I SOSTITUTI DI JACK KIRBY E STEVE DITKO

La Marvel raggiunge il suo apice creativo tra la fine del 1965 e l’inizio del 1966. In quel lasso di tempo lavoravano per la Casa delle idee tre geni del fumetto: Jack Kirby, Steve Ditko e, sia pure per poco, Wally Wood.
Nel breve lasso di tempo che va dal ottobre 1965 al maggio 1966 escono tre archi narrativi indimenticabili: la trilogia del Coordinatore sull’Uomo Ragno, la trilogia dì Galactus sui Fantastici Quattro e il dittico dell’Organizzatore su Devil. La Marvel sembra proiettata verso un futuro più che mai radioso.
Ma questo momento d’oro dura pochissimo, nel gennaio del 1966 Wally Wood litiga con Stan Lee e abbandona la Marvel. In luglio, in seguito a dissidi con Martin Goodman, lascia anche Steve Ditko. Quanto a Jack Kirby non si sente abbastanza considerato e toglie il piede dall’acceleratore.
Ecco, a questo punto sarebbe interessante fare un gioco. Avete presente quei libri e film che iniziano con una domanda?
Cosa sarebbe successo se Napoleone avesse vinto a Waterloo?
Cosa sarebbe successo se Hitler non avesse perso la Seconda guerra mondiale?
E cercano di immaginare come sarebbe cambiato il mondo se quelle ipotesi realmente avessero preso corpo. Il gioco del What if? ha sempre un certo fascino.
Proviamo a giocarlo oggi, focalizzandoci su alcuni elementi che hanno cambiato per sempre il mondo Marvel.
Cominciamo!
Cosa sarebbe successo se Wood fosse rimasto su Devil?
La diatriba tra Stan Lee e Wally Wood inizia con il n. 10 di Daredevil. Su questo numero compare una nota a margine dal tono un po’ piccato: “Da molto tempo Wally Wood voleva scrivere una storia oltre che disegnarla, e il magnanimo Stan (che comunque voleva riposarsi) ha accettato”.
Wally Wood, come Jack Kirby e Steve Ditko, non digeriva il metodo di Stan Lee, che significava scrivere le storie senza essere pagati per il lavoro di sceneggiatura e senza vedersi riconosciuti i crediti relativi.
La storia in questione è simile alle precedenti, che erano sempre di Wood anche se non firmate. Alla fine dell’episodio troviamo un’ambigua didascalia di Lee: “Ora che Wally si è sbizzarrito a scrivere la sua storia, ha lasciato al povero Stan il compito di terminarla sul prossimo numero. Ce la farà il nostro eroe? Questo è il vero mistero!”.
Cosa era successo?
Stan Lee aveva ceduto le redini a Wood controvoglia. Quando Wood gli consegnò le tavole, Stan disse che era una storia senza speranza: che avrebbe dovuto riscriverla tutta da capo. Wally Wood la prese male e abbandonò la Marvel.
Quando l’albo uscì, Wood si accorse che in tutto Stan Lee “aveva cambiato solo cinque parole”. Il dissidio non era poi così profondo e una riappacificazione era senz’altro possibile.
Ma dopo la Marvel, Wally Wood si dedicò a tempo pieno alla Tower Publications, un’azienda famosa per la sua linea di romanzi erotici tascabili che aveva deciso di aprire una divisione dedicata ai fumetti.
Il titolo di punta della Tower erano i Thunder Agents, un mix fra i due generi di successo degli anni sessanta: le spie e i supereroi.
Possiamo dunque immaginare che Wood avrebbe spinto Devil su questi territori e che lo avrebbe trasformato in una specie di Nick Fury cieco?
Non lo sapremo mai, resta il rammarico di non aver potuto assistere allo sviluppo del filone noir inaugurato con la sua ultima storia e che non rivedremo fino a Frank Miller.
Cosa sarebbe successo se Ditko fosse rimasto sull’Uomo Ragno?
