TEX CONTRO SE STESSO

Tex

Sono passati quasi sette anni da quando, sulle colonne di Giornale POP, mi incontravo con Tex, inteso come fenomeno editoriale prima che come personaggio, in occasione dell’Albo Speciale n. 35 / Il Magnifico Fuorilegge (giugno 2017). Accoglievo positivamente quel nuovo Tex senza barba e il viso più simile a quello del figlio Kit che al Tex giovane raffigurato da Galep in poi, senza rendere troppo adolescente il personaggio, senza addolcire troppo i tratti somatici, ma anche senza collocarlo con verisimiglianza nel suo periodo storico e nel suo passato cronologico. Un passato in parte già raccontato e in parte ancora da raccontare, tanto che, compiendo quella che oggi mi appare una fallace sopravvalutazione, intitolai il pezzo Tex sulle piste di se stesso.

Era infatti allora, e lo è ancora, mia convinzione che, per sopperire alla ripetitività e a storie banali corrispondenti all’uscita di Claudio Nizzi quale autore dei testi e la presa in responsabilità di Mauro Boselli, il ricorrere alla Storia, quella con la S maiuscola, era la strada idonea da prendere.

La Storia vera del West, oggi lo sappiamo chiaramente, è soprattutto il genocidio dei nativi e l’avanzare di masse di poveri uomini per lo più arrivati dall’Europa. Il loro destino non fu però mai dettato da essi stessi ma dalla lotta per la ricchezza a tutti i costi, di speculatori terrieri e finanzieri spietati i quali, oltre che dal mero interesse personale, si sentivano sorretti dal Destino Manifesto. Un’ideologia e anche una “religione” laica pensate sulla trasformazione delle zone inesplorate e selvagge in territorio coltivabile o sfruttabile come risorse minerarie, più tardi dai primi cenni di una speculazione edilizia che continua ancor oggi.

Come fece notare uno dei primi studiosi senza peli sulla lingua di questo inarrestabile Destino, ciò che gli americani bianchi consideravano la wilderness era una donna da possedere senza tante storie per ripulirla, rivestirla, trasformarla in una riguardosa moglie devota e servile.
E i pellerossa non erano esseri umani ma, come bestie feroci, parte di questa entità barbarica. Per cui la loro eliminazione era parte ineluttabile dell’impresa che prese il nome di Conquista del West.

Romanticizzata e riadattata agli animi candidi di chi la realtà la considerava soltanto come racconto funzionale alla suddetta ideologia, ancora prima dei romanzi fondanti di Fenimore Cooper, la si descriveva in opere teatrali risalenti già al Seicento e rappresentazioni di varia natura, derivate dagli spettacoli circensi e dall’evoluzione europea del palcoscenico popolare, che precedettero di due secoli la trasformazione  in spettacolo di massa con lo show itinerante di Buffalo Bill e quindi, al momento essenziale, il cinema.

Il personaggio “Tex” nasce dal cinema degli anni Trenta e Quaranta e il suo creatore, il narratore pugilistico Giovanni Luigi Bonelli, lo modella su pochi elementi, visti appunto al cinema, che solo il successo, sebbene non immediato, porterà a numerose trasformazioni, anche storiche, di un eroe inizialmente semplicistico e decisamente brutale nella più duratura personalità non solo del fumetto, poiché di fenomeni che durino quanto Tex Willer non ne esistono in nessun’altra arte.

Il suo primo disegnatore Aurelio Galeppini in arte Galep (uno che era capace di licenziare quaranta tavole al giorno, anzi nella notte se di giorno lavorava ad altre epopee) dapprima si ispira al giovane Gary Cooper. Poi, con il tempo, affiancato da altri che lo aiutano negli aspetti meno salienti, con il raffinarsi del proprio talento, gli darà una fisionomia abbastanza precisa che sarà sancita quando il personaggio e i suoi tre compagni fissi appaiono nella pagina di presentazione di ogni albo della serie regolare nel formato che sarà detto bonellide.

Quello che è successo dopo al “nostro” Tex lo sanno ormai tutti gli interessati e io stesso, nel pezzo dedicato al settantennale e altri, lo racconto appoggiandomi modestamente a quell’analisi storico-antropologica che, negli anni più vicini, è assai più inesorabile e duramente realistica sui volumi di Fiedler, Todorov, Mattioli.

La mia fiducia nella sensibilità dei nuovi e più giovani dirigenti della Sergio Bonelli Editore (Sbe) sta quindi nell’idea che si possa creare qualcosa che colleghi il western classico, e pur realistico, con una storia che escluda ormai la presenza di un sogno impossibile di pace tra il popolo bianco e quello rosso.

La posizione di Tex, più volte ribadita dagli anni Sessanta, sarebbe inequivocabilmente dalla parte degli oppressi sebbene, essendo un bianco in origine e un uomo della Legge, non si escludono viaggi in mezzo a situazioni createsi in altri ambienti che non siano l’Arizona o il New Messico.

