TRASCURANDO TEX LA BONELLI PERDE CREDIBILITÀ
Qui parleremo dell’episodio diviso in due parti intitolateIl ritorno di LupeeLa prigioniera del deserto, uscito suTexmensile n. 682 e 683 di agosto e settembre 2017, per cominciare un discorso più ampio non solo sulle storie di questi e altri albi ma sullo stato della casa editrice Serio Bonelli Editore (Sbe). Il personaggio femminile di Lupe Velasco compare per la prima volta nei numeri 6 e 7 della serie oggi regolare:Doppio giocoeIl patto disangue, pubblicati in questo formato nel settembre e ottobre 1959 e risalenti, nella iniziale edizione a striscia, a nove anni prima.Non è detto che tutti i veterani tra i lettori delle avventure di Tex, tra i quali certamente mi colloco, se la ricordino. Pur avendola certamente conosciuta nella versione censurata che circolava negli anni Sessanta (quando, verso i sei-sette anni, ero passato dal candore fulgido e ingenuo diCapitan Mikie Ilgrande Blekalle vicende più realistiche e compromettenti del fatidico ranger) ho poi potuto ritrovarla in quella, depurata dalle censure della “garanzia morale”, nelle ristampe e riedizioni uscite dagli anni Ottanta in poi.Eppure ho dovuto ricorrere alla riedizione a colori di qualche anno fa per ricordarmi quando e come Lupe abbia intersecato le piste del nostro ranger.Mi perdonino coloro che, invece, ne avevano un ammirevole culto.Era quello il tempo in cui le storie diTexerano piene di donne affascinanti dalle scollature vertiginose, i seni turgidi che palpitavano sotto un vestiario appositamente ristretto, le scosciature conturbanti e accentuate, tutte ispirate alle dive di Hollywood (a cui Galep aggiungeva qualche misura di più) come Thesa, Estrella Miranda, Marie Gold, Cora Gray e altre ancora. Lupe di Galep tra censure e rattoppi delle diverse edizioni, nel testo e nei disegni A queste memorabili creature, apparse quando la fisionomia e la personalità del nostro eroe erano ben lontane dall’essere scolpite in una tradizione che nel 2018 compirà settant’anni, spettava il compito di perfezionare l’accalappiamento dei lettori più adolescenti, affascinati dalle trame di frontiera ma in lotta soprattutto con l’acne giovanile. L’apparizione di Lupe nella prima edizione di Tex del 16 giugno 1950, naturalmente in formato striscia Fino a ora Lupe Velasco, con i suoi occhioni tropicali e il vestiario più contenuto, non è stata per me che una di queste tante femmine stuzzicanti, anche per il bambino che ero. Sempre la Lupe di Galep, nella recente versione “colorizzata” Lupe è presente nella seconda escursione messicana di Tex in soccorso di Montales, il quale, dopo aver liberato il Messico dalla dittatura che ha causato la guerra con gli Stati Uniti, è di nuovo alle prese con un’altra guerra civile che oppone popolo e guerriglieri ad esercito e politicanti.Questa volta, nonostante siano passati pochi anni, le divise si sono ammodernate, nelle stazioni di polizia c’è persino il telefono e non mancano le mitragliatrici e le machinenpistol, ma l’impeto di Tex, che non ha ancora adottato stabilmente la perenne camicia gialla, è sempre lo stesso: severo e implacabile con i nemici della libertà e della giustizia. Me ne accorgo ora: la caratteristica di Lupe, che la distanzia un poco dalle conturbanti bellezze arrivate prima, è di essere una guerrigliera. Una giovane e dinamica combattente che non si fa scrupolo, a pace ristabilita, di proporre all’americano di sposarla e rimanere con lei. Tex che è ancora troppo giovane per mettere i remi in barca, non deve scegliere tra il matrimonio e il palo della tortura come accadrà con Lilyth, quindi scappa in fretta e furia da questa impavida fanciulla con la quale c’è stato certamente qualcosa.Mi attengo alla caratterizzazione di Tex più volte esplicata da Bonelli padre e figlio, secondo la quale lui, come i suoiparddistribuiti dalle mese infuocate del Messico agli altipiani innevati del Canada, non è un misogino e con le donne ci va, ma, per il rispetto vittoriano che deve a se stesso e i lettori devono a lui, solo “fuori scena”. Quindi