TUTTE LE FAKE NEWS SULLA GIOCONDA

TUTTE LE FAKE NEWS SULLA GIOCONDA

Dove: Firenze e Roma, Italia; Castello di Amboise, Francia; Parigi, Louvre.
Quando: 1503-1504 ; 1513-1514; 1516 ; 1519 ; 1911.
Chi era: Lisa Gherardini. Forse.
Perché questo articolo: per fare chiarezza sulle tante fake news che circolano.
Di cosa parleremo: della storia del quadro e di come e perché divenne un mito.

In occasione delle celebrazioni per i 500 anni della morte di Leonardo sono state riproposte polemiche, illazioni e vere e proprie fake news sulla Gioconda. Un dipinto diventato un’icona assoluta, al punto che gran parte dei visitatori del Louvre ci entrano solo per vederla, ignorando le centinaia di altri dipinti presenti.

 

Tante fake news per un solo quadro

Cominciamo con le fake news. Primo, la Gioconda non è stata rubata da Napoleone. Bonaparte la prese dal Louvre, dove già si trovava, e la tenne per un po’ nella propria camera da letto, ma poi la restituì al museo.
Secondo, non c’è nessun mistero nello sguardo né nel sorriso: c’è solo l’eccelsa tecnica pittorica di un grande artista che, come vedremo, non era mai soddisfatto del proprio lavoro.
Terzo, il quadro che vediamo oggi non è lo stesso che vedeva Leonardo. È più scuro, perché ricoperto dallo sporco e dalla polvere del tempo. Inoltre, da quando entrò a far parte della collezione dei re di Francia, periodicamente gli venne applicata una vernice trasparente per tentare di ravvivare i colori. Oggi i restauratori giudicano un qualsiasi intervento molto difficile, e nessuno si azzarda a farlo. È stato però tentato un “restauro virtuale”, di cui ha dato conto Alberto Angela nel suo recente libro Gli occhi della Gioconda.
Quarto, la Gioconda non fu da subito un’icona dell’arte, conosciuta e ammirata da tutti. Lo divenne quando fu rubata nel 1911.

 

Chi è la Gioconda?

Di solito si identifica la donna del ritratto con Lisa Gherardini, moglie del mercante fiorentino Francesco del Giocondo. Siamo a Firenze nei primi anni del Cinquecento. Francesco del Giocondo è uno che si è fatto da sé. Di umili origini, è riuscito a diventare ricco e a raggiungere una buona posizione sociale. Per testimoniare il suo successo commissiona a Leonardo, all’epoca artista già affermato, un ritratto della moglie.
Leonardo non gli consegnò mai l’opera finita. Perfezionista fino all’estremo, non era mai soddisfatto del proprio lavoro. Continuò a ritoccare la Gioconda per tutta la vita, modificando, correggendo, ridipingendo. La portò con sé in tutti i suoi spostamenti – da Firenze a Roma e poi da Roma in Francia – insieme ad altri due quadri: il San Giovanni Battista e La Vergine con il Bambino, Sant’Anna e l’Agnello.
Sappiamo che Leonardo non consegnò l’opera a Francesco del Giocondo perché mancano le ricevute di pagamento. Leonardo era molto attento ai propri conti, annotava scrupolosamente tutti i guadagni. Inoltre, nel testamento di Francesco del Giocondo, che possediamo, non c’è alcun accenno all’opera.

Oggi è stata avanzata una nuova identificazione, proposta dal professor Carlo Pedretti. Lo studioso, recentemente scomparso, è stato il maggior esperto di Leonardo. Ha ipotizzato che la donna del dipinto sia in realtà Pacifica Brandani, amante del cardinale Giuliano de’ Medici. Questi, figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello del papa Leone X, avrebbe voluto il quadro per farne dono al figlio Ippolito, avuto proprio da Pacifica Brandani. Il bimbo non conobbe mai la madre, forse morta dandolo alla luce. Ma neanche Leonardo la conobbe mai, avrebbe quindi dipinto lavorando sulla base di descrizioni fattegli. La Gioconda sarebbe stata quindi dipinta a Roma intorno agli anni 1513-1514, quando Leonardo era al servizio del cardinale Giuliano de’ Medici, non a Firenze negli anni 1503-1504. Sarà proprio la morte improvvisa del cardinale a lasciare Leonardo privo di un protettore – il papa, conoscendo la sua propensione a non consegnare quasi le opere che gli venivano commissionate, gli fece capire che non intendeva dargli lavoro – e a convincerlo a lasciare l’Italia per la Francia.