Ma anche questo, soprattutto nelle circostanze canadesi, è stato visto e rivisto. Ci vogliono, anche nelle trasferte tra le suggestive foreste e gli immensi laghi del Sascatchewan, idee nuove.  E la storia del “Paese della Grande Nonna” ne offre ancora a bizzeffe.

Ma, dal quel pastrocchio di Nueces Valley (Albo Gigante n. 21 dell’ottobre 2017), la riposta è quanto mai confusa e discutibile.
Il passato di Tex ha qui una collocazione dove la guerra d’invasione contro il Messico (che si sarebbe dovuta svolgere durante la sua infanzia), l’evoluzione del Texas da regione latina ma autonoma in parte dell’Unione Statunitense, e il racconto della nascita e crescita del corpo dei ranger, diventano un amalgama di figure contradditorie. Senza che però la contraddizione sia denunciata come tale, finendo con il darci della valle dove Tex nacque un ritratto che non tocca alcun vertice, nemmeno nelle tavole insipide di Del Vecchio, se non quello dell’ambiguità verso le antinomie nel racconto epico della Storia stessa.

Insomma, Boselli non punta affatto a inserire fin dalla nascita Tex nel vero dramma tra invasori e nativi, né tra bianchi e messicani ridotti a sottoproletariato delle Sud-Ovest, ma vaga un po’ da una parte e un po’ dall’altra, un po’ qui e un po’ là. Non ci fa mancare alcuni emigrati dall’Est su cui scaricare colpe collettive (l’avanzare dello schiavismo e il dissidio tra religioni su cui si tace). Nello studio a dir poco superficiale della personalità nascente dell’Eroe, la figura del papà, del fratello, dei primi amici, sono esponenti che, successivamente, sia i testi sia pochi disegnatori sapranno sottrarre a un’atmosfera elusiva, a un clima ambivalente e, in alcuni casi particolari, così poco attraente dal punto di vista narrativo in generale e avventuroso in particolare.

Poiché, a questo punto, solitamente appare il lettore affezionato che fa notare come sia impossibile coniugare narrazione avventurosa e trascinante con la realtà a cui ho accennato, gli faccio rispettosamente notare che il romanzo storico non è mai stato necessariamente un avvicendarsi di evasioni dalla realtà e dal realismo, né un impegno allo schematismo. Quest’ultimo, semmai, appartiene alla peggiore letteratura da dilettanti.

Potrei fare molti esempi, ma mi basta citare Stendhal il quale, per farci capire quale sarà il mondo dopo Waterloo, ha solo bisogno di fare attraversare a Fabrizio Del Dongo il campo della battaglia. Seguono tanti intrecci e tante figure che anche un bravo scrittore di fumetti può raccontare con voluttà, per lui e per i lettori, senza pasticciare con l’idea di far contenti sia i conservatori antibonapartisti come coloro che in una nuova libertà giacobina ancora ci crederanno.

Se ci riferiamo al cinema cito, tra i tanti esempi che potrei richiamare, Le Furie (Paramount, 1950), in cui, dietro un apparentemente racconto di amore e odio, dove si sfiora persino un rapporto incestuoso, il tutto è anche metafora ed è  ben chiaro il contrasto furente tra i messicani che perdendo resistono e gli invasori che continuano a inferire anche dopo la vittoria.

Per tornare alle praterie americane nel fumetto italiano, il piano editoriale continua con la collana Tex Willer (nata nel 2018) che un po’ si allaccia a vicende che nessun lettore aveva considerato essenziali e un po’ fa galoppare il personaggio (da subito non ancora ranger ma già giustiziere per cui non mancano accenni di ulteriore e straniante ambivalenza agevolata da disegnatori poco adatti alla raffigurazione moderna di Tex e tantomeno a quella postmoderna del millennio in corso), in canovacci che potrebbero essere appassionanti (l’avventura tra i Seminoles per esempio e un Messico su cui non si dice nulla di nuovo ma qualcosa di originale sembra si possa narrare) e poi non lo sono quasi mai.

Nel tentativo di acchiappare anche i lettori di sempre (è importante più che la freschezza dei resoconti narrativi) ci si collega ad amicizie di cui gli stessi autori ed editori precedenti si erano dimenticati o su cui avevano deciso di non insistere.
Da qui nascono altre confusioni dove la Storia c’entra come le ortiche tra l’insalata e trovate sfioranti il ridicolo: l’incontro con Lincoln, Sam Huston (controversa figura del primo presidente del Texas come stato autonomo ridotto a un semplicismo di maniera), la guerra spionistica contro chi cerca, con l’annessione del Texas, di causare la guerra civile che, stando a quanto si è letto nei sette decenni precedenti, nella stessa genesi del conflitto ha visto Tex in un ruolo ben diverso.

