SONO ANDATA IN EGITTO PER VEDERE SE ESISTE

SONO ANDATA IN EGITTO PER VEDERE SE ESISTE

L’Egitto è ricco di antichità, di reperti, di meraviglie, più di quanto io potessi immaginare da bambina. La realtà supera qualunque fantasia.

Alle scuole elementari andavo a visitare il Museo egizio di Torino. Almeno una volta all’anno riuscivo a convincere mio padre ad accompagnarmi. Quando arrivavano i parenti dal paesello cercavo di convincerli che il Museo egizio era assolutamente da vedere. Di solito, con  scarsa fortuna.  

Ero riconoscente a Bernardino Drovetti (1776 – 1852) perché era stato lui a raccogliere e portare a Torino il grosso della collezione. Era un canavesano nato a Barbania che si era arruolato nell’esercito napoleonico nel 1798, durante la campagna d’Egitto.

I viaggiatori piemontesi 

I piemontesi, che sono un po’ “montagnini e schivi”, hanno parecchi di questi personaggi strani, avventurosi, che hanno viaggiato ai confini del mondo. Per esempio il carignanese Federico Peliti, dopo aver studiato scultura, applicò la sua arte a costruire torte al servizio di Lord Mayo, viceré inglese in India.
Dopo l’assassinio di Lord Mayo, si mise in proprio e aprì un bar pasticceria in India. Era anche un appassionato fotografo. Le sue fotografie, che sono un interessante documento etnografico dell’India di fine ottocento, sono state oggetto di una bella mostra a Carignano nel palazzo edificato da Peliti al ritorno dall’India.

Bernardino Drovetti 

Quando Napoleone fu sconfitto ed esiliato all’isola d’Elba (1814), Bernardino Drovetti intensificò il suo lavoro di ricerca dei reperti. Dopo la pubblicazione dei lavori degli scienziati che avevano seguito l’imperatore, l’Egitto diventò di moda. Drovetti aveva intenzione di proporre i suoi pezzi al re di Francia, ma un altro viaggiatore piemontese, Carlo Vidua conte di Conzano, nato a Casale Monferrato, raggiunse Drovetti in Egitto per convincerlo che il tesoro raccolto dal canavesano dovesse arrivare a Torino.  
Nel 1823 Carlo Vidua trattò a lungo, per conto del governo piemontese e del re Carlo Felice, per acquisire la raccolta messa insieme da Drovetti. Il contratto si perfezionò con atto notarile il 24 marzo 1823.

Drovetti vendeva ottomila pezzi di antichità egizie per ripagarsi delle ingenti spese che aveva sostenuto durante le sue ricerche archeologiche. Lo scopo di Vidua e del re Carlo Felice era di attirare a Torino molti stranieri istruiti grazie alla raccolta di Drovetti.

Così la raccolta fu trasportata con le navi. Nell’ultimo tratto del lungo viaggio, da Genova giunse via terra a Torino.  

   

Il Museo egizio di Torino

Tra coloro che erano stati incaricati del trasporto e della sistemazione c’era Giulio Cordero di San Quintino, che andò a fare un’ispezione all’antico collegio dei Nobili per vedere se le volte del palazzo avrebbero potuto reggere le statue pesantissime giunte dall’Egitto. Il parere fu favorevole.

L’11 novembre 1824 Giulio Cordero di San Quintino comunicò che la collezione di Drovetti era stata sistemata nel collegio dei Nobili.

Il Museo Egizio di Torino ha dunque duecento anni: 1824 – 2024. Aperto al pubblico nel 1832, è il più antico Museo egizio del mondo. È anche il più grande, dopo il Museo egizio del Cairo.

Quando ero bambina e andavo al Museo Egizio, il palazzone seicentesco coperto dalla fuliggine dell’inquinamento di Torino al massimo della sua attività industriale, aveva ancora l’aspetto di una vecchia scuola superiore. Mi pare ci fossero i pavimenti polverosi di legno coperti di segatura quando pioveva.
Per mie vicissitudini, che non sto qui a raccontare, mi fidavo poco di quanto affermavano gli adulti. Dovevo sempre verificare. Così l’idea che esistesse un Egitto pieno di tesori e, ancora più incredibile, che esistessero le piramidi, che fosse esistita la civiltà egizia, che fosse stata al suo apice probabilmente 2500 anni prima di Cristo mi sembrava incredibile. Giurai a me stessa che sarei andata a vedere con i miei occhi. Lo avrei fatto prima di morire.

