CINZIA MONREALE, LA REGINA DELL’HORROR ITALIANO

Cinzia Monreale è un volto simbolo del cinema dell’orrore italiano degli anni ottanta, una sorta di Barbara Steel più dolce e sensuale, meno terrificante, soprattutto più vittima e meno carnefice. Tutti la ricordiamo per il ruolo di Anna nello splatter romantico Buio omega che Joe D’Amato realizza nel 1979. Anna muore per cause naturali e il suo innamorato ne trafuga il corpo per imbalsamarla e tenerla sempre con sé fino alla fine dei suoi giorni. Cinzia Monreale ha definito questo film, insolito e a tratti raccapricciante, “una grandissima storia d’amore”, perché racconta l’esperienza di una passione che travalica i confini della vita terrena.
Cinzia nasce a Genova nel 1957 e il suo vero cognome è Moscone, ribattezzata Monreale per motivi cinematografici, figlia d’arte perché sua madre è una cantante lirica. Alta, magra ma sensuale, capelli lunghi di colore castano che tendono al biondo, fisico ben proporzionato, sguardo intenso e sorriso dolce. Pare perfetta per interpretare parti erotiche nel periodo di maggior fulgore della nostra commedia sexy.
Il debutto nel cinema giunge a diciotto anni con Per amore di Cesarina di Vittorio Sindoni (1975), una commedia scollacciata che la vede insieme a tre mostri sacri del cinema italiano come Walter Chiari, Gino Bramieri e Valeria Moriconi. Tra l’altro il ruolo della Monreale è quello di Cesarina, lolita supersexy, figlia di Gino Bramieri, che fa innamorare l’attempato Walter Chiari, padrone di una pensione a Cesenatico. Chiari e Bramieri sono amici da sempre e hanno fatto i partigiani insieme, ma il primo si innamora lo stesso della giovane figlia del secondo, incurante dei sensi di colpa. Per amore di Cesarina l’uomo si prende una bella cotta, lascia la moglie e il lavoro e scappa con lei, ma alla fine torna pentito dalla moglie Elvira (Valeria Moriconi). Morando Morandini definisce il film come “una commedia insolita nel panorama del cinema italiano anni Settanta, per il brio dei due mattatori, per l’aria di Romagna, per un dialogo senza fronzoli e per i personaggi disegnati con acutezza”. Il film non fu un successo, anzi nessuno se ne accorse proprio, a parte registi e produttori che si innamorarono della bella Monreale. Davvero un bel debutto.
Perdutamente tuo… mi firmo Macaluso Carmelo fu Giuseppe è un’altra buona commedia di Vittorio Sindoni (1976) con Stefano Satta Flores, Luciano Salce, Marisa Laurito, Umberto Orsini, Macha Méril e Leopoldo Trieste. Ci sono molti luoghi comuni sulla Sicilia e sui siciliani, ma Sindoni era un regista che certi film li girava con garbo e mestiere, così come sapeva scegliere attori di grande livello. Carmelo (Satta Flores) è un siciliano arricchito che diventa l’oggetto del desiderio di tutte le donne da marito del paese, ma un’astuta baronessa (Méril) lo seduce e lo depreda di tutti i suoi averi.
Cinzia Monreale in questa pellicola non riveste un ruolo importante, ma si rifà con la successiva Quel movimento che mi piace tanto di Franco Rossetti (1976) che rappresenta la sua interpretazione erotica di maggior spessore. Il film non è un capolavoro e si regge solo sulla bravura di Carlo Giuffrè, Enzo Cannavale e Martine Brochard. Francesco Milizia scrive una sceneggiatura elaborando un soggetto poco credibile di critica sociale sul malcostume del trasformismo politico. Giuffrè è un avvocato erotomane che, dietro consiglio dell’amico Cannavale, passa dalla destra alla sinistra e per questo motivo molla un’amante nobile (Brochard) che per il suo nuovo ruolo sarebbe d’intralcio. La baronessa si vendica, con la complicità di un servile innamorato respinto (Montagnani), e assolda una baby prostituta (Monreale) per irretire Giuffrè e renderlo ridicolo. Alla fine si scopre che la prostituta non è tale ma si tratta di una studentessa illibata, nipote di Montagnani. Giuffrè convola a nozze con la Monreale perdutamente innamorata dell’uomo che doveva circuire, e il popolo acclama l’avvocato convinto che sposerà davvero una prostituta. Giuffrè vince pure le elezioni per avere dato dimostrazione di populismo. Il film è girato a Siena e incassa di sicuro molti contributi dagli uffici del turismo, perché il regista indugia molto su monumenti, piazze, scorci paesaggistici e scene tratte dal Palio di Siena. Martine Brochard è un’ottima attrice erotica che durante la prima parte mostra senza alcuna esitazione diversi nudi integrali. Notevole la scena sexy della mano di lui che scivola tra le sue cosce durante il Palio di Siena, giocata tra sguardi e ammiccamenti sensuali, ma sono ottime pure le riprese di amplessi realistici e di comici spogliarelli. La Brochard sfoggia biancheria intima di pizzo, vesti da camera di seta rosa, seni che escono dalla camicetta abbassata, e lunghe gambe. A metà film lascia il timone dell’erotismo nelle mani della giovanissima (ma brava) Cinzia Monreale che si presenta a Giuffrè come una sexy studentessa di architettura. A parte le lunghe passeggiate per la città che servono solo a raggiungere la canonica durata del film, sono da segnalare alcune parti in stile “Malizia” dove la bella Monreale se la cava bene come lolita intrigante e sensuale. Da citare la irriverente scena dentro la chiesa di San Domenico dove la ragazza prega e mostra le cosce nude a un eccitato Giuffrè. Non è vero quello che dice Marco Giusti. La Monreale non “mostra le mutande a filo dentro San Domenico”, ma solo le giarrettiere e un po’ di cosce velate da calze nere.