Steve Ditko si separò dalla Marvel nel 1966. Circolano diverse versioni sui motivi dell’abbandono, che probabilmente non conosceremo mai con esattezza.
C’erano dissidi con l’editore Martin Goodman per il mancato riconoscimento dei diritti sulle sue creazioni e c’erano dissidi con Stan Lee sulla direzione da dare a Spider-Man in generale e sulla identità ancora da svelare di Goblin, in particolare.
Fatto sta che un giorno Ditko consegnò i suoi ultimi lavori a Sol Brodsky, il direttore di produzione, salutò e se ne andò. L’uomo non aveva un carattere facile.
Dopo l’abbandono, Steve Ditko abbe ancora un paio di anni molto creativi durante i quali lavorò per la Charlton Comics e per la Dc Comics.
Per la Charlton creò Blue Beetle, The Question e Captain Atom (tutti e tre questi personaggi sarebbero diventati, due decenni dopo, la base per Night Owl, Rosroach e Dottor Manhattan nella miniserie Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, che senza Ditko probabilmente non sarebbe esistita).
Per la Dc creò The Creeper e Hawk and Dove.
Poi, nel 1968, la luce cominciò a spegnersi.
Le storie dell’ultimo periodo dell’Uomo Ragno sono comunemente considerate inferiori alla media. Gli intrecci latitano e spesso gli episodi si risolvono in lunghe scazzottate con il nemico di turno, Peter Parker tende a isolarsi dai personaggi di contorno mettendo in luce un carattere sempre più problematico.
Sono il risultato della frustrazione di Ditko verso i mancati riconoscimenti da parte della Marvel o il segno di un iniziale declino della spinta creatrice che lo aveva sostenuto nei quattro anni?
Contava anche il fatto che ormai Ditko impediva a Lee di avere qualsiasi influenza sulle trame.
I personaggi creati da Ditko dal 1966 al 1968 sono molto interessanti e avrebbero potuto essere tutti dei nuovi e riuscitissimi nemici del Ragno. Meno interessanti erano le storie in cui Ditko li inseriva.
Insomma anche se Ditko fosse rimasto all’Uomo Ragno senza collaborare con Stan Lee probabilmente non avremmo avuto un’altra storia all’altezza della trilogia del Coordinatore.
Colan e Romita al posto di Wood e Ditko
A prendere il posto di Steve Ditko su Spider-Man viene chiamato John Romita, mentre Gene Colan inizia la sua run sulle pagine di Devil.
Sia Romita sia Colan dal punto di vista grafico sono impeccabili, ma nessuno dei due se la cava bene come sceneggiatore.
Il “metodo Marvel”, che forse dovremmo chiamare il “metodo Stan Lee”, funzionava se supportato da disegnatori in grado di imbastire un racconto coerente. Come era stato il caso di Jack Kirby, Steve Ditko, Bill Everett e Wally Wood.
Con due disegnatori come Colan e Romita, Lee era costretto a fare una cosa che non gli veniva molto bene: sceneggiare. O comunque essere più presente. Le storie di Devil e dell’Uomo Ragno dopo il 1966 si indeboliscono e le due testate iniziano inesorabilmente a perdere lettori.
Nel 1970, come un fulmine a ciel sereno, accade l’impensabile, Jack Kirby lascia la Marvel per la Dc.
Cosa sarebbe successo se Kirby fosse rimasto su Thor?
Cosa avrebbe fatto Kirby se fosse rimasto su Thor è cosa abbastanza nota. Nel 1966 ci fu un momento in cui Kirby avrebbe voluto far progredire la saga del Dio del tuono passando attraverso il Ragnarok, la mitica apocalisse norrena.
Una serie di eventi catastrofici tra cui spicca una grande e gloriosa battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle delle tenebre e del caos, la quale causerà la morte dei personaggi del ciclo mitologico: Odino, Thor, Balder, Heimdall e Loki.
