EX LIBRIS, PICCOLI CAPOLAVORI DI ARTE GRAFICA

EX LIBRIS, PICCOLI CAPOLAVORI DI ARTE GRAFICA

“Che cosa sono gli ex-libris?” è una domanda alla quale molti non sanno dare una risposta, forse perché l’uso di personalizzare i propri libri con queste piccole stupende incisioni si è fatto sempre meno diffuso.
Le motivazioni che hanno prodotto l’esistenza dell’ex libris sono molteplici. Per poterle comprendere occorre avere una panoramica generale che ne illustri l’origine e gli obiettivi, e anche il percorso storico che l’ex libris seguì nel tempo; percorso che implicitamente racconta anche la storia del libro.

EX LIBRIS, PICCOLI CAPOLAVORI DI ARTE GRAFICA

Koloman Moser

Blasoni, imprese e collezionismo

La descrizione che l’enciclopedia Treccani dà di ex libris è la seguente: Contrassegno (timbro, sigillo, cartellino a stampa) che si pone sulla copertina o sul foglio di guardia di un libro per provarne la proprietà: spesso con la formula ex libris seguita dal nome del proprietario, in genitivo. I più antichi, indicanti il nome del possessore e, a volte, anche la data d’acquisto e il prezzo del volume, si trovano sui codici umanistici e sui primi libri a stampa e costituiscono elementi preziosi dal punto di vista codicologico, bibliologico e paleografico.

A un passo da questa sintetica presentazione si apre un mondo fatto di grande arte grafica quasi sconosciuta ai più, di un forte rapporto simbiotico tra ex libris e lettore così come è speculare il rapporto tra il contenuto del libro e l’autore, di elementi simbolici che rappresentano la riflessione del lettore su se stesso, di desiderio di sopravvivere alla morte stessa attraverso un documento che resterà.

Uno dei simboli, simulacrum, attraverso cui l’essere umano aspira al riconoscimento sociale della propria condizione, o supposta tale, e col quale desidera sancire le proprie aspirazioni è il blasone. Il blasone ha un carattere prettamente figurativo e due obiettivi: quello di affermare il proprio prestigio e potere e, non secondariamente per l’essenza di carattere grafico-simbolica che lo contraddistingue, quello di mostrare la propria condizione prestigiosa anche a chi, come nel passato, non sapeva leggere. Oggi, considerata l’alfabetizzazione di massa, nell’obiettivo di riconoscimento che si vuole ottenere presso il grande pubblico, lo definirei più che altro persuasivo, ed efficace a seconda della profondità del livello culturale, intellettuale e coscienziale di chi lo interpreta .

In particolare, per quanto riguarda il nostro tema, mi riferisco al blasone personale che nel secolo sedicesimo, Anno Domini, cominciò a circolare e che venne proposto con il nome di impresa.
L’invenzione della stampa a caratteri mobili, ad opera di Johannes Gutenberg, facilitò la diffusione di queste imprese, al punto che studiosi e letterati del Cinquecento e del Seicento scrissero numerosi trattati in cui, oltre a pervenire a una raccolta di queste imprese, si dissertava dei loro contenuti e delle regole.  Uno dei più famosi resta quello del comense Paolo Giovio: Dialogo dell’imprese militari e amorose (postumo; Roma, Antonio Barre, 1555).
Imprese che inizialmente proliferavano negli oggetti di uso personale, nelle armi, nel mobilio, o anche nell’architettura; in tutto ciò che insomma rappresentava il possesso personale. Fu appunto con l’avvento della stampa che intervenne l’uso di stamparle su foglietti di carta inseriti sulla prima pagina del libro, un po’ come si era sempre fatto nei codici manoscritti quando venivano segnati manualmente col nome del proprietario.
Da qui la naturale disposizione a chiamarli dapprima imprese da libro, e poi ex libris, cioè “dai libri di”, denominazione con cui sono conosciuti ancora oggi, e che va a chiamare un’abbreviazione che nel contesto particolare, invece, ridefinisce la provenienza precisa: per esempio, Ex Libris Biblioteca XY; Ex Libris Mario Rossi; a volte un semplicissimo Ex (Mario Rossi); oppure addirittura nulla e il solo motto accanto all’immagine. Definizione, quella di ex libris, che entrò nel vocabolario e nel lessico comune tardivamente, solo agli inizi del ventesimo secolo, quando si cominciò a studiarli e a raccoglierli.

