PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

In questo articolo dedicato al cult horror-thriller La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati vogliamo soprattutto ricordare due grandi attori da poco somparsi, Lino Capolicchio (1943-2022) e Gianni Cavina (1940-2022).

La casa dalle finestre che ridono è un film che ci ha insegnato come la Pianura Padana possa essere sorprendentemente inquietante. Potete chiedere anche a noi bresciani…

PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

Lino Capolicchio è noto per Il giardino dei Finzi Contini, il capolavoro di Vittorio De Sica tratto dal romanzo di Giorgio Bassani.
Giovani Cavina è stato uno degli attori feticcio di Pupi Avati, anche se probabilmente i più lo conoscono come Gabriele, l’amico donnaiolo di Lino Banfi nella commedia sexy Cornetti alla Crema.

Noi vorremmo ricordarli nel film che li ha visti entrambi protagonisti, una pellicola arcinota tra i cinefili quanto pressoché sconosciuta al pubblico generalista: La casa dalle finestre che ridono, un film del 1976 diretto per l’appunto da Pupi Avati.

PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

Ogni volta che penso a questo film mi torna in mente la teoria di una mia amica illustratrice. A suo dire la provincia di Brescia è sostanzialmente una versione mignon degli Stati Uniti.

Il lago di Garda e d’Iseo sono la California e la Florida, mete balneari per turisti e gente con i soldi. Le zone di campagna tipo Orzinuovi sono gli stati rurali come il Kansas o l’Alabama, con campi coltivati e fattorie e poco altro.

I paesi industriali come Lumezzane sono Detroit, con le sue acciaierie e le sue fabbriche.
La Val Trompia è come le Montagne Rocciose, con i montanari diffidenti verso i forestieri.

Infine, la bassa bresciana (Manerbio, Pontevico e tutti quei paesi verso Cremona) è chiaramente la Louisiana, lercia e paludosa, ma con in più lo spirito del Maine dei romanzi di Stephen King. Con la nebbia-killer, i mostri nelle fogne, i serial killer della porta accanto eccetera.

Ecco, quest’ultimo parallelismo deve averlo fatto anche Avati pensando alla sua Emilia.
Tutti lo conoscono e lo amano per il suo cinema familiare, nostalgico, sentimentale sulla falsariga di Amarcord di Fellini, eppure il genere in cui ha sempre sfoggiato il massimo della creatività è stato il cinema “di paura”. Che è pure quello a cui s’è dedicato di meno, dirigendone in media un film a decennio.

Il primo è stato appunto La casa dalle finestre che ridono.
Poi è stata la volta di Zeder (1983), con Gabriele Lavia, geniale storia di zombi di ambientazione padana che molti sospettano abbia ispirato Pet Sematary – Cimitero vivente di Stephen King. Entrambi si basano sull’idea di particolari terreni in grado di rianimare i cadaveri.

 

Nel 1996 ecco L’arcano incantatore, con Stefano Dionisi, macabra storia di esoterismo nell’Italia del 1600.

 

Nel 2007 arriva Il nascondiglio, con Laura Morante, dove Avati rielabora un’idea alla base della sceneggiatura che scrisse per Dove comincia la notte (1992), di Maurizio Zaccaro.

 

Infine, nel 2019, ecco Il signor diavolo, dove ritroviamo Capolicchio e Cavina insieme per l’ultima volta.

 

La casa dalle finestre che ridono resta comunque l’horror di Pupi Avati più importante e apprezzato, tanto da aver segnato la nascita del termine “gotico padano”.

PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

Stefano (Capolicchio) è un giovane restauratore chiamato in un paesino della bassa emiliana per restaurare, in una chiesetta sconsacrata fuori città, un affresco raffigurante il martirio di San Sebastiano.

L’affresco era stato dipinto poco prima della guerra da un pittore pazzo, morto misteriosamente vent’anni prima, tale Buono Legnani, soprannominato “il pittore d’agonie” perché aveva il vizio di dipingere la gente sul letto di morte.

PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

Preso alloggio in paese, Stefano si imbatte in un vecchio amico, il giornalista Antonio Mazza (Giulio Pizzirani), il quale gli dice che è stato proprio lui a premere perché gli fosse affidato il restauro.

Antonio sta seguendo una pista di cronaca nera e, se ci ha visto giusto, quell’affresco è la chiave per svelare una spaventosa serie di delitti che porta a una “casa dalle finestre che ridono”.

PADANIA HORROR, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

Stefano non la prende sul serio, preferisce flirtare con la nuova maestrina (Francesca Marciano), ma la sera dopo Antonio muore cadendo dalla finestra di casa.

I carabinieri si sbrigano ad archiviare la sua morte come suicidio. Tutti in paese ricordavano che aveva attraversato un periodo di depressione dopo la rottura con la sua donna.
Invece Stefano non ci crede e con l’aiuto di Coppola (Cavina), tassista ubriacone, cerca di venire a capo del mistero.

Il film fu scritto a otto mani dallo stesso Avati, da suo fratello Antonio, da Cavina e da Maurizio Costanzo (sì, lui).

La trovata geniale, dovuta anche alla mancanza di fondi per girare all’estero, è stata quella di creare una straniante atmosfera “anti-gotica” ambientando un horror in uno scenario familiare e tranquillo come l’assolata e sonnacchiosa campagna emiliana.

La classica campagna dove il paese è piccolo, la gente mormora, tutti conoscono gli scheletri nell’armadio di tutti, ma nessuno parla.

Il fatto che questi scheletri non siano metaforici, ma reali, genera il classico senso di angoscia e paranoia dovuto all’essere soli e senza aiuto (come mostrato in altri capolavori horror come Rosemary’s Baby e The Wicker Man).

Soprattutto questa atmosfera fa sì che i tipici personaggi di provincia (il sindaco di bassa statura che s’atteggia a cumenda, l’albergatore cornuto, il maresciallo idiota e svogliato, la vecchietta che non ci sta più con la testa, il sagrestano scemo del villaggio interpretato da Pietro Brambilla, nipote di Ugo Tognazzi) che normalmente apparirebbero come macchiette comiche, qui assumano davvero un’aria bizzarra e inquietante.

Si tratta del grottesco nel pieno senso del termine, ovvero il “deforme e innaturale, paradossale e inspiegabile, in grado di suscitare reazioni contrastanti, dal riso all’indignazione” (cit. Oxford Languages).

Certo, il film non è perfetto e mostra i suoi anni. Il ritmo è lento, certe ombre furtive e alcuni scricchiolii sinistri risultano superflui, ma la soluzione del mistero vale l’attesa, e il colpo di scena finale è davvero indimenticabile.

All’epoca il film fu notato dalla stampa, tanto che ebbe il premio della critica Festival Du Film Fantastique di Parigi, molto meno dal pubblico, salvo poi diventare un cult grazie ai passaggi televisivi a notte fonda.
Nel 2001 è stato acquistato dalla 20th Century Fox, che l’ha restaurato e distribuito in Dvd.

 

 

(Immagini trovate su internet: © degli aventi diritto).

 

 

 

1 commento

  1. Buongiorno
    Me lo ricordo quel film,abito nella bassa bolognese-ferrarese,sembrava fosse girato dietro casa mia,lo ricordo con tenerezza,per fortuna Avati ha trovato una sua cifra stilistica non nell’orror. Comunque Gavina che ho adorato nel “commissario Sarti” ci stava benissimo.
    saluti Leonardo

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