IL PUNITORE DI GARTH ENNIS È UN SERIAL KILLER

IL PUNITORE DI GARTH ENNIS È UN SERIAL KILLER

Garth Ennis, autore acclamato in questo periodo per la versione televisiva della sua serie The Boys, ha scritto una nuova miniserie de Il Punitore. Una buona occasione per parlare di questo personaggio, stranamente sempre in bilico tra il grande successo di pubblico e l’improvvisa scomparsa dalle fumetterie per scarse vendite.

Il Punitore
(The Punisher) appare per la prima volta su The Amazing Spider-Man n. 129 del febbraio 1974, su testi di Gerry Conway e disegni di Ross Andru. In Italia è uscito sull’Uomo Ragno n. 149 dell’Editoriale Corno, nel gennaio 1976.

 

 

Il Punitore è un uomo che fa giustizia uccidendo i criminali. Cerca di approfittarne lo Sciacallo, nemico dell’Uomo Ragno. Con l’inganno, lo Sciacallo lo convince che l’Uomo Ragno sia un criminale e che merita di morire.
Spidey riesce a chiarire l’equivoco prima di finire male in una storia che piace ai lettori americani.

 

Il Punitore nel suo esordio disegnato da Ross Andru

 

Frank Castle, questo il vero nome del Punitore, è un ex marine la cui famiglia (moglie, figlia e figlio) è stata sterminata per aver assistito a un regolamento di conti tra mafiosi, durante un picnic a Central Park. Frank venne ferito e creduto morto, ma sopravvisse. Da lì in poi giurò a se stesso di sterminare tutti i criminali.

Negli anni settanta negli Stati Uniti dilaga la criminalità a livelli mai visti. Sia quella organizzata, sia quella delle gang giovanili. A New York, nel Bronx, c’è la più alta percentuale quotidiana di omicidi al mondo. Eroina per le strade, interi quartieri fatiscenti, lotta tra bande, degrado urbano a livelli impensabili. Lo stesso creatore del Punisher, Gerry Conway, abita in un quartiere malfamato della Grande Mela respirando quell’atmosfera malsana.

 

Il Punitore di Mike Zeck

 

La criminalità nei quartieri viene combattuta blandamente perché i politici del tempo ritengono quella popolazione già disagiata e quindi non meritevole di ulteriori punizioni. Rudy Giuliani, come capo della polizia di New York, fa il ragionamento opposto: se quei quartieri sono disagiati è perché la classe politica non fa nulla per riportarli all’ordine. Giuliani all’inizio si prende del fascista, ma poi dimostra di avere ragione e il suo esempio, di “tolleranza zero” verso l’illegalità, diventa un esempio per tutta l’America. Ma i giorni di Giuliani sono ancora da venire, in questi primi anni settanta.

L’industria cinematografica di Hollywood si butta a capofitto nel costruire storie in questa realtà di crimine diffuso. Nel 1974 esce “Il Giustiziere della notte” di Michael Winner e nel 1979 “I guerrieri della notte” di Walter Hill, solo per fare due titoli che comprendono alcune sfaccettature di un genere.

In questo humus, la figura di Punisher attecchisce facilmente. Negli anni a seguire le sue apparizioni nelle pubblicazioni Marvel continuano, anche nel famoso ciclo di Devil di Frank Miller. Con scarso successo si prova a presentarlo nel formato rivista in bianco e nero, dato che nei colorati comic book l’autocensura del Comics Code pone troppe restrizioni sulla violenza.
Fino a che, finalmente allentata la censura, Frank Castle ha, nel 1986, la sua miniserie nei comic book.

 

IL PUNITORE DI GARTH ENNIS È UN SERIAL KILLER

Mike Zeck

 

Nel frattempo il Punitore diventa sempre più duro e sfrontato. Pronto a risolvere ogni cosa con le armi, anche usando la tortura. Le pubblicazioni si moltiplicano rapidamente, arrivando fino a quattro mensili. Un po’ la saturazione e un po’ perché le storie in genere non sono un granché, chiudono una a una. Rimane la serie principale, ma arranca anche quella. Negli anni novanta Frank venne condannato a morte e giustiziato sulla sedia elettrica. Per poi tornare come angelo vendicatore con “una missione per conto di Dio”, in una delle peggiori run di sempre che sembra la brutta copia di Spawn. Fino a chiudere definitivamente.

