LE CATEGORIE QUALITATIVE DEI DISEGNATORI

LE CATEGORIE QUALITATIVE DEI DISEGNATORI

La maggior parte degli appassionati di fumetti si indigna quando legge una classifica, una graduatoria o una lista dei disegnatori. Soprattutto quando non vi trova il proprio disegnatore preferito o lo trova in una bassa posizione. Allora dice che queste cose non hanno senso, che nell’arte non c’è nulla di oggettivo, che tutto si basa sui gusti personali.

Nondimeno i post che riportano qualsiasi tipo di classifica sono tra i più letti sul web e tra quelli che generano le discussioni più accese.

LE CATEGORIE QUALITATIVE DEI DISEGNATORI

Siccome non vogliamo attirarci le ire, non faremo delle classifiche vere e proprie, ma parleremo semplicemente di categorie. Per individuare le diverse categorie abbiamo preso in considerazione due fattori principali.

Il primo è il talento naturale. Come diceva Andrea Pazienza, il talento è “saper fare i righi dritti”. La facilità nel disegno, la fluidità del segno, non sono cose che si imparano, sono un dono naturale. Un disegnatore talentuoso non sarà per questo necessariamente un artista, cioè un creativo capace di trasmettere emozioni, ma è innegabile che avrà la strada facilitata.

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Il secondo fattore è lo stile. Innanzitutto esiste la differenza tra un disegnatore dotato di uno stile immediatamente riconoscibile e un disegnatore con uno stile poco originale che ricorda quello di altri disegnatori. Ma ci sono differenze anche tra i disegnatori che sono stati capaci di trovare una maniera personale.

Alcuni, quando hanno trovato uno stile che funziona vi rimangono ancorati negli anni, bloccati dalla paura di deludere o sconcertare il proprio pubblico. Rinunciando così a rinnovarsi e limitandosi a ripetere in continuazione lo stesso cliché.

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Invece altri (pochi) continuano a sperimentare, cercando di superare i propri limiti, producendo opere sempre nuove e diverse.

Vediamo come la combinazione dei fattori sopraelencati abbia dato origine a sei categorie di disegnatori che illustreremo con l’aiuto di qualche esempio, limitandoci a quelli americani dei comic book.

 

Categoria numero 1 – Disegnatori non molto dotati senza uno stile originale

Ovviamente è la categoria più numerosa. Intendiamoci, si tratta di onesti professionisti perfettamente in grado di realizzare un prodotto più che dignitoso. Semplicemente il loro lavoro non riesce quasi mai a emergere, a farsi notare per qualche vignetta particolarmente originale o una soluzione inusitata.

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Si viaggia in una specie di eterna routine che spesso rende la lettura un po’ noiosa, anche se qualche volta, sostenuti da bravi sceneggiatori, sono riusciti a confezionare opere pregevoli.

 

Ross Andru

L’Uomo Ragno di Ross Andru ha raggiunto negli anni una statura di un certo rilievo e conta fan molto agguerriti, sebbene il disegnatore di origine russa (nato Androuchkevitch) non sia mai riuscito a entrare nell’Olimpo dei disegnatori Marvel.
A causa della sua scarsa efficiacia grafica, nei cinque anni che disegnò l’Uomo Ragno le copertine furono realizzate da John Romita e Gil Kane.

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Andru provò a mescolare gli stili di Steve Ditko e di John Romita. Il suo Uomo Ragno era muscoloso come quello di Romita e allo stesso tempo nervoso come quello di Ditko. I disegni erano senza lode e senza infamia.

 

Herb Trimpe

Il nome di Herb Trimpe è legato all’incredibile Hulk, del quale ha disegnato oltre ottanta numeri tra il 1968 e il 1975. Non particolarmente apprezzato da molti fan a causa del tratto poco espressivo, Trimpe era comunque lodato per le ottime capacità nello storytelling.

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Le anatomie sgraziate che concepiva si adattavano abbastanza bene alla fisionomia del gigante verde. Restò senza lavoro a metà degli anni novanta, quando il suo stile convenzionale venne considerato ormai obsoleto.

 

Categoria numero 2 – Disegnatori dotati con uno stile poco originale

È una categoria che fa nascere molti rimpianti per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Si tratta di disegnatori di talento ai quali non interessa la ricerca di uno stile personale. Si accontentano di disegnare bene, cosa che gli riesce naturale.