L’uomo resiste alla corte serrata della ragazzina che fa di tutto per mandarlo in crisi, ma lui è bloccato per via della differenza di età. Subito dopo assistiamo a uno spogliarello della Monreale in pizzo rosso davanti alla Brochard e anche a brevi sequenze saffiche, con la Monreale che insapona la schiena alla Brochard e le accarezza i seni. Non si va oltre. Montagnani non recita una gran parte e in questo film le sue potenzialità sono molto in ombra, invece la Monreale va oltre il credibile mostrandosi nuda in una scena molto brassiana di bidé nel bagno. Una parte sexy è il nuovo incontro tra Giuffrè e la Monreale ai lavatoi, con lui che le sfila le mutandine e poi si mette a gridare ai quattro venti che la ragazza è vergine. La scena madre vede di nuovo la Monreale esibire tutta la sua bellezza efebica mentre Giuffrè, eccitato e irritato, la denuda e pretende di consumare con lei un rapporto. Lui crede che sia una prostituta: “Spogliati!”; “Io ti pago!”; “Fai una marchetta con me!” grida. Alla fine si accorge che la ragazza è davvero vergine. Dopo il matrimonio vediamo nuove parti erotiche molto spinte, la Monreale è ancora più nuda e sensuale durante un nuovo amplesso con Giuffrè. Per la cronaca, nel film Cannavale sposa una vera puttana e la Brochard si consola con Montagnani. Pare che di questo film sia stata girata una versione più spinta per il mercato estero, ma pure quella che circola in Italia non è male.
Il resto delle interpretazioni di Cinzia Monreale non hanno niente a che vedere con il cinema erotico e con la commedia scollacciata.
Bermude, la fossa maledetta di Tonino Ricci (1978), che si firma Anthony Richmond, è un film a metà strada tra il drammatico e l’avventuroso con poveri effetti speciali. Il tema, molto sfruttato, è il mistero del Triangolo delle Bermude e le continue sparizioni di navi.
Sella d’argento di Lucio Fulci (1978) è un western per famiglie, con Giuliano Gemma, atipico nella produzione del regista romano e anche della bella attrice.
Buio omega di Joe D’Amato (1979) rappresenta la consacrazione della Monreale come vera e propria icona del cinema horror nostrano. Per gli amanti dell’horror e dello splatter è il miglior film di Joe D’Amato, pseudonimo di Aristide Massaccesi (1936 -1999).
Aristide Massaccesi cura regia e fotografia. Cast tecnico: Giacomo Guerrini (soggetto), Ottavio Fabbri (sceneggiatura), Ornella Micheli (montaggio), Ennio Michettoni (scenografie). Produce D.R. per Comunicazioni di Massa. Distribuisce Eurocopfilms. La musica suggestiva è dei Goblin, freschi del successo di Profondo Rosso.
Interpreti: Kieran Canter (Francesco), Franca Stoppi (Iris), Cinzia Monreale (Anna e Teodora), Sam Modesto (Cossutto), Anna Cardini, Lucia D’Elia, Simonetta Allodi, Klaus Rainer, Edmondo Vallini, Mario Pezzin e Walter Tribus. Il film viene rieditato nel 1987 con il nuovo titolo: In quella casa… Buio omega, ma la pellicola non subisce cambiamenti di sorta.
La storia è piuttosto articolata e merita di essere riassunta in modo particolareggiato. Il soggetto di Giacomo Guerrini è ben sceneggiato da Ottavio Fabbri, che ne ricava qualcosa di più di un semplice remake del suo vecchio film “Il terzo occhio”. C’è più tensione, l’azione è calata in una scenografia così malsana e disturbante che si riconosce la mano di Massaccesi.
L’azione si svolge in Austria. Francesco è un giovane ricco orfano di padre e madre (morti in un incidente d’auto), non ha bisogno di lavorare e per hobby fa l’imbalsamatore. Iris è la governate e vorrebbe sposarlo per diventare padrona di tutto. La figura della governante è molto ben tratteggiata da Franca Stoppi che recita una parte perfetta da donna diabolica, alternando espressioni da megera a finta dolcezza. Nelle prime scene vediamo Iris che paga una strega per fare una fattura contro Anna, la fidanzata del ragazzo, per farla morire. Notiamo riferimenti ai riti vudu con bambolotti e spilloni, forse un ricordo del periodo dominicano. Dopo alcune scene di romanticismo esasperato con Anna che mormora “Voglio essere tua prima di morire” e lui risponde “neanche la morte ci separerà”, la fidanzata muore. Francesco è distrutto dal dolore, il suo carattere si modifica, decide di imbalsamare il corpo di Anna e di tenerla per sempre accanto. L’impiegato delle pompe funebri lo vede armeggiare con siringhe e liquidi sul corpo del cadavere, si improvvisa detective e alla fine manda all’aria i piani.