Nei primi anni 2000 la Marvel decide di investire su una linea di albi più adulta, e prova a rilanciare Punisher affidandolo alla penna di Garth Ennis, uno scrittore dell’Irlanda del Nord. Uno sceneggiatore sboccato, irriverente, esperto di armi. Come molti irlandesi anche con un rapporto stretto e a volte conflittuale con la religiosità. Sul Punitore Ennis utilizza tutto il proprio repertorio basato sulla ultraviolenza, ottenendo il gradimento del pubblico, anche se la sua rappresentazione risulta ancora troppo grottesca e demenziale.
I disegni sono invece di Steve Dillon, un londinese prematuramente scomparso (1962-2016), che lo accompagnerà spesso anche in seguito su questo personaggio.

 

IL PUNITORE DI GARTH ENNIS È UN SERIAL KILLER

Steve Dillon

 

Con la successiva serie regolare, Garth Ennis riesce a dare per la prima volta credibilità al Punitore. Un personaggio ricco di potenziale, ma fino a quel momento mal sfruttato.
Il suo ritratto di Frank Castle è quello di un uomo senza speranza, una figura tragica senza alcun legame con la realtà in cui vive, e con un’unica idea fissa: uccidere.

Le similitudini tra il Punitore e un tipico serial killer diventano sempre più numerose. Entrambi utilizzano un preciso e ripetitivo modus operandi, studiando le vittime prima di ammazzarle. Come gli assassini seriali che uccidono una certa categoria di persone (donne, ragazze, minori, gay a seconda della loro devianza), Frank ammazza solo chi ritiene colpevole secondo il proprio sistema di valori.
Gli studiosi spiegano che la “follia” di questi assassini è presente già dalla nascita, ma solo in seguito a particolari eventi nella loro vita, i cosiddetti punti di rottura (per esempio violenze subite nell’infanzia), la crudeltà latente si sprigiona in via definitiva.

Cosi anche Garth Ennis ci racconta che Frank è sempre stato segnato dal suo destino. Dall’infanzia, raccontata nella bella storia “The Tyger”, fino alla guerra del Vietnam. Il massacro della sua famiglia a New York è stato, infine, il punto di rottura. La famosa goccia che fa traboccare il vaso già quasi colmo.
Sia i serial killer sia il nostro eroe con il teschio sul petto hanno la continua necessità di uccidere e non si fermano mai.
Frank non uccide per vendetta, uccide perché non sa fare altro, uccide per bisogno. Non raggiungerà mai la pace, non ha uno scopo finale a cui tendere, se non quello di eliminare ogni persona che giudica colpevole. Non è un Liam Neeson che si vendica in “Un uomo tranquillo” o un Michael Douglas “In un giorno di ordinaria follia”. Non siamo noi che perdiamo il controllo dopo una tragedia, lui è patologico.

Sa che morirà in questa missione (come lo sa il serial killer che spesso desidera inconsciamente che lo fermino), ma non fa nulla per scongiurare questo rischio. Non gli importa, l’impulso che lo muove è più forte dell’autoconservazione. Non è più il Punisher anni ottanta tutto muscoli, armi e uccisioni aiutato da Micro, la classica spalla che serve a sdrammatizzare i toni.
Il Punitore di Ennis è solo contro tutti, è più cupo, più introspettivo, più rassegnato al ruolo che gli è imposto dal suo essere. Ogni tanto ha un barlume di lucidità, per esempio quando incontra una persona che gli ricorda la moglie, o uno dei suoi figli. Ma è un attimo, in lui non c’è più nulla del marine Castle. Lui è solamente una macchina che ucciderà ancora e ancora.

Dopo Ennis altri sceneggiatori hanno ripreso questa visione del Punisher, come Rick Remender, Jason Aaron e Greg Rucka, ma nessuno ha raggiunto i suoi livelli. O è sceso nei suoi abissi.

 

IL PUNITORE DI GARTH ENNIS È UN SERIAL KILLER

Jacen Burrows

 

Dopo aver raccontato ancora una volta il periodo in cui Frank Castle combatteva in Vietnam nella miniserie “Platoon” del 2017, Garth Ennis torna con una nuova miniserie che uscirà a novembre negli Usa ambientata negli scenari urbani di oggi, intitolata “Soviet”.
Le matite sono di Jacen Burrows, già visto all’opera su Moon Knight, Transmetropolitan e la rilettura di Lovecraft fatta da Alan Moore. Burrows è molto amato dallo scrittore irlandese, con cui ha già collaborato su “303”, “Crossed” e l’interessante “Cronache di Wormwood”.
Stavolta non è il Punitore a decimare i delinquenti, tutti dell’ex Unione Sovietica immigrati a New York. Chi è allora l’assassino di criminali russi che si aggira per la grande mela?

 

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Paolo Rivera

 

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