PERPETUA, LA SANTA LOTTATRICE

PERPETUA, LA SANTA LOTTATRICE

Uno dei primi teologi cristiani, Tertulliano (160-250 circa), era un misogino che considerava le donne una fonte di tentazione e trasgressione, e pretendeva che le ragazze andassero in giro velate in viso, come poi lo saranno le musulmane.
Per questi eccessi e per altre sue derive eretiche rispetto alla Chiesa di Roma, Tertulliano non è mai stato dichiarato santo. Tuttavia fu un buon testimone dei suoi tempi e di ciò che successe ai cristiani della propria terra, il Nordafrica romano, le attuali Tunisia e Algeria.

Tra i suoi scritti c’è l’elogio verso i martiri della fede, ai suoi tempi ancora casi isolati e sporadici, ma esistenti, e da Tertulliano documentati. Come appendice al trattato sui martiri c’è la descrizione del martirio di un gruppo di cristiani avvenuto nel 203 a Cartagine, l’antica città di Annibale presso l’odierna Tunisi, ripopolata dai romani e oggi scomparsa.
I martiri furono Satiro, Revocato, Giocondo, Saturnino, Secundolo e due donne: Perpetua e Felicita.

Queste ultime non erano ancora battezzate, ma catecumene. Perpetua era nobile e colta appartenendo alla famiglia Vibia, illustre nella storia di Roma. Un suo antenatoi, Caio Vibio Pansa, fu vice triumviro con Giulio Cesare, governatore dell’Italia settentrionale durante la conquista della Gallia e console nella guerra contro Bruto, l’uccisore di Cesare. 150 anni dopo Vibia Sabina era diventata imperatrice sposando l’imperatore Adriano, ma il matrimonio non aveva dato figli forse anche perché Adriano era omosessuale.

Originaria di Thuburbo, oggi Tebourba, trenta chilometri a ovest di Tunisi, Perpetua aveva 22 anni, era madre da pochi mesi dovendo ancora allattare suo figlio. Probabilmente era già vedova, il marito non appare, ma solo il padre che invano la scongiura di abiurare per salvare la sua vita e l’onore della famiglia.

Tertulliano in questo caso dimentica la sua avversione verso le donne e riporta il testamento scritto da Perpetua, dove lei descrive il proprio arresto, il processo, la condanna e il carcere. Una prova molto dura per la giovane, che rinchiusa si sente soffocare. Per fortuna viene assistita e confortata dai diaconi Terzo e Pomponio: da loro riceverà il battesimo per merito di martirio.

Durante questa prigionia la giovane donna ha tre sogni premonitori. Nel primo sale la scala che porta in cielo, nel paradiso incontra il Buon Pastore circondato da angeli, e beve il latte delle sue pecore munto dalle stesse mani di lui. Nel secondo guarisce e beatifica suo fratello Dinocrate, morto bambino. E nel terzo si trova nel circo come lottatrice, battendo un nemico poi identificato nel demonio.

Lasciamo a lei la parola, ecco come si immagina a combattere.

Nel giorno precedente a quello del martirio ebbi la seguente visione.
Era giunto il diacono Pomponio alla porta del carcere e bussava forte: andai a lui e gli aprii: era vestito di candida veste e calzava piccoli zoccoli. E mi disse: “Perpetua, aspettiamo te, vieni”.

Mi tenne per mano e cominciammo a camminare per luoghi aspri e tortuosi. Finalmente giungemmo con fatica e anelanti all’anfiteatro. Egli mi fece entrare nell’arena e mi disse: “Non aver paura, io sono qui vicino a te e ti aiuto”. E scomparve.

Vidi allora una grande folla, attonita e sapendomi condannata alle fiere mi meravigliavo che queste non mi fossero aizzate contro. Venne verso di me un certo egiziano, brutto e cattivo d’aspetto, con i suoi aiutanti, per combattere contro di me. Intorno a me vengono giovani di bell’aspetto, aiutanti e sostenitori miei.

