LE FEMMINE INCANTATE DI MAGNUS

LE FEMMINE INCANTATE DI MAGNUS

Negli anni sessanta Magnus (Roberto Raviola) su testi di Max Bunker (Luciano Secchi) realizza personaggi popolari come i tascabili di Kriminal, Satanik e Alan Ford.
Negli anni settanta realizza Lo Sconosciuto, con l’aiuto di Francesco Guccini ai testi, oltre a serie tascabili di vario genere come il picaresco La Compagnia della Forca e il porno hard-core Necron (all’inizio del decennio successivo).

Nel corso degli anni ottanta avviene una specie ripensamento, favorito dallo sviluppo delle “riviste d’autore” e dall’interesse per il suo lavoro mostrato dalle analoghe (ma ben più vendute) riviste francesi, che porta Magnus a esprimersi per un pubblico interessato al lato puramente artistico del suo lavoro.
In questo periodo, ispirato ad antiche opere letterarie cinesi, realizza I Briganti e Le 110 pillole.

LE FEMMINE INCANTATE DI MAGNUS

L’estremo oriente continua a influenzare Magnus, a fornirgli spunti grafici e narrativi. Le sette storie brevi, autoconclusive e indipendenti, del ciclo Le Femmine Incantate non sfugge a questo destino, anche se, come vedremo, è lo stesso Magnus a “tradire” il presupposto asiatico.

La serie de Le Femmine Incantate nasce nel 1987 per essere pubblicata in Francia sulla rivista L’Echo des Savanes prima e in volume da Albin Michel dopo, mentre in Italia viene proposta sulla effimera rivista La Dolce Vita e poi su Comic Art. In volume viene pubblicata nel 1991 da Granata Press e negli anni successivi da altri editori.

LE FEMMINE INCANTATE DI MAGNUS

Nella continua ricerca di rilanciare il fumetto, Magnus ritiene di dover cercare formati molto più grandi per valorizzare i disegni.

Per Le Femmine Incantate all’inizio punta su un formato tabloid, quello del quotidiano La Repubblica, e se la prima pubblicazione parziale sulla sfortunata rivista “gigante” La Dolce Vita in parte gli dà soddisfazione, quella successiva su Comic Art (nel classico formato magazine) mortifica il suo lavoro grafico certosino.
L’opera non viene del tutto valorizzata neanche dalla pubblicazione in volume, seppure di discrete dimensioni.

L’artista sa di scontrarsi con preventivi già stabiliti e formati consolidatisi da tempo, per non parlare dello scoraggiamento degli editori di fronte alla crisi crescente del settore.
In ogni caso, la serie delle Femmine Incantate viene pubblicata più volte e, seppur meno nota di altri suoi lavori, rappresenta un tassello decisivo nella carriera di Magnus come autore sia dei testi sia dei disegni.

 

DALL’ORIENTE CON MODERAZIONE

“Ho preso lo spunto da una serie di novelle, I Racconti Fantastici di Liao, completamente diverso da Le Femmine Incantate. Ci sono storie molto belle di fantasmi e apparizioni, storie buffe, storie di monaci… Ho enucleato alcune figure femminili e le ho rielaborate, restando però fedele allo spirito complessivo. Spesso si tratta di due o più racconti combinati. In più c’è tutta una mia storia personale. C’è dentro anche una mia esperienza. Ne La Guardiana del Ponte non c’è niente che non sia accaduto realmente”.
LE FEMMINE INCANTATE DI MAGNUSI racconti fantastici di Liao di P’u Sung-ling, noti anche come I Racconti Fantastici dello Studio di Liao, sono la più famosa raccolta cinese di racconti in lingua parlata. Pubblicati nel 1766, rappresentano una sorta di enciclopedia della novellistica cinese.

Sono composti da più di quattrocento storie di argomento fantastico e soprannaturale con protagonisti figure del folklore locale come fantasmi, spiriti-volpe, ninfe, bonzi buddisti, immortali, animali e piante magiche che interagiscono e stringono relazioni con gli esseri umani.

Magnus, come ha dichiarato, preleva spunti dall’opera originale, riscrive episodi, assembla racconti diversi per poter disporre il tutto su un piano grafico, geografico e temporale che nulla ha a che fare con l’antica Cina.

Se i primi due episodi, La Grande Signora e Il muro dipinto mantengono elementi grafici orientali, con edifici, costumi e accessori, dal successivo I fiori operosi compaiono elementi che rimandano al presente (se non addirittura al futuro), come treni e aeroplani. Oppure cavalieri e palazzi che ricordano il medioevo europeo, compresi eserciti di Lanzichenecchi.

