LAURA GEMSER NEL CICLO DI EMANUELLE NERA

LAURA GEMSER NEL CICLO DI EMANUELLE NERA

Laura Gemser è nata nel 1950 nell’isola di Giava e oggi vive ancora a Roma, sua città adottiva dal 1976, nonostante sia uscita definitivamente dal mondo del cinema. L’attrice e costumista indonesiana dal fisico perfetto e dallo sguardo magnetico e sensuale debutta come fotomodella, posa nuda per alcune riviste patinate per adulti (“Playmen”) e infine viene chiamata a fare cinema. Il suo primo film è Amore libero – Free Love (1974) di Pier Ludovico Pavoni, che non è certo un capolavoro del genere esotico-erotico ma ha il merito di farla conoscere al grande pubblico.

“Il suo fascino orientale, la pelle ambrata, la grazia voluttuosa, incarnano perfettamente il modello femminile da consegnare al nascente filone erotico italiano”, recita la Garzantina Cinema, consacrando Laura Gemser al ruolo di attrice che non passa inosservata. Per parlare di Laura Gemser servirebbe un intero libro. Tra gli adolescenti che non si perdevano un suo film c’ero pure io e adesso pago un debito di riconoscenza occupandomi del suo cinema.

Aristide Massaccesi (alias Joe D’Amato) definiva Laura Gemser una persona stupenda, molto dolce, che considerava un’amica dopo aver girato il mondo insieme a lei per realizzare la famosa serie di Emanuelle Nera. Nonostante la fama, Laura Gemser non ha mai amato le luci della ribalta, preferiva starsene in disparte e occuparsi della sua famiglia, era una persona timida e riservata che però sapeva trasmettere allegria e spensieratezza. Moglie fedele di un marito esemplare come Gabriele Tinti (che Laura sposò dopo averlo conosciuto sul set di Black Emanuelle), persona seria e ottimo attore. Tra Laura e Gabriele c’era una buona differenza di età, ma non si notava perché i due si volevano molto bene e lui era l’uomo adatto per la bella indonesiana, visto che sapeva darle coraggio e infonderle fiducia. Dopo la morte prematura di Gabriele Tinti (1991) le cose per Laura Gemser non sono state più come prima e lei, poco per volta, si è ritirata dalle scene. Il cinema lo faceva volentieri, ma non era proprio il suo sogno e soprattutto non era tutta la sua vita. La sua vita era Gabriele che purtroppo l’ha lasciata presto, e lei per un po’ ha fatto la costumista, poi ha lasciato del tutto il mondo del cinema. Una volta scomparso anche Aristide Massaccesi non aveva molto senso per Laura continuare a fare cinema. Non era più il solito cinema e, soprattutto, non ci si divertiva come un tempo “a fare filmetti” (come diceva Massaccesi) con grande professionalità. Oggi Laura Gemser vive sola nella sua casa romana, un posto che sembra la casa delle fiabe, una piccola casa di legno circondata da un giardino un po’ trascurato. Il suo fascino è ancora immutato e la sua bellezza selvaggia resiste al tempo che passa, ma lei di cinema non ne vuole più sentir parlare. Dopo la morte del marito e di Aristide Massaccesi non sente la necessità di recitare, preferisce realizzare piccoli oggetti di arredamento che ricava da materiale riciclato, la sua vera passione. Difficile pensare che questa donna così tranquilla possa essere stata uno dei sogni erotici dei ragazzi italiani.