Sono di notevole effetto horror le scene che vedono Francesco riesumare il corpo di Anna e imbalsamarlo: l’imbalsamazione è così realistica da sembrare vera. Pare che fosse carne di animale, interiora comprate in un macello e un cuore di pecora… Se si vuol trovare un difetto, va ricercato nella parte tra il cimitero e l’imbalsamazione, priva di velocità e tensione. D’Amato si lascia prendere la mano dai particolari, mentre un montaggio più sbrigativo avrebbe fatto guadagnare ritmo. Anche l’incontro con l’autostoppista, la gomma forata, la polizia che si ferma e lo lascia passare sono passaggi forzati. Quando Francesco si mette al lavoro per imbalsamare il cadavere invece si toccano i limiti massimi del gore e gli appassionati fanno salti di gioia davanti al cadavere nudo di Cinzia Monreale steso sul tavolo e sezionato con cura.
Vediamo Francesco intento a togliere tutti gli organi interni, il sangue lo aspira dalle orbite degli occhi private con cura delle pupille, poi estrae cervello, cuore e intestino. Resta mitica la scena del morso al cuore di Anna, una sorta di retaggio cannibalico per avere sempre con sé la parte più importante della donna amata. Francesco getta le interiora in un secchio di lamiera. La scena è dura ma lo diventa ancor più quando l’autostoppista (che nel frattempo si era addormentata sul camioncino) entra nella stanza e comincia a gridare terrorizzata. Presa dalla paura si getta su Francesco e comincia a graffiarlo, lasciando sul suo corpo segni profondi. Per tutta risposta il ragazzo, in un attacco di follia, la afferra e le strappa le unghie una per una con due grosse tenaglie. Infine la soffoca e la mette nel camioncino. La perfida Iris ha visto tutto e lo aiuta a completare l’opera, assecondando la follia di Francesco (mette persino lo smalto sulle unghie della fidanzata morta). Sa che così facendo lo avrà in pugno. Mentre vediamo le prime investigazioni del detective-impiegato delle pompe funebri, si apre una parte ancora più indigesta con Iris e Francesco che fanno a pezzi l’autostoppista a colpi di mannaia. Trionfo di splatter e gore: il sangue esce a schizzi e bagna il volto diabolico della governante che abbatte colpi decisi sul corpo della ragazza. La scena è molto macabra, ma non è finita qui: i singoli pezzi della sventurata vengono gettati nella vasca del bagno piena di acido. Alla fine fa tutto Iris e raccoglie persino i resti del corpo e del sangue con una paletta. Francesco è colto da malore mentre la vasca ribolle di esalazioni cadaveriche. Finale con il brivido: lo scheletro scarnificato della ragazza esce fuori dall’acido all’improvviso. I due complici seppelliscono i resti in giardino.
Una scena particolarmente disgustosa è la successiva, quando Iris propina a Francesco una sbobba di colore verdastro. Lei mangia quella cosa abominevole sporcandosi il volto, Francesco vomita ancora e Iris per consolarlo lo masturba.
La scena cambia totalmente, diventa tranquillizzante. Francesco, come se nulla fosse, fa del footing e incontra una ragazza che si è infortunata. La conduce a casa e si sente attratto da lei. Poi la follia ha il sopravvento. Vuole possederla, però come se fosse la sua Anna e la porta nel letto accanto al corpo della fidanzata imbalsamata. Quando la ragazza si accorge della macabra situazione si mette a gridare terrorizzata. Francesco la uccide azzannandola al collo e dando vita a una nuova scena splatter. Accorre Iris e come sempre protegge il ragazzo aiutandolo a sbarazzarsi del corpo assassinato. I due complici gettano la ragazza nel forno e soltanto allora si accorgono che è ancora viva. La ragazza muore bruciata viva tra atroci tormenti. A questo punto Iris vorrebbe che Francesco si liberasse anche del corpo di Anna e che si sposasse con lei. Francesco le dice che la sposerà e che sarà la padrona di tutto, ma Anna starà sempre insieme a lui. Iris acconsente. Le basta diventare sua moglie, il suo scopo è quello di ereditare tutto. Intanto la polizia indaga sulla scomparsa della ragazza e durante la perquisizione una scarpa a tennis dimenticata potrebbe tradire i due, ma Iris provvede. Da segnalare anche una turpe festa di fidanzamento con una famiglia mostruosa che mangia maiale e altre prelibatezze, mentre Francesco dà segni sempre più visibili di pazzia. Il gruppo festeggia ma lui va dalla sua Anna e le mormora: “Staremo sempre insieme”. Ci sono accenni di necrofilia evidenti in gran parte del film e questo è uno dei più decisi, anche se Francesco non è tanto attratto dal cadavere quanto dal ricordo della fidanzata. Intanto il detective improvvisato approfitta di un momento di ubriachezza di Iris e continua le indagini. Ci sono dei bei momenti di tensione in questa parte, sempre sottolineate dalle musiche perfette dei Goblin. Alla fine delle ricerche trova il corpo di Anna che esce da un armadio e lo fotografa. Subito dopo notiamo una bella parte romantica. Iris chiama Anna “stupido pupazzo” e deve subire la reazione di Francesco che la picchia di brutto e le intima di andarsene. “Te ne pentirai”, fa lei tra i denti. Francesco ha occhi e cuore solo per la sua Anna, la bacia, le giura amore eterno. Queste parti si intersecano bene con lo splatter e il gore esibito senza remore e non sono mai eccessive. Anzi, conferiscono spessore al film e caratterizzano i personaggi, che non sono macchiette fumettistiche.