Mi svestono e agisco come maschio, poi quei miei favoreggiatori cominciarono a spalmarmi d’olio come si fa per la lotta: invece vidi quell’egiziano ravvoltolarsi nella polvere. E comparve un uomo di straordinaria altezza, tale che superava persino il fastigio dell’anfiteatro, in tunica sciolta, con una striscia di porpora tra le due spalle in mezzo al petto. Aveva dei calzari variamente composti d’oro e d’argento, e teneva in mano una verga a guisa di un capo gladiatore e un ramo verde che recava pomi d’oro. Chiese silenzio, e disse: “Questo egiziano se vincerà costei la ucciderà con la spada, se costei vincerà lui riceverà questo ramo”. E se ne andò.

Ci accostammo l’una l’altro, e cominciammo a scambiarci colpi: l’egiziano tentava di afferrarmi i piedi, io lo colpivo in faccia con i calcagni. E mi sentii sollevata in aria, e cominciai a percuoterlo come se io non toccassi terra. Ma, quando vidi che la cosa andava per le lunghe, congiunsi le mani intrecciando tra loro le dita, gli afferrai il capo, ed egli cadde bocconi e io gli calcai il capo. Il popolo cominciò a gridare e i miei aiutanti a cantare. E mi avvicinai al capo gladiatore e ricevetti il ramo. Egli mi baciò e mi disse: “Figlia, la pace sia con te”. E io presi a camminare trionfante verso la porta Sanarivaria.

Mi risvegliai. E capii che non dovevo combattere con le fiere, ma contro il demonio. Ma sapevo che mia sarebbe stata la vittoria.

Quello descritto non è un combattimento di gladiatori, perché fatto a mani nude senz’armi. Non è pugilato, perché gli sfidanti si colpivano con impugnature metalliche, che rendevano molto più devastanti i pugni. Le discipline della lotta greco-romana e del pancrazio esigevano che gli atleti si prendessero per le braccia e tentassero di rovesciarsi per terra. Vinceva chi atterrava l’avversario per tre volte.

La lotta di Perpetua contro l’egizio somiglia invece al kung fu, una disciplina già esistente nell’Impero cinese, ma non certo in quello romano. In occidente verrà conosciuto quasi 1700 anni dopo, precisamente all’inizio del Novecento, quando le associazioni di kung fu scatenarono in Cina la rivolta contro gli europei, detta appunto dei “boxer”.

In che tenuta combatté Perpetua? I mosaici antichi di Piazza Armerina in Sicilia fanno vedere nove ragazze che si impegnano in gare sportive come la corsa, il lancio del disco e una specie di pallavolo. Indossano un costume rosso, simile a quelli odierni da bagno in due pezzi, il bikini, e nell’antica Roma questa era la divisa estiva per gli esercizi fisici.

Interessante la raffigurazione della premiazione della vincitrice dei mosaici: riceve una corona di fiori rossi e un ramo di palma, proprio come Perpetua. Questo tipo di premio non era solo per le donne ma anche per gli uomini.

PERPETUA, LA SANTA LOTTATRICE

Come non ricordare la manifestazione del popolo di Gerusalemme che accoglie Gesù la domenica delle palme, sventolando foglie e rami della pianta? Tale simbolo verrà fatto proprio dal Cristianesimo, infatti tutti i martiri saranno raffigurati nelle pitture con un ramo di palma in mano, quale segno di vittoria contro il paganesimo e la persecuzione.

Le ragazze di Piazza Armerina stanno praticando diverse attività atletiche, ma non la lotta. Un’eroina della mitologia greca, Atalanta, però, sapeva lottare anche contro concorrenti uomini. Su alcuni vasi antichi è rappresentata la lotta di Atalanta contro Peleo, il padre di Achille. Qui la ragazza è raffigurata con il solo perizoma e i seni liberi, gli uomini gareggiavano completamente nudi. Secondo lo stile greco del VII-VI secolo avanti Cristo gli uomini sono pitturati in nero, le donne in bianco.