non credo si distacchi da Lupe per ginecofobia, ma solo perché il suo destino non è ancora stato deciso dagli autori. Se qualche osservazione si può fare, circa questi primi canovacci ispirati più al cinema che ai libri, è l’assoluta mancanza di pertinenza storica.A parte l’accumularsi disordinato di costumi, oggettistica e armamentario, con la presenza di figure veramente esistite appartenenti ad epoche diverse, anche gli avvenimenti della storia americana sono giostrati con la trascuratezza che si deve ad un personaggio che nessuno sa ancora quanto resisterà in edicola e che solo con il protrarsi del suo lunghissimo destino, avranno bisogno, quando Sergio Bonelli prenderà in pugno la collana tra la fine dei Sessanta e i primi Settanta, di essere ricondotti a una cronologia realistica.L’abilità e l’innovativa concretezza del disegno di Galep, il linguaggio spiccio e colorito inventato da Gian Luigi Bonelli, bastano, allora, a mettere in secondo piano tutto questo. Nel caso della storia in cui conosciamo Lupe e riappare Montales, in un territorio bellico più simile a quello della rivoluzione del 1910 che al conflitto messicano in precedenza raccontato (evidentemente riferito alla guerra del 1846-48 anche se i coloristi hanno erroneamente dipinto di marrone le divise, ancora di taglio napoleonico, che erano state pensate come blu: Sergio Bonelli dixit) non ci si cura che ci si trovi addirittura in due secoli diversi. Nella prima volta ci si riferisce al film classicoVera Cruz(1954) con Gary Cooper e Burt Lancaster e all’oggi ingiustamente dimenticatoJuarez il conquistatore del Messico(1939) con Paul Muni e Bette Davis. Nella seconda si nota il richiamo all’allora ancora famosissimoViva Villa(1934) con Wallace Beery, ma soprattutto ad alcune produzioni a colori di grande richiamo negli anni Cinquanta comeIl tesoro di Pancho Villa(1955) con Rory Calhoun, Gilbert Roland e la formosa Shelley Winters nel fiore della giovinezza pettoruta;Bandido(1956) con Robert Mitchum, ancora Roland e la statuaria e un po’ altezzosa Ursula Thiess. Locandina americana de “Le ali del falco” SoprattuttoLeali del falco(1953) dove Van Heflin si giostra, in mezzo ai rivoluzionari antiporfiristi, con ben due bellezze dalle forme morbide ed eccitanti quanto idealiste e bellicose nello spirito: una Julia Adams in pantaloni attillatissimi (l’anno dopo sarà pronta a finire, in un memorabile costume da bagno, tra le squame diIl mostrodella laguna nera) ed Abbe Lane (già signora Cugat, sul punto di solcare l’Atlantico per ballareil cha chachanei varietà televisivi nostrani del sabato sera) con le stesse fenditure tra i davanzali e le gonne pronte ad aprirsi sulle gambe appetitose, che sono quanto di più simile Galep abbia potuto immaginare per la raffigurazione di Lupe. Abbe Lane Tanto che escluderei, com’è stato fatto, un riferimento, anche visivo, se non per il nome, a Lupe Velez, stupenda attrice, cantante e ballerina di San Luis Potosì, che sfondò a Hollywood fin dagli anni Venti e fu uno dei simboli dell’idea di folclorica fiera equatoriale che il cinema dell’epoca trasmetteva del Messico.Dopo una carriera variegata e senza freni, la sera del 13 dicembre 1944, Lupe Velez radunò alcune amiche nella sua villa spropositata a Beverly Hills e, dopo cena, si autosomministrò sessantasette pastiglie di Seconal morendo suicida a trentasei anni. Lupe Velez era ben conosciuta in Italia, la sua immagine era nota prima che il fascismo bloccasse la produzione angloamericana a causa della guerra.Il suo fisico accattivante, e i suoi occhi ora dolcissimi e ora intriganti, sembravano modellati sui desideri inappagati dell’uomo medio di ogni continente. Ancora Lupe Velez La troviamo certamente tra le tante conoscenze femminili del giovane Tex, soprattutto quando Tesah (personaggio che, comparendo in diverse storie, fornisce a Galep diverse opportunità di matite erotiche) indossa il sombrero su un vestito improbabile quanto smandrappato nel n° 2 (Uno contro venti, del 1 dicembre 1958) della serie “gigante” ma, in primis, nell’albo