LO STATO DEMOCRATICO DEI PIRATI

LO STATO DEMOCRATICO DEI PIRATI

Tanti sono gli universi della fantasia, i mondi fantastici in cui da sempre si svolgono le avventure. Tutti noi, fin da bambini, ancor prima di rendercene conto, ci viviamo ogni volta che leggiamo-guardiamo-giochiamo una storia.
Il western, la fantascienza, il mondo primitivo, il fantasy, il poliziesco sono alcuni di questi universi. Forse i più importanti.

Ce n’è uno però che ha un fascino tutto suo, forse superiore a quello di molti altri: il mondo dei pirati.
Come tutti i mondi fantastici attraversa fasi cicliche, per un certo tempo è nella mente di tutti, poi praticamente sparisce, poi torna… questo è normale.
Essendo un mondo fantastico, la verità, la realtà hanno finito per non avere più tanta importanza. È uno di quei mondi in cui solo la leggenda e la fantasia contano.
Ma se invece volessimo cercare di vedere cosa possiamo ancora trovare di vero, reale, storico, sotto generazioni di stratificazioni dell’immaginazione?
Cosa troveremmo?

Innanzitutto scopriremmo che uno dei motivi per cui è tanto difficile, anche ad autori con le migliori intenzioni, dare una descrizione non favolistica bensì storica, realistica, di questo mondo, è l’enorme equivoco sui termini.
Il primo errore che viene commesso praticamente da tutti è quello di usare indifferentemente, come se fossero sinonimi, i termini pirata, corsaro, bucaniere, filibustiere. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine.

Bucaniere: i bucanieri erano degli avventurieri, più che altro dei disperati, in fuga dalla legge, da persecuzioni religiose, da troppi debiti o da sventure familiari, che verso la metà del Seicento se ne andarono nelle foreste di Cuba e delle altre Antille vivendo di caccia, specialmente ai tori selvaggi, ossia bovini originariamente portati là dai colonizzatori spagnoli e poi per un motivo o per l’altro sfuggiti nei boschi e rinselvatichitisi, spesso formando grandi mandrie nomadi. Cacciavano anche cinghiali, maiali selvatici (anch’essi rinselvatichitisi), tutte bestie di grossa taglia e di pessimo carattere, spesso pericolose.
Pertanto, il sangue freddo, la mira eccellente e l’abilità nell’uso di potenti archibugi di grosso calibro erano le caratteristiche necessarie del bucaniere.

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Dopo di che, macellavano gli animali, li arrostivano e affumicavano sul bucan, una specie di rozzo barbecue usato dagli indigeni, e vendevano la carne già pronta ai marinai di passaggio che volessero alimenti “a lunga conservazione” per i viaggi.
Questi bucanieri quindi non avrebbero dato fastidio a nessuno… se non per il fatto di essere quasi tutti di origine francese e inglese, e molti di religione protestante.
Quelle terre erano sotto il controllo coloniale della Spagna, che non voleva vi abitasse (neppure nelle foreste sotto un tetto di frasche) qualcuno che non fosse suo suddito, e si era eretta a protettrice del cattolicesimo più intransigente (Torquemada docet). Sicché i bucanieri, “stranieri eretici”, vennero perseguitati e scacciati.

Grave errore: i bucanieri, fino a quel momento innocui, non avendo intenzione né di farsi impiccare né di morire di fame, non avendo nulla da perdere e noti in tutti i Caraibi per la loro mira col fucile, andarono ad arruolarsi negli equipaggi corsari che li accolsero a braccia aperte. Negli arrembaggi, si può ben immaginare quanto fossero utili le scariche di fucileria di quei tiratori scelti. Quando si arrivava al corpo a corpo, gli uomini abituati ad affrontare a piè fermo la carica di un toro di settecento chili con le corna di un metro l’una, figurarsi se si preoccupavano di affrontare un marinaio spagnolo armato di sciabola.

Filibustiere è semplicemente il termine inglese “freebooter”, letteralmente “avventuriero”, che gli spagnoli dei Caraibi pronunciavano male e trascrivevano come “filibustero”. Questi freebooters si riunirono, verso la metà del Seicento, nelle Antille sotto controllo francese (nell’isola Tortue o Tortuga) e inglese (soprattutto in Giamaica), fondando l’organizzazione dei “Fratelli della Costa”, una comunità di corsari (finché le lettere di corsa, che vedremo più avanti, erano valide e in regola, altrimenti non avevano scrupolo a operare anche senza, ossia da pirati).

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Il filibustiere Morgan

 

Gli spagnoli chiamarono tale associazione “filibusta” (in alcuni vecchi testi “filibusteria”), e questo è il nome con cui è ancor oggi nota dopo che i romanzi, e poi i film d’avventura, se ne impadronirono.

Quindi, bucaniere e filibustiere sono termini che si riferiscono a figure precise di sicura collocazione storica, le Antille della seconda metà del Seicento. Siccome fu proprio quel periodo storico a essere rappresentato nei romanzi e nei film del filone genericamente chiamato “di pirati”, divennero (erroneamente) praticamente sinonimi. Termini che furono e sono usati anche nel linguaggio figurato: “quel finanziere-politico-concorrente in genere è un filibustiere!”, nel senso di poco corretto, se non proprio farabutto.