Amore libero di Pier Ludovico Pavoni lancia una ragazzina indonesiana di ventiquattro anni destinata a lasciare il segno nel campo del cinema sexy. Laura viene in Italia proprio per interpretare quel film, girato alle Seychelles insieme al campione di “Rischiatutto” Enzo Bottesini, bravissimo sub e pessimo attore, ma ideale per le riprese subacquee. Il film consacra Laura Gemser come diva dell’esotico-erotico e stronca sul nascere la carriera di Bottesini che (per fortuna) non vedremo più sul grande schermo. La pellicola racconta la storia di un ingegnere che un’azienda italiana manda ai Carabi per lavorare all’apertura di una miniera di argento. L’ingegnere italiano è Bottesini, che deve svelare il mistero di un collega scomparso e se la vede con altri personaggi che non vogliono la miniera sull’isola. L’ambientazione tropicale è buona e anche la descrizione di una vita naturale, tra indigeni che non vogliono lavorare e belle ragazze sorridenti, è ben rappresentata. La colonna sonora di Frizzi è monotona al punto da risultare fastidiosa, ma accompagna diligentemente lo sviluppo di una storia tutto sommato piacevole. “Vuoi fare zucchero con Janine?”, è la battuta con la quale Laura Gemser si presenta al pubblico italiano, invitando l’ingegnere a fare l’amore con lei. Sull’isola è in voga l’amore libero e le amiche dividono tutto, per questo si scopre che subito dopo anche le altre indigene vorrebbero “fare zucchero” con Bottesini. Nonostante queste premesse il film è molto casto, addirittura per famiglie, e il regista è bravo a sfumare i rapporti al momento giusto. Bottesini si innamora della Gemser, scopre che il collega scomparso era innamorato della sorella dell’indigena, vaga per il villaggio e conosce i parenti della ragazza. Antoine è un negro vagabondo ma simpatico che fa da spalla all’ingegnere e combina un sacco di guai. Tutti boicottano il lavoro dell’ingegnere, soprattutto l’europeo interpretato da Venantino Venantini e anche il prete, perché con la miniera aperta l’isola non sarebbe più la stessa. I lavori di Bottesini vengono sabotati a più riprese e la posta diretta in Italia non parte mai. L’ingegnere tenta di spiegare alla bella indigena il significato di carriera e di successo, ma non ci riesce perché certi valori sono estranei a un mondo naturale. Il film è purtroppo infarcito di luoghi comuni e di squallide barzellette sui negri, che forse avrà voluto la produzione, ma che rendono l’opera a tratti volgare. Il regista dimostra di avere le idee poco chiare sui riti vudù, perché se il film è ambientato alle Seychelles non hanno niente a che vedere con la cultura del luogo. I negri che parlano come selvaggi africani (sì buana, io bovero negro…) sono un’altra cosa piuttosto ridicola. La fotografia è ottima, sia per gli splendidi scenari tropicali, che per le belle riprese subacquee, con un gioco di luci e immagini in dissolvenza che si scambiano tra loro. Una parte di rilievo la recita anche la conturbante Olga Bisera (Katia) che nella sua prima apparizione cavalca nuda a pelo sulla spiaggia e poi fa l’amore con l’ingegnere. Citiamo anche la bella ripresa marina della messa di Natale tra pescatori, i pipistrelli torturati dai bambini per giocare e crocefissi come fossero piccoli Gesù Cristo. Una parte lesbica appena accennata vede la Gemser e la Bisera impegnate in un rapporto di pittura del corpo ambrato della bella indonesiana e in un successivo bagno purificatore. Sul finale della pellicola si vede la Gemser che tradisce Bottesini con un negro e la Bisera che si dedica a un rito vudù per scacciare il male. La miniera non la vuole nessuno e si cerca di fare di tutto per evitare che venga aperta. L’ingegnere decide di andarsene e di rinunciare al progetto, ma prima cerca la Gemser che è coinvolta in un rito malefico gestito da Venantini. La magia nera viene utilizzata al solito fine di scacciare il pericolo della civiltà corruttrice dei costumi naturali. Bottesini distrugge il malefico violino di Venantini, prende con sé Jasmine e parte con lei a bordo di una canoa, “alla ricerca di qualcosa che ci deve ancora essere, fino all’ultima isola”. I due innamorati cercano il paradiso perduto, la stessa cosa che aveva fatto il vecchio ingegnere scomparso. I dirigenti dell’azienda italiana non sanno che fare e l’unica possibilità è incaricare un nuovo ingegnere per vedere come stanno le cose. Il film va inserito nel filone esotico ed è interessante per il discorso che fa intorno alla riscoperta di un mondo naturale.

