I PEGGIORI TELEFILM DEGLI ANNI NOVANTA

I PEGGIORI TELEFILM DEGLI ANNI NOVANTA

Specchio, specchio delle mie brame, qual è il telefilm più scarso del reame? Eh… una parola a rispondere. Il fatto è che alcune idee sulla carta parrebbero anche avercelo del potenziale, ma una volta sviluppate risultano di una stupidità epocale. Spesso i risultati fanno impallidire persino le scimmie più imbranate e ti riempiono le sinapsi di cattiveria allo stato puro: una vaghissima scintilla di buona idea che annega disperata in un gorgo di trame ridicole, personaggi indecenti interpretati da cani che latrano disorientati e, di fondo, un alone di pateticità che ti accompagna fin dai primi dieci secondi di visione.

 

Le avventure del giovane Indiana Jones (1992 – 1996)

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Cominciamo con un esempio calzante di quanto detto: un soggetto potenzialmente valido, ma che al momento di svilupparlo viene buttato alla cazzo mannaggia. Intendiamoci, dopo il grande successo della saga con l’ultimo film “Indiana Jones e l’ultima crociata”, uscito nel 1989, era lapalissiano che la diretta conseguenza sarebbe stata continuare a spremere le mammelle della vacca; non sia mai che chi di dovere potesse perdersi l’occasione. Ad ogni buon conto, l’idea di continuare le avventure del prof. Jones in un serial non era male, così come anche la serie in sé non era del tutto da buttare (con episodi alquanto riusciti, a onor del vero), ma che mancava di due elementi fondamentali: un attore carismatico e una “linea di condotta”. In parole economicamente svantaggiate, pur se la serie è durata quattro stagioni, c’è arrivata a fischi e pernacchie, tiratissima per i capelli. Salvo eccezioni, spesso era di un banale da soffrire, con trame scontate e offensive anche per un pubblico adolescenziale. Poi ci si mettevano ‘ste brutte cose che: A) in un episodio Indiana Jones era un ragazzo che aveva sedici anni, in un altro era un bambino di neanche dieci, in un altro era una vecchia carampana di quasi cento e così via; B) un regista diverso per ogni episodio che voleva fare lo sbruffone, dando la sua particolare e personale visione del personaggio. Inutile dire che questo non ha giovato affatto alla serie che infine chiuse i battenti.

 

Acapulco H.E.A.T. (1993 – 1994)

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No, dico: come puoi rovinare una serie se nel cast c’è uno come “Fabio”? Cioè, c’hai Fabio “Uomo Harmony” Lanzoni e non lo sfrutti? Robe da panico, proprio. A parte gli scherzi, molti telefilm d’inizio anni ’90 avevano tutti una cosa in comune: ovvero che il crimine si combatteva in scioltezza e disinvoltura su spiagge assolate tra un cocktail e l’altro servito da qualche gnocca ex modella. Sul serio. Nello specifico, qui c’era  tra i protagonisti Alison Armitage, al tempo modella di Playboy. Praticamente, la storia (se così la possiamo definire) di questo “Acapulco H.E.A.T.”, dove l’acronimo sta per Acapulco Hemisphere Emergency Action Team, vede un’agenzia segreta alla quale vengono affidati vari compiti tra i quali sconfiggere gruppi terroristici, trafficanti internazionali e, giusto per non farsi mancare niente, pure le multinazionali disoneste che mettevano la Coca Zero nei bicchieri di Coca Cola normale. Insomma, una roba agghiacciante.

 

Thunder in Paradise (1994)

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Ancor più agghiacciante, però, fu “Thunder in Paradise”, assurdo polpettone action-stupidssimo con protagonista Hulk Hogan ideato dagli stessi gnu alcolizzati di “Baywatch”; e dopo vediamo perché ‘sta gente doveva essere tenuta alla larga dagli alcolici. Per farla breve, la pappardella è praticamente la stessa di “Acapulco schif” più sopra, con la differenza che Hulk Hogan e l’amico di merende per risolvere i crimini usano “Thunder”, una super barchetta per nulla, ma proprio per nulla, ispirata a K.i.t.t. di Supercar. Naturalmente, ad aiutarli c’è pure Carol Alt, che nella serie interpreta Kelly LaRue, ex modella e proprietaria di un bar sulla spiaggia la cui unica clientela, a quanto pare, è composta solo da sue ex colleghe strafighe. Praticamente, tutto quanto era credibile su di una scala che va da zero a episodio di Tom & Jerry. Solo molto meno divertente.

