MARIA PIA, UN NECROLOGIO DEI LITFIBA

Maria Pia

La notte tra il 24 e il 25 febbraio 1999 a Gravina di Puglia, Giovanni Pupillo telefona a Maria Pia Labianca chiedendole di incontrarsi a cena. I due giovani mangiano insieme, poi lui la porta in macchina in un edificio abbandonato della periferia. È una stalla posta tra gli ulivi e i ruderi di un antico palazzo nobiliare, che la gente del luogo chiama la “Casa degli spiriti”. All’interno, la vecchia stalla è tappezzata da scritte che inneggiano Satana e da resti di animali morti.

Come sia riuscito a portare Maria Pia Labianca in quel luogo malsano, non si sa. Di sicuro Giovanni Pupillo l’accusa di averlo abbandonato per un altro, un “affronto” che considera gravissimo. Alle quattro di notte dopo una lunga discussione le salta addosso cercando di immobilizzarla. Maria Pia riesce a divincolarsi e a scappare. Estrae il cellullare e chiama a casa, riesce solo a dire: «Papà, aiutami! Aiutatemi…». Prima che lei riesca a fare il suo nome, Giovanni le strappa il telefonino.

Nelle notti di febbraio fa freddo anche in Puglia: il giovane nota la sciarpa intorno al collo di Maria Pia e gliela alza per chiuderle la bocca. Non intende strangolarla, ma soffocarla: segue un piano preciso che non prevede di lasciarle segni sul corpo. Quando anche l’ultimo impulso vitale è scivolato via dall’esile corpo di Maria Pia, la spoglia completamente e con la sciarpa le lega le caviglie.

Sempre seguendo un’idea che ha in testa, la mette a pancia in su e le spalanca le braccia. Adesso sembra Gesù in croce, proprio come voleva. Giovanni Pupillo afferra il coltello dalla lama lunga quindici centimetri che ha portato con sé (da questo particolare si capisce che aveva organizzato tutto dall’inizio) e la trafigge, con precisione e forza, sotto la parte sinistra del seno. Esattamente al cuore.

Non ci sono dubbi: l’assassino vuole far credere che sia stata vittima di un sacrificio umano a Satana. Così le indagini non si indirizzeranno verso di lui, pensa ingenuamente.
Ma tutti questi sono solo particolati ipotetici che verranno esposti dalla pubblica accusa negli anni a venire, perché l’assassino non racconterà mai con precisione ciò che è avvenuto in quella tragica notte.

Meglio ricordarla da viva, Maria Pia Labianca. Una bella studentessa di vent’anni, nata e cresciuta a Gravina, ma che passa più tempo a Padova, dove studia Psicologia all’Università. È una di quelle giovani benvolute da tutti, comunemente definite “ragazze solari”. Ama la danza, il canto e la poesia.

La stessa cosa si può dire esattamente di Giovanni Pupillo, un 22enne che dopo il diploma delle scuole superiori ha abbracciato la carriera militare. Taciturno, sempre con l’aria da duro e il gelo negli occhi, è il rovescio della medaglia: un “ragazzo lunare”, verrebbe da dire.

Maria Pia non ha avuto una buona idea quando ha deciso di mettersi insieme a lui. Si accorge presto della sua possessività, della sua incapacità di esprimere sentimenti. Allora si innamora di un altro ragazzo delle sue parti, Renzo Tucci, anche lui studente a Padova. Maria Pia porta avanti entrambe le relazioni per qualche tempo, fino a quando decide di interrompere quella con Giovanni, pur cercando di salvare l’amicizia che li lega.

A inizio febbraio del 1999, facendo un test di gravidanza a Padova, la ragazza scopre di essere incinta. Capisce che il padre può essere solo il nuovo ragazzo, dato che da tempo ha lasciato Gravina, dove si incontrava con Giovanni. Al paese ci torna, a sorpresa, il 17 febbraio. Anche Renzo è lì e la coppia, nel pomeriggio del 21 febbraio, va a bere una birra in un pub del centro, dove incontra Giovanni.

Il nuovo fidanzato, con una certa meraviglia, nota che tra i due c’è ancora feeling, dato che si abbracciano calorosamente. In seguito, Giovanni Pupillo spiegherà così quella manifestazioni d’affetto: «Io e Pia ci vedevamo anche dopo esserci lasciati, per fare l’amore».
Fino a qui i fatti, quella che segue, invece, è la ricostruzione degli investigatori.