a strisceLa morte nell’ombradi nove anni prima (recentemente ripubblicato nelClassic Texn° 5 del maggio di quest’anno). Riguardo la bizzarra collocazione temporale di Montales, e di conseguenza Lupe Velasco, faccio presente che la citata guerra con il Messico non fu causata, come appare fin dagli albi n° 3 e 4 (FuorileggeeL’eroe del Messicodel febbraio e aprile 1959, ripubblicati recentemente inClassic Texn° 6, 7, 8 e 9 dal maggio al luglio scorsi; risalenti al formato striscia dall’alboAttacco a Santa Fedove inizia una vicenda edita, per la prima volta, in più di un anno: dall’aprile 1949 al giugno del 1950) da un’improvvisa invasione dell’esercito di Antonio Lopez De Santa Anna (esponente del Partito liberale che a singhiozzo fu eletto presidente per otto volte tra il 1833 e il 1855), figura che il cinema e la tv statunitense hanno sempre ridotto ad un volgare cialtrone mentre, pur essendo una figura discutibile, era anche un personaggio basilare della nascita e prima evoluzione della Repubblica messicana nata nel 1824. Il Texas era uno Stato della federazione messicana rimasto quasi inesplorato solo nel nord-est, destinato al pascolo delle mandrie (confinante con gli odierni stati dell’Arkansas e della Louisiana), e nel nord-ovest (confinante oggi con l’Oklahoma) considerato territorio degli indiani comanche. Nel 1936 era stato conquistato dai coloni degli Stati Uniti, i quali, cacciata la popolazione ispanica sulle rive del Rio Grande, avevano ristabilito lo schiavismo, che Santa Anna aveva abolito, e cercavano la conquista dei territori a ovest per aprirsi la strada verso la California (ancora messicana) e quindi l’oceano Pacifico. Annessa ufficialmente la Repubblica del Texas agli Usa nel 1845, il presidente Polk, esponente dell’ala espansionista e del “destino manifesto” (per cui gli Usa erano destinati a guidare l’intero continente americano), aveva cercato, in più fasi, di causare incidenti con il Messico.Ottenne ciò che voleva nel 1846 facendo costruire un forte in zona messicana, per cui il presidente allora in carica (il conservatore Valentin Coralizo) fu costretto a inviare la cavalleria per presidiare i confini.Vi furono scontri e scaramucce di scarsa entità, ma ciò bastò poiché l’esercito americano, guidato dal futuro presidente Zachary Taylor, iniziasse l’invasione programmata. L’alawhigs(liberal-democratica) del Congresso contestò il casus bellie lo stesso Abramo Lincoln, allora deputato di quella fazione, presentò una polemica richiesta a Polk di quanto sangue statunitense fosse stato effettivamente versato per giustificare una palese violazione della libertà nazionale del Messico.Ma la fazione espansionista l’ebbe vinta, basandosi anche su una campagna d’odio anticattolica creata appositamente dalla massoneriaantipapistala quale fingeva di ignorare che anche Coralizo e Santa Anna (nominato comandante in capo dell’esercito) erano anch’essi massoni anticlericali, ispirati dalle componenti risorgimentali italiane e francesi dell’associazione iniziatica a cui non era estraneo Giuseppe Garibaldi.La guerra fu combattuta e vinta dalle truppe guidate dai generali Stephen Kearney e Winfield Scott; conclusa ufficialmente dal presidente messicano Mariano Arista con il trattato di Guadalupe Hidalgo (1948) che attribuì agli Usa una zona immensa corrispondente, escludendo una parte della California dove si era svolto un conflitto parallelo, agli attuali Nevada, Utah, Colorado, Arizona e New Mexico. Quindi non accadde nulla di quanto raccontato nelle storie con Tex e in tanti film per il cinema o la televisione, tra i quali l’unico a fornire un quadro parzialmente obiettivo della situazione è il semirecenteTexas(1994), uno sceneggiato in tre puntate tratto dall’omonimo e voluminoso testo di James Michener del 1985, edito anche in Italia da Bompiani, mentre la miniserie è uscita da noi solo in vhs. Insomma, il nostro giovane Tex non solo combatte al fianco di Montales in una rivoluzione interna al Messico che nell’Ottocento non ci fu ma, nell’episodio in cui appare Lupe