PERPETUA, LA SANTA LOTTATRICE

Uno di questi vasi, conservato nel museo di Monaco in Germania, fa vedere la presa di Atalanta sulla nuca dell’avversario, stessa mossa vincente di Perpetua sull’egizio; in effetti Atalanta vince la sua gara contro Peleo. Perpetua sapeva di come una lottatrice poteva battere un uomo. La santa martire cristiana sostituisce dunque l’eroina mitologica.

Infine, un illustratore degli anni venti del Novecento, Joseph Kuhn-Régnier, rappresenta la lotta di una giovane donna contro un uomo ai tempi delle antiche olimpiadi in Grecia. Lo stile è ironico, di tipo “fumettistico sexy”, ma la rievocazione è accettabile: a destra sono presenti due ragazze supporters della lottatrice, a sinistra in piedi c’è l’arbitro, o capo gladiatore, con la verga in mano.

Tertulliano probabilmente assistette al martirio del gruppo di cristiani e lo descrive: gli uomini vennero dati in pasto alle belve feroci, leopardi e orsi. Felicita, schiava incinta, riuscì a partorire prima del martirio, e con Perpetua venne fatta incornare da una mucca selvatica. Entrambe vennero finite con un colpo di spada in gola. Il giorno era il 7 marzo 203.

Questi processi e le successive condanne ed esecuzioni erano state volute dal procuratore Ilariano, ma è tuttora misteriosa la scelta dei cristiani da eliminare. Infatti non vennero toccati né il vescovo di Cartagine Optato, né il sacerdote Aspasio, né i diaconi Terzo e Pomponio, e nemmeno uno dei fratelli di Perpetua, catecumeni pure loro.

Piuttosto che una vera persecuzione, l’autorità aveva voluto forse dare un segnale verso quella fede che stava guadagnando consensi e adesioni tra la popolazione, specie tra gli aristocratici e la gente di cultura, Tertulliano ne era l’esempio più noto. Neppure lui però, grande propagandista della nuova religione, venne mai disturbato, forse perché morì precedentemente alla prima vera sistematica persecuzione in tutto l’impero romano, quella dell’imperatore Decio nel 249-51.

Quest’ultimo voleva sradicare il cristianesimo, già piuttosto affermato, soprattutto per questioni politiche, avendo spodestato e ucciso il suo predecessore al trono, Filippo, che proteggeva i cristiani provenendo dalle vicinanze della Palestina, ed era sposato con Otacilia, amica e corrispondente del teologo cristiano Origene.

A sua volta Decio dovette soccombere quando venne tradito dal suo collaboratore Treboniano Gallo, che lo spinse in una battaglia contro gli invasori goti in condizioni di inferiorità, fu sconfitto e cadde sul campo.

Treboniano Gallo faceva parte della famiglia Vibia, e pur non essendo cristiano ricordava il martirio della propria parente Perpetua. Di fatto, fu lui ad assumere la corona imperiale, e sotto il suo dominio la persecuzione cessò.

C’è il fondato sospetto che Tertulliano abbia trascritto il diario degli ultimi giorni di Perpetua in antagonismo con l’apocrifo degli Atti di Paolo e Tecla, opera infarcita con scene di fantasia ma di grande successo nella sua epoca.

Il teologo cartaginese voleva fornire una descrizione veridica della persecuzione e del martirio dei cristiani, eppure, un secolo e mezzo dopo, un altro africano padre della Chiesa, sant’Agostino, ebbe a contestare che i sogni di Perpetua non corrispondevano a una realtà di fede.

Non si può salvare l’anima di un morto come quella di Dinocrate, occorre il battesimo da vivi. Ma leggendo bene le opere e le azioni di Gesù nel Vangelo, Agostino peccava di presunzione e di rigidità canonica.

Il nome Perpetua a noi oggi rimanda alla matura e chiacchierona domestica di Don Abbondio nei “Promessi sposi”, ma la Perpetua originale era una giovane e ardita lottatrice. Strano che non si sia mai pensato di farla diventare la santa patrona delle atlete, e forse anche delle (poche per fortuna) matadore che hanno calcato in Spagna la plaza de toros.
Le ossa di Perpetua si trovano oggi nella chiesa della cittadina francese di Vierzon.

 

 

 

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