Emmanuelle 2 L’Antivergine
di Francis Giacobetti (1974) è il film che prelude al lancio di Laura Gemser come Emanuelle nera da parte di Bitto Alberini e di Joe D’Amato. Nel secondo film della serie originale vediamo Laura nelle vesti di una massaggiatrice, ma la protagonista assoluta è Sylvia Kristel. Francis Giacobetti conosce Laura Gemser per via di alcuni servizi fotografici che ha realizzato insieme a lei, e le propone quella parte secondaria. Laura non lascia indifferenti e in Italia c’è subito chi pensa di utilizzarla per una serie apocrifa di Emanuelle. In Italia il filone esotico-erotico viene inaugurato da film come Bora Bora di Ugo Liberatore (1968) e da Io Emanuelle di Cesare Canevari (1969) con la bella Erika Blanc. Prosegue con Incontro d’amore a Bali sempre di Ugo Liberatore (1970) e con Il dio serpente di Piero Vivarelli (1970), che vede per la prima volta sul grande schermo la reginetta sexy Nadia Cassini. Poi vengono tutti i film con protagonista Zeudi Araya (soprattutto La ragazza dalla pelle di luna del 1972 e La peccatrice del 1975). La serie di Emanuelle nera viene affidata a Joe D’Amato sulla scia del successo del film francese Emmanuelle (l’originale va scritto con due emme!) diretto da Just Jaeckin nel 1973 e interpretato dall’affascinante Sylvia Kristel. Il film è una diretta filiazione dei romanzi sconvolgenti di Emmanuelle Arsan e dà il via a una serie di pellicole francesi, che hanno per protagonista una ricca e annoiata signora sposata con un uomo d’affari che passa le sue giornate sperimentando le gioie del sesso. La serie italiana è apocrifa, per evitare l’accusa di plagio ribattezza la protagonista Emanuelle (con una emme sola) e la raffigura come una bella giornalista di colore che gira il mondo a caccia di scoop e di avventure erotiche. L’attrice simbolo di questa serie diventa Laura Gemser, ma non fu Joe D’Amato l’inventore della serie apocrifa, anche se è a lui che deve il grande successo. Infatti il primo film è Emanuelle nera (noto in tutto il mondo come Black Emanuelle anche per merito della canzone) di Albert Thomas (l’italianissimo Bitto Albertini), girato nel 1975. La pellicola fu un successo, soprattutto per la bellezza sconvolgente di Laura Gemser (che viene citata con il nome d’arte Emanuelle nei titoli di testa e di coda) e per la stupenda musica di Nico Fidenco. Laura Gemser è Mary Johnson, una fotoreporter che ama viaggiare e fare l’amore. La mitica canzone Black Emanuelle è eseguita dal gruppo dei Bulldog ma c’è anche Don Powell che canta Un amore impossibile. Il film è ai limiti dell’hard e Laura Gemser si serve di una controfigura per le scene più calde. Sul set di Black Emanuelle la Gemser conosce il futuro marito Gabriele Tinti che sarà importante per la decisione di restare per sempre in Italia.

Laura Gemser incontra il regista della sua vita un anno dopo, sul set di Voto di castità (1976): Aristide Massaccesi, in arte Joe D’Amato, che la trasformerà in una sensuale icona del cinema erotico. Il film è una commedia comico-pecoreccia dove la bella indonesiana recita la parte della cameriera ed è doppiata con un buffo accento francese. Citiamo un suo sensuale balletto tribale che contribuisce a contaminare la commedia sexy con una parte di puro cinema erotico. La Gemser che danza nuda davanti al ragazzo riempie una sequenza molto lunga sulla quale il regista insiste puntando l’occhio indiscreto della madre dalla porta socchiusa. Secondo la tecnica sopraffina di Massaccesi si tende a far vedere allo spettatore una scena erotica con gli occhi di un personaggio che spia, un modo per ironizzare e coinvolgere. Subito dopo il film accenna a rapporti saffici e masturbazioni femminili, particolari erotici che in Massaccesi troviamo sempre. Non è però un gran film. Va ricordato soprattutto perché dette a Massaccesi l’idea per utilizzare la bellezza prorompente di Laura Gemser per alcune pellicole soft-core.

