CLAUDIO DE MOLINIS GIRA CON LILLI CARATI

CLAUDIO DE MOLINIS GIRA CON LILLI CARATI

Il regista Claudio Giorgiutti, più conosciuto con il nome d’arte Claudio De Molinis, ha svolto ruoli diversi nel mondo dello spettacolo.

Inizialmente attore di fotoromanzi, dagli occhi azzurri e il viso interessante, passa a interpretare qualche film, poi fa il segretario di produzione e l’aiuto regista per Il mondo dei sensi di Emy Yong, di Bitto Albertini.
Alla regia debutta nel 1974 con Ancora una volta… a Venezia, un suo soggetto che sceneggia, dirige e interpreta. Bissando nel 1975 con L’unica legge in cui credo.
Un nuovo lavoro nel 1978 (American Fever, pure soggetto), anno che si ricorda per il suo miglior film (Candido erotico).
La sua carriera dietro la macchina da presa si chiude nel 1980 con C’è un fantasma nel mio letto e Tranquille donne di campagna.
Claudio Giorgiutti si firma spesso Claudio Giorgi e Claudio De Molinis, in onore alla terra natia (Molinis Di Tarcento, Udine, 1944).

 

Ancora una volta… a Venezia (1974)

Come Claudio De Molinis debutta alla regia con Ancora una volta… a Venezia (1974), un suo soggetto sceneggiato con Cesare Frugoni, solo in parte ascrivibile al genere strappacuore, perché risultano prevalenti elementi sentimentali e da fumettone giallo-rosa con imprevedibili variazioni drammatiche.

Forse fotoromanzo cinematografico è la definizione giusta per un simile prodotto, una telenovela con poco spessore che cerca senza riuscirvi di affrontare l’eterno binomio amore e morte. Il solo elemento che riconduce al lacrima movie è il bambino che muore, il piccolo Francesco (Sven Valsecchi). Non dopo lunga malattia e agonia terminale, ma per un’assurda iniezione praticata da maldestri rapitori.

Possiamo aggiungere l’ambientazione in un mondo di ricchi, nell’alta società imprenditoriale, tra corsi di equitazione e giornate in villa serviti da domestici.
A un certo punto il regista inserisce una giostra per bambini, elemento ricorrente nei lacrima movie, ma in questo caso non determinante.

Il film racconta la lunga storia d’amore tra Franco (Dani) e Laura (Katiuscia), studenti innamorati a Venezia, che si perdono quando il primo trova lavoro a Roma. Si rivedono alcuni anni dopo, quando Laura viene assunta come domestica per accudire il piccolo figlio di Franco. Laura scopre che Franco ha sposato la figlia del padrone facendo carriera in azienda. Ora è un uomo ricco, un architetto di successo. Anche se le cose in famiglia non vanno molto bene.

Franco ama il figlio, anche dopo aver scoperto che non è il vero padre, ma il rapporto con la moglie Elisabetta è ai minimi termini e a un certo punto il regista semina il dubbio che il marito voglia liberarsene con metodi illeciti. In realtà chi trama contro la donna è il fratello soffocato dai debiti, che, insieme a un amico (il vero padre del bambino) e alla segretaria, rapisce il piccolo Francesco e chiede un riscatto miliardario.

La situazione precipita quando il piccolo muore e la banda viene arrestata dopo la denuncia della segretaria, che rifiuta di partecipare a un gioco diventato troppo pericoloso. La madre di Francesco si uccide per il rimorso di coscienza, Franco torna a Venezia dove ritrova Laura che nel frattempo se n’era andata, e sembra che possano rimettere in piedi la loro grande storia d’amore. Ancora una volta… a Venezia, appunto.

Un film modesto interpretato da un attore con la faccia pulita come Franco Dani e da belle presenze (ma non grandi attori) come Katiuscia (Caterina Piretti, 1957, nota ai lettori dei fotoromanzi della Lancio e di Grand Hotel), la croata Rajka Juri (Zagabria, 1944, madre del piccolo, come ne L’ultima neve di primavera) e Loredana Nusciak (1942 – 2006, vero cognome Cappelletti, protagonista del Django di Corbucci, 1966), oltre al piccolo Sven Valsecchi (Il venditore di palloncini, Nené, Sella d’argento, Gli esecutori) che ricorda molto Renato Cestié.
Vediamo per un attimo anche il regista, che si ritaglia un cammeo nei panni di un picchiatore.

Le cose migliori della pellicola sono la fotografia lagunare, flou e anticata, con colorazioni dorate e nebbiose, ma anche una discreta colonna sonora, una tantum pop invece che sinfonica. Molti flashback intensi raccontano una storia d’amore giovanile e alcune discrete parti oniriche citano il cinema nero italiano, con gli incubi di Laura che vede l’ex fidanzato nei panni di un killer.