Sul fronte paesaggistico, ma anche per quel che riguarda abitazioni, abiti e alimenti, storia dopo storia Magnus sembra attingere sempre più a ciò che lo circonda nelle colline emiliane. A tal punto che nell’ultima vignetta dell’ultima storia sullo sfondo potrebbero esserci le fortificazioni della vallata di Castel del Rio, paesino nel quale Magnus trascorre i suoi ultimi anni

L’artista non ha semplicemente trascritto graficamente alcune vecchie storie cinesi, ma le ha assimilate, digerite e rielaborate in una nuova forma del tutto personale.

 

UN LAVORO CERTOSINO

Non è l’unico “tradimento” perpetrato da Magnus. Usiamo questa parola non in senso negativo, ma come “lampeggiante” per segnalare una volontà di rottura e cambiamento rispetto a canoni consolidati, precedentemente propri dello stesso Magnus.

Il grande formato permette, a volte costringe, l’autore a impostare le tavole in modo particolare.
Così come l’origine letteraria delle storie, e le poche tavole a disposizione per ognuna di esse, lo portano a utilizzare un linguaggio alto e didascalico.

In tavole tanto grandi, che in originale somigliano più a lenzuoli che a fogli di carta, Magnus delinea vignette che, seppur squadrate, spesso non hanno forma regolare: tendono a entrare leggermente una dentro l’altra, si sviluppano in orizzontale o in verticale. Poco propense a contenere spazi bianchi sono affollate di persone, edifici, oggetti.


Le modeste case di campagna come i sontuosi palazzi vengono dettagliati fino allo sfinimento, mentre la vegetazione è a dir poco lussureggiante, in particolare gli alberi sono un maestoso intrecciarsi di rami che incanta e stupisce.

Quella stessa vegetazione, gioia per gli occhi del lettore, deve essere stata una sorta di incubo per Magnus, costretto a ore sul tavolo da disegno per raggiungere tali risultati. Troppo, troppo, troppo di tutto. Troppe vignette, troppi segni, troppe parole.

Il risultato finale, per quanto spettacolare, “tradisce” (e ci risiamo) l’autentico spirito del fumetto. Il fumetto è narrazione scorrevole, movimento, flusso di immagini e parole. Invece il lettore tende a rallentarsi davanti a tale straboccante ricchezza di tratteggi da osservare.

Una deviazione dalla logica del fumetto smorzata, fortunatamente, dalla forza dei personaggi. Personaggi femminili, talvolta fantastici e talvolta fortemente realistici, sempre al centro della narrazione malgrado il mare di dettagli in cui sono immersi.

LA PIÙ BELLA DELLE FEMMINE INCANTATE

Forse l’episodio più bello, con il personaggio femminile più interessante e la storia più realistica ben poco ha a che fare con i racconti di Liao. Rinuncia al fantastico e all’erotismo per raccontare semplicemente la vita di una donna.

In La guardiana del ponte è la giovane Koo, figlia di un mugnaio, che affronta una vita lunga e difficile, ma non priva di soddisfazioni. Facendo da contraltare a uomini incapaci e violenti, propensi più a distruggere che a creare o conservare.

Koo è la rappresentazione del meglio dell’essenza femminile, artefice di vita, custode del focolare, simbolo di quel femmineo eterno che può salvare l’uomo e quindi il mondo intero. Tutto ciò senza magia, ma semplicemente con la forza di volontà e il duro lavoro quotidiano, la coscienza pulita e le braccia stanche.

La guardiana del ponte è priva di tutte le sfumature favolistiche che pervadono le storie precedenti del ciclo, riportando il tutto su un piano pragmatico.
Già la prima tavola, composta da quattro larghissime vignette orizzontali delinea in modo concreto e preciso il luogo in cui si svolge la vicenda: la campagna, il fiume, le chiuse. Luoghi precisi, con le loro regole, i loro ritmi.

La vita della protagonista, all’inizio assai difficile, si srotola in modo lineare, senza grandi colpi di scena, senza principi azzurri, senza soluzioni folcloristiche, seguendo i cicli delle stagioni e piegandosi alle necessità dell’esistenza.

È proprio questo realismo, questa concretezza, a rendere l’episodio interessante e a farci rimpiangere il fatto che Magnus non abbia mai pensato di svilupparlo in maniera più lunga e articolata.

 

 

1 commento

  1. Salve, Davide.
    Mi permetto di suggerire un valore aggiunto alla novella di Koo: lei guardiana di comunicazione (ponte) e di psiche, i canali – l’acqua – da condurre, regolare per la vita della comunità.
    Ciao.

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati con *

Dichiaro di aver letto l'Informativa Privacy resa ai sensi del D.lgs 196/2003 e del GDPR 679/2016 e acconsento al trattamento dei miei dati personali per le finalità espresse nella stessa e di avere almeno 16 anni. Tutti i dati saranno trattati con riservatezza e non divulgati a terzi. Potrò revocare il mio consenso in qualsiasi momento, integralmente o parzialmente, con effetto futuro, ed esercitare i miei diritti mediante notifica a info@giornalepop.it

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*