La prima fu Eva nera (1976). L’indonesiana più sexy del nostro cinema aveva proprio le physique du rôle! Il film è il primo esempio di esotico-erotico, genere congeniale a D’Amato che in seguito lo riproporrà spesso. Diciamo subito che non è un capolavoro. Tutt’altro. Si tratta di un erotico patinato con una sceneggiatura confusa e raffazzonata che non appassiona minimamente. Ci si annoia davanti alle sensuali danze del ventre di Laura Gemser tra i serpenti, si sbadiglia agli accenni di riti saffici tra Eva e l’amica di turno, ci facciamo una cultura sui serpenti. Poco altro. La storia non decolla mai. La Gemser è una ballerina (Eva), incontra Julius (Tinti) che la porta a Honk Kong dove la presenta al fratello (Palance-Judas), un tipo poco raccomandabile che in realtà è suo padre. Lui è un patito collezionista di serpenti (aspidi, vipere, pitoni e un pericolosissimo mamba verde) e di belle donne. Finge di innamorarsi di Eva per tenerla accanto, però la lascia libera di intrattenersi con ragazze, dato che Eva pare incline ai piaceri saffici. Il film è una collezione di lunghe sequenze di autoerotismo e di rapporti saffici che alla lunga stancano perché ripetitive. Judas è affascinato dal fatto che Eva danza con i serpenti e li comprende, è stata sua madre da bambina a insegnarle come fare. Da notare che in realtà il serpente non piaceva affatto alla Gemser, aveva una paura folle di quella bestia, alla fine capitò pure che le defecò addosso. Judas ricopre Eva di ricchezze e la fa diventare la regina di Honk Kong, ma quando si accorge che lei si sta innamorando di un’amica non può permetterlo. Julius, su ordine del fratello, uccide l’amante di Eva liberando sul letto il mamba verde. Eva prepara la vendetta e chiede a Judas di lasciarla andare nei luoghi dove è nata in compagnia del fratello. Qui prima circuisce Julius e lo fa innamorare, poi si concede a un nativo per provocarne la reazione. Eva sa che Julius ha ucciso la sua amante. D’accordo con il nativo lega Julius e lo tortura a morte, infilandogli un serpente vivo nell’ano che poco a poco gli divora l’intestino. Non lo salva dalla triste sorte neppure la rivelazione sull’identità di suo padre perché Eva conosceva la verità. Il film termina con Eva davanti a Judas. Lui le dice che sua madre era bella ma lo lasciò per scappare con una donna. Anche lei voleva fare altrettanto e lui non poteva permetterlo. Eva a questo punto decide di danzare per lui una danza mortale con il terribile mamba verde. Un morso le sarà fatale. Il film patisce una trama inconsistente. Di bello resta un’affascinante location: girato interamente a Honk Kong tra battelli di legno e baracche sul fiume che contrastano con il lusso dei quartieri residenziali. Molto bella la scena filmata in presa diretta con un serpente spellato vivo, cucinato alla fiamma e servito come piatto espresso a Eva e alla compagna. Sono ben riprodotte anche tutte le parti che si svolgono nelle sale massaggi con esperte terapiste di scuola orientale che si danno da fare sul fisico slanciato di Laura Gemser. Infine citiamo la sequenza vera del pitone che si divora un povero topolino. Dopo questo film il sodalizio D’Amato-Gemser diviene indissolubile e il regista la convince a interpretare la parte di Emanuelle nei film che gli hanno proposto di girare. Tanto che Bitto Albertini deve realizzare Emanuelle nera numero 2 (1976) senza l’attrice che ne aveva garantito il successo e chiama a sostituirla una sconosciuta Shulasmith Lasri che fa rimpiangere non poco la bella indonesiana. In realtà Albertini gioca sul titolo per attirare spettatori, perché il vero seguito di Black Emanuelle lo gira D’Amato. Questa pellicola ha una storia a sé. Come una cosa che non c’entra niente con la serie ufficiale è Emanuelle bianca e nera (1976) di Mario Pinzauti, un film girato dalle parti di Latina che vorrebbe riproporre ambienti e situazioni tipiche della Louisiana schiavista ma non ci riesce. Ci sono due Emanuelle, una bianca e padrona, l’altra nera e schiava che si contendono un padrone bianco. Ebbe davvero poco successo e lo videro in pochi. Oggi è considerato una rarità. Gary Needham di “Delirium” lo ha definito “uno dei peggiori Emanuelle italiani”.

Emanuelle nera – Oriente Reportage (1976) è il vero sequel di Black Emanuelle (noto in tutto il mondo come Black Emanuelle Goes East). La storia è un viaggio continuo, come sempre nelle pellicole di Emanuelle che disponevano di un buon budget. Si comincia da Venezia dove Emanuelle si imbarca in compagnia di Roberto (Gabriele Tinti) per raggiungere Bangkok. Qui la coppia si separa e lui si dedica ai suoi scavi di archeologia mentre lei è ospite del principe Sanit che cerca di insegnarle l’amore e il piacere come una grande estasi (quella che i francesi chiamano “la piccola morte”, dice Rassimov). Sanit fa condurre Emanuelle in visita a Bangkok e anche lo spettatore resta affascinato dalla bella ambientazione e dalla ricca scenografia. In realtà Emanuelle sarebbe a Bangkok per ordine del giornale e dovrebbe fotografare il re, ma fa di tutto fuorché quello. Si cala nelle abitudini locali: combattimenti di galli, sfilate di elefanti, lotte con la spada, balli sensuali e massaggi erotici. Emanuelle trova il tempo di fotografare anche una scena da cannibal movie con una mangusta che fa fuori un cobra. Alcune parti del film ricordano molto da vicino un mondo movie sulla Thailandia. Alla fine Emanuelle non riesce a fotografare il re perché il principe Sanit, che stava organizzando un colpo di stato, viene arrestato. A lei vengono rubati il passaporto, la macchina fotografica e tutto il denaro. Per uscire dal paese Emanuelle deve corrompere un funzionario portandoselo a letto, ma la cosa non la sconvolge più di tanto. Da Bangkok l’azione si sposta a Casablanca, in Marocco. Qui Robert sta facendo alcuni scavi importanti ed Emanuelle ne approfitta per conoscere Debora, la figlia del console. Come consuetudine l’amicizia tra le due donne si trasforma ben presto in un rapporto saffico. Anche la parte girata in Marocco si avvale di una bella fotografia e di una scenografia molto suggestiva. Ci sono interessanti sequenze girate nel deserto, tra tutte ricordiamo quella con i beduini che si portano a letto Emanuelle e un’altra ragazza. Alla fine Emanuelle recupera i documenti, la macchina fotografica, i rullini e fa ritorno a Parigi. Debora si era innamorata e la saluta con nostalgia. Il film fu un successo di pubblico, anche se non era eccezionale soprattutto per la storia molto esile. Lo salvano un’ottima fotografia e le varie location esotiche.