Viaggio in Egitto

Il 17 settembre 1997 accadde il Massacro di Luxor, in cui alcuni terroristi islamici uccisero 52 turisti al tempio funerario della regina Hatsepsut.  Il turismo egiziano crollò e crollarono i prezzi. Allora pensai: “O adesso o mai più!”. Per le mie possibilità il viaggio in Egitto era molto costoso e non me la sentivo, vista la situazione politica della zona, di fare un viaggio in solitaria per risparmiare.

Quando il turismo timidamente riprese, comprai il biglietto di andata e ritorno in aereo, il soggiorno al Cairo e una crociera sul Nilo, per visitare l’alto Egitto con un viaggio organizzato. Era dicembre. Di giorno faceva caldo, specialmente quando arrivammo a Sud, nella Valle dei Re. Di notte l’aria era fredda e bisognava coprirsi.

L’Egitto si rivelò molto più  ricco di antichità, di reperti, di meraviglie di quanto io non  potessi immaginare. La realtà superava qualunque fantasia.

Il Cairo



Arrivammo all’aeroporto del Cairo e un pullman ci portò all’hotel viaggiando su strade sopraelevate.

La città brulicava di persone. La guida parlava di 30milioni di abitanti solo per la città del Cairo. Su Wikipedia di parla di 9 milioni e mezzo di persone registrate e probabilmente 18 milioni per tutta l’area metropolitana. Spesso viaggiavamo di notte, credo come misura di sicurezza, preceduti e seguiti da poliziotti in moto.

Lo smog che gravava sulla città si poteva tagliare con il coltello: è prodotto dai bracieri, dalle stufe e dalla grande quantità di vecchie auto a benzina di origine europea dotate di vecchi motori estremamente inquinanti che percorrono le strade a passo d’uomo.

Sapevo che la località di Giza, dove sorgono le piramidi, si trova a 20 chilometri a sud ovest del Cairo. Non speravo di vedere da lontano le piramidi, ma almeno di scorgerle quando saremmo stati vicini. Invece lo smog era così fitto che vedemmo le piramidi e la Sfinge solo quando fummo sotto. Il paesaggio era color seppia, come una vecchia foto degli anni quaranta, come il vecchio film La mummia. Le piramidi esistono, la Sfinge esiste e mi sembrarono monumenti alieni.

La parte della città occidentale a est del Nilo è stata costruita sul modello di Parigi dal Chedivè (Viceré) Ismà II a metà dell’Ottocento, ed è caratterizzata da ampi viali, giardini pubblici e spazi aperti. Lo stile è quello con cui è stata ampliata Torino dopo l’unità d’Italia. Mi sembrava di essere a Torino anche perché, nel delta, il fiume Nilo si divide in tanti rami e ognuno di essi non è tanto maggiore del Po.

Non ci tengo a criticare gli abitanti dei posti che ho visitato, anche perché ci sono stata pochi giorni e la mia è inevitabilmente una visione parziale, tuttavia devo dire che ho visto sempre le donne lavorare in campagna, magari con un asino che trascinava l’aratro e con un figlio in collo. Gli uomini stavano nelle moschee e all’ora della preghiera emettevano alte invocazioni.

Il Museo egizio del Cairo

Siamo andati al Museo egizio del Cairo, un palazzone immenso in stile neoclassico su progetto del francese Marcel Dourgnon, realizzato dagli italiani Giuseppe Garozzo e Francesco Zaffrani.

Il palazzo ha in mostra 136mila pezzi e molte altre centinaia di migliaia sono nei magazzini. Il Museo Egizio era stato creato per fermare l’esportazione selvaggia di reperti e manufatti.

Quando lo vidi io, il Museo mi dette l’impressione di contenere una grandissima quantità di materiale accatastato in spazi ristretti, forse non del tutto catalogato. Ebbi l’impressione che neanche i custodi sapessero esattamente quello che custodivano.