 

Cyberkidz (1994 – 1996)

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Siccome fino alla seconda metà degli anni Novanta per molti individui termini come “tecnologia”, “internet”, “computer” et similia erano un qualcosa concettualmente alla stregua dell’alchimia, cioè fantasiosamente idealizzati con l’ingenua convinzione che battendo su una tastiera a casaccio come le scimmie, per chi in possesso della “conoscenza” fosse praticamente possibile fare ogni sorta di cosa. Finanche trasformare il piombo in oro. Ed è così che iniziarono a spuntare robe televisive assurde sulla realtà virtuale. Fra i tanti, uno dei più cialtroni sicuramente era questo “Cyberkidz”, che detto sinceramente era di un ridicolo come pochi. Tirato su letteralmente a sputi e preghiere, la storia in sostanza ruotava su quattro ragazzini, tra cui un piccolo biondo che mi era (e tuttora è) di un’antipatia ai limiti dell’odio cieco. Giocando a un videogame, chiamato appunto Cyberkidz, ambientato nel mondo di Cyberland tramite il “Guanto del Potere”, periferica che mi ricorda giusto “vagamente” qualcosa tirato fuori dalla Nintendo, venivano trasportati nel suddetto mondo a combattere i cattivi. Ne ho rivisto giusto una puntata e non ho avuto il coraggio di andare oltre. Ah, tra parentesi, fra i cattivi c’è lo scomparso Robert Z’Dar, famoso per il ruolo di Matt Cordell nella saga horror “Maniac Cop”.

 

Baywatch Nights (1995 – 1997)

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Dicevo prima come i creatori di Baywatch avrebbero dovuto stare lontano dagli alcolici. Sostanzialmente perché, non contenti del fantastico “Thunder in Paradise”, ci riprovano cercando di sfruttare il successo della famosa serie sui bagnini creando uno spin-off. Ora, la trama sinceramente non la ricordavo ma, a dargli solo un’occhiata, devo ammetterlo: è incredibilmente “attuale”. In due parole, c’è crisi e Mitch Buchannon viene messo a fare l’eroe per salvare vite tre giorni alla settimana, per via dei tagli alle spese. Perciò, per poter continuare a fare il padre single figo, cospicuamente ricco e guidare la sua cafonissima Honda Nsx, decide di punto in bianco di aprire un’agenzia d’investigazioni privata. Voglio dire, chi tra quelli che fanno il carpentiere, o magari l’impiegato oppure proprio il bagnino, per arrotondare non si mette a fare il detective privato di punto in bianco? Volendo sorvolare sul debolissimo canovaccio, in generale gli episodi stand alone vedevano di volta in volta Mitch e soci alle prese con mostri, fantasmi, demoni, mutanti e compagnie cantante. Bello, sì. Peccato che il livello generale era una roba alla Scooby-Doo. Pure peggio. Insomma, ‘na buffonata tremenda.

 

V.I.P. (1998 – 2002)