Emanuelle in America ed Emanuelle e gli ultimi cannibali sono due pellicole che più di altre contaminano erotismo con splatter e situazioni tipiche del cinema cannibalico. Sono film dove “incontriamo spesso elementi macabri e surreali, scene di violenza esasperata e situazioni orrifiche”, come dice Antonio Tentori. Film che ci fanno vedere il vero D’Amato contaminatore dei generi che sa far immaginare, eccitare ma anche terrorizzare e sconvolgere. Emanuelle in America (1976) è un’indagine di Emanuelle sulle perversioni sessuali, che la porta a scoprire snuff film con scene di tortura e violenze su donne perpetrati da uomini in divisa. Tra gli attori oltre ai soliti Gemser e Tinti citiamo: Roger Browne, Paola Senatore, Lorraine De Salle e Marina Frajese (solo nella versione hard). Qui c’è una contaminazione più con il filone nazi-film (vedi i nazi-porno della serie Ilsa, la belva delle SS di Don Edmonds) che con il cannibalico. La pellicola contiene scene davvero efferate: seni tagliati, uncini nel ventre, stupri con falli di legno e chi più ne ha più ne metta. Il tutto inserito in una specie di tour erotico di Emanuelle da Venezia ai Caraibi, che la porta a inanellare una serie di avventure amorose davvero invidiabile. Vediamo di tutto: una fellatio a scopo terapeutico, un miliardario collezionista di ragazze, un harem, un’orgia, una casa chiusa per donne… Soprattutto sconvolgente è la parte finale con la visione dei filmati e delle violenze tratti da falsi snuff movies. La pellicola venne sequestrata dal Tribunale di Avellino e giudicata “offensiva del comune senso del pudore”. Circola anche una versione hard ma soltanto all’estero.