LE CATEGORIE QUALITATIVE DEI DISEGNATORI

Essendo piuttosto pigri, non intendono sprecare tempo alla ricerca di qualcosa che forse non troveranno mai. Di solito finiscono sulle testate classiche a disegnare personaggi famosi con un’identità ben precisa. Quasi sempre hanno lavorato per la Dc Comics pre anni ottanta.

 

Curt Swan

Curt Swan divenne il disegnatore definitivo di Superman nei primi anni sessanta, quando la sua versione del personaggio sostituì quella un po’ grossolana di Wayne Boring.
Definito da alcuni “il Norman Rockwell del fumetto”, di certo esagerando, fu l’artefice di un disegno privo di errori ma anche piuttosto povero.

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Gary Groth, editore-direttore della defunta rivista specialistica The Comics Journal, all’epoca aveva osservato che “Swan è sintomatico di ciò che l’industria richiede. Alla Dc adorano Swan perché quando gli danno una sceneggiatura che dice ‘Superman vola fuori dalla finestra’… lui disegna Superman che vola fuori dalla finestra. La sceneggiatura dice ‘Clark Kent cammina in un corridoio’ e Clark Kent cammina in un corridoio. È solo un tecnico che fa esattamente ciò che gli viene richiesto”.
A metà anni ottanta la Dc rinnovata da Jenette Kahn gli voltò le spalle, chiuse la porta e spense le luci su trent’anni di lavoro senza ringraziarlo, francamente in modo piuttosto brutale.

 

George Perez

Mentre la maggior parte dei fumettisti parte da uno stile elaborato e lavora per sottrazione per arrivare a una sintesi, George Perez inverte questo principio riempiendo le sue tavole di sempre più numerosi dettagli, perdendosi in un autocompiacimento grafico.

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I suoi disegni sono belli e accurati, ma non emozionano. Le pose dei suoi personaggi sono già viste e non escono mai dagli schemi. La sua tanto celebrata Wonder Woman è meno sexy di quella del 1941, e soprattutto molto più noiosa.

 

Categoria numero 3 – Disegnatori non molto dotati che hanno trovato uno stile che funziona

La classica storia del superamento dei propri limiti, della forza di volontà, l’epica saga del non mollare mai. Questi disegantori sono riusciti a rendere le loro naturali manchevolezze nel disegno dei punti di forza nella costruzione di uno stile originale ed efficace.

LE CATEGORIE QUALITATIVE DEI DISEGNATORI

Hanno meditato a lungo sulla lezione dei disegnatori della generazione di Jack Kirby: la correttezza anatomica si può anche sacrificare per esaltare l’espressività. Gente che ha fatto di necessità virtù con risultati a dir poco eclatanti.

 

Todd McFarlane

Come la maggior parte dei fondatori della Image Comics, Todd McFarlane non ha frequentato scuole d’arte, corsi o apprendistati vari. È gente che si è messa a disegnare ed è diventata brava a forza di tentativi, solo esercitandosi fino alla nausea.

LE CATEGORIE QUALITATIVE DEI DISEGNATORI

È l’emblema di una generazione di autodidatti, come del resto lo era quella che si era affiacciata ai comic book alla fine degli anni trenta e negli anni quaranta.
I disegni di McFarlane non sono “giusti” nel senso accademico del termine, sono giusti perché colgono l’essenza di una profonda necessità espressiva. Fu il primo ad avere il coraggio di guardare oltre l’Uomo Ragno di Romita dopo vent’anni. E fu ripagato da un immenso successo.

 

Rob Liefeld

Se McFarlane guardava a Ditko, Liefeld guardava a Kirby. Aveva bisogno di ottenere la grandezza, l’imponenza che diventa immediatamente epica, dei personaggi kirbiani. Puntò a quella dimenticando tutto il resto.
La ottenne, ma fu sommerso dalle critiche. Ogni sua caratteristica stilistica è diventata fonte di battute e parodie. Le anatomie impossibili, le spalline esagerate dei costumi, la sua difficoltà nel disegnare piedi e mani.

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Chi frequenta i forum di fumetti si sarà certo imbattuto nella sua immagine più esagerata, il Capitan America steroideo di Heroes Reborn. Nonostante tutto ciò, qualcuno, a torto o a ragione, sostiene che Liefeld sia stato l’ultimo grande disegnatore della Marvel.