Francesco esce e finisce in un locale (la classica discoteca anni settanta-ottanta dove tutti ballano cose come La febbre del sabato sera), rimorchia un’altra ragazza che si salva la vita solo grazie a Teodora, la sorella di Anna. Francesco quando la vede è sconvolto perché è identica ad Anna (la parte di Teodora è interpretata sempre da Cinzia Monreale). Non aveva mai visto Teodora, che non era neppure al funerale perché studiava in un lontano collegio (una parte un po’ debole della sceneggiatura ma l’effetto sorpresa ci voleva…). Francesco è in grande agitazione. Crede che sia Anna. Iris fa sedere l’ospite, poi spegne la luce e tenta di assassinarla. “Non dovevi venire qui, questa casa è maledetta…”, dice. Una parte horror davvero notevole e la tensione è palpabile. D’Amato dà prova di grande abilità registica. Entra in scena anche Francesco che tenta di aiutare Teodora. Iris e Francesco si massacrano a vicenda a colpi di coltello, ci sono occhi strappati e carni dilaniate in un trionfo di splatter senza limiti. Iris muore e Francesco ne ha per poco ma riesce a portare via Teodora da quella stanza. Un bel finale a sorpresa, che se non avete visto il film e lo volete gustare fino in fondo, vi consiglio di non leggere. Arriva il detective e vede il massacro di Iris con il coltellaccio piantato nel petto, nell’altra stanza Francesco sta bruciando una vittima e subito dopo muore accanto al corpo senza vita di Anna (o di Teodora?). “Staremo sempre insieme”, le aveva detto. Il finale è ancora una volta romantico. Il detective è convinto che il corpo bruciato sia quello di una donna qualsiasi e si porta via il corpo che crede il cadavere di Anna. Soltanto nell’ultima sequenza si scopre che Francesco ha bruciato Anna e ha salvato Teodora. La sorella gemella esce di soprassalto dalla bara mentre i funzionari delle pompe funebri la stanno chiudendo. Forse Francesco ha creduto che Anna fosse risorta per tornare da lui e ha ritenuto inutile tenere un corpo imbalsamato.
Buio omega è davvero un ottimo film horror che consigliamo non soltanto a chi ama gli eccessi splatter. Non sono l’unico pregio del film. Tra questa pellicola e molti prodotti ibridi e informi, persino lavori statunitensi come “La casa”, c’è una differenza fatta di soggetto, di sceneggiatura e di caratterizzazione dei personaggi. Non vedrete un fumetto schizzasangue con Buio omega ma un vero film.
Da segnalare il flop al momento della sua uscita, forse era troppo duro ed eccessivo per il periodo storico, ma il film viene rivalutato sul finire degli anni Ottanta da fanzine e appassionati.
Piedone d’Egitto di Steno (1980), il film successivo nel quale recita Cinzia Monreale, ha come protagonista un Bud Spencer orfano di Terence Hill, impegnato in un’avventura nella parte del poliziotto napoletano che piaceva tanto ai ragazzini.
L’Aldilà di Lucio Fulci (1981) è un grandissimo film horror. Forse il migliore di Lucio Fulci (1927-1996), che conclude il discorso aperto con “Paura nella città dei morti viventi” a proposito delle porte dell’inferno. Un vero incubo a occhi aperti, visionario e crudele, onirico, che fa del soprannaturale la sua vera forza. Si esce davvero turbati dalla visione di questa pellicola. Lo stesso Fulci definiva L’Aldilà un film Artaudiano, riferendosi alle tecniche dei drammi del grande attore francese e alla sua estraneità dal reale. Cinzia Monreale recita sotto lo pseudonimo anglofono di Sarah Keller e interpreta in modo magistrale la parte di Emily. La Monreale è stata molto utilizzata dai registi dell’horror italiano, infatti la sua mimica facciale e la sua recitazione sono ideali per certe interpretazioni. Qui si cala a dovere nella parte di un essere infernale che cerca di far scappare Liza da un incubo, narrando la storia del pittore maledetto e della porta del male.
Regia: Lucio Fulci. Soggetto: Dardano Sacchetti. Sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Giogio Mariuzzo, Lucio Fulci. Scenografie e costumi: Massimo Lentini. Effetti speciali e trucco: Giannetto De Rossi. Montaggio: Vincenzo Tomassi. Fotografia: Segio Salvati. Musiche: Fabio Frizzi. Produttore: Fabrizio De Angelis per Fulvia Film. Girato per gli interni nei Teatri De Paolis con la collaborazione di Louisiana Film.