Nella serie Emanuelle c’è poi un vero e proprio cannibal movie: Emanuelle e gli ultimi cannibali (1977), un film erotico arricchito da sequenze splatter e cannibalesche (come saranno anche Porno Holocaust e Antropophagus nel 1980). A parte la Gemser e Tinti ci sono: Monica Zanchi, Nieves Navarro, Donald O’Brien, Percy Hogan, Dirce Funari. In Emanuelle e gli ultimi cannibali Laura Gemser si finge internata in una clinica per malattie mentali dove sta cercando materiale per un articolo scandalistico. A un certo punto assiste all’aggressione di un’infermiera da parte di una ragazza antropofaga e decide di vederci chiaro. Conosce l’antropologo Mark Lester (Gabriele Tinti) che a casa sua le mostra un filmato sugli orrori praticati dalle tribù africane (forse un mondo movie) che comprende scene di cruente evirazioni e riti tribali. C’è una sequenza in cui i parenti del marito mangiano gli occhi della donna e quelli della moglie si cibano del membro del maschio come punizione per un caso di adulterio. I due partono alla ricerca degli ultimi cannibali, dopo che Emanuelle ha salutato alla sua maniera il fidanzato ormai più che cornificato (per fortuna che non siamo nella giungla). In Amazzonia l’antropologo fa un po’ di lezioni sul cannibalismo sociale e i motivi che spingono gli uomini a cibarsi dei propri simili, parla del cuore che contiene le virtù e delle interiora che sono il cibo preferito dei cannibali. Poi i due incontrano una strana coppia che si scopriranno cacciatori di diamanti più che di animali feroci e un’improbabile suora. C’è una bella scena con l’uccisione di un pitone che stava soffocando Emanuelle ed è notevole pure la colonna sonora di Nico Fidenco, costruita con tamburi in sottofondo e una voce calda e sensuale di donna. Lungo il cammino trovano molti cadaveri putrefatti e mangiati da animali, una delle donne finisce nelle sabbie mobili ma viene salvata, infine cominciano ad attaccare i cannibali. Da notare che le sequenze che anticipano l’arrivo dei mangiatori di uomini sono caratterizzate da una colonna sonora che si fa più intensa con dei colpi di gong e da una fotografia sporca. Le numerose scene di sesso stemperano la tensione narrativa e ricordano che il film è soprattutto erotico. Laura Gemser e Monika Zanchi hanno il loro da fare per mostrarsi vestite in più di due scene di seguito. A un certo punto poi si aggiunge anche Nieves Navarro che si concede una scappatella sotto gli occhi del marito con un robusto portatore negro. Certo, tra una scopata e l’altra, ci sono anche avventure esotiche, azione, splatter, voyeurismo… soprattutto c’è la stupenda Laura Gemser. Ma gli ultimi venticinque minuti sono puro cannibal movie con un pasto a base di capezzoli, uno squartamento spettacolare frutto di un singolare tiro alla fune, coltellate al pube, banchetti con interiora e parti di vagina. Finale che ritorna alla commistione erotico-cannibalica con Monika Zanchi prima prigioniera in una gabbia di legno e poi posseduta da tutta la tribù in attesa del sacrificio finale.

Emanuelle risolve la situazione uscendo dalle acque con il dio Tupinaba dipinto sul ventre e portandosi via l’amica tra lo stupore degli indigeni, che si accorgono di essere stati beffati solo quando vedono le due donne nuotare. Si poteva evitare la ridicola scena finale dell’assalto alla barca da parte dei cannibali e soprattutto il sermoncino retorico della bella Gemser contro lo schiavismo e le meschinità del mondo. “Non è colpa nostra, è il prezzo della civiltà”, filosofeggia Gabriele Tinti mentre scorrono i titoli di coda e partono le note della suggestiva Make on the wing di Nico Fidenco (cantata da Ulla Linder). Questo film è girato interamente in Italia in quattro settimane, per la precisione a Mezzano Romano e non certo in Brasile, come dice l’ingannevole scritta finale (dove sarà mai Tapurucuarà?).