Non manca Anne Warne, la creatura femminile (evidentemente si suppone che le lettrici di Tex siano milioni anche se non assaltano affatto le edicole all’uscita di un nuovo album) il cui talento da Modesty Blaise primordiale non raggiunge mai la simpatia e la sensualità auspicabili, specie quando è chiaro che è un’assassina autorizzata che sa far uso del proprio corpo oltre le tradizioni dell’epoca vittoriana e, in quanto a travestimenti, fa apparire Alan Mistero e Arsene Lupin degli ingenui dilettanti.

Potrei ora riferirmi allo Speciale n. 39, uscito da pochi giorni e che ho voluto attendere di leggere prima di pubblicare il pezzo su Giornale POP, ma preferisco proseguire seguendo un itinerario che comprende il passaggio, con il numero 738 (aprile 2022) della serie regolare ai festeggiamenti per il 75° anno di vita di Tex tramite una “celebrazione” del suo più temuto avversario, Mefisto, in un contesto che, oltre a riguardare molti albi anche fuori serie e la collana Tex Willer con un’ebbrezza da parte dell’editore di Boselli che supera i limiti del ragionevole, tristemente non ha poi incontrato tutta quella supposta aderenza da parte del pubblico.

Non sto qui a raccontare chi sia Mefisto e come nasca – sebbene in un albo speciale di Tex Willer (del giugno 2022) si insiste sulla sua primitiva natura di mago da fiera ma non più da strapazzo, trasformandolo in una ancor più pericolosa e crudele spia di quel che di lui fu già raccontato (quindi erigendolo a protagonista poiché vi si anticipa) ma non si ri-racconta – il primo incontro con il giovane giustiziere. Anche sul personaggio, prima in tuta rossa e poi in svariati tipi di tonaca, ne ho scritto io stesso a lungo nell’articolo Quale futuro per Tex eroe senza tempo (dicembre 2018) sempre su queste colonne.

Riprendendo in breve, in questo testo, sottolineavo come dalla seconda apparizione di Mefisto (1958 nel formato striscia e nel gennaio 1964 nella collana regolare), ora veramente artefice di poteri terrificanti,  Bonelli Sr, secondo la mia analisi, s’era ispirato all’esaltazione  per il romanzo d’appendice francese (raccontato anche nel cinema muto) dove comparivano eroi scellerati o similari come Rocambole, Belfagor, Judex eccetera e alle creature degli appendicisti italiani degli anni Dieci e Venti che finirono con l’influenzare l’arte nascente del fumetto.

Però, nel quadro realistico delle storie di Tex, Mefisto è coerente con la natura del suo avversario e la costruzione delle storie.
Può, per ragioni a noi incomprensibili, ma che potrebbero essere spiegate in un lontanissimo futuro, compiere quelli che nell’Ottocento potevano apparire prodigi. Ma, per fare direttamente del male, ha bisogno di sicari: ora tribù indiane a lui assoggettate, ora personaggi che gli forniscono adeguati finanziamenti per i templi giganteschi che riesce a far edificare senza che nessuno se ne accorga con un’ostinazione che solo cattivissimi come lui perseguono.
E Tex, per mostrargli che con un colpo di pistola potrebbe farlo fuori se uscisse dalle eteree visioni a cui lo sottopone, spesso lo affronta, almeno all’inizio delle storie, con una sprezzante disinvoltura da gettarlo periodicamente in una rabbia che ha ben poco di chi è in grado di manovrare forze sovrannaturali.

Lo stesso accadrà quando, preso atto della morte di Mefisto, appare lo scalognatissimo figlio Yama (n. 125, marzo 1971) dall’aspetto assai meno pauroso, ma che pur qualcosa impara da quanto il padre riesce a comunicargli dall’inferno dove è precipitato.
Insomma, il segreto del duello tra Tex e Mefisto che ha rapito l’interesse di generazioni è soprattutto lo scontro tra la virtù reale e umana del primo con i subdoli sogni di potere disumani del secondo.

Sarebbe stato ovvio, visto che Yama è rimasto un’imitazione volutamente sottostante sebbene in ottime elaborazioni e con alcuni inevitabili ritorni non malfatti, che gli autori, come è tradizionale nell’ambito delle opere seriali, trovassero il modo di dimostrare come Mefisto non fosse poi morto e, in circostanze che non sarebbe stato difficile inventare, lo avessero fatto riapparire come richiedevano molteplici lettori.
Ciò accade nel n. 501 (luglio 2002) nelle straordinarie, suggestive quanto attendibili tavole di Claudio Villa, il quale non si priva, seguendo il suo stile nitido, dall’imprimere i segni del tempo sulla sorella Lily alla quale è affidato il rito della resurrezione.

Ma i tempi sono cambiati. Più cambiati di quanto possano ancora comprendere coloro, al tempo me compreso, che hanno lavorato sulla fantasia e sull’avventura nel millennio precedente.
Per cui, pur in situazioni non particolarmente chiare, Mefisto “risorge” e ricominciano i suoi malefici principalmente indirizzati verso Tex e i suoi pard.