Velasco, partecipa, senza saperlo, contro un’altra prevaricazione americana quando, nel 1917 (settant’anni dopo gli eventi di due albi prima !), il presidente Wilson inviò nel paese il generale Pershing ad appoggiare il suo collega golpista Victoriano Huerta. Pershing penetrò con i suoi marines dal confine con lo stato del Chihuahua al porto atlantico di Vera Cruz, anche se gli americaniliberalparteggiavano per i ribelli di Pancho Villa, Venustiano Carranza ed Emiliano Zapata. Tutto questo ammettendo che gli autori della due storie non fossero a conoscenza delle ribellioni accadute in Messico tra il 1876 e il 1879, sollevazioni senza sostegno popolare condotte prevalentemente da altri golpisti militari, contro il regime di Porfirio Diaz, il quale, ex assistente del presidente Benito Juarez nella sollevazione contro l’invasione francese (1863-1867), ed ex liberal-democratico, non divenne stabilmente presidente e dittatore, appunto dal 1876 al 1911. Stando a questa opinabile versione, Montales, governatore del Chihuahua, sarebbe un funzionario del tragico personaggio che con la sua tirannia causò una rivoluzione che durò dieci anni con circa un milione di morti solo tra i combattenti secondo una stima approssimativa del 1920.Ma il personaggio non si presterebbe mai a questa interpretazione. Non a caso è spesso al centro di intrighi e complotti di politicanti corrotti che intendono eliminarlo perché è un uomo giusto che vuol veramente cambiare in meglio il suo Paese.Montales è un “buono”, sta dalla parte dei “buoni” e condivide il senso della giustizia di Tex. Ciò non si discute. Per quanto la mia ormai lunga esperienza di appassionato e poi di storico del fumetto mi induca a supporre il contrario, è possibile che tutte queste mie osservazioni non garbino a chi esclude che il western sia la narrazione non esclusivamente leggendaria di eventi storici.Su questi la rivoluzione messicana si è inserita, pur non avendo nulla a che vedere con lo spirito della frontiera, come prolungamento, spesso finale, dell’epoca dei pistoleri e degli sceriffi, delle guerre indiane e dei giustizieri con la colt al fianco.Ma, come si vedrà, un nesso c’è sempre, anche negli albi diTex. Dapprima, grazie alrestylingstorico cominciato da Sergio Bonelli conTra due bandiere(n° 113 del luglio 1973, pur firmato ufficialmente dal padre) in cui, pur compiendo un’ellissi forzosa (per cui Tex si ritrova ad aver combattuto due volte la guerra civile del 1861-1865 a cui aveva già partecipato partendo daGli sciacallidel Kansas, n° 17 del settembre 1961, proseguendo fino aL’enigma del feticcionel n° 24 del luglio 1962, quando si scontra con un improbabile Quantrell, cioè W.C. Quantrill, il feroce guerrigliero sudista che proseguì la guerra da solo) l’ editore-autore inizia a sistematizzare le avventure di mister Willer in un contesto più documentabile (anche se inizialmente era solo alla ricerca di una trama più innovativa del solito, Sergio Bonelli dixit) che, con il recente “texone”Il magnifico fuorilegge(vediquiil mio articoloTex sulle piste di se stessopubblicato il 29 giugno 2017) Mauro Boselli e Stefano Andreucci hanno ripreso felicemente con l’esplorare una più consapevole e poetica giovinezza di Tex. Questa esplorazione continuerà, con lo stesso sceneggiatore e disegnatore, conIl vendicatore(n° 6 della raccoltaTex/Romanzi a fumettiche uscirà il 16 settembre) ed è già proseguita, come abbiamo detto, con gli albi n° 682 e 683 della serie regolareIl ritorno di LupeeLa prigioniera del deserto(testo sempre di Boselli e disegni di Alessandro Piccinelli), mentre chi vorrà leggere la prima storia con Lupe Velasco dovrà attendere gli albi n° 16 e 17 della collanaClassic Texin uscita quindicinale anch’essa nello stesso mese in corso. Quindi, forse, il mio sforzo analitico non sarà del tutto trascurato e contribuirà a non convalidare la dichiarazione, in qualche modo “ufficiale” fatta qualche anno dopoTra due bandiere(e le numerosissime lettere di protesta giunte in redazione a testimonianza che la memoria dei lettori era