A questa apocalisse, come nel mito, sarebbe seguita la rigenerazione del mondo distrutto, l’inizio di un’età felice, con una nuova dinastia divina e una rinnovata progenie umana.
Questa nuova dinastia divina Kirby l’aveva ben chiara in mente: i “nuovi dei” sarebbero stati il risultato di una fusione tra divinità e tecnologia. Stan Lee e Martin Goodman però avevano per le mani un titolo che già vendeva piuttosto bene e non avevano la minima intenzione di rivoluzionarlo.
Così Kirby dovette emigrare alla Dc per realizzare le proprie idee. Un gran peccato perché dei suoi Nuovi Dei abbiamo potuto leggere soltanto una versione tronca e mutilata, decontestualizzata rispetto alla mitologia norrena.
Già così, comunque, la saga dei Nuovi Dei è uno dei punti più alti del fumetto. Apokolips e New Genesis, Orion e Scott Free con tutte le laceranti contrapposizioni. Guerra contro desiderio di pace, astuzia contro valore, vendetta contro misericordia e pazienza, natura paradisiaca contro tecnologia infernale.
Pensate a quello che sarebbe potuto essere questo racconto epico, monumentale editato e dialogato da uno Stan Lee al massimo della forma.
Da questi presupposti poteva nascere una nuova epica saga in grado di imporsi nel mercato fumettistico degli anni settanta.
Romita e Adams, i Fantastici Quattro e Thor
L’abbandono di Jack Kirby rappresentò un grosso problema: Thor e i Fantastici quattro, due tra i titoli principali della Marvel, erano rimasti orfani dell’uomo che li aveva creati e fatti crescere.
Qualcuno doveva sostituire Kirby su quegli albi. Più facile a dirsi che a farsi. Kirby poteva essere sostituito solo da un maestro della matita.
Uno la Marvel lo aveva in casa, era John Romita che, a sua volta sostituito degnamente da Gil Kane sull’Uomo Ragno, poteva rendersi libero per i Fantastici Quattro.
Con l’altro la Marvel ci stava collaborando da un po’ di tempo, ed era l’astro nascente di una nuova generazione di disegnatori, il fantasmagorico Neal Adams.
Niente da dire, i due erano fior di disegnatori, ma, dopo avergli fatto realizzare alcuni numeri di prova, la Marvel non li ritenne adatti allo scopo.
Cosa sarebbe successo se la Marvel avesse affidato i Fantastici Quattro a Romita?
John Romita forma il suo stile durante gli anni cinquanta lavorando per la Dc Comics alla linea di titoli sentimentali curati dalla editor Phyllis Reed.
Qui diventa uno dei disegnatori di punta, disegnando centinaia di fumetti nonché la stragrande maggioranza delle copertine, sviluppando uno stile glamour ed espressivo che sarebbe diventato il suo marchio di fabbrica.
Con questo stile patinato cerca di far dimenticare Ditko quando lo sostituisce sulle pagine dell’Uomo Ragno nel 1966.
Nel 1970, invece, fallisce in pieno con Jack Kirby sui Fantastici Quattro. In tutto Romita disegnò quattro numeri dei Fantastici Quattro, dal 103 al 106.
Cominciamo dalle cose che funzionano: i volti dei personaggi sono rassomiglianti, credibili ed espressivi, le ragazze come sempre sono affascinanti e Sue Storm è la milf perfetta.
Ma i Fantastici quattro nascono come space opera, quindi astronavi, alieni, viaggi nello spazio e macchinari complicatissimi. In niente di tutto questo eccelle Romita. Abituato a disegnare ambientazioni urbane, non riesce a infondere il tocco sci-fi tipico di Kirby.
Le scene della battaglia sopra Manhattan mancano di epica, l’invasione di New York da parte degli atlantidei è priva di grandiosità, eppure di queste cose aveva sempre vissuto la saga dei Fantastici Quattro.