Soggetto e sceneggiatura da fotoromanzo, come abbiamo detto, caratterizzati da un susseguirsi di tragedie che conducono verso un improbabile lieto fine. Ancora una volta… a Venezia è un film dignitoso che ha il difetto di voler conciliare troppi generi in un solo contenitore, mostrando la corda in una tragedia troppo repentina e in un finale troppo romantico.

 

Due film minori di Claudio De Molinis

L’unica legge in cui credo (1975) è un droga movie, scritto, sceneggiato e interpretato dal regista con il nome Claudio Giorgi. Un dramma a tinte fosche che narra la storia di una ragazza morta per overdose e di un’indagine per scoprire il colpevole condotta dal fratello nel mondo dello spaccio.
Tra le interpreti Raija Juri, Michela Roc e Katiuscia (famosa per i Caroselli).

CLAUDIO DE MOLINIS GIRA CON LILLI CARATI

American Fever (1978) è un John Travolta movie girato sulla scia del successo de La febbre del sabato sera, che vede protagonista Mircha Carven e Zora Kerowa, con la partecipazione di Vincenzo Crocitti.
Scritto dal regista, sceneggiato insieme a Luigi Montefiori. Tony (Carven) è un meccanico che sfoggia abitudini nordamericane, compie mille evoluzioni in balera, fino al giorno in cui si innamora della bella cecoslovacca Zora Kerowa (al debutto in Italia).

 

Candido erotico (1978)

Il miglior film di Claudio De Molinis è Candido erotico (1978), un melodramma erotico a tinte romantiche pervaso da un erotismo malsano e ricco di graffianti messaggi antiborghesi.

Carlo (Carven) è un sexy performer italiano (di Rovigo) che trova lavoro in un sex shop di Copenaghen, dove incontra la vecchia fiamma Veronique (Maria Baxa), fotografa “perversa” che ha sposato il vizioso Paul (Guglielmi), padre di una figlia modello come Charlotte (Lilli Carati).

CLAUDIO DE MOLINIS GIRA CON LILLI CARATI

Veronique e Paul amano far l’amore in tre con la collaborazione di Carlo, su richiesta del marit: uomo “moralmente rispettabile”, che sfoggia “alti valori” in pubblico. Vizi privati e pubbliche virtù. Charlotte e Carlo si conoscono, si innamorano e decidono di sposarsi. Vanno in viaggio di nozze a Roma, ma si accorgono che il rapporto erotico non funziona. Carlo può possedere Charlotte soltanto in presenza di estranei (“ormai è marcio”, dice Veronique).

Un giorno Charlotte scopre l’intrallazzo erotico tra il padre, la matrigna e il marito, ultimo colpo per la sua traballante psiche. Carlo e Charlotte riescono a far l’amore in pubblico, durante uno spettacolo, ma è il preludio della fine, perché la ragazza decide di fuggire verso una nuova vita.

Tra gli interpreti segnaliamo il transgender Ajita Wilson, che si nota in alcuni plastici nudi nel ruolo di sexy performer. Molto bravo lo statunitense Carven, che nel cinema italiano non ha fatto molto (Al di là del bene e del male, Cattivi pensieri, Bluff…), ma che in questo film canta persino la canzone country dei titoli di testa e di coda.

Bravissima Lilli Carati, sensuale e ispirata, ben calata nella parte della studentessa innamorata: ottima interprete di sequenze erotiche “perverse” e piuttosto hot.
Maria Baxa è affascinante, una deliziosa slava di Belgrado che ha lavorato quasi esclusivamente nel campo dell’erotico e del poliziottesco.

CLAUDIO DE MOLINIS GIRA CON LILLI CARATI

Lilli Carati e Maria Baxa

Convince anche Marco Guglielmi in una parte per lui insolita di padre “perverso” che contempla brevi sequenze erotiche. Fernando Cerulli è a suo agio in un ruolo da voyeur, che apprezziamo durante un rapporto tra Carven e Carati all’interno di un vagone ferroviario.

Il film è ben ambientato in una Copenaghen gelida, fotografata con toni nitidi che volgono in ocra per immortalare il tramonto. Bravo Emilio Loffredo che riesce a passare dal panorama surreale di un Luna Park in abbandono ai quartieri a luce rosse, divagando per boschi, laghi, fiumi e campagna verdeggiante.

Ottima la colonna sonora di Nico Fidenco, suadente e romantica, con pezzi di pianoforte e struggenti assolo di tromba. Le coreografie erotiche sono ben fatte, non disturbano, interpretate con disinvoltura sul palcoscenico di un night.