Impresa dell’Accademia dei Gelati. Bologna, XVI secolo

Le implicazioni che comportano una raccolta sistematica, in altri termini il collezionismo, ha modificato in alcuni casi l’obiettivo originale dell’ex libris (cioè la personalizzazione del libro), dovendo includere necessità di arricchimento dei pezzi o una necessità di scambio a volte non fisicamente in archivio, originando così la creazione di ex libris non utilizzati per la biblioteca personale ma per soli fini collezionistici. Alcuni vedono in questo un impoverimento dell’ex libris ma, se ci si distacca dal contesto in cui si è venuto a creare all’origine, io credo sia possibile vedere l’ex libris come un’opera d’arte a sé, e condividere l’idea che le nuove creazioni, magari non destinate alluso originale che ci si proponeva, siano un incentivo a promuovere una forma di arte grafica di tutto rispetto, oltre che rappresentare un contenuto dell’essere umano (contenuto auspicabile, per non dover affermare inderogabile, perché la forma senza contenuto interiore non è nulla e, anzi, solo un mero fenomeno ornamentale, cioè non alza né diminuisce il contenuto interiore. Da sola non è, non ha proprietà di intelligere, è vana).

Per concludere con questa introduzione, l’ex libris è dunque una forma d’arte animata da più fattori: l’estetica grafica, l’amore per il libro che il protagonista-proprietario traduce in termini a volte anche esistenziali o filosofici, un collezionismo che richiede non solo competenze in ambito artistico ma anche di storia del costume.
Parte di questi motivi appena detti e altri ancora, non ultimo quello di un mancato riconoscimento da parte dei critici d’arte e, di conseguenza, dei mercanti d’arte, e infine poco apprezzato dagli stessi librai specialisti nel settore antiquario o artistico, hanno fatto sì che nel Novecento l’ex libris per lungo tempo sia stato relegato a uno status di “grafica minore” quando non addirittura a “non grafica”.
Nell’ultimo decennio, intorno alla fine degli anni Ottanta, c’è però stata una rinascita d’interesse grazie a un gruppo nutrito di bibliofili e collezionisti che hanno riportato in auge una committenza diretta ad incisori italiani e non solo cecoslovacchi, tedeschi, lituani, russi, etc.; questo per rimanere in territorio italiano dove l’Italia, pur annoverando incisori e disegnatori artisticamente più che validi, ha sempre ammazzato l’artista non riconoscendogli un’adeguata remunerazione. Questo periodo oscuro perdurava da dopo gli anni Trenta e, in un percorso a ritroso, ancora lo rivediamo decaduto nella seconda metà dell’Ottocento. Di fatto gli anni d’oro dell’ex libris nella sua accezione moderna furono quelli che vanno dal 1885 al 1930 e che coincisero con il periodo genericamente indicato come art nouveau, o liberty, e poi art deco.
E fu infatti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che avvenne il rinnovamento dell’ex libris, riportato in auge non solo come marchio di proprietà, ma anche come collezionismo di grafica autonoma. Fu allora che nacquero associazioni di raccoglitori un po’ in tutta Europa, e fu sempre allora che particolari riviste d’arte – oggi un equivalente di ciò che chiameremmo d’avanguardia – iniziarono a guardare con curiosità e attenzione a questa forma di arte applicata; è vero anche che i tempi stessi aiutarono perché cadde la distinzione tra arti maggiori e minori, e artisti di grande rilievo si dedicarono alla produzione di mobili, manifesti, stoffe, oggetti, libri, etc., imprimendo gusto creativo anche in orizzonti che prima non venivano contemplati e rimanevano, semmai, a un livello di superbo artigianato.