 

Categoria numero 4 – Disegnatori dotati che trovano uno stile che funziona e lo ripropongono all’infinito

Per un artista di un certo livello non è difficile sviluppare negli anni uno stile accattivante che piaccia al pubblico. Il problema è che, una volta trovato, spesso lo porta avanti così com’è per la paura che qualsiasi modifica potrebbe allontanare parte dei lettori.
D’altra parte è anche comprensibile che quando si dipende dalle vendite dell’albo per pagare il mutuo e mandare i figli a scuola non si provino nuovi stili.

Sì, è straordinariamente difficile per un disegnatore di successo cambiare stile una volta che è stato accettato. La ripetitività con il tempo però farà affiorare una certa noia nel lettore, che presto si guarderà attorno alla ricerca di stili meno prevedibili.

 

John Buscema

John Buscema è stata una macchina da guerra per un decennio, negli anni settanta realizzò le matite di una media di 3-4 albi al mese.

Se analizziamo il suo stile nei primi numeri di Conan rispetto agli ultimi, notiamo che, al di là dei diversi inchiostratori, che poi sono quasi sempre gli stessi filippini, da Alfredo Alcala a Ernie Chan, il disegno muscolare di Big John non subisce evoluzioni, riproponendosi per quasi vent’anni identico a se stesso. Era osannato dai lettori, era il disegnatore Marvel più pagato, che altro avrebbe dovuto fare?

 

Gene Colan

Gene Colan è un altro di quegli splendidi disegnatori che fecero la fortuna della Marvel. Un disegnatore incredibile che pensava in tonalità di grigi e costruiva pagine a matita così complesse da mettere in difficoltà più di un inchiostratore. Ma cosa fece durante la sua lunga run su Devil, se non coreografare le acrobazie del diavolo rosso fino a diventare ripetitivo?

Durante gli anni settanta Gene Colan si impose di disegnare almeno due pagine al giorno, assumeva anche amfetamine per aiutarsi a stare sveglio fino a tardi. Dopo che le serie di Dracula e Howard the Duck chiusero alla fine degli anni settanta, passò ai Vendicatori scritti personalmente dal direttore generale Jim Shooter.
Quando Shooter gli disse che doveva disegnare tutte le vignette della sceneggiatura, non solo quelle che gli piacevano, Colan decise di emigrare alla Dc Comics per disegnare Batman.

 

Categoria numero 5 – Disegnatori non molto dotati ma dallo stile originale e in continuo cambiamento

Qui siamo vicini al paradiso. Ci troviamo di fronte ad artisti assoluti. Spiriti liberi che hanno dovuto faticare non poco per trovare il modo di esprimersi compiutamente. L’hanno fatto gettando il cuore oltre l’ostacolo, arrivando a capire che non sono la mano e l’occhio a fare l’opera d’arte.

L’opera è dentro di noi, riposta nelle profondità del nostro spirito, sta solo a noi riuscire a farla emergere. I fumetti di questi artisti sono generalmente capolavori, ma anche opere oggetto di discussione. Sono il sale della vita.

 

Frank Miller

La storia di Frank Miller è un paradigma. Sebbene fin dall’infanzia l’unica cosa che gli interessava fare nella vita era l’autore di fumetti, i suoi inizi non furono per niente facili.
Quando arrivò dal suo nativo Vermont a New York, nel 1977, e mostrò il portfolio al suo idolo Neal Adams ne ricevette solo critiche impietose. Ci restò così male che per un po’ smise addirittura di disegnare.

Il suo disegno era pieno di errori, le figure erano sbilenche e lo storytelling faceva acqua da tutte le parti. Ma la voglia di diventare un fumettista era troppa, così ci riprovò.

Finì per ottenere un piccolo lavoro alla piccola Western Publishing, che gli fece riacquistare abbastanza amor proprio da proporsi a Vince Colletta, all’epoca art director della Dc. Il quale, riconoscendo in quel segno ancora acerbo le tracce di un talento unico, gli fece realizzare un fumetto di guerra di una sola pagina. Le cose cominciarono a ingranare e, nel 1979, la Marvel gli affidò le matite di Devil.