Qui Mefisto non è ancora un personaggio fantasy, ma gli aspetti più tipici in un mondo texiano si fanno più cupi e quel segreto va svanendo pur in una storia scritta straordinariamente dall’abile Nizzi.
Fino ad allora nessuno ha veramente creduto che il malefico sapiente riuscirà mai a impadronirsi del mondo, a portare l’inferno in terra, soprattutto a sconfiggere Tex che, con la sua personalità razionale e ferma nell’amore con la giustizia, gli è superiore anche nei momenti in cui sembra essere sgominato.

Evidentemente Boselli preferisce incrementare le sue doti, annerire il suo cuore già incatramato, e dal n. 738 (aprile 2022) la personalità di Mefisto accentua le sue capacità magico-scientifiche e diviene cupa e lugubre e, anche grazie ai disegni dei fratelli Cestaro che colgono perfettamente le intenzioni della sceneggiatura, diviene un avversario reso ai limiti del depresso (e deprimente) nel suo bisogno di fare del male anche quando non se vede la ragione narrativa.

Tutto comincia quando, nei pressi di San Francisco, Mefisto – riuscendo a nascondersi alle autorità che Tex peraltro ben conosce da anni nella città della costa pacifica – diventa il direttore del manicomio locale, dove, anche grazie ad un’altra creatura infelice e scellerata, la sua assistente, imprigiona i sani e fa degli internati un gruppo di assassini senza morale.

Una storia come questa non è poi così nuova, risale agli anni d’oro del fumetto degli anni Trenta ed è stata usata anche nelle storie di personaggi Bonelli, ma Boselli la prolunga ai limiti del sopportabile dimostrando così l’aspetto che più i lettori gli rimproverano, vignette troppo lunghe in luogo delle scarse didascalie a capo pagina, e, soprattutto, la mancanza di quell’iniezione di satira e scetticismo caratterizzante soprattutto il rapporto tra Tex e Carson, ma anche i suoi pard fissi e occasionali.

In questa grigia narrazione logorroica molti personaggi secondari cambiano spesso personalità senza che il lettore abbia il tempo di rendersi conto se sia vero oppure no.
In questa nerastra narrazione prolissa si perde spesso il filo, ma, soprattutto, si perde la suggestione di Mefisto stesso, di Lily, e poi di Yama, il quale riappare pure lui nella convinzione di creare aspettative che ormai il racconto non richiede.

Si rende quindi necessario spiegare dove sia finito, come padre e figlio siano di nuovo insieme, si inventano altri personaggi perversi e situazioni delucidanti (o credute tali) finché Tex se lo lascia sfuggire pur riuscendo a scoprire lui e il suo covo.

Dal n. 741 (luglio 2022) i Cestaro vengono sostituiti dal veterano Civitelli, il quale indubbiamente riesce, pur manifestando un’inaspettata fedeltà al racconto di Boselli, a umanizzare meglio sia i buoni sia i cattivi, aiutato dal territorio della Sierra Nevada in pieno inverno, tra tempeste di neve e laghi tanto gelidi quanto misteriosi, che sottrae il conflitto Tex-Mefisto dall’angosciante atmosfera conchiusa degli albi precedenti.

Ma anche qui Mefisto più che genio del male ci appare come essere al di fuori di ogni realtà pur sospesa. La preordinata tetraggine invernizia finisce con l’annullare la suggestione del panorama. Ritorna in scena, tra le tante apparizioni vecchie e nuove di cui si farebbe a meno data la confusione che creano tra i lettori, persino Padma, il sacerdote tibetano presente nella seconda apparizione mefistofelica risalente addirittura al 1967.

Qui Boselli non riesce a fare a meno di raccontarci ogni angolo polveroso delle origini del Lama, come divenne cattivo e poi buono oppure forse no e oppure forse sì, e lo trasporta sulla vette innevate della Sierra.
Ma non basta. Continuano a nascere o rinascere intorno creature secondarie del presente di cui non riusciamo a sapere mai se siano effettivamente solidali con Tex o invece nascondano chissà quale nefandezza.

Dal n. 743 (settembre 2022), forse in previsione della fine dell’ora legale e dell’oscurità che inizia a calare nel tardo pomeriggio, ci ritroviamo nell’assolato Nord-Ovest dove Mefisto riesce a superare persino le mura del carcere di Yuma.

Conformemente alla sua abituale collocazione geografica arriva anche El Morisco (lo scienziato, simpatico personaggio ricorrente, in precedenza già sostegno contro Mefisto) e Narbas, un santone indiano al quale forse ci saremmo affezionati una volta ma, quest’altra, trasmette anch’egli solo il senso torbido e forse simulatore di un apparato pauroso che non sta ormai più nella vicenda ma colpisce per la sua verbosità.