Stamperia del XVII secolo (1639). Acquaforte proveniente dal frontespizio di Bernhard Mallinckrot: De ortu et progressu artis typographiae dissertatio; Colonice, 1639

Piccola storia di una gemma

“La gemma che incastona l’aurea bellezza
 del libro è il suo ex libris. Al pari del cammeo 
e del niello, esso concentra in minime 
proporzioni la potenza dei grandi quadri”.
(Bruno da Osimo)

Prima dell’invenzione della stampa l’estrema rarità del codice manoscritto dall’amanuense, dei primi rudimentali libri dell’inizio del Quattrocento – cioè codici stampati su unica matrice di legno, detta impressione tabellare – e in seguito degli incunabula, ne rendeva quasi impossibile la sostituzione nel caso andassero smarriti o qualcuno se ne appropriasse indebitamente. Di solito veniva apposto il nome del proprietario sul frontespizio o sul risvolto della copertina, mediante una scrittura a mano, spesso aggiungendo un ammonimento: “Hic liber est meus, quem mihi dedit Deus…”
Nel Quattrocento invalse anche l’uso, oltre che dell’ex libris calligrafico, di stemmi miniati nel caso i committenti fossero biblioteche monastiche, comunali o principesche.

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Esempio di appartenenza calligrafica su incunabulo: Plinio G. Secondo. C. PLINII SECUNDI NATURAE HISTORIARUM LIBRI 37 E CASTIGATIONIBUS HERMOLAI BARBARI QUAM EMENDATISSIME EDITI Impressi Venetiis, per Ioannem De Varisio mediolanensem, 1499 Die XVIII Maii

Esempio di ex libris calligrafico, posto al colophon: Joannis Marie de Sbrullis et amicorum (o de Sbrollis), 1533. Il proprietario è evidentemente un lettore e ammiratore dell’insegnamento del Poliziano

Dopo il perfezionamento dell’arte tipografica, messa a punto da Gutenberg tra il 1439 e il 1450, ci fu ovviamente un fortissimo sviluppo della produzione libraria.
Fra gli incisori, cito Albrecht Dürer come punta di diamante.

Albrecht Dürer; ex libris per Lazarus Spengler; 1515

La caratteristica seriale del nuovo tipo di produzione spinse il bibliofilo alla personalizzazione del libro posseduto, dove invece l’obiettivo diventava il distinguere la propria copia da quella altrui. Si cominciò a sostituire la firma autografa o calligrafica con l’introduzione di foglietti apposti sulla sguardia incollata, cioè quella al verso della copertina (in altri termini la copertina anteriore), stampati con tecnica xilografica e, per la caratteristica stessa dell’incisione silografica, in più esemplari seriali (una buona matrice silografica può dare luogo a un ordine di centinaia di riproduzioni). Foglietti su cui venivano incisi il nome del proprietario e lo stemma nobiliare, spesso con l’aggiunta dell’impresa della casata, cioè il motto del castello o del monastero. Teniamo infatti presente che le prime biblioteche appartenevano a patrizi o conventi. Nasce così quello che viene definito ex libris araldico.
In realtà le dizioni Ex libris, Ex foliis, Ex bibliotheca, e in particolar modo la dizione ex libris con cui il foglietto viene chiamato oggi, iniziò a comparire più che altro nel Settecento. Precisamente dopo la metà.
Sembrerebbe che l’utilizzo di questi cartellini di proprietà da incollare alla sguardia del libro sia iniziato in Germania, e che costituisca un’evoluzione di quelle che sono denominate “marche editoriali” degli stampatori, cioè il marchio di bottega che ogni tipografo era tenuto a depositare presso il registro del notaio della corporazione.