Interpreti: David Warbeck (dott. John Mac Cabe), Katherine Mac Coll (Liza Merrill), Sarah Keller (alias Cinzia Monreale è Emily), Antoine Saint John, Veronica Lazar, Anthony Flees, Giovanni De Nava, Al Cliver (alias Pier Luigi Conti), Michele Mirabella, Giampaolo Saccarola, Maria Pia Marsala, Laura De Marchi.
Il prologo si svolge nella Louisiana del 1927 e porta subito in primo piano il “Libro di Eibon” con le sue profezie che si tramandano da quattromila anni. Una ragazza di nome Emily legge il libro nella parte che narra delle sette porte dell’inferno, poste in sette luoghi maledetti. Intanto all’albergo “Le sette porte” (il nome è più che indicativo…) si sta consumando un atroce delitto. Un pittore maledetto che ha fama di stregone viene catturato nella stanza 36 da un gruppo di popolani inferociti. Il pittore sta dipingendo un quadro che rappresenta l’inferno e viene interrotto dalla improvvisa irruzione. Lui grida e maledice, dice di sapere che l’albergo è costruito sopra una delle sette porte del male, ma gli aguzzini non si fermano. Il pittore viene colpito da catene che gli devastano le carni in un tripudio di sangue che Fulci descrive con dovizia di particolari. Quindi è trascinato nello scantinato e crocefisso alla parete con due grossi chiodi e cosparso di calce viva che gli sfigura il volto. Quando il pittore maledetto è murato vivo divampa un incendio che brucia tutto, persino il “Libro di Eibon” tra le mani di Emily. “Guai a chi aprirà una delle sette porte dell’inferno”, dice una voce fuori campo.
Pare che questo prologo in origine fosse più lungo e che spiegasse meglio tante cose sul pittore maledetto, inoltre venne girato in bianco e nero e colorato dopo. L’antefatto comunque serve a far capire che in quel luogo c’è una porta infernale e quella è la chiave di volta del film.
Si passa alla Louisiana nel 1981 e conosciamo Liza Merrill che ha ereditato l’albergo e sta lavorando per ristrutturarlo. Accadono subito strani fatti. Un operaio muore dopo una caduta da un’impalcatura, impaurito per aver visto in una stanza dell’albergo una ragazza con gli occhi bianchi, una specie di essere infernale. Entra in scena il dottor John Mac Cabe che prova a curare l’uomo e lo porta in ospedale. Diciamo subito che i due attori principali sono molto bravi e ben calati nella parte. David Warbeck forse accusa alcune pause in una recitazione troppo impostata, ma Katherine Mac Coll è perfetta nel ruolo di una donna che passa dall’entusiasmo per l’eredità ricevuta al terrore davanti all’ossessione che è costretta a vivere. Altri fatti strani continuano ad accadere nell’albergo infernale. Un campanello suona dalla stanza numero 36 e dentro non c’è nessuno. Liza pensa a un falso contatto. Un idraulico muore nello scantinato dove cerca di riparare una perdita. Si tratta del sotterraneo dove il pittore maledetto è stato murato vivo e infatti il suo spirito maligno è ancora là in una forma mostruosa e infernale. Una mano che pare di pietra tanto è coperta di calce viva afferra l’idraulico e lo uccide. Liza incontra una donna che ha un aspetto inquietante: le sue pupille sono sbiancate ed è in compagnia di un cane. La donna compare davanti a Liza come emersa dal nulla mentre lei percorre in auto una strada suggestiva che attraversa un enorme lago. Liza però non comprende che Emily è soltanto uno spettro, un essere che viene dall’Aldilà.
All’albergo viene ritrovato nella vasca da bagno completamente coperto d’acqua il cadavere dell’idraulico e anche quello decomposto del pittore. Vengono portati entrambi all’obitorio. La moglie dell’idraulico mentre veste il marito per il funerale grida di terrore perché vede un morto che si muove. La figlia entra nella stanza e resta impietrita davanti alla madre distesa sul pavimento e sfigurata in volto da un boccione di acido rovesciato. Un miscuglio di acido e di sangue della madre si dirige verso la bimba che si spaventa e comincia a darsi alla fuga. Davanti a una delle porte c’è un morto che si piega in avanti, lei si spaventa e grida. Una scena molto suggestiva e ben realizzata come effetti speciali. Cambio di scena e siamo al cimitero dove la bambina seppellisce i due genitori, la camera si ferma sui suoi occhi che sono diventati bianchi, privi di pupille come quelli di Emily. Questa è un’altra scena ottima, ad alta gradazione di suspense. L’inquadratura degli occhi sbiancati fa capire che la bambina è posseduta dai demoni. Si torna a Liza che incontra di nuovo Emily e viene a sapere tutta la storia dell’albergo e del pittore maledetto. Un lugubre lamento accompagna le parole di Emily: “Lui è qui. Lo sento respirare. Perché non hai voluto ascoltarmi? Dovevi andare via. Questa casa è costruita sopra una delle sette porte dell’inferno”. Suona un campanello dalla stanza 36, la camera dove il pittore è stato ucciso. Pare che lui sia tornato ed Emily ammonisce Liza di stare lontana da quel luogo. A conferma delle sue parole Emily versa sangue dalle mani come avesse le stigmate, così come uscì sangue dalle mani del pittore crocifisso. Liza invece sfonda la porta della stanza 36, trova il “Libro di Eibon” e mentre la porta