LO SPETTATORE DI MONOSCOPI

LO SPETTATORE DEL MONOSCOPIO

Era quasi il 1970, avevo nove anni e al pomeriggio a volte mi piaceva tenere acceso il televisore di casa sintonizzato sul monoscopio (una forma geometrica per la taratura dei televisori) in bianco e nero con le sfumature azzurrine del tubo catodico. Tempo prima ero stato in uno studio televisivo Rai e su tutti i monitor avevo visto segnali a uso interno, monoscopi appunto e altre immagini di controllo. Da allora ogni tanto con il televisore fischiante e l’immagine fissa (i programmi cominciavano alle cinque del pomeriggio), mi piaceva fantasticare di essere un tecnico come quelli della Rai, che mi era sembrato facessero un mestiere molto interessante. In quelle occasioni, per fantasticare meglio giravo per casa con una cuffia Koss in testa e il suo spinotto in tasca collegato a una qualche attrezzatura portatile che mi manteneva in contatto con la regia.

LO SPETTATORE DEL MONOSCOPIO
Il monoscopio Rai precedente l’introduzione del secondo canale

Un giorno, a un certo punto il monoscopio scomparve e apparvero al suo posto delle barre verticali con diverse sfumature di grigio. Corsi in cucina entusiasta per informare mia madre dell’evento e lei venendo a vedere disse: “Ma sembrano quasi colorate…“. In effetti stavo assistendo a una delle prime prove di trasmissione a colori, erano le barre colore, ancora oggi in uso. La mia perseveranza di spettatore di monoscopi aveva dato i suoi frutti; ovviamente che fossero barre colore lo scoprii qualche anno dopo, ma al momento mi resi comunque conto di aver visto qualcosa di importante.

Le barre colore visualizzate su un televisore in bianco e nero (approssimazione)

Una quindicina di anni dopo mi capitò di accompagnare un amico ingegnere elettronico al monte Tre Croci di Campo dei Fiori, sopra Varese, al grand’hotel del primo Novecento ormai in disuso e trasformato in postazione d’antenne per le emittenti radiotelevisive private. Doveva fare delle misurazioni per conto di un paio di radio e ripensandoci mi rammarico di non avere avuto con me una macchina fotografica. Quello di Campo dei Fiori era stato uno degli alberghi più lussuosi del nord Italia, e nel 1968 era stato abbandonato come per una fuga urgente: gli enormi tavoli erano ancora coperti di tovaglie ricamate, qui e là stoviglie di porcellana decorata, balconate con i mobili di vimini pregiato distrutto dalle intemperie; un grande ascensore in stile liberty era uscito dalle guide ed era rimasto incastrato tutto storto nella sua gabbia a vista. Sparsi, connettori per cavi radio che costavano ciascuno quanto uno stipendio da impiegato.

Il Grand Hotel Campo dei Fiori oggi

Raggiungemmo le soffitte, ronzanti delle ventole dei trasmettitori, alcuni di grande potenza, venti, cinquantamila watt. Entrai in uno di quegli stanzini e lo vidi: un generatore di monoscopi e di barre colore collegato a un trasmettitore televisivo acceso. Forse ancora sull’onda dell’entusiasmo di anni prima non potei resistere e premetti il tasto delle barre, che figata! Il problema era che non avevo fatto caso se fosse già premuto di suo o se fosse in onda qualcos’altro.

Il mio amico, vedendo la mia faccia da marachella domandò: “Non dirmi che hai schiacciato qualcosa…“, sapendo già la risposta. “Va be’, che cosa c’era prima, monoscopio, reticolo, barre colore o trasmissione dal vivo?“, aggiunse già sapendo che non avevo idea di che cosa stesse trasmettendo quel sacripante. Decidemmo di lasciare le barre colore, un’ipotesi valeva l’altra. Erano anni in cui molti canali erano semplicemente occupati da immagini fisse in attesa di programmi regolari.

Andò così che per quasi ventiquattr’ore una delle emittenti televisive più note dell’epoca non fosse più visibile dalle Prealpi ai confini con l’Emilia, sostituita dalle mie amate barre colore.

Con il viavai di tecnici che c’era, il mio amico non fu individuato come il responsabile per mia mano e si finì col pensare a uno dei soliti dispetti tra stazioni concorrenti.

Anni fa me lo sono comperato, un vecchio generatore di barre.

(Copyright © 2023 Andrea Antonini Berlino; immagine del Grand’hotel Campo dei Fiori con licenza CC BY-SA 2.5, monoscopio Rai di pubblico dominio, barre colore generate dall’autore)


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