero 😉

  8. Sfogliato a scrocco in libreria. Non posso esprimere un giudizio. Interessante la cover che cita Inception filtrato dal Brendan McCarthy delle covers di Shade che pensa a un Capitan Harlock at the edge of the universe un istante prima della ultima risposta in un fumetto di Grant Morrison che ammicca a quella scena di Men in Black in cui vediamo la Terra come pallina da golf di un alieno gigantesco e che nelle manine dello scozzese visionario portano alla nostra realtà che sgocciola per lo scarico in un nuovo multiverso. Naturalmente nell’albo la storia è una altra.
    Man mano che invecchio – e male – cerco una sintesi – che non ho mai avuto – nei comics e, se continua così, potrò leggere albi SBEllici solo se scritti e disegnati da Andi Watson, Paul Grist, MIguel Angel Martin, Art Baltazar e James Kochalka. In b/n e formato tascabile come Diabolik. Sono consapevole che sono io a non essere sincronizzato, lo capisco e lo accetto e non pretendo che SBE paghi Danilo Maramotti per disegnare un tascabile in cui racconta La Paura ai Giurati come fosse il serial In Treatment, ma con un ritmo a la Duel di Spielberg. In via Buonarroti è necessario si sperimenti e si cerchi di raggiungere un pubblico che non è interessato, che si è allontanato o che sta invecchiando. Ecco perché Odessa ed altro che arriverà, ma anche nuove storie del vecchio Mister No ( dopo la mini del Jerry Drake alternativo ) , di Magico Vento e di Napoleone. A colori ed in b/n. Formato bonellide e gigante. Manca giusto il tascabile. Chissà…

  9. L’aspetto del protagonista non mi dispiace. Le “frecciate anti-populisti” le ritengo un valore aggiunto, anche se dal quel capisco sono troppo “in your face” (se spezzano la sospensione dell’incredulità non vanno bene). Ci sono le Asari di Mass Effect paro paro (non semplicemente “ispirate”, vizio bonelliano dai tempi del numero uno di Nathan Never e i dettagli tracopiati da Xenon, a cui ormai non faccio più caso, ci sono persino affezionato). Le dida “autospieganti” fanno tanto Marvel anni 70… mi sa che il primo lo prendo comunque 🙂

  10. Sono ormai più di 50 anni che leggo fumetti Bonelli, ma francamente in questi ultimi anni ho visto poche cose buone. Le miniserie lasciano un po’ il tempo che trovano, qualcosa di buono è uscito (Tropical Blues ad es.) e sicuramente non è male la collana de Le Storie con alti e bassi. Buona anche l’idea di dare una nuova giovinezza a Tex, ma mi pare che il tutto sia indirizzato a vecchi lettori come il sottoscritto, le serie nuove non colpiscono, ho 5 figli nessuno si è appassionato ai fumetti della SBE. Potrebbero forse puntare di Dragonero che trovo sia l’unica serie che può attecchire a su fasce di età più giovani a condizione che sia promossa come si deve. Quanto a Odessa mi sembra di leggere Nathan Never in un’altra versione, niente di nuovo e poi il prezzo credo ne detrminerà la prematura fine, persino un collezionista come me rinuncerà ad acquistare i prossimi numeri. Va bene tutto ma spendere quasi 6 euro per un fumetto di 96 pagine stampato su carta di riciclo, non vale la pena, meglio un buon libro, ti dà più soddisfazione e dura di più.
    Mario

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