FRANCESCO VIGO, L’ITALIANO AMICO DEI PELLIROSSE

FRANCESCO VIGO, L’ITALIANO AMICO DEI PELLIROSSE

«L’unico indiano buono è quello morto», questo motto di dubbia attribuzione era probabilmente condivisio da molti bianchi sbarcati in America nei tempi passati. Ma Francesco Vigo, nato a Mondovì (oggi in provincia di Cuneo) nel 1747, la pensava diversamente.

A diciannove anni Vigo si arruola in un reggimento mercenario spagnolo imbarcato per le colonie americane. Presta servizio a L’Avana di Cuba, poi a Nouvelle Orleans, oggi New Orleans nello stato della Louisiana sul golfo del Messico.

Lasciato il mestiere di soldato, lo troviamo nel 1774 a capo dei cacciatori di pellicce di lingua francese, i voyageurs, che commerciano con gli indiani su e giù per il grande fiume Mississippi. Gli indiani per lui non sono un impedimento, ma preziosi collaboratori che cacciano gli animali e conciano le pelli da scambiare con stoffe, utensili di metallo, chincaglierie e liquori.

Proprio l’assidua frequentazione con le tribù native fa capire a Francesco Vigo le qualità umane dell’uomo rosso. Per tutta la vita il piemontese affermerà con soddisfazione: «Non ho né tradito né mentito mai con un indiano!».

FRANCESCO VIGO

 

Vigo si trova coinvolto nella ribellione di tredici colonie inglesi, che distaccandosi dall’Inghilterra formano gli Stati Uniti d’America. Un conflitto che è sotto tutti gli aspetti una guerra civile tra inglesi, combattuta con ferocia.
Nelle regioni del West, la vastissima frontiera selvaggia con grandi foreste ancora intatte, l’esercito inglese approfitta della bellicosità degli indiani, i quali rendono un inferno la vita dei coloni con incursioni e uccisioni.
Tra i coloni ci sono però uomini che sanno reagire e organizzano la controguerriglia con pochi uomini temerari ed espertissimi, li guida il giovane comandante George Rogers Clark.

Francesco Vigo, ormai diventato ricco, si convince a prestare tutto il proprio capitale a Clark, che così può armare molti uomini. Non basta, nel 1779 il piemontese stesso si reca sotto mentite spoglie a spiare il forte inglese di Vincennes. Scoperto, rischia di essere giustiziato, ma viene salvato dall’intervento di un suo vecchio amico missionario, il gesuita padre Pierre Gibault.
Le notizie di Vigo riportate a Clark permettono di strappare al dominio dell’Inghilterra territori enormi, corrispondenti agli attuali stati di Illinois, Indiana, Wisconsin.

Francesco Vigo

Francesco Vigo (1747-1836)

 

La guerra termina nel 1782 con il riconoscimento dell’indipendenza degli Stati Uniti. Alimentati dalla continua emigrazione gli stati federati crescono, ma purtroppo questo avviene a scapito degli indiani, che vengono man mano scacciati dai loro territori, mediante trattati non rispettati o con il puro e semplice uso delle armi.

Vigo viene coinvolto in questa operazione suo malgrado, poiché il rinnovo della propria licenza di commercio delle pellicce viene subordinato alla prestazione dell’opera di mediatore con le tribù, che egli riesce a convincere con le buone a non ribellarsi.
Questo gli vale la gratitudine di autorevoli personalità, tra le quali i presidenti George Washington e Thomas Jefferson, oltre al generale Wayne e il governatore Harrison.
Alcuni di loro non hanno però esitato a silurare Clark impedendogli una vera carriera militare, e hanno forti interessi nella lottizzazione e nella speculazione sulle terre vergini da colonizzare.

Diventato colonnello della guarnigione in quella stessa cittadina di Vincennes, nell’Indiana, Francesco Vigo non ricava molto guadagno dal grado militare. Nella corsa all’Ovest il suo commercio gli viene sottratto da un abile e furbo emigrato tedesco, Astor, che concentra sotto di lui il monopolio delle pellicce di tutta l’America.

Vigo non ha figli, rimane solo, isolato e alla fine diventa povero. Chiede al governo la restituzione dei capitali prestati a suo tempo per la Guerra d’indipendenza, ma in vita non otterrà mai nulla. Muore a ottantanove anni nel 1836, con soli otto dollari in tasca, che non coprono neppure le spese del proprio funerale.

Come simbolica rivalsa postuma, mezzo secolo dopo, cinquantamila dollari vengono liquidati dal governo ai parenti di sua moglie, l’irlandese Betty Shannon. Parte di questa somma, per lascito testamentario, viene impiegata per fondere una campana destinata alla sede della contea di Vigo, a lui intitolata nel 1832 dagli abitanti di Terre Haute, altra cittadina dell’Indiana oggi centro industriale.

Se è vero che gli indiani morti vanno a pascolare nelle “grandi praterie di Manitù”, si può credere che con i suoi amici pellerossa vi cavalchi tuttora l’incredibile piemontese…

 

 

2 commenti

  1. Sauro mi invita a spiegare qualcosa in più su Francesco Vigo. Fu Hugo Pratt già dal lontano 1973 ad incoraggiarmi per scriverne la storia. Gli anni seguenti non potendo essere lui l’illustratore a causa degli impegni con Corto Maltese, fece interessare Sergio Toppi, che creò 40 illustrazioni. La cosa andò in mano all’editore Fiorenzo Ivaldi, che in quei tempi stampava la rivista Sgt. Kirk. Nel 1979 Pubblicò una ventina di illustrazioni corredate dai miei testi, ma poi chiuse la pubblicazione, e le restanti 20 illustrazioni sono tuttora inedite.
    La cosa riemergerà nel 1986, quando Pratt mi presentò alla rivista Corto Maltese capeggiata da Fulvia Serra, e quest’ultima mi abbinò alla sorella di Milo Manara, Nives. Con lei pubblicai diverse storie autoconclusive. Nives era allora giovane ed ancora acerba come stile, ma facendo coppia trovammo altri lavori in seguito, come la Storia del Piemonte a fumetti, uscita a dispense col quotidiano La Stampa di Torino nel 1993. Così con la pratica e sotto la mia direzione e i miei consigli, è maturata, e oggi potrebbe essere considerata degna stilisticamente del celebre fratello, anche se la sua fama è rimasta molto e troppo bassa.
    Se Sauro potrà concedermi spazio, cercherò di offrire un saggio di quei fumetti ed illustrazioni.

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