All’epoca (1998) le mummie non erano esposte o, almeno, io non le vidi. La guida ci spiegò che per la religione musulmana esporre i cadaveri è irrispettoso. Vedo che ora esiste una sezione del museo di piazza Tahir riservata alle mummie, che si può visitare pagando un supplemento. Io le mummie le avevo viste al Museo di Torino fin da bambina.

Indigestione

Quando avevo organizzato il viaggio mi ero chiesta se fosse il caso di visitare le piramidi e l’Alto Egitto in una volta sola. Sicuramente è meglio fare due viaggi. Già il soggiorno al Cairo, la visita a Giza ai resti di Menfi, di Saqqara, il Museo Egizio sono impegnativi. Ma all’epoca temevo che non mi sarebbe più capitata l’occasione.

Prendemmo l’aereo, volammo per circa 860 chilometri verso Sud e andammo ad Abu Simbel. Adesso ci trovavamo nell’Alto Egitto.

L’Alto Egitto e la crociera sul Nilo, per quanto mi fossi preparata, avessi studiato e viaggiassi con la mia fedele guida, mi hanno lasciato un tremendo minestrone in testa e molti dubbi irrisolti.

Abu Simbel

Avevo letto in un libro ingiallito, preso in prestito alla biblioteca nazionale, i taccuini del grande esploratore e orientalista svizzero Johann Ludwig Burckhardt, celebre per aver scoperto il tempio di Abu Simbel il 22 marzo 1813.

Ecco che cosa scrive. “Per un caso fortunato mi allontanai di qualche passo verso sud e i miei occhi incontrarono la parte ancora visibile di quattro immense statue colossali, tagliate nella roccia alla distanza di circa duecento iarde dal tempio”, si tratta del tempio dedicato alla moglie Nefertari da Ramesse II.
“Queste statue si trovano in un profondo avvallamento scavato nella collina. Le statue, come il tempio stesso, erano quasi completamente sepolte dalla sabbia”. Il tempio verrà in seguito liberato dalla sabbia dal patavino Giovanni Battista Belzoni.

Sempre dal taccuino. ”Una delle statue ha ancora tutta la testa e una parte del petto e delle braccia fuori dalla sabbia. Di quella contigua non si vede quasi nulla, poiché il capo è rotto e il corpo è coperto di sabbia fin sopra le spalle. Delle altre due emergono solo le acconciature”.

Si tratta di un grandioso tempio rupestre che Ramesse II consacrò alle divinità Ra-Harakhti di Eliopoli, Amon-Ra di Tebe, Ptah di Menfi e a se stesso.

Il tempio è colossale. Nel 1966 avevo seguito da casa, trepidante, il salvataggio dei templi di Abu Simbel che avrebbero dovuto essere inondati dalla diga di Assuan in costruzione per fornire elettricità all’Egitto e per regolamentare le acque del Nilo.

Grazie a una campagna dell’Unesco i templi sono stati divisi in blocchi e spostati 65 metri più in alto.

Tra Luxor e Assuan

Credo che abbiamo compiuto in aereo il viaggio di ritorno da Abu Simbel ad Assuan, ma non ne sono sicura, non me lo ricordo.

Ad Assuan ci imbarcammo su una nave tutta decorata e scolpita in stile Chippendale, come la camera da letto di mia madre. Noi scendevamo dalla nave, salivamo sui pullman e alla sera andavamo a riprendere la nave dove ci stava aspettando.
Gli egiziani vestivano abiti tradizionali lunghi fino ai piedi. Adesso vedo nei filmati che molti vestono all’occidentale. Nell’aria c’era il pulviscolo della sabbia del deserto vicino. Sul grande fiume le feluche con le alte vele bianche passavano pilotate da uomini con lunghe tuniche bianche. Le rive del fiume erano verdeggianti con alte palme e canneti.

Ricordo l’arrivo in nave sul lungo Nilo percorso da molte carrozze a cavalli, sembrava di essere in un film di Indiana Jones ambientato negli anni trenta.