 

Regalata a Salai e comprata dal re di Francia

Nel 1516 Leonardo si trasferì in Francia, alla corte del re Francesco I. Il re, che ammirava Leonardo e in generale tutto ciò che era italiano, volle acquistare i tre quadri che l’artista aveva portato con sé. Ma a venderglieli non fu direttamente Leonardo: fu il suo allievo Gian Giacomo Caprotti, detto Salai (“diavoletto”), al quale Leonardo le aveva donate.

Salai è un personaggio abbastanza particolare. Allievo di Leonardo fin da ragazzino, lo seguì in Francia insieme all’altro allievo prediletto, Francesco Melzi. Ma mentre Melzi rimase accanto a Leonardo fino alla fine, Salai ritornò in Italia prima. Svogliato, ladro, furbo e intrigante, aveva però un viso angelico, bellissimo. Fu lui, secondo alcuni esperti, a fare da modello per il San Giovanni Battista. Leonardo gli perdonò sempre tutto, forse perché aveva con lui un rapporto che andava al di là di quello tra maestro e allievo. Cosa peraltro frequente all’epoca: l’omosessualità era praticata e, in certi ambienti, tollerata, purché non ne venisse fuori un pubblico scandalo.
Dalla vendita della sola Gioconda, Salai ricavò ben 12mila scudi, una cifra altissima per l’epoca. Poi tornò in Italia, dove finì male. Accanto a Leonardo rimase Francesco Melzi, al quale l’artista lasciò in eredità tutti i suoi quaderni di appunti. Questi, purtroppo poi dispersi nel corso degli anni, diventeranno i famosi Codici.

Dopo la morte di Leonardo, nel 1519, il re Francesco I fece trasferire la Gioconda nel castello di Fontainebleau, alle porte di Parigi.
A darci molte delle informazioni che possediamo sulla Gioconda è lo scrittore e artista Giorgio Vasari, autore del libro Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori. Un’opera fondamentale per conoscere la vita, le opere, il metodo di lavoro e le vicende dei più celebri artisti italiani, del Rinascimento e non solo.
Nel caso di Leonardo, Vasari scrive oltre 30 anni dopo la morte dell’artista, che non conobbe mai personalmente. Poté comunque attingere a una fonte di prima mano, ovvero lo stesso Francesco Melzi. È Vasari, per esempio, a scrivere che Leonardo, “per togliere la malinconia che sempre viene quando si posa per i ritratti”, avrebbe assunto musici, buffoni e saltimbanchi per allietare Lisa e farla sorridere. Secondo alcuni, il celebre sorriso sarebbe dunque nato così.

Finché Leonardo era in vita e si trovava in Italia, dunque prima del 1516, il quadro fu certamente visto e apprezzato.
Tra questi c’era Raffaello, il quale la copia in un disegno, che possediamo tutt’oggi, e poi ne riprende la posa, in una sorta di citazione, nel dipinto Ritratto di Maddalena Strozzi.

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Raffaello, Ritratto Femminile – Parigi, Louvre – © Art Dossier Giunti

 

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Raffaello, Ritratto di Maddalena Strozzi – Firenze, Uffizi – © Wikimedia Commons

 

Dimenticata e riscoperta

La Gioconda rimase nel castello di Fontainebleau, nelle collezioni dei re di Francia, per oltre un secolo e mezzo.

Poi fu trasferita nella reggia di Versailles, inaugurata nel 1682. Qui fu ignorata dai nobili e cortigiani che lì vivevano, e conosciuta soltanto da pochi intenditori. Nel 1760 finì nell’ufficio del conservatore delle collezioni reali, e ci rimase per oltre vent’anni, dimenticata da tutti.
Nel 1792, caduta la monarchia dopo la Rivoluzione Francese, le collezioni reali vennero trasferite al Louvre. Il trasloco della Gioconda è testimoniato da un numero di inventario che si trova sul retro. Napoleone, come detto all’inizio, la prese per sé, ma dopo pochi anni la restituì.

Le cose incominciarono a cambiare nell’Ottocento. Ma non per la Gioconda, bensì per Leonardo. Fino a questo momento era un artista assai poco conosciuto e ancor meno apprezzato. Gli si preferivano altri pittori, come ad esempio Botticelli.
Poi, a poco a poco, iniziò il suo mito. Fu quindi il mito di Leonardo a portare alla conoscenza delle sue opere, e non viceversa.
Il mito di Leonardo iniziò in Francia, dove gli fu attribuita una sorta di “cittadinanza onoraria”. Venne esaltato il suo rapporto con il re Francesco I. Il sovrano appare in alcuni dipinti al capezzale dell’artista morente: cosa peraltro non vera, perché al momento della morte di Leonardo il re non si trovava ad Amboise.