Non sfugge che l’intento di Boselli fosse di trasportare tutto ciò anche nell’animo di Tex e nei suoi pard, che mai sono stati così preoccupati e poco sereni, così poco fedeli alla loro proverbiale fede nella bontà che trionfa.

Anche quando finalmente questa angoscia in sette albi si conclude, non c’è un senso di rilassamento per il lettore.

Niente battute scherzose tra i vincitori, niente pranzi con bistecche e patatine fritte veramente gustosi, niente sorrisi o esclamazioni umoristiche e liberatorie.
L’epilogo avviene nelle ultime tre tavole dove Lily, stravolta dal sole, finisce in un territorio spoglio e desolato. Intanto dagli spiegoni in vignetta capiamo che questo Mefisto, il più odioso Mefisto di sempre, pur ricacciato all’inferno, tornerà. Tornerà.

Riassunta molto sinteticamente questa escursione nel nichilismo fumettistico, la conclusione a cui sono giunto è quella a cui altre iniziative di Boselli mi avevano condotto nel passato prossimo.
Questo autore (pur nato ed emerso all’interno della casa editrice in modo eccellente ma dove ora ha tanto potere da non far leggere i testi degli sceneggiatori più prestigiosi nemmeno ai disegnatori più autorevoli, come rievoca Claudio Nizzi in una delle sue apparizioni pubbliche recenti) è veramente convinto che il Tex tradizionale sia ancora una lettura destinata alle vecchie come alle nuove generazioni?

È veramente convinto che Tex possa essere un autentico eroe umanistico di un western realistico e pulsante di avventura e Storia ?

Perché se non è veramente convinto, ogni commento è insensato.
Ovviamente non mi attendo alcuna risposta. Ma, non solo come critico ed esperto della materia, ma come lettore da sempre, non mi aspetto niente di positivo.
Anzi ricavo (so di non essere il solo) dall’estenuante rievocazione di Mefisto l’idea che, in sintonia con altre operazioni editoriali di minor entità, Boselli stia trasformando Aquila della Notte in una figura del passato in cui possa rispecchiarsi sempre meno un pubblico fedele e conduca al distacco definitivo di quel pubblico più giovane, magari non giovanissimo, che in diversi modi è arrivato al capo bianco dei navajos.

Non a caso Boselli ha creato le storie di questo Tex Willer giovane, mirando dapprima a lettori meno maturi e consapevoli (da qui la vocazione a farci sapere tutto del passato di personaggi il cui biglietto era ormai obliterato), richiamandosi tra le righe alla fantastoria  nullista e distopica.

C’è chi dice che scriva in modi diversi quando tratta il Tex tradizionale (che spesso di tradizionale ha solo il formato in cui si ritrova) e il Tex giovane che ha inventato lui.
Capisco la cautela di questi critici, ma, secondo me, è lo stesso Boselli, sempre il creatore e lo sceneggiatore di Dampyr, fumetto agli antipodi del western texiano sul quale la casa editrice ha puntato per un’operazione di produzione cinematografica sui cui risultati artistici ed economici è per ora impossibile pronunciarsi a causa della scarsa diffusione.

Gettato tra le bolge Mefisto, nella serie regolare si sono alternate, come prima, vicende ben scritte ma con disegnatori inadatti, e vicende banalotte ma con disegnatori di vaglia. Certo non sempre, ma spesso i lettori protestano: “si raschia il fondo del barile”, “si ripete sempre la stessa storia”, “basta con gli spiegoni prolissi”

Sarebbe inutile ripetere altre osservazioni perché, con non prevista attualità, l’ho scritto nei precedenti articoli su Giornale POP, e altri lettori (ai quali mi dedicherò più avanti) l’hanno scritto, lo scrivono, lo scriveranno.

Forse io, più di loro, scettico per propensione e ottimista per volontà, assisto a un procedere di Boselli (e collaboratori scelti sulla sua linea) alla faccia di chi non è d’accordo, anzi insistendo nonostante le critiche che egli certamente conosce meglio di chiunque altro.

Ma forse ho torto ?

Lo dimostrerebbe La grande congiura (MaxiTex n. 32/aprile 2022) scritta da Nizzi (lo sceneggiatore che per molti anni andò avanti quasi da solo rinverdendo il clima classico che piaceva ai lettori)  il quale, anche questa volta, ha dato vita ad un episodio spumeggiante ed estroso.
Ultimamente, come ho già ricordato, è stato protagonista di interventi non positivi sull’attuale gestione di Tex, ma, da gran professionista qual è, evidentemente l’hanno chiamato ed è tornato.
Poco ci importa sapere se è stata una risposta dovuta a lettori fedeli che lo richiedevano o un’idea furbastra per spezzare le raffiche di osservazioni sull’andazzo contemporaneo.
L’importante è che, in 274 pagine, pur con i bei disegni di Alessandrini, il quale non è così consono alle storie western ma lo diventa, ci ha appassionato, divertito, restituito quel senso dell’avventura e della Storia senza le quali Tex o muore o va contro se stesso.
Da notare che il plot non è nuovo: si tratta di un’altra congiura di facoltosi farabutti contro l’agente degli affari indiani Ely Parker, che i nostri eroi hanno sottratto altre volte a situazioni del genere.
Abbiamo vissuto con piacere e con gusto il modo in cui Tex e pard risolvono l’intrigo, puniscono i malvagi e, cosa di non poco conto, parteggiano senza ambiguità (come è accaduto troppo spesso negli ultimi tempi) dalla parte dei pellerossa angariati, umiliati e offesi, vittime predestinate di un drammatico destino che, nella Storia vera, travolse anche Parker che qui continua, grazie a loro, a cavarsela alla grande.