cigola vede il pittore murato vivo e crocifisso al muro con il volto deturpato dalla calce viva. Fugge via terrorizzata, ma quando torna nella stanza insieme al dottor John Mac Cabe trova soltanto due chiodi e non c’è traccia di sangue, pure il libro è sparito. Pochi giorni dopo crede di vedere il “Libro di Eibon” nella vetrina di un sinistro antiquario, però quando entra e sfoglia le pagine si rende conto che si tratta di un altro libro. Continuano i lavori di ristrutturazione dell’albergo e l’architetto incaricato (un modesto Michele Mirabella che in seguito si dedicherà alla televisione) consulta le vecchie mappe in biblioteca. L’architetto scopre qualcosa che non doveva sapere, forse che nell’albergo c’è la porta del male, per questo motivo la scala cade e lui precipita al suolo stordito. La scena che segue è un piccolo capolavoro del macabro. Entra in azione uno stuolo di ragni giganti (sono finti ma davvero ben realizzati) che scarnificano il povero architetto uccidendolo a morsi e strappando brandelli di carne viva, le pupille e la lingua. La sequenza è ripresa con dovizia di particolari ed è molto ben costruita. Giannetto De Rossi supera se stesso e fa miracoli di effetti speciali. Quando l’architetto muore tra atroci dolori scompare pure la pianta dell’albergo. Il dottore viene a sapere che Emily non esiste e che la casa dove Liza dice di essere andata è disabitata da molti anni. Emily è morta lo stesso giorno del pittore mentre leggeva il “Libro di Eibon”, ma questo neppure John lo sa. Il dottore sospetta solo che Liza abbia raccontato un sacco di balle. La stanza 36 fa un’altra vittima. La donna delle pulizie mette una mano dentro la vasca da bagno per ripulirla dall’acqua torbida e compare il cadavere dell’idraulico zombizzato, uscito fuori dalla porta del male. Lo zombi spinge la testa della donna verso un chiodo conficcato nel muro e pare la scena di “Zombi 2” girata al contrario. La nuca della donna è sospinta lentamente verso il chiodo che le penetra il cranio ed esce dalla pupilla. Ottimi gli effetti gore.

Locandina dell’edizione in lingua inglese
Un’altra scena degna di nota è quella che vede Emily tormentata dagli spiriti del male che cerca di difendersi incitando il suo cane ad attaccare. Il cane in un primo tempo pare assecondarla, poi si rivolta contro la padrona e la morde al collo rispedendola definitivamente nel mondo dei morti. La scena è ben girata e c’è un silenzio thriller che contribuisce a creare un’atmosfera di tensione. A questo punto John va da Liza e la trova nel sotterraneo dell’albergo in preda al terrore perché è stata aggredita da uno spirito del male. John non ci crede e pensa che la donna sia una mitomane, poi però un’improvvisa tempesta di vento e sangue gli fa cambiare idea. Come viene pronunciata la parola “inferno” crolla ogni cosa, il dipinto maledetto, che raffigura una scena infernale tra deserto e cadaveri, comincia a sanguinare e un vento innaturale sconvolge il sotterraneo. “Ora tu affronterai il mare delle tenebre e ciò che vi è di inesplorabile”, dice una voce fuori campo. John e Liza si ritrovano in ospedale dove regna un silenzio innaturale e le stanze sono in preda a zombi vaganti che colpiscono e uccidono. L’idea degli zombi fu della produzione e Fulci ne avrebbe fatto volentieri a meno. Pare che li impose la distribuzione tedesca per motivi di vendita sul loro mercato. A nostro parere queste scene con gli zombi lungo i corridoi dell’ospedale sono del tutto fuori luogo. John si mette a sparare ai morti viventi e ci sono le solite sequenze di sempre con gli zombi che si avvicinano e l’eroe di turno che fa il tiro a segno. John e Liza ritrovano la bambina ma si rendono conto che pure lei è uno spirito del male e che va abbattuta come gli altri zombi. Dopo numerose e inutili sparatorie contro gli zombi i due si ritrovano inspiegabilmente nel sotterraneo dell’albergo. A questo punto accade la cosa più incredibile e sconvolgente ma in sintonia con il modo in cui Fulci intendeva un finale di pellicola. John e Lisa finiscono dentro al quadro infernale del pittore maledetto e si ritrovano nel mondo dei morti. Ci sono voci lugubri che li chiamano, loro si voltano indietro e cercano di fuggire, ma si trovano la strada inesorabilmente chiusa da pareti invisibili. Sono intrappolati all’inferno che si presenta come una spettrale distesa infinita disseminata di cadaveri, lo stesso soggetto dipinto. John e Liza hanno varcato la settima porta del male e i loro occhi si sbiancano come quelli dei demoni. La voce fuori campo dice: “Ora affronterai il mare delle tenebre e ciò che vi è di inesplorabile”.
Non esiste lieto fine in questo horror soprannaturale di Fulci e come in “Paura nella città dei morti viventi” resta la consapevolezza che il male non si può sconfiggere e ha sempre la meglio sulle possibilità umane. La pellicola approfondisce un discorso già iniziato nel film precedente e apre la strada a lavori successivi di identico tenore. Si pensi per tutti a La Chiesa di Michele Soavi, al ciclo di Dèmoni di Lamberto Bava ma pure a film relativamente recenti come La nona porta di Roman Polanski (1999).