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Esempio di marca editoriale. Erizzo, Sebastiano: Trattato di messer Sebastiano Erizzo, Dell’istrumento et via inventrice degli antichi. In Venetia, per Plinio Pietrasanta, MDLIIII (1554). Al frontespizio silografico si vede la bella marca figurata del tipografo, con il motto Semper Virens. Nel Quattrocento le marche editoriali venivano inizialmente apposte al colophon, e solo successivamente si cominciò a stamparle sul frontespizio

Ed è dalla Germania che provengono i due ex libris più antichi finora conosciuti, di autore anonimo, entrambi silografici, datati approssimativamente intorno al 1470: il primo, muto e con testo calligrafico di appartenenza, è dedicato al monaco cistercense Hildebrand Brandenburg. Raffigura un angelo che regge lo stemma su cui sono visibili le insegne della famiglia Brandenburg, cioè un toro con l’anello infilato nelle narici.

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Ex libris per Johannes (Hans) Knabensperg

L’altro fu inciso per l’ecclesiastico Johannes (Hans) Knabensperg, alias Igler, cappellano della famiglia bavarese von Schoenstett: raffigura un istrice con un fiore in bocca e l’iscrizione: Hanns Igler das dich ein Igel kuss (Hanns Igler ti dà un bacio da riccio), esempio di quelle formule deterrenti di cui parlavo prima nei confronti di chi voglia impossessarsi indebitamente del libro.

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Ex libris per Johannes (Hans) Knabensperg

Come si può evincere, la xilografia (o silografia), incisione su legno, fu la prima tecnica di stampa adottata. Questo tipo di incisione avviene per mezzo di torchio, ed è “a rilievo”, cioè il disegno è in superficie, e non scavato sulla matrice, quest’ultima generalmente di legno di bosso o di pero. Incisione eseguita mediante l’utilizzo di particolari strumenti di ferro taglienti (bulini, scalpelli, sgorbie, etc.) con i quali lo xilografo scava le parti bianche del disegno e, a lavoro ultimato, inchiostrando il rilievo, ottiene la stampa mediante pressione manuale o per torchio.
Tecnica per altro utilizzata fin dal Trecento, in Europa, per produrre in serie tessuti da tappezzeria, carte da gioco, calendari, immagini sacre.
Agli artigiani del primo periodo che utilizzarono la silografia, una tecnica che veniva ritenuta popolare o comunque modesta, si affiancarono pittori illustri che diedero dignità artistica a queste piccole incisioni, bücherzeichen: Hans Holbein, Lucas Cranach, Albrecht Dürer, Hans Sebald Beham.

Ex libris del convento di Thorberg; XV secolo

Alla tecnica silografica, negli ultimi anni del XV secolo andò gradualmente affiancandosi la calcografia, o incisione su rame; una ingegnosa applicazione dell’antica arte orafa per cesellare i metalli. È una tecnica a incavo che, per la versatilità data dalla sottigliezza del segno, dai chiaroscuri, dalle sfumature a mezzotinto, meglio si sarebbe adattata alla ricchezza ornamentale del barocco che si stava preparando, e del successivo rococò.
Giorgio Vasari affermò che, intorno al 1460, fu l’orafo fiorentino Maso Finiguerra a provare per la prima volta il trasferimento sulla carta dell’impronta di un niello, cioè un’incisione di oreficeria da matrice di oro o argento; versione discussa perché sembrerebbe che l’incisione a bulino venisse già praticata in Germania a scopo di stampa alcuni decenni prima.