Non stiamo a raccontare altro, ma giungiamo a queste conclusioni: se lo sceneggiatore è bravo, il disegnatore non trasmette cupezza e pessimismo, possono pur usare la seconda di copertina per dirci, con firma dell’editore, che i prezzi aumentano ancora.

Il ritorno di Nizzi, e il suo successo, avrebbero potuto indurre Boselli a diverse riflessioni.
In realtà, non conoscendolo personalmente, non sapremo forse mai se l’attuale linea da lui dettata sia frutto di un piano di stravolgimento o più semplicemente l’atteggiamento di chi, giunto all’apice della scala, vuol distinguere la diversità di se stesso da chi l’ha preceduto.

Poiché siamo stati ammiratori del Boselli quando aveva forse meno responsabilità e si alternava a Nizzi, siamo certi come egli sia, in realtà, un ottimo professionista, conosca assai bene il mestiere e, prima o poi, anziché affiancare il lancio di costosi missili cinematografici, si dedichi alle avventure di Tex dove si respira l’aria della prateria, la necessità del combattere per il popolo rosso, si ostacolino i villains che si distinguono per l’arguzia nel rubare a chi lavora duramente più che nel compiere malefici e chiedere continui passaggi a Caron Dimonio, con gli occhi di bragia dispersi nello spazio profondo.

Ma guarda un po’, ecco che, con i n. 748 e 749 (febbraio/marzo 2023) una storia di mostri orrendi, con l’inevitabile (siamo in zona di confine col Messico) arruolamento dello specialista El Morisco, che da scienziato e studioso dell’occulto in senso razionalista si vuol sempre più smerciare anch’egli per negromante. Storia firmata da quel Moreno Burattini che è stato, gettandolo nella fantasy più ridicola, il flagello di Zagor, altro eroe della nostra infanzia trasformato così tanto che nemmeno lo riconosciamo più.

Le tavole non sono male, Michele Rubini disegna bene come ora tutti (anche se raffigurare il volto di Tex non è facile, anzi : è molto difficile), ma la storia (che poi riguarda la ricerca appunto di una bestia immonda che vorrebbero far passare per soprannaturale per poi inserirla nell’ipotesi di ricerche meno peregrine) ha la sostanza per durare dieci pagine e ne dura 228.
Alla fine, sebbene ci abbia infastidito meno di quanto lasciava supporre il nome dell’autore, ci si chiede che cosa abbiamo letto: un ulteriore tentativo di spedire Aquila della Notte nell’universo della fantasy o un altro modo per staccare Tex dal suo territorio narrativo e, in un modo o nell’altro, rivendercelo diverso e sgradito?

Un’altra attestazione l’avremmo avuta nel demenziale incontro tra Tex giovane e Zagor, avvenuta nello speciale-Tex Willer n. 3 (dicembre 2021), che non siamo nemmeno riusciti a finir di leggere oltre qualche pagina.
Ciò che, in quel caso davvero speciale, si notava, era soprattutto come crossover considerati impossibili dall’editore precedente siano oggi resi quasi plausibili come tante altre variazioni che non si sa quanto entusiasmino lettori vecchi e nuovi.
Certamente, per chi conosce la mentalità di chi compra i fumetti, dal punto di vista commerciale l’operazione era evidente. Riuscita?

Sta di fatto che in numerosi gruppi internet (fuori e dentro i social, gestiti da pur fedelissimi appassionati) si sia accettato uno scontro anche tra favola e realismo in virtù del tentativo di Mauro Boselli di ricreare una continuity storica nelle vicende di Tex a partire dalla sua infanzia.

Beh, una maggior corrispondenza storica iniziò fin dal n. 83 (settembre 1967, Il passato di Tex) dove si racconta come divenne fuorilegge suo malgrado, e, nell’albo seguente, in cui si narra dell’esperienza come sbandato campione di rodeo.

Quindi, nel n. 113 (marzo 1970, Tra due bandiere) Sergio Bonelli, pur lasciando firmare al padre, chiarisce che Tex, pur nativo del Texas (ma senza legami nazionalistici e lacrime nostalgiche), insieme all’amico Damned Dick quando scoppia la guerra civile si arruola come guida tra i nordisti non sopportando la disciplina militare, ma nemmeno lo schiavismo.