I due termini con valenza generale sono “pirata” e “corsaro”.

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Pirata è un termine generico: indica coloro che, servendosi di una imbarcazione o anche partendo da terra, attaccano altre imbarcazioni per saccheggiarle, impadronendosi di eventuali ricchezze trasportate (denaro, gioielli o un carico di merci di valore). Anche per rapinare l’equipaggio e i passeggeri, e rapire alcune persone (passeggeri di famiglia ricca) o anche (ai nostri giorni nel Corno d’Africa) l’equipaggio intero, allo scopo di chiederne un riscatto.
Ancora, una volta arrivati dall’acqua, attaccano porti e città, sempre allo scopo di saccheggiare, derubare, rapire gente a scopo di riscatto o per ridurla in schiavitù.

Il pirata Capitan Kidd, giustiziato nel 1701

 

Queste attività sono antichissime: basta leggere l’Iliade e soprattutto l’Odissea, dove praticamente tutti ne parlano, le subiscono e spesso le praticano, come se fosse una cosa assolutamente ordinaria. Nate con la costruzione della prima imbarcazione dureranno, pur cambiando di modalità, fintanto che esisterà qualcuno che navigherà.
Se un giorno le astronavi si diffonderanno forse compariranno i pirati spaziali, qualsiasi sarà la modalità che useranno.

Corsaro, invece, indica qualcuno, di solito il comandante di un’imbarcazione, che ha ricevuto una “lettera di corsa” (o “patente di corsa”).
Ossia un’autorizzazione ufficiale di uno Stato che incarica di attaccare navi nemiche per impadronirsi del carico e se del caso anche della nave stessa, spesso imprigionando l’equipaggio.
Ciò fatto, il corsaro può trattenere il bottino per sé, dopo aver pagato alle autorità dello Stato emettente la lettera una certa quota, e tranquillamente venderlo.
Questa si chiama “guerra di corsa”, una pratica comune per secoli, finché venne abolita con la Dichiarazione di Parigi del 1856.

Lettera di corsa

 

Le due cose più curiose da dire sulla guerra di corsa sono che anche Giuseppe Garibaldi fu corsaro. Garibaldi ebbe una lettera di corsa, datata 4 maggio 1837, dalla Repubblica Riograndese (oggi Rio Grande do Sul, una regione meridionale del Brasile) contro l’Impero del Brasile, governato da Pedro II, a cui Rio Grande si era ribellata. Fece il corsaro con un equipaggio italiano per circa un anno.
L’altra cosa curiosa è che alcuni stati non hanno mai firmato la Dichiarazione di Parigi, e tra questi gli Stati Uniti d’America. Anche se pure loro hanno rinunciato di emettere queste lettere.

Per un marinaio di pochi scrupoli era molto più conveniente essere corsaro anziché pirata. Il pirata è un fuorilegge, viene ricercato anche dai suoi compatrioti. Deve comportarsi come un qualunque rapinatore costretto a nascondere la sua attività alla gente onesta, fingendosi un onesto marinaio-pescatore-commerciante, sempre col rischio di venire scoperto. Una volta smascherato deve fuggire e nascondersi come qualunque bandito costretto alla latitanza, con la complicazione che non deve trovare un covo solo per sé e i complici ma anche per la nave con tutto quello che comporta.

Il pirata non può portarsi via navi catturate, al massimo può prendersi la nave catturata al posto della sua se è migliore.
Una volta fuggito con il bottino deve ricavarci denaro: a parte ciò che può usare direttamente (contanti, armi e munizioni, oggetti d’uso come viveri e abiti), il resto deve venderlo. Essendo un ladro, sia pure di mare, che vuol piazzare merce rubata necessita di ricettatori, e da che mondo è mondo sono questi ultimi a far la parte del leone realizzando i maggiori profitti.

L’inconveniente è che il corsaro è legato alla politica. La sua lettera di corsa è valida finché la nazione che l’ha rilasciata è in guerra con l’altra. Basta una tregua, o peggio ancora un trattato di pace, per annullare tutte le lettere. E allora il corsaro può solo scegliere fra il dedicarsi ad altre attività o continuare ad abbordare navi, ma stavolta senza più autorizzazione, quindi divenendo un pirata.

In un’epoca in cui ci volevano settimane per far arrivare una notizia dall’Europa all’America, potete ben immaginarvi quanti equivoci e discussioni, spesso vere e proprie cause giudiziarie destinate a durare anni, vennero a sorgere ai tempi della filibusta, anche se romanzi e film non ce ne parlano quasi mai, poiché ovviamente arrembaggi e duelli sono molto più entusiasmanti e divertenti che non discussioni fra politici e legali.

Le autorità locali, i famosi “governatori” che non mancano mai in qualunque film di pirati che si rispetti, contribuivano a peggiorare la confusione: quelli francesi e inglesi incassavano (oltre alla quota legale dei bottini destinata alle casse statali) anche fior di mazzette dai corsari, e avevano pertanto tutto l’interesse a coprirli e dichiarare che avevano agito legalmente. Quelli spagnoli, a loro volta, sapevano che una bella parte dei risarcimenti che un corsaro sconfitto in quelle cause avrebbe dovuto mollare sarebbe finita nelle loro tasche, e comunque non potevano che stare dalla parte dei loro compatrioti in ogni caso.