Per una nota tecnica, l’incisione su metallo in cavo è eseguita mediante due procedimenti, il diretto o l’indiretto. Il primo è eseguito direttamente dall’incisore sulla piastra, e comprende l’incisione al bulino, alla puntasecca, alla maniera nera. Nel secondo l’incisione è ottenuta mediante una sostanza chimica che intacca il metallo, e comprende l’acquaforte, l’acquatinta, la maniera a lapis, il punteggiato. Il punto in comune ai due procedimenti è la piastra di metallo levigata, che può essere di zinco, ottone, alluminio, ferro, acciaio ma più spesso di rame perché è il metallo dal quale si ottengono i risultati migliori. In entrambe la caratteristica del risultato finale è la battuta, cioè l’impronta che il margine della lastra lascia sul foglio passato a pressa.
Di non secondaria importanza è la caratteristica dell’incisione su metallo tale per cui non se ne possano tirare moltissimi esemplari, a differenza della vasta tiratura permessa dalla silografia (a meno che non sia legno di filo). Questo è dovuto all’usura della lastra metallica che perde in qualità di tratto ogni volta che è sottoposta a torchio. Il discorso vale in particolar modo per la puntasecca, tant’è che da sempre è stata pochissimo utilizzata per la produzione di ex libris, dal momento che una delle richieste che l’ex libris deve soddisfare è la quantità dei singoli pezzi.
Anche per questo, nella messa in vendita di incisione antica di alto o buon livello è condizione imprescindibile che sia specificata la qualità di tiratura corrispondente all’esemplare.

Incisioni anepigrafi del XVI secolo

Incisioni anepigrafi del XVII secolo

Dalla fine del Cinquecento al Seicento l’ex libris si presentava quasi sempre con il solo stemma, privo di annotazioni, oppure con il semplice motto della famiglia. Il motto, o divisa, stava a indicare un proposito, un ideale, un intendimento morale.
Spesso durante l’esecuzione dei disegni preparatori o sulle stesse incisioni i migliori artisti incisori dell’epoca lasciavano la parte interna della vignetta bianca, cioè anonima; più propriamente chiamate anepigrafi, sono le cornici che sarebbero andate a raccogliere motto o stemma.
Rigide e austere nel Cinquecento come gli stemmi araldici tedeschi, le anepigrafi del Seicento si presentavano con un disegno ricco e ed elaborato, sormontato da cappelli cardinalizi, corone nobiliari, mitre o elmi piumati.
Lo spazio bianco – e qui invalse un uso che continuò nei secoli successivi – comportava la presenza del committente nello studio dell’artista, dove il committente sceglieva la vignetta per l’ex libris o per lo stemma da inserire. Quindi l’artista aveva la necessità di presentare una sorta di catalogo di disegni o di incisioni ancora in bianco.

Disegni preparatori per stemmi araldici

Incisione prima e dopo l’inserimento dello stemma

Il Settecento, secolo di grandi trasformazioni sociali e culturali, allargò l’interesse per l’ex libris anche a fasce sociali che lo utilizzarono per motivi di lavoro o di passione; interesse che si estese anche in America. Da unico monopolio di conventi e castelli, la costituzione di biblioteche diventò una possibilità effettiva anche per una borghesia di studiosi, avvocati, notai, medici, architetti, letterati, scienziati, mercanti con velleità intellettuali, etc.; e l’ex libris, da emblema dello status sociale, si trasformò nel simbolo della personalità committente: la varietà dei soggetti iconografici aumentò vertiginosamente e così anche il motto ad personam, attraverso cui il professionista rifletteva la sua attività o sintetizzava il suo pensiero filosofico.
È quindi nel secolo dei lumi che l’ex libris comincia ad assumere quella moderna fisionomia con cui è conosciuto oggi. L’incisione calcografica, che aveva già preso il sopravvento sulla silografia nel secolo precedente grazie alle sue potenzialità di virtuosismo grafico e di ricchezza di particolari, ora predominò. Anche se, bisogna riconoscerlo, è lontana dal raggiungere l’impronta di originalità e sinteticità e potenza estetica che i maestri rinascimentali avevano raggiunto.
Verso la fine del secolo, forse in contrapposizione al gusto carico imperante, presero a diffondersi piccole etichette tipografiche con il semplice nome e cognome del titolare o della biblioteca, a volte preceduto dal titolo nobiliare; oppure era possibile trovare dai cartolai etichette anepigrafi con cornicette o disegni geometrici sulle quali veniva apposto il nome manualmente e avevano il doppio uso di ex libris o carta da visita.