Con Devil, Miller inizia a mostrare chi è. Si ispira a Neal Adams, ma sa di non avere le sue doti naturali. Non può essere lui, deve essere qualcosa di diverso: sé stesso. Anche se non è plastico come Adams, riesce a introdurre nelle sue pagine la tensione nervosa del maestro.

Il suo Devil è un capolavoro. A questo punto aveva raggiunto uno stile personale. Avrebbe potuto accontentarsi e riproporlo in mille salse, ma Miller non si ferma qui.

Con la miniserie Ronin, realizzata per la Dc, guarda dove nessun americano aveva ancora guardato, al disegnatore francese Moebius e ai manga, realizzando un altro capolavoro grafico. Il suo stile è completamente diverso da quello di Devil, ma è sempre lui, perfettamente riconoscibile.

La sua interpretazione di Batman in Dark Knight, qualche anno dopo, lascia un profondo segno nella storia del fumetto.
Qui il suo disegno è completamente libero, distorto, unico. È il trionfo dell’anima dell’artista sulle sue carenze tecniche, che ormai sono solo un ricordo. Miller ora nemmeno cammina più, letteralmente vola.

Padrone di uno stile iconico, di una espressività rara, ormai quasi senza rivali nel mondo del fumetto, Frank Miller continua a sperimentare, ansioso di esplorare i propri limiti.

Nel 1991 realizza il suo capolavoro maggiore: l’epica saga in stile hard boiled di Sin City. Lascia libero sfogo alle ombre, riempie le vignette di neri profondi che rendono le rare parti in bianco scintillanti e allucinate.

Guardando a Will Eisner e al suo Spirit, si spinge dove nessuno aveva osato e trionfa su tutta la linea. Le sue prove successive, sempre più stilizzate ed essenziali, non riscuotono gli stessi consensi tra il pubblico. Il secondo Dark Knight e Holy Terror portano qualcuno a sostenere che Miller non sa disegnare. Sembra un ritorno agli inizi. Un cerchio che si chiude.

 

Categoria numero 6 – Disegnatori molto dotati dallo stile in continuo cambiamento

Siamo nell’empireo. Più in alto non si può andare.
Cosa succede quando lo spirito di un vero artista alberga nel corpo di un disegnatore dotato di un talento che gli permette di disegnare un’intera pagina partendo dall’angolo in alto a sinistra e concludendola nell’angolo in basso a destra senza alcun ripensamento, senza quasi utilizzare la gomma per cancellare?

Gli artisti del fumetto in questa categoria si contano sulle dita di una mano, ma sono le loro opere che fanno del fumetto una forma d’arte.

 

Jack Kirby

Questa è la storia di Jack Kirby. Un artista della sua caratura avrebbe potuto campare di rendita per anni dopo i primi successi e invece si trasformò dall’elegante illustratore di Capitan America in un disegnatore d’avanguardia, le cui figure perdevano via via ogni struttura muscolare riconoscibile e sembravano costruite quasi interamente con forme geometriche.
La sua evoluzione avvenne in modo naturale e continuo, senza salti quantici, tanto da passare inosservata a un occhio non allenato.

Jack Kirby è già riconoscibile dai primi tempi in cui lavora per lo studio Eisner & Iger: gambe curve, figure saltellanti e volti riconoscibili, in particolare per i nasi. Lo stile di ombreggiatura sembra dovere qualcosa ad Alex Raymond.

Quando nel 1941 arriva a disegnare le prime storie di Capitan America per la Timely/Marvel il suo stile è già totalmente personale, non deve più niente a nessuno.

All’inizio degli anni cinquanta le sfumature scompaiono quasi del tutto. Kirby adotta una linea spessa e ondulata, che precorre il tratto più attenuato degli anni sessanta.

Negli anni cinquanta le texture sulle rocce e sui vestiti diventano più pesanti e astratti. Le rocce, in particolare, diventano disegni geometrici, quasi puri esercizi di forma.

Le figure iniziano ad appesantirsi, la magra figura adolescenziale di Captain America è sostituita dalla corposità adulta di Fighting American. Questo potrebbe essere stato un riflesso della sua maturità fisica.

Verso la fine di quel decennio iniziò la grande omogeneizzazione del fumetto. Lo stile blandamente realistico tranquillo e poco eccitante incarnato da Curt Swan si impose come standard alla Dc Comics.