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Di Pamelona Anderson e delle sue pretese assurde di fare l’attrice ben sappiamo, dal telefilm Baywatch e il pezzentissimo Barb Wire, ridicolo action movie del 1996. Due anni dopo però, dismesso il costumino da bagno di Baywatch, la nostra torna sul piccolo schermo con l’ennesima serie col titolo acronimo e in cui si risponde al crimine con un abitino griffato per volta: ovvero, “V.i.p.” che sta per “Vallery Irons Protection”. In sostanza la storia, come al solito ridicola, vedeva Pamela nei panni della omonima Vallery Irons del titolo, cameriera di paninoteca scrausa, che per una botta di culo salva un tizio famoso da un agguato. A questo punto, come  naturalmente del resto chiunque di noi farebbe, decide di fare il classico “di necessità virtù” e perciò mette in piedi la “V.i.p.”, un’agenzia di guardie del corpo. Il telefilm è stupido come un frontale fatto con una vacca in aperta campagna, però c’è da da spezzare una lancia in suo favore: tutto il companatico era un mix di azione camp e commedia molto meta-referenziale; il che vuol dire che ogni tanto una risata, con l’intenzione, riusciva anche a fartela fare a differenza di altre serie qui sopra.

 

Cleopatra 2525 (2000 – 2001)

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Siamo arrivati alla fine e, per chiudere il proverbiale cerchio di spettacoli pezzenti, c’è questo “Cleopatra 2525”, tremenda buffonata tirata su con gli scarti dell’armadio delle Spice Girls. Gli anni Novanta, fra le tante, sono annoverati come gli anni della “plastic music”, in cui girls e boy band tirate fuori con lo stampino dominavano le chart mondiali con canzoncine dall’estetica accattivante, ma contenutisticamente di un povero da far spavento. Agli albori del nuovo millennio, questo trend poco alla volta s’è riflesso anche sul piccolo schermo e questa assurda baracconata di abitini in materiale sintetico finto-fantascientifico credo sia la summa maxima di quanto suddetto. Venendo alla storia, Cleopatra era una tizia che faceva la danza del ventre, va in ospedale per operarsi e si risveglia cinquecento anni dopo, scoprendo che l’avevano ibernata. Da qui in poi un delirio, con lei che si unisce ad alcune guerriere per combattere le macchine impazzite che hanno soggiogato l’umanità: un classico futuro distopico. Insomma, la fusione fra i Power Rangers, Terminator e Charlie’s Angels veramente riuscita, male ma veramente molto, molto male malissimo. Con l’aggravante di spararti a raffica tutte ‘ste vaccate a bruciapelo e senza tregua, perché compresse in soli venti minuti per episodio.

Ebbene, detto questo credo sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

 

 

 

8 commenti

  1. Articolo molto divertente, quasi tutti non me li ricordavo. Grazie a Dio.

    • Vorrei non ricordare anche io, ma purtroppo non ci riesco.

  2. Articolo molto divertente. Ma “Le avventure del giovane Indiana Jones” in inglese si chiama “The Young Indiana Jones Chronicles”. Dove salta fuori quel ” The Adventures of Young Indiana Jones”?

    • Sì, la serie si chiamava “Chronicles”, ma quando fu raccolta su vhs e distribuita per il mercato home video, furono aggiunti alcuni episodi e la serie venne nominata “Adventures”. Quella che vedi è la copertina del vhs della serie.

  3. no, ma grazie davvero per aver riesumato queste perle dalla mia memoria. Ci avevo messo dieci anni per scordarmele.
    Mi ricordo che, pur essendo da sempre una fan di Indiana Jones, non ce l’ho fatta ad andare oltre la seconda puntata… :’-(
    Concordo in pieno sul fatto che Cleopatra 2525 fosse la vaccata peggiore di tutte, però… però quando un qualcosa raggiunge un ammontare incalcolabile di trash e minchiaggini… assurge quasi a capolavoro. Insomma era così abominevole da essere ipnotico e a volte lo guardavo solo per capire quanto in basso si potesse arrivare. Sì, ha un che di masochismo.

    • Eh… io non dimentico mai.

  4. Wow! Che meravigliosa carrellata di tamarrate galattiche!
    Ottimo articolo, Retronauta, continua così: facci ricordare quale mostruoso passato ci siamo lasciati alle spalle.

  5. “Acapulco H.E.A.T. ” non mi dispiaceva. Mi ricordava lontanamente certi filmacci super-tamarri diretti da Andy Sidaris (1931-2007), pieni di playmates (anzi, non sarebbe male dedicare prima o poi un articolo al mitico Sidaris!).

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