Quando l’ex fidanzato e Maria Pia riescono a vedersi da soli, lui le chiede di tornare insieme. La ragazza, per togliergli definitivamente ogni speranza, gli rivela di essere incinta di Renzo e che ha deciso di tenere il bambino. Pur essendo sconvolto dalla notizia, che gli rende impossibile tornare con lei, Giovanni non batte ciglio. Ma poi, quando ci ripensa a casa, gli ribolle il sangue e decide che non può accettarlo.

Il suo sconfinato orgoglio lo obbliga a punire quella “ragazzina viziata” che ha osato ferire così i suoi sentimenti. Però dovrà agire con molta cautela, per evitare di pagarne le conseguenze. Prende il telefono e chiama la ex per un incontro, l’ultimo.

Il cadavere di Maria Pia viene casualmente scoperto da un contadino, tre giorni dopo la scomparsa. Ai funerali nella cattedrale di Gravina, tra il tripudio di fiori che accompagna la bara bianca, l’unica rosa blu è quella che Giovanni posa dicendo a bassa voce: «Ti ricordi, Maria Pia? Questo era il tuo colore preferito».

Poi il giovane ha un malore e si accascia. Non cade solo perché i suoi genitori, dietro di lui, lo afferrano appena in tempo. Lo trascinano fuori, dove sui muri delle case sono attaccati i manifestini a lutto nei quali l’ex fidanzato esprime il proprio dolore. Parole inconsuete, scritte come strofe di una poesia: “Pensieri giganti mi spingono avanti / Sfiorarsi da amanti è il sogno di tanti / La voglia che cresce è una spina che esce”.

I conoscenti leggono e scuotono la testa, non sembra farina del suo sacco: Giovanni è sempre stato uno studente mediocre, per niente versato nella letteratura. I suoi amici sui vent’anni, invece, capiscono al volo che sono le parole di una canzone dei Litfiba, il gruppo rock del momento. Per la precisione, strofe tratte dalla famosa “Sexy dreams”.

Gli investigatori, diffidenti per natura, non abboccano neanche per un momento alla messinscena satanica confezionata apposta per loro. Durante le primissime indagini sospettano l’attuale fidanzato della ragazza, Renzo Tucci, ma scoprono presto che questi era ripartito per Padova poco prima che Maria Pia andasse all’appuntamento con l’assassino.
Pure Giovanni Pupillo viene preso in considerazione, anche se il padre giura che la sera dell’omicidio non era uscito di casa.

Intanto la stampa locale si lascia prendere la mano dalla fantasia, parlando con insistenza di una “pista degli intoccabili”: Maria Pia avrebbe frequentato un giro di persone più grandi di lei, gente in vista, forse responsabili della sua morte. L’autopsia stabilisce che la vittima era incinta da due mesi e dal Dna si accerta che il padre era Renzo Tucci, il quale, comunque, dice che Pia non gli aveva comunicato niente in proposito.

Rientra in scena Giovanni, perché dai tabulati delle telefonate risulta essere stato l’ultimo a chiamarla: per invitarla all’appuntamento con la morte?, si chiedono gli investigatori. I sospetti si fanno sempre più consistenti. Dalla polizia si presenta un carpentiere che giura di avere visto Maria Pia, intorno alle 20 di quella sera, mentre «sorridente come al solito» si dirigeva verso la casa di Giovanni. Infine, l’auto di quest’ultimo viene trovata bruciata. Pupillo dice che gliel’avevano rubata, più logico pensare che l’abbia incendiata lui stesso per cancellare tracce compromettenti.  

Davanti agli inquirenti che lo sottopongono a un interrogatorio serrato di 22 ore, Pupillo alla fine cede e confessa: sì, è stato lui a uccidere Maria Pia. Lo ha fatto perché non voleva rimettersi insieme a lui, ma adesso basta con le domande, non ne può più.

Non è vero niente, dice dopo aver passato alcuni giorni in cella. Ritratta perché la confessione gli sarebbe stata estorta, sotto la tortura dell’interrogatorio martellante. Ma le sue contraddizioni sono così numerose che rimane in prigione. Tre anni dopo, nel 2002, viene scarcerato per decorrenza dei termini.

Avendo perso il lavoro nell’Esercito, Pupillo inizia a frequentare l’università. Allo stesso tempo segue le udienze del processo che, con una lentezza esasperante, si trascina per sette anni: la prima condanna nei suoi confronti, a 21 anni di prigione, viene emessa nel 2007. Nel 2013, quattordici anni dopo il delitto, la sentenza viene resa definitiva nell’ultimo grado di giudizio (che gli toglie solo i tre anni previsti dall’indulto). Le porte del carcere si riaprono quando Pupillo è ormai un uomo di 35 anni.  



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