I venditori ambulanti ci offrivano la loro merce senza insistere troppo. Leggo ora su Internet di viaggiatori esasperati per l’insistenza degli egiziani. Forse sono stata fortunata perché noi turisti eravamo pochi, il turismo era appena ripreso dopo la strage al tempio di Hatshepsut. Poi i mercati dove i negozianti ti danno l’assalto mi fanno ritornare bambina, quando andavo al mercato con la mia cara nonna che si divertiva a mercanteggiare allo sfinimento come gli egiziani. Io all’epoca mi vergognavo mentre ora rimpiango quei tempi e quelle scene.

Ma qui è arrivato Alessandro Magno?

Navigando su una feluca (grande barca a vela) che avevamo affittato, giungemmo su un’isola del fiume Nilo, forse Elefantina, forse Philae, non so. L’isola era molto verde. La guida ci fece vedere un tempietto e ci disse che era stato dedicato a diverse divinità via via nel tempo. In tarda epoca romana era diventato cristiano.
Quando Alessandro Magno giunse in Egitto per conquistarlo, arrivò fino a questo tempietto. Esisteva una scritta sul frontone del tempio che ricordava il suo viaggio. Io mi sporsi per leggerla, ma non vidi nulla perché la folla mi spinse. Ero commossa, come se Alessandro fosse uno di noi, uno della mia cultura, giunto fino qui come ero giunta io, dietro un sogno.

Tornata in Italia, ho cercato sui libri quel tempio con la scritta di Alessandro Magno ma non ho trovato niente. O sono stata sfortunata, o non esiste nessun tempio su un isola del Nilo sul quale Alessandro abbia fatto scrivere che era arrivato lì. Potrebbe essere una leggenda che gli egiziani propinano ai turisti?

Il faraone che adorava un solo dio

Invece di una vicenda che ritenevo leggendaria ho trovato le tracce, le statue, i resti.

Io pensavo che la vicenda del faraone Amenofi IV (1377-1358 avanti Cristo) detto Ekhnaton (“piace ad Aton”), che cercò di imporre l’adorazione di un solo dio, il dio solare Aton, fosse una favola inventata dai cristiani o da adepti di altre religioni monoteististe. Fece costruire una nuova città chiamata Akhetaton (“orizzonte di Aton”, l’odierna Tell al Amarna) che, fino alla sua morte, fu la nuova capitale del regno. Ho trovato le statue di Amenofi, della moglie e della figlia al Museo Egizio del Cairo. Erano a loro modo commoventi perché Amenofi IV era un faraone particolare con un aspetto fisico inconfondibile.
Dopo la sua morte, il culto del suo dio cedette il passo.


2 commenti

  1. Cara Angela, ero stato in Egitto nel 1976. la situazione si era stabilizzata dopo la guerra del Kippur, ma io e gli altri turisti del viaggio diretto dall’indimenticabile Domenico Gariglio di Beinasco, ci scontrammo con la diffusa corruzione.
    Dentro il museo egizio del Cairo c’era una vetrina con bellissime monete antiche d’oro e d’argento dell’epoca dei re Tolomei. Io sono appassionato di numismatica e la cosa induceva in me molta ammirazione e lode. A questo punto il sorvegliante della sala, con una divisa bianca e un banchetto in testa, si avvicina con un sorriso furbesco e malizioso, e mi fa capire che se voglio portarmi via qualcuno di quei pezzi potrei farlo se gli darò una consistente mancia.
    Ma subito si ritrae quando lo fulmino con un’irosa occhiataccia. Seppi poi che per chi ci cascava, il sorvegliante telefonava il furto all’entrata del museo, così l’incauto acquirente veniva arrestato, e il furbastro si teneva i soldi, infatti tra tutti quei dipendenti del museo c’era un’intesa camorristica.
    Quello fu l’ultimo viaggio organizzato che feci. Visitare in quel modo un paese è inutile.

  2. Che brutta avventura! io però ebbi l’impressione che gli egiziani contemporanei non c’entrino nulla con gli egiziani antichi, siano davvero un’altra razza. I berberi mi sembravano più simili agli antichi egizi, così alti, flessuosi, eleganti…Comunque oggi non avrei assolutamente la forza di fare un viaggio in Egitto Arrivai alla valle dei re con quaranta di febbre sicuramente per la stanchezza. Naturalmente sono felicissima di aver fatto quel viaggio.

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