Ingres, Francesco I al capezzale di Leonardo, 1818 – Parigi, Petis Palais – © Wikimedia Commons

 

Nella seconda metà dell’Ottocento inizia il fenomeno delle copie, destinate ad acquirenti colti e agiati.

Nello stesso periodo la Gioconda diventa un mito della letteratura. Prima con il poeta Baudelaire, che nella sua celebre opera I Fiori del Male (1857) cita Leonardo nella poesia “I Fari”. Nel testo l’artista di Vinci è accostato ad altri grandi come Rubens, Michelangelo e Rembrandt, e si parla dei suoi “angeli stupendi con un riso di misterioso incanto”. E poi con lo scrittore Theophile Gautier, che in uno scritto del 1867 inaugura la visione di Monna Lisa come donna fatale, al contempo angelica e diabolica.

 

Il furto “provvidenziale” della Gioconda

Fu grazie al clamoroso furto del quadro, avvenuto nel 1911, che la Gioconda divenne veramente famosa a livello popolare. La notizia fu riportata da tutti i giornali d’Europa: prima francesi, poi inglesi e infine italiani. L’evento ispirò canzoni, spettacoli di varietà, vignette satiriche. Se ne interessò persino Gabriele D’Annunzio.
Fu un giornale francese, Le Petit Parisien, ad avere un’idea, per quei tempi, clamorosa. Regalò ai suoi lettori delle riproduzioni del dipinto.

Da questo momento iniziò il mito. Folle di visitatori entrarono per la prima volta al Louvre, apposta per vedere lo spazio vuoto sul muro, mentre fuori dal museo spuntarono le prime bancarelle di gadget.

Dopo essere stata ritrovata, e prima di tornare in Francia, la Gioconda fece un lungo tour in Italia. Fu esposta prima a Firenze, agli Uffizi, e poi a Roma, alla Galleria Borghese e a Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia. Quando tornò a Parigi, ad accoglierla c’era il Presidente della Repubblica con tutto il governo.

Cominciarono poi le dissacrazioni. Nel 1919 Marcel Duchamp prese una riproduzione fotografica della Gioconda, disegnò un paio di baffi e un pizzetto e presentò l’opera con il titolo L.H.O.O.Q., sigla che contiene una frase dal significato osceno.

Durante la Seconda guerra mondiale la Gioconda venne spostata molte volte per ragioni di sicurezza, e tornò anche brevemente nel castello di Amboise.
Nel 1962 partì per una tournée negli Stati Uniti, dove fu ammirata dal presidente J.F. Kennedy, da sua moglie Jacqueline e da oltre un milione e mezzo di persone. L’anno dopo, nel 1963, Andy Warhol realizzò la serigrafia Trenta sono meglio di una: la Gioconda era ormai una celebrità, un’icona Pop al pari di Marylin Monroe, Jacqueline Kennedy e Mao Zedong, che anche compaiono nelle opere di Warhol.
Nel 1974 partì per una tournée in Giappone.

 

La Gioconda era così?

Concludiamo parlando del “restauro virtuale” di cui abbiamo accennato all’inizio. Nel 1998 la rivista Il Giornale dell’Arte lo commissionò al laboratorio di restauro della famiglia Nicola, attiva da generazioni in questo campo. L’unione tra la conoscenza delle antiche tecniche pittoriche e le moderne tecnologie ha prodotto questo risultato.

Il “restauro virtuale” della Gioconda – © Il Giornale dell’Arte, edizioni Umberto Allemandi & C.

 

Secondo Alberto Angela “per lungo tempo il suo sorriso ha trasmesso principalmente sensazioni di calma, serenità e compostezza, persino di affettuosa dolcezza materna. Eppure, nella seconda metà dell’Ottocento, Monna Lisa è stata percepita come l’esempio della donna fatale, della seduttrice ambigua e sensuale… Ed è proprio questo, alla fine, il segreto del fascino della Gioconda: che ogni epoca, ogni cultura, ogni singola persona vede in quel famoso sorriso ciò che corrisponde ai suoi sogni, ai suoi desideri, alle sue fantasie”.

 

Fonti

Alberto Angela, Gli occhi della Gioconda, Rizzoli 2016
Pietro C. Marani, Leonardo. La Gioconda, Giunti Art Dossier, inserto del n. 189, maggio 2003

 

 

 

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