MARIA BOCCUZZI, LA VERA MARINELLA

Periferia di Milano, notte del 28 gennaio 1953. Maria Boccuzzi passeggia come al solito lungo il fiume Olona in attesa di qualche cliente. Ormai ha 33 anni e si rende conto di non aver combinato niente di buono nella vita. Non è diventata una vera ballerina, come sognava da piccola. Si è sempre messa con uomini che hanno tradito il suo affetto. Oltre che dai protettori, viene sfruttata dall’attuale fidanzato nullafacente.
Però è riuscita a mettere via abbastanza soldi per aprire un negozietto: ormai ha deciso di smetterla con il mestiere di prostituta. Fa un freddo cane, ma deve stringere i denti e aspettare. Ecco, un’auto si avvicina. Stavolta, lo giura a se stessa, sarà davvero l’ultima. In effetti sarà proprio così, perché l’ultima ora della sua vita è arrivata.
“Questa di Marinella è la storia vera che scivolò nel fiume a primavera, ma il vento che la vide così bella dal fiume la portò sopra a una stella”.
Maria Boccuzzi nasce nel 1920 a Taurianova, una cittadina della Calabria, in una famiglia di braccianti, contadini senza terra che devono lavorare per i ricchi possidenti. Un lavoro faticoso e ingrato che li condanna alla povertà.
Per questo motivo, quando Maria ha 9 anni, la famiglia Boccuzzi parte per Milano in cerca di fortuna. Sin da piccola, Maria fa dei lavoretti per portare a casa qualche spicciolo, ma solo a 14 anni viene assunta in un’azienda che lavora tabacco in via Moscova.
Nello stesso periodo fa la conoscenza di Mario, uno studente universitario squattrinato di cui si innamora perdutamente. Ai suoi genitori quel ragazzo non piace, lo considerano un perdigiorno e per questo le vietano di vederlo ancora. Lei, invece, si dimette dal lavoro e va a vivere con Mario nella soffitta di una casa di periferia.
Per un anno tirano avanti aiutando a scaricare le merci al mercato, poi lui l’abbandona. Risentirà parlare di Mario solo anni dopo, quando morirà in guerra. Rimasta sola, Maria Boccuzzi si trova in una situazione critica: nel 1934 una quindicenne che ha convissuto con un uomo viene considerata una poco di buono.
Non potendo tornare in famiglia, che ha lasciato in malo modo, cerca di entrare nel mondo luccicante dello spettacolo proponendosi come ballerina. Ha un bel viso e un corpo slanciato, le manca solo la tecnica, ma può sempre impararla con l’esperienza. Trova lavoro in una scalcinata compagnia di avanspettacolo che gira nei locali più malfamati. Le hanno dato il nome d’arte di Mary Pirimpò, che è tutto un programma.
Quando non è di scena, l’animo romantico di Maria Boccuzzi prende il volo, anche se, purtroppo per lei, ha sempre un debole per i giovani dall’aria poco raccomandabile. Si innamora di Luigi Citti, detto Gimmi, uno spiantato frequentatore di locali equivoci.
Maria crede che Gimmi la ami e che si stia dando da fare per farla entrare in una grande compagnia teatrale, mentre lui la considera solo una pollastra da portare a letto e a cui spillare soldi. La introduce nei night che frequenta, dove gira la cocaina e si organizzano festini.
Lei, per amore, accetta tutto, finché Gimmi la vende per metà a Carlo Soresi, detto Carlone, un protettore con gli agganci giusti. Il restante 50% rimane a Gimmi. Significa che i soldi che Maria guadagnerà da ora in poi verranno divisi tra i due, lasciando a lei solo gli spiccioli.
La ragazza non può fare altro che obbedire, altrimenti sono botte. Infatti ne prende parecchie, prima di essere spedita in un bordello vicino a Torino. I locali fumosi dove si esibiva come ballerina improvvisata, ricevendo grandi pacche sul sedere, sono ormai un miraggio rispetto alla vita umiliante che conduce adesso.
Sdraiata sul letto di una casa che è quasi una prigione, Maria Boccuzzi aspetta che uomini di tutti i tipi arrivino senza sosta per prenderla. Viene trasferita in un bordello di Firenze e poi fatta tornare a Milano, per battere nei vicoli lungo l’Olona. Ogni tanto viene fermata dalla polizia, che la chiude in cella per una notte. Lei non si lamenta più di niente.
A mezzogiorno del 29 gennaio 1953, alcuni ragazzini giocano in un prato vicino all’Olona. Quando il pallone scappa lontano, uno lo insegue tra i cespugli finché, a un tratto, si blocca come paralizzato. Riverso sulla riva, c’è il cadavere di una bella signora. Il suo corpo è crivellato di colpi: sul torace e sulla schiena verranno estratti sei pallottole calibro 6,35.