L’Aldilà ricalca alcune atmosfere già viste in Inferno di Dario Argento (1980) ma fa un discorso autonomo e soprattutto molto più orrorifico. Un pessimo critico di cinema dell’orrore come Domenico Cammarota definisce il film di Fulci “una commistione delirante pregna di rozzi contenutismi”, mentre in realtà proprio l’impianto surrealistico e ricco di citazioni letterarie lo rende un film pregevole. Confortati da un pezzo critico di Maurizio Maggioni (vero esperto di materie esoteriche) comparso nel volume “Tra magia e satanismo” edito da Il Foglio di Piombino nel 2002, diciamo che il film di Fulci è di sicuro debitore di autori horror come Frank Graegorius, Max Dave e Morton Sidney, del cinema “blood & gore” di Tobe Hooper e Michael Winner e del cinema fantastico di Pupi Avati. Ma i referenti più importanti sono il culto lovecraftiano degli Antichi e gli scrittori dei Miti apocalittici di Cthulhu della Corrente 777, specie il “Libro di Eibon” (The Book of Eibon) dell’omonimo stregone Eibon di Yperborea, adoratrice della nera Tsathoggua – Ecate (alias Clark Ashtin Smith). Lo stesso Maggioni dà un’interessante e originale interpretazione esoterica della pellicola e soprattutto della sorprendente scena finale.
Riportiamo per intero il suo pensiero. “La scena dantesca del passaggio di Liza e John all’inferno ricorda il deserto di Leng con la montagna di Kadath. L’altopiano di Leng è il luogo lovecraftiano dove la vita è una non vita e dove ogni cosa è artificiale e voluta dagli Antichi Signori. Questo luogo è accessibile solo agli eletti (come Lisa e John), mentre i profani vengono uccisi dai quattro demoni guardiani di Hualla. Il deserto di Leng riflette l’inconscio con i suoi mostri notturni, rappresentato dal Tridente di Shiva e dal castello di Kadath. Lisa e John, divenuti ciechi, mano nella mano vagano nel mondo sotterraneo della Morte prigionieri per l’eternità in quella macabra, raggelante dimensione”.
L’interpretazione è affascinante e condivisibile anche perché Fulci si ispira molto a Lovecraft, quindi certe cose le conosceva di sicuro.
Tornando a un tipo di critica più cinematografica e tradizionale diciamo che il film piace a Paolo Mereghetti che gli concede due stelle e mezzo e definisce la pellicola “un horror libero e anarchico, tra i più visionari del fantastico italiano e capace di creare un mondo in preda a un caos apocalittico al di fuori di qualunque logica interna o esterna al genere”. Mereghetti cita pure alcuni difetti condivisibili come quello sull’inutile inserimento dello capitolo zombesco, realizzato su pressione del distributore tedesco. Il film piace persino a Tullio Kezich che su Panorama lo recensisce quasi bene, pure se sottolinea “la banalità dei contenuti e il cattivo gusto sanguinolento” ma salvando “una scrittura filmica efficace e persino elegante”.
A nostro giudizio si tratta di uno dei migliori film di Fulci e in assoluto di uno dei più riusciti horror soprannaturali italiani. Metafisico, lirico, crudele e ispirato, visionario e onirico. “Un film artaudiano” come disse Alberto Moravia e come amava ripetere Fulci. Gli effetti speciali ad alti livelli di Giannetto De Rossi e una perfetta ambientazione in una spettrale e paludosa Louisiana contribuiscono a rendere grande il film. Un finale suggestivo e lirico (a parte gli zombi) rende la pellicola indimenticabile, soprattutto perché si arriva alla scioccante conclusione dopo una serie di scene efferate ben costruite. Condividiamo in pieno il giudizio di Antonio Tentori che definisce L’Aldilà “un horror assoluto che sfugge a qualsiasi struttura tradizionale”.
Video con il finale del film:
I guerrieri dell’anno 2072 di Lucio Fulci (1983) è un film scritto da Dardano Sacchetti ed Elisa Briganti con le stupende musiche di Riz Ortolani, interpretato da Jared Martin ed Eleonora Brigliadori. I guerrieri dell’Anno 2072 è considerato un capolavoro del fantastico all’italiana, un postatomico che si svolge in un futuro dove Roma ha un ruolo di potere imperiale. Ci sono i network televisivi che gestiscono le riprese degli scontri tra gladiatori al Colosseo. I detrattori dicono che è un clone di “1997: Fuga da New York”, facendo derivare il film da un filone apocalittico tutto nostrano che fonde il film di John Carpenter con “I guerrieri della notte” di Walter Hill. Alla base c’è la buona idea della televisione che nel futuro avrebbe portato sempre più violenza e che ci avrebbe seguito ovunque. Pure Joe D’Amato, come anche Enzo G. Castellari, fece qualcosa di simile con “Anno 2020: I gladiatori del futuro”. La parte della protagonista è di Eleonora Brigliadori, mentre Cinzia Monreale si limita al ruolo di comprimaria.