Le scene di combattimento degli strani personaggi dei Fantastici Quattro con la matita di Romita non funzionano.
Con la Cosa, per esempio, Romita non riesce a esprimere la sua potenza come faceva Kirby, partendo dalla costruzione stessa della struttura corporea.
John Romita, disegnatore con i fiocchi, aveva uno stile che mal si adattava ai Fantastici Quattro. La decisione di terminare la sua run fu giusta.
Cosa sarebbe successo se la Marvel avesse affidato Thor ad Adams?
A Stan Lee piaceva come disegnava Jack Kirby. Avrebbe voluto che tutti i suoi disegnatori disegnassero come lui. Invece non gli piacevano i disegnatori realistici.
Quando vide gli X-Men di Neal Adams non gli piacquero. In particolare, non sopportava l’innovativo layout della pagina, con le vignette dalle forme strane. Neal, che aveva lavorato sui testi di Roy Thomas, desiderava invece ardentemente di lavorare con Stan Lee e gli propose di farlo su Thor.
Lee gli chiese di fare pagine più tradizionali e di non essere troppo realistico. Adams accettò. Disegnò due numeri di Thor, il 180 e il 181. Le limitazioni che aveva accettato impedirono a questi numeri di essere memorabili.
Lo stile su queste pagine è una specie stile Marvel standard, modellato principalmente su quello di John Buscema e manca di personalità e potenza.
I corpi di Adams sono lunghi e affusolati, spesso ripresi in posture contorte a suggerire una continua tensione interna. Molto diversi da quelli di Kirby, che sono costruiti su volumi imponenti. I quali, per esprimere tutta la loro epica, hanno bisogno di possanza e pose ieratiche.
Una visione differente, ma non necessariamente migliore. L’impostazione di Adams, soprattutto se lasciato libero di essere se stesso, avrebbe potuto regalarci un Thor più umano e fallibile, ma soprattutto potenzialmente più interessante.
C’erano vasti spazi a disposizione per trattare il difficile equilibrio tra le due nature del dio del tuono, quella umana e quella divina, e per equilibrare il peso di Asgard e della Terra all’interno della saga, introducendo nuove problematiche e nuovi dilemmi.
Anche in questo modo si sarebbe potuto rinnovare alla radice un titolo che ormai dava segni di stanchezza a causa della sua ripetitività. Il tipico lavoro di Adams sulle ombre, in questi due numeri solo accennato, avrebbe potuto introdurre nella saga delle note cupe. Un’occasione persa.
John Buscema asso pigliatutto
Alla fine la Marvel affidò sia Thor sia i Fantastici Quattro a “Big” John Buscema. Il disegnatore di origine italiana si assumeva l’onere di sostituire Kirby su entrambi i titoli dove aveva dimostrato al mondo di essere il più grande.
Buscema aveva di fronte due possibilità, mantenere il proprio stile o cercare di imitare il più possibile Jack Kirby. Su pressione di Stan Lee scelse quest’ultima opzione dando vita ad uno stile ibrido, anche qui una sorta di stile Marvel standardizzato che offriva alta qualità e poche sorprese. Una monotonia di lusso, insomma.
Fu la scelta giusta? Probabilmente Buscema fu la scelta giusta. Morto un papa bisognava farne un altro e Big John a quei tempi era diventato, dopo l’abbandono di Kirby, il numero uno della Marvel. Forse fu meno azzeccata la scelta di imitare Kirby troppo da vicino, senza averne la creatività.
Cosa sarebbe successo se Buscema avesse utilizzato il suo stile sui Fantastici Quattro e Thor?
Sulle pagine di Silver Surfer, John Buscema aveva già disegnato sia i Fantastici Quattro sia Thor. Sulla copertina del n. 4 c’è un immagine iconica del dio del tuono che, per la sua potenza, sarà utilizzata per la copertina del n. 1 dell’Editoriale Corno.