Ex libris araldico; XVIII secolo

Alla fine del diciottesimo secolo, nel 1796, si colloca la data ufficiale della nascita della litografia, ad opera del tedesco Alois Senefelder.
Questo tipo di incisione non viene operata né in rilievo, né in cavo, ma in piano, sulla superficie della pietra litografica; e questo fu alle origini. In seguito per matrice non fu utilizzata necessariamente la pietra litografica che, invece, poteva anche essere di metallo. Il principio su cui si basa il procedimento litografico consiste nell’incompatibilità tra acqua e grasso. Il disegno viene eseguito con una speciale matita grassa, si morde poi la matrice con una soluzione diluita di acido nitrico e gomma arabica che fissa il disegno, mentre sulle parti non disegnate si forma uno strato poroso  e impermeabile, insolubile all’acqua. La superficie della pietra viene impregnata d’acqua e poi inchiostrata per la stampa mediante un rullo. L’inchiostro, che è grasso, viene respinto dalle zone bagnate e aderisce solo a quelle disegnate dalla matita litografica. Per ottenere l’effetto policromo occorrono più pietre litografiche incise separatamente e raffiguranti lo stesso disegno, ma ognuna conterrà solo le parti disegnate del colore che si vuole ottenere: nel caso specifico il nome appropriato con cui chiamare questo tipo di variazione è cromolitografia. Ne consegue che una cromolitografia di buona qualità debba avere una centratura dei colori più che perfetta, in fase di esecuzione, perché ogni pietra deve essere allineata in modo tale che i colori non vadano a sovrapporsi.
Nell’ambito della piccola grafica questa tecnica non venne utilizzata per l’ex libris; piuttosto si diffuse per la stampa di figurine, menù, cartoncini pubblicitari, santini e immaginette religiose.
Di seguito due esempi di cromolito:

Leonardo Bistolfi: splendida prova cromolitografica per cartellone pubblicitario; 1901 (50 x 70)

Cartellone pubblicitario per circo; circa 1880 (cromolitografia)

La litografia fu una tecnica adottata anche per stampare i biglietti da visita che, nella  prima metà del secolo, fanno la loro comparsa. In genere di formato orizzontale, portavano il nome del possessore all’interno di un cartiglio decorativo, per lo più a motivo floreale, e molto spesso venivano incollati, al pari dell’ex libris vero e proprio, sul retro della copertina per sancirne la proprietà.
L’ex libris di questo periodo è romantico e/o di genere vignettistico, generalmente inciso su pietra e, pur avendo un suo fascino particolare, resta di gusto classico e accademico.

Biglietto da visita (precursore) di Francesco Maria Arsilli; XVII secolo

Biglietto d’invito del Duca Litta; Milano 1841

Consideriamo, ora, che l’incisione calcografica ottocentesca s’incentrava soprattutto sulla riproduzione di importanti dipinti o disegni. In territorio nazionale, per esempio, l’obiettivo e il vanto di bulinisti del calibro di Luigi Calamatta e Paolo Mercuri consistevano nella copiatura più fedele e precisa possibile agli originali dei grandi maestri. Al virtuosismo tecnico mancavano, però, l’originalità artistica e creativa. Con l’invenzione della fotoincisione tutto questo ebbe fine; e anche nelle accademie d’arte l’insegnamento dell’incisione da riproduzione venne interrotto. In Italia, fu per merito dei pittori Giovanni Fattori e Telemaco Signorini se la calcografia italiana ritornò alla sua iniziale espressione creativa.