La parte erotica è girata con perizia insolita per De Molinis, soprattutto le sequenze con i voyeur di turno (il pescatore e il viaggiatore) sono intense e scabrose al punto giusto. Molti nudi plastici e decorativi, ma anche tanto erotismo raffinato, patinato, realizzato con gusto.

Al tempo stesso la parte romantica è confezionata con passione e la storia convince, si lascia seguire con trasporto. Sguardi che si incrociano, primi piani intensi dei protagonisti, da film romantico, stile Love Story.

Luigi Bernardi (scrittore ed esperto di fumetti che ci ha lasciati troppo presto) scrive un soggetto interessante e originale, un’insolita storia d’amore impossibile tra due persone che si amano, con la variante della gelosia della vecchia amante, matrigna della figlia che contrasta il rapporto.

Candido erotico (rende molto di più il titolo inglese A man for sale, “un uomo in vendita”) a tratti ricorda il clima dei lacrima movie e infatti l’amore impossibile finisce in lacrime dopo la consumazione del rapporto in pubblico, perché entrambi comprendono di non poter vivere insieme.

Melodrammatico il finale che vede Carven specchiarsi con tristezza in camerino e togliersi il trucco di scena, mentre un ispirato montaggio alterna immagini della ragazza che fugge dalla sua vita. Molti messaggi politici in funzione antiborghese, contro l’ipocrisia dei benpensanti, che lasciano il posto a lunghe corse sul mare e passeggiate romantiche, ma anche a intense parti erotiche.

Non mancano sequenze psichedeliche e oniriche, festini e orge a base di coca, spinelli e sesso che si interrompono in visioni romantiche della donna amata. De Molinis (o meglio Bernardi) cita persino il filosofo Hobbes: “Non credo in Dio, ma nell’uomo e nella bestia che c’è in lui”. Molti piani sequenza struggenti e poetici rendono quasi unico questo melodramma erotico-esistenziale che consigliamo di recuperare e di rivedere senza i pregiudizi tipici della critica con la puzza sotto il naso. Per tutti, Mereghetti che lo definisce kitsch e moralistico.

 

C’è un fantasma nel mio letto (1980)

La critica italiana e quella spagnola è concorde nello stroncare senza prova d’appello C’è un fantasma nel mio letto (1980), un film comico-erotico-fantastico, realizzato partendo da identiche suggestioni del contemporaneo Bollenti spiriti di Giorgio Capitani.

Vincenzo Crocitti e Lilli Carati sono Camillo e Adelaide, due sposi novelli in vacanza in Inghilterra (in realtà siamo dalle parti di Bolsena). Si ritrovano in mezzo alla nebbia e subiscono un incidente, quindi sono costretti a trovare rifugio in un castello perché l’unica locanda del paese è al completo.

Nella magione viveva un barone sessodipendente (Montagnani) morto per un eccesso erotico, che insieme al servo deforme (Crivello) tormenta gli ospiti, e grazie ad alcuni stratagemmi finisce più volte a letto con la bella mogliettina. Si tratta di un fantasma fisicamente tangibile. Camillo non riesce a consumare il matrimonio, mentre la moglie è convinta di amoreggiare con il marito e si meraviglia della sua virilità.

Alla fine, grazie a uno scherzo del servo, l’umanissimo fantasma si addormenta, mentre Camillo beve una bevanda energetica che gli consente di fare sesso non solo con Adelaide ma anche con le altre donne del castello, baronessa e serva compresa.

La conclusione è che le vicende narrate erano soltanto un sogno di Crocitti, dopo aver battuto la testa, ma al risveglio la visione di un castello in mezzo alla nebbia spinge la coppia a interrompere il viaggio. Tutto potrebbe accadere davvero…

Inutile raccontare particolari di una trama che nasce da un soggetto scontato di Gianni Simonelli, sviluppandosi su sentieri ancor più prevedibili raccontati per immagini dagli spagnoli Luis Maria Delgado e Jesus R. Folgar.

Renzo Montagnani è bravo ma può fare poco per sollevare il tasso di comicità di una pochade in salsa fantastica, ricca di nudi integrali, ma povera di idee. Confezionata a base di fast-motion e sequenze che sembrano prelevate dalle comiche del periodo muto.

Una nota di merito per il coraggioso stuntman Franco Salomon, impegnato in una lunga e pericolosa sequenza a bordo di una moto scatenata, resa indomabile dai poteri magici del fantasma. Vincenzo Crocitti è insolitamente protagonista, ma si limita a svolgere con diligenza il ruolo per cui è noto come caratterista: il marito imbranato.