La bella attrice genovese consolida il rapporto con Lucio Fulci e nel 1989 interpreta La dolce casa degli orrori, un film horror per la televisione con protagonisti due bambini che vendicano la misteriosa morte dei genitori.
Due giovani sposi vengono barbaramente uccisi durante la notte da alcuni ladri. I loro piccoli, un maschietto e una femminuccia, rimangono orfani e sono adottati dagli zii, che decidono di trasferirsi nella casa dove si consumò il fatto di sangue. Nella dimora, però, accadono strani fatti: i bambini sembrano vedere gli spettri dei defunti genitori e mentre l’angoscia sale un prete esorcista cercherà di disinfestare il luogo. Ma dovrà fare i conti con spettri vendicatori decisi a tutti i costi a svelare l’identità dei loro assassini, grazie al contatto medianico instaurato con i bambini.
Negli anni ottanta dobbiamo registrare alcuni film interpretati da Cinzia Monreale e mai usciti, come Illusione (1983) e Cat’s (1985) del regista torinese Alex Carmeno (1983).
Illusione è una storia di magia e reincarnazione che Manlio Gomarasca in “99 Donne” definisce “alquanto confusa e pretenziosa”. Cat’s invece è “una sorta di pièce teatrale girata quasi del tutto in interni, dalle vaghe sfumature gialle”. Sono ancora parole di Gomarasca. Ci fidiamo di lui, anche perché i due film non li abbiamo visti.
Citiamo per completezza anche Passione coniugale di Mario Forges Davanzati (1984), Sotto il ristorante cinese di Bruno Bozzetto (1987); i film d’autore Nel continente nero di Marco Risi (1992) e Diario di un vizio di Marco Ferreri (1993).
Ritorno dalla morte – Frankenstein 2000 di Joe D’Amato (1992) è un bel film horror dove la Monreale interpreta una donna finita in coma dopo un tentativo di stupro, che si vendica attraverso i suoi poteri mentali. Ritorno dalla morte non è mai uscito nelle sale, a parte una sporadica apparizione al Fantafestival romano del 1992, dove non riscosse molti consensi. Il lavoro pare concepito come una sorta di omaggio a Buio omega, il capolavoro horror di Massaccesi. C’è la stessa ambientazione in una piccola cittadina austriaca, assistiamo a un’autopsia dettagliatissima e infine la protagonista femminile è sempre Cinzia Monreale, bella come tredici anni prima, quasi che il tempo non fosse passato. L’affascinante Cinzia Monreale, oltretutto, è interprete di grande bravura sia nelle scene di violenza che nelle parti oniriche da incubo. Il film ruota attorno ai due attori principali, gli altri sono soltanto comparse che restano nell’ombra.
Cinzia Monreale interpreta il pessimo Kreola di Antonio Bonifacio (1993) insieme a Demetra Hampton, che è la vera protagonista di un film girato a Santo Domingo. Potrebbe essere un ritorno di fiamma al cinema erotico, ma i nudi sono solo della Hampton (molto ingrassata dopo la serie di “Valentina” per la televisione e poco interessata al film), di Cristina Garavaglia e di Cristina Rinaldi. Cinzia Monreale ricopre la parte castigatissima della romanziera e non si spoglia mai. Bonifacio è il primo ad ammettere che il suo film è un “semi-disastro”, anche perché lo gira in grande economia.
La sindrome di Stendhal di Dario Argento (1997) conclude la carriera di Cinzia Monreale, che recita nel suo ultimo film dell’orrore la parte della inconsapevole moglie del killer Thomas Kretschmann.
FILMOGRAFIA DI CINZIA MONREALE
Per amore di Cesarina di Vittorio Sindoni (1975)
Perdutamente tuo… mi firmo Macaluso Carmelo fu Giuseppe di Vittorio Sindoni (1976)
Quel movimento che mi piace tanto di Franco Rossetti (1976)
Bermude, la fossa maledetta di Tonino Ricci (1978)
Sella d’argento di Lucio Fulci (1978)
Buio omega di Joe D’Amato (1979)
Piedone d’Egitto di Steno (1980)
L’Aldilà di Lucio Fulci (1981)
I guerrieri dell’anno 2072 di Lucio Fulci (1983)
Illusione di Alex Carmeno (1983)
Passione coniugale di Mario Forges Davanzati (1984)
Cat’s di Alex Carmeieo (1985)
Sotto il ristorante cinese di Bruno Bozzetto (1987)
La dolce casa degli orrori di Lucio Fulci (1989)
Nel continente nero di Marco Risi (1992)
Ritorno dalla morte – Frankenstein 2000 di Joe D’Amato (1992)
Diario di un vizio di Marco Ferreri (1993)
Kreola di Antonio Bonifacio (1993)
La sindrome di Stendhal di Dario Argento (1997)
Gordiano Lupi è autore, tra l’altro, di “Storia del cinema horror italiano. Da Mario Bava a Stefano Simone”, editore Il Foglio 2012 e di “Filmare la morte. Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci”, editore Il Foglio 2006.
Bellissimo articolo, complimenti!
Questo mondo Horror fa parte della mia formazione artistica.
Da ragazzo sono stato influenzato dall’amico videomakers prematuramente scomparso Fabio Salerno ed ho disegnato parecchie locandine dei suoi film anni 80.
Nostalgia.