EVERYTHING EVERYTHING, IL SUONO DEL CONTEMPORANEO

Nella scorsa recensione, parlando di “Ha perso la città” di Niccolò Fabi (a cui vanno le mie più sincere congratulazioni per avere vinto il Premio Tenco per il miglior album), scrivevo di quanto sia importante per un cantautore l’essere ben sintonizzato con la realtà che lo circonda. Il brano di Fabi descrive la cupa, gretta e alienante situazione in cui sono sprofondate le città italiane, attraverso un testo diretto e una musica folk malinconica. Non tutti i musicisti tentano di dipingere la società attuale in maniera così puntuale. A volte di un brano non si percepisce la tematica precisa, ma l’emozione generale che lo pervade comunica qualcosa di profondo che penetra non tramite stimoli definiti, ma con un insieme di singoli fattori.

Alzi la mano chi conosce gli Everything Everything. Troppo pochi, non va bene.

Gli Everything Everything sono un quartetto di Manchester che ha all’attivo tre album (“Man alive” del 2010, il bellissimo “Arc” del 2013 e “Get to heaven” del 2015), e di loro è appena uscito un nuovo singolo intitolato “I believe it now”.
Ascoltando questi lavori ho maturato la sensazione che la loro musica sia la colonna sonora perfetta per la frenesia della società attuale. Eppure nessuno dei loro brani ha una tematica chiara ed esplicita come quella del brano di Fabi: i loro testi sono un insieme ermetico di immagini surreali e di frasi forti e penetranti.
Prendo un brano che amo molto, “No reptiles”, per spiegarmi meglio: il pezzo inizia con alcuni versi cantati in un frenetico falsetto (caratteristica peculiare del cantante Jonathan Higgs) che accosta rapidamente svariate scene confuse fino a sfociare in una frase come “I’m going to kill a stranger, so don’t you be a stranger”.
Come non trovare uno specchio della strisciante xenofobia in queste parole? Il ritornello evoca, nella sua parte finale, la ricerca della “strada che porta a casa” e della saggezza necessaria a conoscere se stessi. Frenesia, violenza, bisogno di ritrovare se stessi. Un ritratto piuttosto preciso della società attuale. Se a questi contenuti si abbina una musica che fa un uso abbondante di suoni elettronici, di ritmiche sincopate, di chitarre nervose e di melodie che compiono salti di ottava da registri bassi a falsetti acutissimi con gran disinvoltura, la sensazione di trovarsi davanti a una trascrizione in musica di ciò che ci circonda si fa ancora più forte.

Quando mi sono trovato a dover descrivere sinteticamente la musica degli Everything Everything, non ho trovato nessuna definizione migliore di “I Radiohead in anfetamina”.

Effettivamente sono molte le caratteristiche formali che avvicinano il gruppo in questione con il quintetto di Oxford. Tra queste c’è anche la capacità di scrivere toccanti ballate malinconiche come “Arc”, “The house of dust” o la bellissima “The peaks”, composizioni che mostrano il lato più sensibile, intimista e crepuscolare del quartetto.
Ciò che li differenzia dai Radiohead, soprattutto nell’ultimo e più solare album “Get to heaven”, è la presenza nel loro repertorio di brani più positivi  e dai ritornelli molto “catchy” come nella title-track o in “Spring / Sun / Winter / Dread” (con la sua ritmica che ricorda un po’ “Big in Japan” degli Alphaville),  “President Heartbeat” (pervasa da chitarre funky anni ’80 che rimandano ai Duran Duran) e “Regret” (con la sua strofa scandita da una ritmica “marziale” e l’orecchiabile ritornello in falsetto).

E l’ultimo singolo si inserisce in questo filone, con un inciso decisamente pop e accessibile che ha fatto sì che il brano sia stato scelto da BT Sports per le loro trasmissioni sulla Premiere League.

Quale sarà il prossimo passo degli Everything Everything? È probabile che non lo sappiano neanche loro, dato che devono ancora entrare in studio per lavorare al nuovo materiale, cosa che accadrà molto presto. Alzi la mano chi è curioso di sentire cosa verrà fuori. Sempre troppo pochi, andate a cercare la musica degli Everything Everything, poi mi saprete dire.

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