Lilli Carati è doppiata fuori sincronia, mentre non recita male con il corpo, complice una sfolgorante bellezza che le permette di mostrarsi nuda mentre fa il bagno in vasca e quando amoreggia con il fantasma.
Interessanti da un punto di vista erotico alcune sequenze al tavolino dove la macchina da presa funziona come soggettiva del fantasma e si spinge a perlustrare le zone più recondite del corpo di Lilli Carati.

Tra le attrici ricordiamo le spagnole Vanessa Hidalgo e Alejandra Grepi, che non disdegnano nudi integrali, mentre Luciana Turina è più morigerata, ma finisce a letto con il servo del fantasma e, nel finale, con un infoiato Crocitti.

C’è un fantasma nel mio letto è un comico-erotico di modesta fattura, che comunque gode delle buone musiche di Piero Umiliani (persino La cavalleria rusticana) e della presenza di due attori come Renzo Montagnani e Lilli Carati.

Molto “fumettistico”, zeppo di ammiccamenti alle convenzioni di commedia sexy e western, impregnato di soggettive da cartone animato, narrato con tono grottesco e molto sopra le righe. Paragonato a molte commedie italiane contemporanee, il film di De Molinis esce vincitore, ma il suo tasso di comicità è inferiore alla media. Consigliato soprattutto per chi vuole ammirare la bellezza di Lilli Carati.

 

Tranquille donne di campagna (1980)

Dramma psicologico ambientato nella campagna padana ai tempi del fascismo con qualche ambizione d’autore e solo per questo merita di essere riscoperto.
Tranquille donne di campagna (1980) è caratterizzato da una buona introspezione psicologica dei personaggi e da una marcata componente erotica.


La storia racconta le vicissitudini campestri di Guido (Leroy), capo famiglia fascista amorale e risoluto che frequenta prostitute. Tratta la moglie (Podestà) da serva e tiene la ricca cognata (Scarpitta) come amante da spolpare per le sue necessità economiche. Il rapporto con il figlio Alberto (Borromeo) è pessimo, violento, privo d’amore, da vero padre-padrone che vorrebbe un ragazzo di ben altra tempra.

Quando giunge al casolare Gloria (Dionisio), la nipote della cognata, il bestiale Guido finisce per violentarla, a suo dire per punirla di una mancanza di rispetto. Finale truce, con immancabile vendetta delle donne e del figlio, consumata nella stalla del casolare.

La sceneggiatura è dettata da ritmi lenti, come caratteristica del genere, ma si susseguono colpi di scena e situazioni impensate. Il montaggio di Lucidi è funzionale alla storia, la fotografia di Loffredo varia colorazione durante gli intensi flashback nei quali il figlio sogna di uccidere il padre e di possedere la madre.

De Molinis sviscera il freudiano complesso di Edipo, citando il mito greco in una battuta pronunciata da Scarpitta (ottima in un ruolo da attrice decaduta), descrivendo con cura il personaggio di un figlio problematico.

Tutti gli altri protagonisti sono monodimensionali, sia Leroy (padre troppo perverso) che Podestà (madre troppo remissiva). Silvia Dionisio non sta molto sulla scena, interpreta una parte erotica piuttosto calda insieme al giovane Borromeo, ed è spontanea durante la non facile sequenza della violenza carnale. Sono i suoi ultimi film, prima di lasciare le scene nel 1984, ma ci regala una partecipazione abbastanza interessante.
La pellicola si ricorda anche per il debutto di Serena Grandi, nei panni della disinibita cameriera Aida.

Musica d’epoca di Enrique-Topez, che cita canzonette alla moda di Rabagliati (Ma le gambe…) e inni fascisti (Tripoli), conferendo alla pellicola la giusta ambientazione sonora, già perfetta nella certosina ricostruzione di ambienti, auto e abbigliamento.
Un film da rivedere, sia per il valore storico sia per la tensione erotica. Senza dimenticare i risvolti da psico-thriller, tipici di quella commistione di generi che tanto affascinava Claudio De Molinis.