Franz von Bayros. Ex libris di tematica galante, con elementi romantici

A cavallo tra Ottocento e Novecento, il movimento artistico-filosofico Art Nouveau (a seconda del territorio europeo in cui si manifestava prese denominazioni diverse), influenzò potentemente le arti figurative, l’architettura e le arti applicate, e portò una rivoluzione significativa anche nell’ambito dell’argomento ex libris.
Rinacque l’interesse per la xilografia e per l’ex libris nella sua veste di primo e diretto interlocutore. E rinacque la xilografia d’arte, tesa a un recupero delle tematiche artistiche e artigianali rinascimentali, anteriori all’inizio del Cinquecento, con l’esito di ridare all’ex libris la sua funzione originaria di sinteticità iconografica e letteraria.
A Monaco, nel Palazzo di Cristallo, le raccolte exlibristiche vennero equiparate alle cosiddette arti maggiori, riscuotendo interesse di critica e di pubblico. Si pubblicarono splendide raccolte di ex libris con commenti introduttivi dei maggiori studiosi d’arte di quel momento. Le riviste pubblicarono, su tavole fuori testo, ex libris di Sattler, Klinger, Greiner, Krahl.

Max Klinger: Ex libris dr. Kuno Waehmer. Acquaforte, 1910

In Inghilterra fioccarono pubblicazioni sull’argomento, spesso corredate con xilografie provenienti dai legni originali: Crane, Nicholson, Ospovat, Cameron pubblicarono saggi e uscì la Guide to the studio of Book-plates (1880). Nel 1898 la prestigiosa rivista The Studio dedicò il numero invernale ai Modern Book-plates and their designers.
Nella Vienna della Secessione ci furono numerose esposizioni riservate all’exlibristica, tra cui quelle memorabili della galleria Czernin e quella del castello di Schönbrunn.

Michel Fingesten: ex libris per l’amico Gianni Mantero

A Chicago si tennero le prime esposizioni regolari. A Los Angeles vennero introdotte rassegne annuali.
In Italia, sull’onda di risveglio impressa da Gabriele D’Annunzio nel clima sonnacchioso umbertino, emerse una folta schiera di artisti che faceva capo ad Adolfo De Carolis, cui seguirono autentici maestri del Bianco e Nero.
Nacque un collezionismo privo di frontiere e cominciarono a formarsi le prime associazioni un po’ in tutta Europa.
E qui torniamo all’inizio, quando dissi che gli anni che vanno dal 1885 al 1930 furono anni d’oro per l’ex libris, per tornare poi nel silenzio quasi totale – se non fosse stato per una committenza illuminata e coltissima – fino al rinnovato interesse che sorse alla fine del Novecento.

Ex libris silografico di Adolfo De Carolis, per Dante De Carolis

A conclusione indico, per chi sia interessato all’argomento, l’attuale Manifesto per l’ex libris del bibliofilo, lanciato dal sito Artiflexlibris in collaborazione con Egisto Bragaglia (i bibliofili non avranno bisogno di essere avvertiti circa l’importanza che il signor Bragaglia ebbe in ambito exlibristico):
Manifesto per l’ex libris del bibliofilo, di Egisto Bragaglia e Giancarlo Nicoli.

Per una storia di tematiche, approfondimenti in ambito europeo, o per una storia dell’ex libris italiano, rimando in futuro. L’argomento è troppo vasto per poterlo affrontare in modo specifico all’interno di un singolo articolo.

Giulio Aristide Sartorio: ex libris per Gabriele D’Annunzio

 

 

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3 commenti

  1. […] la varietà d’immagine dell’ex-libris (per una storia illustrata dell’ex-libris vedi qui), ma anche solamente vedere cose belle, c’è una mostra itinerante di Vannuccini in corso, […]

  2. […] Di ex libris ne avevo già parlato in due occasioni, in un articolo per illustrarne la storia e in un altro, più recente, in occasione di una mostra dedicata a uno dei massimi incisori del […]

  3. […] Chi è un conoscitore e collezionista di incisione, in particolare di ex libris, sa che i meeting sono l’occasione per trovarsi e scambiare pezzi della propria collezione con altri o per commissionare un ex libris. Arrivano artisti e amatori da mezzo pianeta e l’atmosfera è davvero singolare. Quest’anno c’è anche una sezione dedicata agli artisti cinesi. Per chi vuole approfondire può trovare una piccola storia dell’ex libris qui. […]

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