Il mantello di Thor sembra vivo, ricorda quello di Spawn vent’anni prima.
Il Loki stravaccato della prima pagina è quanto di più asgardiano si possa immaginare.
L’impostazione della tavola ritmata sulle 4-5 vignette per pagina permette all’arte di Buscema di esprimersi in modo compiuto. Lo stile è drammatico, pieno di ombre. Thor è arrogante, irascibile, proprio come nel mito.
Nulla di tutto questo stile muscolare, sia pure comunque debitore di Kirby nelle impostazioni, si ritrova sulle pagine del Thor di Buscema.
Per i Fantastici quattro vale lo stesso discorso. Sul n. 5 di Silver Surfer vengono presentati in tutta la loro dinamicità Reed Richards, la Torcia Umana e la Cosa: non hanno niente da invidiare a quelli di Kirby.
Solo nella riproduzione di macchinari tecnologici Buscema perde di fronte a un Kirby irraggiungibile.
Se John Buscema avesse mantenuto lo stesso drammatico stile che aveva messo in mostra su Silver Surfer avremmo avuto un Thor e dei Fantastici Quattro molto migliori di quelli realizzati tra il 1970 e il 1973.
Anche se le storie, senza il fondamentale apporto di Kirby, sarebbero risultate più deboli. Specie quelle di Stan Lee. Meno, forse, quelle di Roy Thomas.
Buscema, nel tentativo di imitare Kirby fino in fondo semplificò troppo il suo tratto rendendolo quasi banale. Eliminò quasi del tutto le ombre, togliendo drammaticità e tensione, e aumentò il numero di vignette portando l’impatto della pagina quasi a zero.
In questa scelta, apparentemente scriteriata, giocarono un ruolo le necessità economiche di Big John, che in quel periodo lo avevano portato a diventare una specie macchina da guerra in grado di realizzare le matite di una media di 3-4 albi al mese con inevitabile calo della qualità.
Cambio di rotta per l’Uomo Ragno
Nel 1973, dopo aver disegnato l’epocale “La notte in cui morì Gwen Stacy”, Gil Kane, tra lo stupore generale, viene allontanato dall’Uomo Ragno per essere sostituito da Ross Andru.
C’è un perché? Andru era un onesto professionista, sul campo ormai da qualche anno ma non era certo un numero uno, mentre l’Uomo Ragno era ancora il titolo di punta della Marvel. Tra l’altro, Kane dopo un inizio incerto sembrava avere preso le misure all’arrampicamuri.
Cosa sarebbe successo se Kane avesse continuato a disegnare l’Uomo Ragno?
Quando si parla di Gil Kane alla Marvel si ha spesso la sensazione che il suo immenso talento del disegnatore sia stato disperso in mille titoli diversi senza mai riuscire a concentrarsi su di un unico personaggio per dare vita a un lungo arco narrativo.
Quel personaggio avrebbe potuto essere l’Uomo Ragno, del quale disegna venti episodi a partire dal n. 89 dell’ottobre 1970.Di questi, 10 sono inchiostrati da John Romita che non lo apprezza fino in fondo tanto che ne stravolge le matite.
“Stan Lee e io eravamo convinti che disegnasse Peter Parker troppo alto e troppo magro”, ricorda Romita. “Così durante il lavoro di inchiostrazione gli allargavo la faccia per farlo apparire alto un metro e ottanta invece di uno e novanta. Spesso sbagliava le espressioni facciali di Gwen o Mary Jane, che io dovevo correggere”.
L’accoppiata con le chine di Romita snatura le matite di Kane. Anche per motivi di continuity grafica è il segno di Romita a prevalere, impedendo al pregevole disegno dell’artista nato in Lettonia di emergere.
Per renderci meglio conto delle potenzialità di Gil Kane sull’Uomo Ragno dobbiamo esaminare i numeri inchiostrati da Frank Giacoia, che rispetta maggiormente le matite di Kane, mettendo in evidenza la perfetta struttura anatomica dei corpi e i volti ripresi da punti di vista inconsueti.