Ripetendomi, dichiaro come Tra due bandiere segni ineluttabilmente la fine dell’incertezza cronologica delle storie di Tex che d’ora in poi avverranno, se non raccontate davanti a un bivacco (la vita con Lilith, la nascita di Kit eccetera), posteriori al 1861-1865 senza mai sbandare oltre la fine del West simboleggiata dalla fine delle guerre indiane negli anni Novanta del Novecento.

Bonelli padre aveva dapprima raffigurato Tex sempre neutrale, spedendolo, in quanto ranger, a scortare i pionieri che fuggono dall’Est insanguinato dalla guerra. Ma ciò era sempre rimasto racchiuso nel periodo primordiale in cui il creatore del ranger non aveva documentazioni chiare sulle vicende storiche di cui si occupava e nemmeno immaginava il successo futuro.

Compiendo una rivisitazione dello stesso periodo il figlio ha creato il mondo di Tex come l’abbiamo conosciuto sino a quando Boselli non ha deciso di ristrutturarlo una terza volta. Ma ciò è servito perché abbiamo così accettato certi strafalcioni che sono divenuti parte della sua vicenda personale e pubblica.

Quindi abbiamo accettato che i ranger non fossero una milizia territoriale specializzata nei massacri degli indomiti comanches, ma una specie di polizia federale che può agire in tutti gli Stati Uniti; che Buffalo Bill e il suo circo siano diventati amici fraterni di Tex e dei suoi pard; che il generale Miles vigili sulle incongruenze dell’esercito contro i pellerossa e via via.

La Storia e l’avventura rimangono se sospendiamo l’incredulità sui ponti gettati tra la tradizionale immagine dell’Ovest e le storie di un personaggio nato da un linguaggio originale e da contraddizioni che nel western americano sono inesistenti ancor oggi, ma lo fanno accettare in tutto il resto del mondo.

Se abbiamo sospeso l’incredulità, infine, non lo abbiamo fatto per ingenuità bambinesca, ma perché uno dei nuclei fondativi del personaggio di Tex è essere un bianco che sta dalla parte dei nativi come sarà sempre dalla parte degli afroamericani e delle etnie assoggettate.

Qui c’è la radice della simpatia per cui non è solo il giustiziere che compie imprese liberatorie per il classico omino costretto a subire le ingiustizie della società di sempre, ma perché, se è necessario (e tante volte lo è stato) è capace anche di schierarsi contro l’esercito o l’apparato giudiziario dei colonizzatori per difendere coloro i quali ben sappiamo saranno i perdenti nell’autentico conflitto tra i popoli.
Stando dalla parte di chi perderà Tex ci fornisce l’entusiasmo di chi lotterà sempre vincendo battaglie giuste in guerre di prevaricazione.

C’era quindi bisogno di inventarsi la Nueces Valley e l’imbrogliata matassa di personaggi e fatti che, comunque, devono subire una sospensione che pone l’incredulità parecchi metri sopra il buon senso?
Non ci stupisce che, in alcuni siti, si siano appassionati a questa continuity,  poiché è in questo territorio inventato da Boselli che i conflitti non si chiariscono ma si confondono.
La guerra civile diventa così da male necessario un inutile massacro fratricida il cui contesto è ambiguo.

Certamente un certo pubblico, sebbene esiguo, a cui le ampollosità piacciono, avrà quindi gradito l’albo speciale n. 38, Per l’onore del Texas, giugno-luglio 2023.
In quest’opera disegnata da Maurizio Dotti, sul cui estro non discutiamo (ma semmai inseriamo lo stile in quel post-realismo pessimista di cui abbiamo scritto a lungo poco sopra), Boselli inventa due storie parallele raccontate da Tex e da Carson, immaginati all’inizio del conflitto tra il grigio e il blu, i quali raccontano i diversi punti di vista da due posizioni tattiche in cui si trovarono quando una comunità di immigrati tedeschi favorevoli all’Unione venne a trovarsi al centro delle battaglie in cui soldati e civili sono coinvolti con tocchi di retorica davvero spropositati.
Davvero spropositati se poi, nella sceneggiatura, i personaggi parlano un linguaggio prolisso dove si va dalla convenzione più retorica a termini odierni e fuori tempo.