Non do biografie o aneddoti sui vari corsari e pirati: al riguardo ci sono un numero sterminato di testi, cartacei e in rete, tali da soddisfare la curiosità e l’interesse di chiunque. Devo però necessariamente pormi la più importante domanda: quando noi, nel nostro mondo della fantasia, pensiamo a pirati e corsari, a cosa pensiamo?
Nomi come Tortuga, Port Royal, Maracaybo, Morgan, l’Olonese, fanno parte dei ricordi di chiunque sia ormai da una certa parte degli “anta”.

Questa pseudo-filibusta viene estesa, dalla fantasia, fino a comprendere uomini che con la filibusta vera e propria, e con la guerra di corsa contro gli spagnoli, non ebbero niente a che fare, come Barbanera, Calico Jack, il capitano Roberts, che erano pirati settecenteschi.

Barbanera, tra i più famosi pirati del primo Settecento


Il mondo della fantasia non conosce confini di tempo e luogo, solo da relativamente pochi decenni gli autori di storie d’avventura si preoccupano della cronologia e realtà storica: basti pensare alle vecchie storie western, dove nomi, luoghi, personaggi, avvenimenti, armi e tutto il resto erano un guazzabuglio tanto confusionario quanto affascinante, e spesso molto meglio sviluppato e scritto delle storie moderne, accurate dal punto di vista storico, ma molto meno (salvo rare e lodevoli eccezioni) appassionanti per i lettori.

Ma perché, e questa è la domanda che necessariamente discende dalla precedente, il mondo dei filibustieri delle Antille colpì tanto i suoi contemporanei, al punto da finire con l’essere il paradigma e l’ambientazione di quasi tutte le storie di pirati successive? Quale ne fu la particolarità?

Potrà sembrare strano, ma la realtà è che era un mondo di libertà. Ovviamente libertà relativa, se confrontata col mondo normale dell’epoca, quello delle monarchie assolute e delle autorità indiscusse.

Ancor oggi si dice che su una nave il capitano è al secondo posto dopo Dio, e nei secoli scorsi ciò non era un modo di dire. La disciplina a bordo di una nave, anche un semplice mercantile, era spietata, degna dei peggiori penitenziari, e sulle navi militari era ancora peggio.
Incredibilmente, la cosa che a quei tempi somigliasse maggiormente a una repubblica democratica, con eguaglianza, libere votazioni, suffragio universale, era proprio una nave pirata!

Sulle navi di corsari e pirati tutto si decideva votando liberamente, anche il capitano veniva eletto. Chiunque poi poteva contestarlo e chiedere ai compagni di ciurma di votare per lui come nuovo capitano. Tutto veniva regolato, una volta deciso, da veri e propri contratti scritti e firmati, in cui tutti, dall’ultimo mozzo al capitano, si impegnavano a comportarsi in un dato modo in vista del fine comune che era stato votato in precedenza; le varie norme dei regolamenti che stabilivano punizioni e premi, regole di condotta e divieti, fanno parte anch’esse dell’immaginario comune della pirateria, tanto sono note.

Fu questo che colpì tanto la fantasia degli uomini di allora, e inconsciamente continua a farlo: i pirati erano, senza ombra di dubbio, uomini violenti, senza scrupoli, spietati, pronti ai peggiori crimini… ma anche gente che poteva criticare, protestare, decidere, votare, accordarsi liberamente, tutte prerogative allora di ben poche persone, in contrasto con lo strapotere di ufficiali e sovrani cui erano sottoposti tutti gli altri.

 

 

3 commenti

  1. Bell’articolo. Mi ha fatto tornare in mente una vecchia trasmissione RAI della mia infanzia (Quelli della Filibusta).
    Per quanto gradisca il genere, però, devo ammettere che è sempre stato assai minore.
    Ad esempio, il numero di film di pirateria prodotti non è mai stato neppure paragonabile a quello del (pur quasi defunto) genere Western.
    E neppure la recente saga dei “Pirati dei Caraibi” ha rilanciato il genere, rimasta sola (per ciò che ricordi) e senza un plagio.
    L’anno aureo per i pirati Hollywoodiani fu forse il 1952, quando George Sherman girò “Contro tutte le bandiere”, Ralph Murphy “Il corsaro”, Richard Siodmark “il corsaro dell’Isola Verde”, Raul Walsh “Il pirata Barbanera” e Jacques Tourner “La regina dei Caraibi”.

  2. […] Un albo antologico di 64 pagine dove trovava posto, tra le altre serie, una breve storia di pirati: genere sfortunato che in America non vide mai un personaggio di successo. Neppure il nostro […]

  3. […] 2017 e.c. Gli inglesi sono un popolo di corsari, cioè pirati sotto l’egida della Corona. Ne incontro uno fuori dalla stazione di King’s Cross. Pesante […]

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