inflessibile più di quella dello sceneggiatore), e quindi riportata dal lodevoleTex Willer forumancora nel 2008, dove si affermava, con amore filiale, che“la storia fu scritta da Gian Luigi Bonelli in un momento in cui si era dimenticato che Tex aveva già partecipato alla guerra. Di questo errore si accorse solo a metà stesura, cioè troppo tardi dato che la storia era già graficamente in lavorazione, per cui si proseguì”. In realtà, come ebbe a dichiarare a me personalmente Sergio Bonelli nel 1998, alla necessità di variare l’episodica si aggiunse presto, da parte sua, la consapevolezza di volere dare alle vicende una più logica relazione con la storia del west che, poco conosciuta nel dopoguerra, era ormai notoria grazie ai numerosi testi storici, divulgativi e critici, apparsi, anche in edizioni popolarissime dalla fine degli anni Sessanta ad oggi, di cui fu sempre un divoratore instancabile. A mio parere la vicenda (che chiameremo per comodità soloIl ritorno di Lupe) non è, come quella lirica e trascinante disegnata da Andreucci, una delle migliori fatiche di Mauro Boselli, autore instancabile ma, spesso, poco soggetto ad autosorveglianza e, soprattutto, privo o privato di un definitivo controllo redazionale che, in molti casi, si è rivelato e si rivela indispensabile.Non si capisce perché, come anche il più banale dei romanzi debba godere del controllo dieditorche ne vigilano lacontinuitye le corrispondenze cronologiche con magari meno pertinenza e utilità, ciò non debba accadere in quella che, pur nell’innegabile crisi che sta attraversando, è pur sempre la più grande e rinomata casa editrice italiana di fumetti dove la Storia è spesso ospite di riguardo. Ammetto che la prima parte, quella in cui Luz, la figlia di Lupe, compare a Kit e Hokee dopo il suo travagliato e lunghissimo viaggio nel deserto, e quindi Tex ne fa la conoscenza, è molto buona e sentita. Si capisce e si ammira come l’animo del ranger, notando immediatamente la somiglianza, si ritrovi nella memoria di uomo maturo i ricordi dell’ardita giovinezza, di una ragazza che lo aveva avvinto, stando a una cronologia logica circa trent’anni prima, e, stando all’implacabile scandire degli anni editoriali, ben sessantotto anni e seicentosessantasei albi prima. Alessandro Piccinelli, più abile nei primi piani che nelle scene di gruppo, conferisce al silenzioso o pensieroso volto di Tex (soprattutto nella 2° vignetta di pag. 12, la 1° di pag. 21, la 3° di pag. 22 e la prima parte della 3° di pag. 24) un atteggiamento di nostalgia che, per lui, dev’essere struggente e dolorosa.Ma poi, da pagina 25, in cui l’avventura giovanile con Lupe è rievocata in ottobaloontroppo compressi in un solo riquadro di 13,5 x 19 cm, che si cominciano a conferire alla trama tutte le contorsioni tra passato e presente che il disegno, non sempre azzeccato, contribuisce ad accrescere anziché riportare all’atmosfera melanconica ma autentica delle prime pagine. A mio parere la ricomparsa di Lupe sarebbe potuta essere trattata con un minor complicato intrico di sottostorie tra passato e presente, specie se si considera come, in molti punti, distinguere la figlia dalla madre sia praticamente impossibile. E troppi personaggi si avvicendano in una trama che si sarebbe tranquillamente potuta esporre in questo modo: “Tex viene a sapere dalla figlia che Lupe è in pericolo, corre in Messico, combatte con chi la tiene prigioniera, i due rievocano con tenerezza il passato e lui, ormai preso da troppe responsabilità come uomo di legge e capo dei navajos, deve lasciarla, non senza sentirsi bruciare il cuore, nel Messico dove l’incontrò, e probabilmente si amarono, tanti anni prima” . Invece Lupe appare prima in un flash back in cui si racconta l’incontro, avvenuto dopo la morte di Lilith, tra Tex e il suo vecchio compagno di guerriglia Tomas che gli rivela come gli anni di lotta contro la dittatura (quale?) siano stati inutili poiché i latifondisti e i signorotti hanno finito per mantenere un iniquo potere su un popolo sempre più povero e disilluso.Poi compare Drigo che, come Tomas, ha il viso troppo anonimo (e tracciato, a mio parere, con dubbia inventiva), il quale, per essere il marito di Lupe, appare opaco e dall’esigua personalità.