Con una voga che mai si è riscontrata prima, si insiste sulla fedeltà di Tex e Carson (nato nel Kentucky se proprio vogliamo guardare se i bottoni delle divise sono lucidi) allo stato del Texas per cui il motto principale sarebbe “giusto o sbagliato siamo sempre con la terra dove siamo nati…”.
In quest’atmosfera veniamo a sapere che il vecchio Kit tiene tanto alla salvezza della piccola comunità germanica, ma con convinzione patriottica ha combattuto nella guerra contro il Messico con cui gli Stati Uniti, animati da un’ideologia massonica stravolta e laicizzata all’estremo contro il cattolicesimo latino e contemporaneamente dal bisogno di diffondere lo schiavismo proibito dal presidente populista Sant’Anna, si presero immensi territori messicani riducendone gli abitanti a un destino di sconfitti ben presente ancora nella cronaca di oggi.
In quell’evento i progressisti repubblicani, tra cui lo stesso Lincoln, furono contrari. Ma qui i numerosi personaggi inutili sia buoni che cattivi e un paterno Sam Huston richiamano all’ordine patriottico eroi sempre distinti per convinzioni libertarie che li hanno fatti amare per decenni da lettori di ogni orientamento.

Non ci piace quindi nemmeno il titolo e la funzionale copertina dove, sotto il cappello, Tex (quello giovane) si avvale di un’espressione di infantile spietatezza.

Sia qui chiaro, ancora una volta, che chi scrive non è affatto contento di trovarsi a disagio con i personaggi che ha amato per una vita. Ma non ce la sentiamo di omaggiare un conformismo fuori tempo come, in passato, criticammo Tex che parlava come un sindacalista in un’ormai lontana storia di Gianfranco Manfredi.
E, rispetto al disegnatore, non ne critichiamo il valore ma l’uso che ne fa o che gli hanno detto di fare.

Per l’uscita del “Texone” annuale abbiamo poi riscontrato un altro record. Non esiste, almeno in Italia, un personaggio come Tex su cui si siano sviluppati tanti siti, club, gruppi, pagine, ed entità liturgiche in cui la censura regna sovrana.

Alle numerosissime osservazioni dei lettori sullo speciale 39 gli amministratori hanno richiamato all’ordine. E c’è stato chi ha invitato, se proprio si voleva praticare l’eresia, ad andarsene sotto i loghi ufficiali della Sbe dove, com’è noto, ti cancellano immediatamente appena ti scappa uno starnuto fuori norma.

Ci sarebbe da supporre che agenti della casa editrice vigilino su tutte le iniziative private e personali e si slancino contro chiunque osi contestare i pulpiti.
In effetti si tratta di sforzi inutili. Alla Sbe se ne infischiano di chi non è d’accordo. A Boselli sono anni che vengono fatti notare i problemi che abbiamo descritto, da tempo se ne parla sottovoce ma se ne parla dentro e fuori gli uffici dirigenziali.
Ma tutto ha sempre proseguito come dice chi decide alla fin fine.

Sotto l’etichetta di Tex Willer (sempre quello giovane) hanno ristampato, in quattro puntate anziché nei due albi originari, proprio Tra due bandiere.
E cos’è questa operazione se non è il segno che (tra rivisitazioni, ristampe e ricopertinature, versioni librarie ed edizioni in brossura) prima di tutto non viene nemmeno la new continuity, ma la necessità di diversificare la vendita dell’unico personaggio del menù Sbe che ancora garantisce una sicurezza commerciale e, come si dice oggi, fidelizzata.

È mio parere che solo ascoltando le critiche, valutando gli errori, si possa giungere a una crescita della casa editrice che noi tutti desideriamo.
Quando un lettore (tra tantissimi) afferma che da questa volta non comprerà più il Texone o che (tra tantissimi) la storia è monotona e confusionaria, quando un altro (tra tantissimi) afferma che non gliene importa niente di sapere cosa facevano da giovani i personaggi, ma vorrebbe (tra i tantissimi) svagarsi intelligentemente di più, beh, io credo bisognerebbe ascoltare, prendere nota, cercare di capire.

È vero che spesso chi discute sul fumetto è privo di quel distacco su cui è formata, in parte consistente, la personalità critica dello spettatore cinematografico o teatrale. Ma proprio certe contraddittorietà dei lettori, causate dall’entusiasmo e dalla passione più naturale che supera i confini tra le generazioni, certe esasperazioni negative, dovrebbero essere da stimolo a chi può poi esaminare le questioni da un punto di vista razionale.

Non rispondere alzando le spalle sta conducendo Tex e la sua casa editrice verso un baratro da cui, prima o poi, non basterà cambiare direttore artistico, scegliere un gruppo sicuro di disegnatori e sceneggiatori che garantiscano qualità e novità nella tradizione dell’Avventura e della Storia romanzata senza presunzione e faziosità.

Concludiamo in modo anomalo, invitando chi non l’ha visto ancora, ad ascoltare questo intervento di Claudio Nizzi. Il quale, a nostro parere, chiarisce parecchio di ciò che non si sa di quanto succede in quella nota via del centro di Milano.
https://www.youtube.com/watch?v=0VUbrM1xDz0

Mai come questa volta l’autore sarebbe davvero contento se il dibattito, almeno sul Texone, si arricchisse di opinioni altrove impedite.


                                                                                                    
  
  

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