I carabinieri, quando arrivano qualche minuto dopo, si chiedono chi sia. La borsetta, nella quale probabilmente aveva i documenti, deve esserle stata sottratta dall’assassino (a meno che non sia finita nel fiume). Non si sa quanti soldi avesse con sé, benché sia improbabile che l’abbiano uccisa per rapinarla: tenuto conto del numero dei proiettili sparati, verrebbe da pensare, piuttosto, a qualcuno che ce l’aveva con lei.
L’unico indizio è un guanto da donna trovato lì vicino. Forse, ad averla uccisa è stata una moglie gelosa? Nei giorni successivi, la morta viene riconosciuta da una prostituta: è la sua collega Maria Boccuzzi. Gli inquirenti scoprono che Maria aveva un po’ di soldi in banca. Alle colleghe, nei giorni precedenti, aveva detto che voleva ritirarsi per tornare dai genitori che aveva lasciato tanti ani prima e aprire un negozietto.
Aveva anche fatto un’assicurazione sulla vita di 300 mila lire. Non essendo sposata e non avendo figli, almeno per quello che se ne sa, non si capisce a beneficio di quale parente l’avesse stipulata. I carabinieri interrogano il fidanzato della vittima, del quale non viene divulgato il nome.
L’uomo dice di essere un ballerino, anche se non svolge alcun lavoro e veniva mantenuto dalla compagna. All’inizio si sospetta di lui: potrebbe averla uccisa perché, lasciando il marciapiede, Maria Boccuzzi gli avrebbe fatto perdere la sua unica fonte di reddito. Ma il fidanzato viene scagionato da alcuni testimoni che erano insieme a lui la sera del delitto.
Intanto sono stati individuati i protettori di Maria, sospettati anche loro, dato che potrebbero averla punita per dare un esempio alle altre prostitute: nessuna può andarsene di propria volontà. I protettori erano ancora Luigi “Gimmi” Citti e Carlo “Carlone” Soresi, quelli che se l’erano spartita negli anni Trenta.
Nella caserma dei carabinieri, Gimmi e Carlone sono sottoposti a interrogatori pressanti, un modo elegante per dire che vengono presi a schiaffoni e pugni, ma non confessano nulla. Gli inquirenti accusano soprattutto Citti, perché sul suo cappotto ci sono piccole gocce di sangue, ma lui spiega che soffre da sempre di emorragie nasali.
Secondo la testimonianza di una guardia giurata, la notte del 28 gennaio una grossa automobile scura era ferma accanto alla riva dell’Olona. A bordo c’era una persona non identificabile al buio, e una donna che urlava cercando di divincolarsi dalla sua stretta. Soresi, detto Carlone, pochi giorni prima del delitto aveva comprato una Fiat 1100 scura.
Sembra un indizio promettente, ma un particolare non quadra: l’auto vista dal testimone aveva il volante a destra come le vetture inglesi, mentre la Fiat di Carlone ce l’ha a sinistra. In mancanza di riscontri, dopo un anno le indagini si arenano.
Nel corso di una intervista, il cantautore Fabrizio De André ha dichiarato che il suo primo grande successo, “La canzone di Marinella”, era ispirato a un fatto realmente accaduto nella metà degli anni cinquanta: «Si tratta della storia di una ragazza che mi aveva molto emozionato. Io ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirne la morte».
Il brano era stata cantato nel 1967 da Mina. «Se una voce miracolosa non avesse interpretato la canzone di Marinella», ha detto sempre il cantautore, «con tutta probabilità avrei lasciato perdere la musica per terminare gli studi in legge e diventare avvocato».
Incuriosito da queste parole, uno psicologo di Asti, Roberto Argenta, è andato a sfogliare i quotidiani degli anni cinquanta alla ricerca dell’ispiratrice della storia di Marinella. Si è imbattuto così in Maria Boccuzzi. La sua opinione è che Maria sia Marinella.
Certo, ci sono alcune imprecisioni: per esempio, Fabrizio De André cita il Tanaro invece dell’Olona e Maria non cadde nelle acque del fiume. Però il delitto è avvenuto quando De André aveva 13 anni e non poteva certo ricordare tutti i dettagli da adulto.
Peccato che Argenta è arrivato alla sua scoperta solo nel 2007, quando De André era scomparso da otto anni. “Questa è la tua canzone Marinella che sei volata in cielo su una stella e come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno, come le rose”.
(Per gli altri articoli sui delitti famosi pubblicati da Giornale POP clicca QUI).
Nel testo della canzone, viene citato il fiume Tanaro…!?
Mi sono spiegato male: lo citava nell’intervista in cui parlava della canzone.
OK Sauro, grazie, e scusami per la pignoleria.
Soprattutto, grazie per aver posto l’attenzione su questo dolorosissimo fatto di cronaca, che risale ormai a 70 anni fa.