Emanuelle: perchè violenza alle donne?
(1977) vede l’assenza di Gabriele Tinti. Accanto a Laura Gemser troviamo: Ivan Rassimov, Karin Schubert, Don Powell, George Eastman (Luigi Montefiori), Marino Masé, Gianni Macchia, Brigitte Petronio, Al Thomas. Recita una piccola parte anche Massaccesi e al solito c’è Marina Frajese che interpreta un po’ di scene hard per la versione da far circolare all’estero. Emanuelle, sempre a caccia di nuove emozioni, si finge squattrinata e si fa caricare da un camionista pagando il passaggio in natura. Poi chiede di essere accompagnata all’Hotel Sheraton dove incontra Cora (Karin Schubert), un’amica giornalista che sta realizzando un servizio sulle violenze verso le donne. All’Hotel Sheraton conosce pure Ivan Rassimov, il presidente del comitato per gli aiuti al terzo mondo, che la salva dalla violenza carnale di un maniaco. A lui piace Emanuelle ma i due non riescono mai a stare insieme perché sono sempre in giro per il mondo per motivi diversi. Intanto il giornale manda Emanuelle in India dove un santone (George Eastman) ha scoperto il segreto del coito prolungato. Qui c’è una bella ambientazione e una ricca scenografia con immagini di un’India divisa tra turismo e miseria. Il film denuncia pure i falsi santoni e il regista non perde occasione per fare qualche discorso femminista. Emanuelle scopre che il santone è soltanto un ciarlatano e tra l’altro quando fa l’amore con lui lo ridicolizza: “Vai forte a teoria, amico!” gli dice mentre commenta la sua eiaculazione precoce. In India Emanuelle conosce (pure carnalmente) Mary che le racconta una terribile storia di violenze su donne. Emanuelle decide di approfondire e insieme all’amica Cora va a Roma per indagare. Pare che una banda rapisca belle turiste straniere e le venda in Medio Oriente. Emanuelle si finge turista insieme a due amiche di Mary, le donne vengono attirate in una trappola e prese in ostaggio. Sarà un ragazzo che Emanuelle aveva conosciuto a far arrestare tutti. Intanto Cora viene minacciata, picchiata e violentata perché abbandoni l’inchiesta. Tra un viaggio e l’altro Emanuelle incontra di nuovo Rassimov per brevi momenti. Ci spostiamo a Hong Kong, altra location gradita a Massaccesi, dove le due donne ricercano Ilse Braun, un capo dell’organizzazione. Ci sono alcune scene molto truci, come quando un pazzo cattura Emanuelle e la porta in una palestra dove lui teorizza “il dolore come fonte di godimento”. Emanuelle e Cora scoprono il giro di donne rapite e fanno arrestare il responsabile (il primo ministro) con l’aiuto di un giovane emiro che se la spassa con le due donne. La scena si sposta a New York dove si viene a sapere che anche qui c’è una specie di tratta delle bianche gestita da grossi nomi. Un perverso gioco finale a base di violenza e sesso porta alla cattura finale dei capi banda. Emanuelle torna a casa con un peschereccio insieme a Ivan Rassimov. Il film è piuttosto trucido ma molto femminista. Non condividiamo Marco Giusti quando su Stracult dice che “non è per niente dalla parte delle donne”. Tutte le scene di violenza carnale esibite non sono gratuite ma hanno lo scopo di sconvolgere e inquietare. Ci sono anche molte scene di sesso spinto, al solito omo ed etero, purtroppo un po’ tagliate nella versione italiana. La trama è confusa ma il discorso che si vuol fare è preciso: la donna non è un oggetto ed è lei che decide cosa fare della sua vita. Si denunciano le violenze e gli stupri. Una produzione che non badava a spese (perché i film di Emanuelle incassavano molto) ci porta in viaggio per Roma, New York e Hong Kong con gran disinvoltura. Il film si ricorda soprattutto per le sequenze girate a Hong Kong dove un cinese sadico torturatore obbliga le ragazze ad accoppiarsi con animali. Il torturatore farà una brutta fine chiuso in cella con un cane sodomita. Purtroppo questa parte è tagliata in molte pellicole che circolano in Italia. Ricordiamo per finire la canzone “A picture of love” cantata dai Fire Fly.


La via della prostituzione
(1977) è l’ultimo film della serie. Lo gira e lo fotografa D’Amato che si avvale per la sceneggiatura della collaborazione di Romano Scandariato. Protagonista è sempre Laura Gemser che ritrova Gabriele Tinti nei panni del principe Aurozanni. Ci sono anche: Ely Galleani, Venantino Venantini e Pierre Marfurt. Emanuelle e la sua amica Susan (Ely Galleani) vengono invitate a un safari da un gangster (Venantino Venantini) e da un principe (Gabriele Tinti) che è suo socio. Qui indagano su di un giro di schiave bianche ed Emanuelle va in fondo alla questione travestendosi lei stessa da prostituta. Si passa dalle ambientazioni esotiche del safari alla grigia Manhattan con gran facilità. Molto sesso ma numerosi anche i tagli della censura (oltre sessanta metri) che riducono il film a ottanta minuti scarsi di proiezione. Tra le scene eliminate: le ragazze sotto la doccia, una sauna con un politico, Emanuelle con un travestito. Abbiamo detto che La via della prostituzione è l’ultimo film della serie Emanuelle perché Le notti porno nel mondo (1977) non è un film ma un mondo movie. D’Amato esperimenta così anche quel genere così controverso e discusso che fu il cavallo di battaglia di Gualtiero Jacopetti. La regia è attribuita a Jimmy Matheus (Bruno Mattei) ma Joe D’Amato è accanto a lui. I protagonisti sono soltanto Laura Gemser che fa la parte di se stessa e Marina Frajese per la versione hard distribuita all’estero. Alcuni testi riportano il titolo Emanuelle e le porno notti nel mondo perché è proprio la bella Laura Gemser a fare da guida attraverso i campionari di erotismo e depravazione che vengono presentati. Laura Gemser ci conduce alla scoperta di una serie di spettacoli erotici ambientati in varie parti del mondo. Si parte con una filippica contro i falsi moralismi, mentre scorrono le immagini notturne di una Las Vegas che la troupe non ha mai visto. Pare chiaro sin da subito che i vari night club sono tutti romani e che il film, secondo la buona tradizione dei mondo movies, suona falso come una moneta contraffatta. Si tratta quindi di un finto reportage erotico che Mattei ricostruisce vagando per i vari locali della capitale. D’Amato si occupa soltanto di girare le parti di raccordo con Laura Gemser. Il film è stato tagliato abbondantemente dalla censura e Massaccesi lo ha dovuto rattoppare alla meglio con nuovo materiale per garantirne l’uscita. Emanuelle nera ci conduce per mille prelibatezze erotiche. Ricordiamo: una seduta spiritica a sfondo erotico, una messa nera con deflorazione della vergine e orgia finale tra gli adepti della setta satanica, un luna park con attrazioni a sfondo sessuale, un mago che denuda gli spettatori e fa apparire membri virili dalle dimensioni enormi e una ragazza spogliata dai clienti di un night. Tra le parti raccapriccianti citiamo la finta operazione di un uomo con il pene dalle dimensioni microscopiche.