È vero che è ferito a morte, ma non credo che il suo aspetto sarebbe stato diverso se fosse apparso in piena forma. Il flash back prosegue con il secondo incontro con Lupe, dove tutta la nostalgica passione delle prime inquadrature si dissolve in uno scontro a fuoco in cui i due non rivelano nulla della natura dei loro primari rapporti e solo a pag. 61, quando Tex e la donna cavalcano insieme e lui le racconta di Lilyth (“Era bellissima. Capelli neri e lucidi come il piumaggio di un corvo. Aveva gli occhi dai riflessi verdi, un colore non frequente ma neppure del tutto insolito tra i navajos delle terre alte…”) non c’è un briciolo di partecipazione emotiva da parte di lei che si possa notare.Anzi, si mette, come una brava massaia e madre di famiglia (quando Tex conclude che, in quel tempo si teneva lontano dalla nazione indiana, dove Kit era un bambino, perché tutto gli ricordava la moglie scomparsa) a dire banalità che stonano con i fascinosi e seducenti primi piani che Piccinelli le dedica, tipo“I figli sono importanti. E noi lo siamo per loro. Promettimi che, quando avremo liberato i miei bambini, tornerai subito dal tuo Kit!”. È vero che Lux e il fratello Ruben sono prigionieri e in mezzo alle montagne. Ma tutto si svolge in un sentiero roccioso visto e rivisto dove la scarsa ampiezza del cielo (che in certi casi ha il valore di amplificare la sensibilità di chi cavalca sotto le stelle) non valorizza il legame tra il ranger e la rivoluzionaria. I cattivi hanno le solite risapute facce da galera e la comparsa di un altro personaggio (il vecchio e crudele capitan Inigo) accresce la ripetitività e la confusione della vicenda, dove Tex si lascia più volte prendere alle spalle e così crederà, in quell’occasione, di non avere impedito la morte di Lupe. Forse Boselli, sapendosi costretto alla ristrettezza di due solo albi (per quanto la maggiore riuscita di quest’anno sia stata quella diJethroeGli incappucciati del klan,n° 678 e 679, dove, pur nello stesso limite di 198 pagine, se l’era cavata egregiamente e tinteggiando argutamente di attualità una storia di per se molto sentita) ha preferito dividerli in due diversi spezzoni dato che il n° 682 termina con una pausa nel racconto e il 683 riprende con un ulteriore flash back, in cui Luz rivela che la madre è viva e prigioniera, e seguono il perché e il percome troppo dialogato e spiegato. Lupe e Tex, disegno inedito di Piccinelli Sta di fatto che il perché e il percome si snodano in episodi di cui non è semplicissimo seguire la prosecuzione, conchiusi come sono in altri flash back scoordinati. Vediamoli uno a uno. 1 – I figli che vivono con lo zio Fernando e ricevono la visita della misteriosa signora velata in carrozza, tocco allafeuilletonottocentesco del tutto gratuito visto che chiunque può capire che la donna non è altri che Lupe stessa. 2 – Lupe, anni prima, ferita e svenuta dopo lo scontro con don Inigo, viene soccorsa da un giovane montanaro dall’identità misteriosa e dal desiderio di vendetta che, non appena si taglia la barba e si cambia d’abito, comprendiamo immediatamente essere Ricardo, il figlio del crudele latifondista don Victor De La Serna che però è morto (perché fuori campo quando l’odio del pargolo ha promesso uno scontro edipico di attesa drammaticità ?) e quindi l’erede può sposare la ragazza, prendere con sé i figli, e auspicare una vita migliore per loro e i suoi sottoposti al rancio di Agua Negra. 3 – Nei propositi del delfino di tanta prole si inseriscono le cattive ispirazioni del soprastante Rodrigo per cui Ricardo, con una sveltezza rocambolesca, finisce con il diventare tale e quale al padre, a cui forse ha sempre assomigliato finché questi non gli ha ucciso l’amante meticcia.Educa Ruben a diventare come lui e, quando Lupe diviene consapevole del suo rinnovato e perfido stato sociale, la fa incarcerare per venderla come schiava.