 

Schede dei film di Claudio De Molinis

Ancora una volta… a Venezia (1974)
Regia: Claudio Giorgi. Soggetto e Sceneggiatura: Claudio Giorgi, Cesare Frugoni. Montaggio: Enzo Micarelli. Fotografia: Alvaro Lanzoni. Musiche: I Meno Uno. Direzione Musiche: Claudio Gizzi. Edizioni Musicali: La Voce del Padrone. Scenografie e Costumi: Cristina Lorenzi. Fonico: Luigi Groppo. Direttore di Produzione: Giovanni Di Clemente. Aiuto Regista: Mario Sigmund. Operatore alla Macchina: Paolo D’Ottavi. Fotografo di Scena: Enrico Appetito. Produzione: Polo Film. Teatri di Posa: Cave Film Studio. Esterni: Venezia, Roma. Sincronizzazione. Nuovo Studio Econ. Colore: Telecolor. Doppiaggio: C.D.
Interpreti: Franco Dani, Katiuscia (Caterina Piretti), Raika Juri, Gianni Vannicola, Sven Valsecchi, Loredana Nusciak (Loredana Cappelletti), Paolo Casella, Ugo Giorgetti, Frank O’ Neil.

Candido erotico (1978)
Regia: Claudio De Molinis (Claudio Giorgiutti). Soggetto: Franca Rodolfi, Luigi Bernardi. Sceneggiatura: Romano Bernardi. Montaggio: Giancarlo Venarucci. Fotografia: Emilio Loffredo (Technicolor). Musica: Nico Fidenco. Direzione Musiche: Guido Dell’Orso (Edizioni Musicali West). Canzone Titoli: Devious Man (Reidcollin – Fidenco), cantata da Mircha Carven. Scenografia: Marco Canevari. Costumi: Massimo Lentini. Produttore: Dino Di Salvo. Casa di Produzione: Polo Film. Presentano: Dante Fava, Francesco Antonelli Incalzi. Direttore di Produzione: Placido Di Salvo. Assistenti alla Produzione: David Pash, Luigi Groppo. Assistente alla Regia: Mario Sigmund. Operatore alla Macchina: Massimo Di Venanzo. Versione Inglese: Marvel Sound (Roma), diretta da Cesare mancini. Interni: De Paolis – Incir (Roma). Esterni: Copenaghen, Milano, Roma. Negativi: Kodak, Eastmancolor. Titolo Estero: A man for sale.
Interpreti: Lilli Carati (Charlotte), Mircha Carven (Carlo), Marco Guglielmi (Paul), Ajita Wilson (sex performer), Maria Baxa (Veronique), Fernando Cerulli (voyeur in treno), Carlos Albert Valles, Lionello Pio Di Savoia, Filippo Perego.

C’è un fantasma nel mio letto (1980)
Regia: Claudio De Molinis (Claudio Giorgiutti). Soggetto: Gianni Simonelli. Sceneggiatura: Luis Maria Delgado, Jesus R. Folgar. Fotografia: Raul PerezCubero. Montaggio: Giorgio Serralonga. Operatori: Emilio Loffredo, Giuseppe Tinelli. Fotografo di Scena: Enzo Savino. Stuntman: Franco Salomon. Scenografia: Gonzalo Garcia Flano. Costumi: Susanna Micozzi. Edizione Italiana: Manlio Camastro. Musica: Piero Umiliani. Edizioni Musicali: Nazionalmusic. Direttore di Produzione: Mauro Ruspantini. Produzione: Italia/ Spagna. Case di Produzione: Telecinema 80 (Italia). Victory Film (Madrid). Teatri di Posa: Incir De Paolis. Effetti Speciali: Mario Bernardo. Distribuzione: Cinedaf.
Interpreti: Lilli Carati, Renzo Montagnani, Vincenzo Crocitti, Vanessa Hidalgo, Guerrino Crivello, AlejandraGrepi, Giacomo Assandri, Luciana Turina.

Tranquille donne di campagna (1980)
Regia: Claudio De Molinis. Durata: 91’. Genere: Erotico, Storico, Drammatico. Soggetto e Sceneggiatura: Giancarlo Corsoni, Nicola Fiore, Mario Sigmund. Fotografia: Emilio Loffredo. Montaggio: Alessandro Lucidi. Musiche: Enrique-Topez. Costumi: Chiara Ghigi. Scenografia: Giovanni Sbaraccani, Paolo Busiri Vici. Trucco: Gloria Fava. Casa di Produzione: Black Horse International. Distribuzione Italia. Cinedaf.
Interpreti: Philippe Leroy (Guido, doppiato da Pino Locchi), Rossana Podestà (Anna), Carmen Scarpitta (Floriana), Christian Borromeo (Alberto), Silvia Dionisio (Gloria, doppiata da Vittoria Febbi), Germana Savo (Elisa), Serena Grandi (Aida), Silvano Tranquilli (prefetto), Mario Maranzana (medico), Daniel Gohl (Antonio), Elisa Mainardi (Nena), Antonio Serrano.

 

Gordiano Lupi, autore dell’articolo, ha scritto “Gloria Guida, Il sogno biondo di una generazione”, La cineteca di Caino

 

 

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