Laura Gemser ci vuol convincere che in Giappone c’è rimedio pure per questo e che le spose insoddisfatte con una spesa di appena tre milioni di lire fanno trapiantare ai mariti poco dotati un membro più consistente. La sequenza è davvero ben realizzata e il taglio del pene microscopico appare realistico, il nuovo membro però è palesemente di gomma. Bella anche la parte girata in Nuova Guinea dove la Gemser dice di essere andata per filmare delle scene per una nuova pellicola. Qui assistiamo alla singolare usanza matrimoniale (falsa?) di far deflorare la sposa da quattro amici per comprovarne la verginità prima di celebrare il rito. La festa comprende anche una mattanza di maialini selvatici (per la gioia degli animalisti) tra canti e balli tribali. Altre scene del film vedono amori saffici, una singolare Biancaneve tra sette nani super dotati, l’intervista a un’attrice porno e al regista che poi è anche suo marito, la lotta tra donne nella schiuma, un balletto fantascientifico, lo spogliarello trash di casalinghe italiane e la festa della California per la donna e l’uomo più affascinante. La morale del film viene spesso ripetuta: il sesso è gioia e liberazione e chi non lo comprende è soltanto un moralista bacchettone. Laura Gemser non perde occasione per sottolineare che le vere donne devono essere soprattutto femmine e non femministe e che la donna oggetto non esiste perché l’unico vero oggetto in un rapporto è l’uomo che si illude di poter comprare una donna. C’è anche una confessione in chiave bisex di Emanuelle, che invita a provare tutte le gioie del sesso senza pregiudizi. Laura Gemser poi si scaglia contro le false perbeniste e mostra uno spogliarello maschile con un gruppo di donne borghesi eccitate dalla bellezza del modello. Emanuelle conclude la sexy conferenza affermando che il sesso non è mai cattivo e che va vissuto con spensieratezza. D’Amato espone i suoi canoni del piacere per bocca della sua attrice simbolo che al tempo era quasi l’essenza della trasgressione. All’estero il film è noto come Mondo erotico e passa con le parti porno girate dalla Frajese.

Se qui termina il ciclo di Emanuelle Nera, non è certo la fine della carriera di Laura Gemser, che sarà ancora ricca di film erotici, come vedremo prossimamente.

L’ultimo libro di Gordiano Lupi: “Storia della commedia sexy all’italiana, volume 1 – Da Sergio Martino a Nello Rossati”, Sensoinverso Edizioni 2017

 

4 commenti

  1. […] Un nuovo apporto di Ely Galleani al cinema erotico italiano arriva attraverso Joe D’Amato prima con Emanuelle Nera – Orient Reportage (1975), poi con Eva nera (1976) e infine con La via della prostituzione (1977), pellicole che abbiamo già analizzato a fondo parlando di Laura Gemser. […]

  2. Ho adorato il periodo (1975-76) delle “imitazioni” del film “Emmanuelle” (1974) di Just Jaekin e del suo sequel, secondo me migliore del primo. Da quelle italiane (La fine dell’innocenza, Laure, le prime due Emanuelle Nera con la Gemser), l’australiana “Felicity”, la tedesca “Vanessa” e simili, mentre, proprio all’opposto di quel che solitamente pensano molti fans del sexploitations e del B-movie italico mi ha dato mooolto fastidio quando alcuni registi, come Joe D’Amato, hanno purtroppo miscelato il genere con l’horror, il cannibal, Mondo movie o simili. Non mi piacevano più, non li ho più seguiti.

  3. A 23 anni nel 1974 non eri una “ragazzina”, ma una donna adulta.

    • vero, Eva, vero, io ne avevo 14 nel 1974 e un 24enne lo vedevo grande

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