A Frank Frazetta quelli della Dc dissero che i suoi disegni erano “vecchio stile”. Negli stessi anni Jack Kirby dovette fare buon viso a cattivo gioco e i suoi lavori per la Dc, nella seconda metà degli anni cinquanta, come Challengers of Unknown, appaiono più mainstream, meno dinamici e in qualche modo “attenuati”.

Questa tendenza sembra continuare nei primi numeri dei Fantastici Quattro, all’inizio dei sessanta. Le figure sono inconsistenti, rese debolmente e il lavoro manca di dettagli (alla Marvel lo pagavano meno della Dc e per questo doveva produrre una mole impressionante di tavole).

L’anno di svolta è il 1963. Le sue figure diventano più pesanti, le ambientazioni acquistano così tanti dettagli che i macchinari diventano un segno distintivo del suo stile, mentre le muscolature sono sempre più robuste e complicate. Anche i macchinari, come già le rocce, diventano esercizi di composizione astratta.

Poi nel 1965 Kirby esplode. Forse si sentiva più sicuro per via dei riconoscimenti che stava ottenendo, di certo perché il carico di lavoro si era allentato. Forse era anche lo spirito del tempo. Il suo stile divenne simile a quello di Picasso: una serie di scarabocchi astratti.

La muscolatura, i macchinari, le rocce e quasi tutto sembrava perdere la funzione reale diventando un pretesto per esercizi materici selvaggi. Indipendentemente dal fatto che disegnasse immagini dello spazio, del mondo microscopico, della “Zona Negativa”, di città fantascientifiche o di complessi macchinari futuristici, il risultato era sempre un’esplosione controllata di forma e colore.

Kirby esplose utilizzando forme geometriche astratte che conferirono ai fumetti una nuova identità grafica, artistica e sofisticata.

Quando Kirby introdusse il gruppo degli Inumani nella serie dei Fantastici Quattro, fu la prima volta che dei supereroi ebbero costumi interamente orientati al design. A differenza della “S” di Superman, del fulmine di Flash o del numero quattro sul petto dei suoi Fantastici Quattro, le linee di design sul costume di Freccia Nera erano del tutto non-funzionali e non-rappresentative. Erano lì solo perché stavano bene.

Forse le esperienze artistiche psichedeliche del momento sono state il catalizzatore finale che ha permesso di rivelare il vero Kirby, quello che, liberato dai vincoli del lavoro, ha raggiunto livelli impensabili per qualsiasi altro fumettista prima e dopo di lui.

 

 

 

6 commenti

  1. E Ditko, secondo lei, in quale categoria andrebbe collocato? Secondo me nella 4 ma sarei curioso di sentire la sua opinione.

  2. … e il mio preferito, John Byrne, in quale categoria?

  3. Castellini?

  4. Byrne e Castellini io li vedrei nella 4 (in grandissima compagnia) Sono molto d’accordo con la distinzione fatta nel bellissimo articolo, a conferma che non è tanto il manierismo a fare la differenza, quanto la genialità e l’innovazione. Raymond, Foster etc… meravigliosi senza dubbio, ma quelli che non mi stanco mai di guardare sono i Kirby e i Pratt. Ci sarà pure un motivo!

  5. Buscema rendeva al massimo nei suoi primi anni alla Marvel quando fu costretto da Lee ad ispirarsi a Kirby per l’impostazione delle pagine. Poi ad un certo punto si è dimenticato le lezioni kirbesche che lui stesso aveva canonizzato in “How to Draw Comics the Marvel Way”. Le anatomie erano sempre buone però l’impostazione delle pagine e le inquadrature divennero molto più piatte.

  6. La maggior parte degli appassionati di fumetti si indigna perché spesso legge una classifica dettata da preferenze personali che vanno oltre ogni decenza. Ad esempio, ritenere Frank Miller non molto dotato di talento rispetto a Kirby è una forzatura creata solo per impedire che qualcuno raghounga o scavalchi il proprio disegnatore di supereroi preferito, che sicuramente nel tuo caso è proprio Kirby. Se parli di vero talento inoltre nemmeno Jack Kirby fa parte di quella categoria. Tra il talento di Kirby e quello di Buscema c’è la stessa differenza che c’è tra un ottimo, potente e dinamico pittore manierista come Gambara e un pittore del calibro di Guido Reni. Concludo sottolineando che va benissimo difendere i propri idoli ma bisogna farlo senza nascondersi dietro una falsa obiettività.

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