Analizzando questi albi risulta chiaro che Kane avrebbe potuto dare un apporto incredibile alle avventure dell’Uomo Ragno, dando vita a un lunga run che avrebbe potuto rivaleggiare con quella di Ditko.
Forse alla Marvel pensarono che bisognava concentrarsi sul genere horror che in quel periodo, grazie all’allentamento della censura del Comics Code, era oggetto di un vero e proprio revival.
Infatti Kane venne spostato su testate emergenti come Worlds Unknown, Werewolf by Night, Supernatural Thrillers, e Monster Unleashed.
Un personaggio in cerca d’autore
Una volta allontanato Kane dalle pagine dell’Uomo Ragno perché a nessuno venne in mente di utilizzare Gene Colan? Dopotutto il decano era tra i disegnatori della Marvel più in voga. Il suo stile muscolare e ipercinetico si sarebbe ben adattato a illustrare le scorribande tra i grattacieli di New York.
La Marvel dirottò i suoi due migliori disegnatori, Buscema e Colan, su Conan e Dracula, due titoli non supereroistici. Lasciò i supereroi alle seconde file. I Fantastici Quattro e Thor a Rich Buckler, l’Uomo Ragno a Ross Andru e Devil a Bob Brown.
Cosa sarebbe successo se la Marvel avesse affidato l’Uomo Ragno a Colan?
Devil e l’Uomo Ragno hanno sempre avuto parecchie cose in comune. Entrambi si spostano oscillando nell’aria, tutti e due sono dotati di sensi speciali e sono tra gli eroi più agili dell’Universo Marvel.
Passare da uno all’altro non sembrava una cosa difficile, come aveva dimostrato John Romita traslocando con successo da Devil all’Uomo Ragno.
Colan con Devil aveva puntato molto sull’aspetto acrobatico del personaggio, concentrandosi su inquadrature e coreografie. Distorcendo, comprimendo e dilatando ogni muscolo e ogni segmento anatomico con l’unico scopo di coinvolgere il più possibile i lettori nell’azione.
Avrebbe potuto riversare questo know-how sul personaggio simbolo della Marvel. Inoltre la sua predilezione per le atmosfere cupe e piene di ombre avrebbe forse potuto riportare il ragno ai tempi di Ditko, quando si aggirava tra i docks avvolti nella nebbia in cerca di criminali.
Di come Gene Colan avrebbe disegnato l’uomo ragno possiamo farcene una vaga idea leggendo Daredevil n. 77, dove l’Arrampicamuri combatte accanto al Diavolo Rosso, e Marvel Team-Up n. 87. In entrambi i casi Colan sembra estraneo all’essenza stessa dell’arrampicamuri.
L’Uomo Ragno appare come un palloncino sgonfiato, nessuna tensione nervosa attraversa la sua muscolatura lunga e complicata. Il linguaggio del corpo non riesce a ovviare, come riusciva a Ditko, all’assenza di espressioni dovuta alla maschera facciale totalmente coprente, così che spesso sembra di avere a che fare con un manichino che si muove.
La cinetica dei movimenti di Devil, basata su cambi di posizione improvvisi e dirompenti è totalmente diversa da quella dell’Uomo Ragno, basata invece su pose complicate mantenute a fatica che scivolano le une nelle altre.
Insomma se dobbiamo basarci su questi presupposti dobbiamo concludere che è stato un bene che Gene Colan, con il suo stile realistico, non abbia mai realizzato gli albi di Spider-Man.
Kirby torna a casa
Nel 1975 Jack Kirby torna alla Marvel dopo cinque anni passati alla Dc Comics. Alla Casa delle idee tutti pensano che tornerà a lavorare su Thor e i Fantastici Quattro a quell’epoca disegnati rispettivamente da John Buscema e da George Perez.
Invece Kirby si rifiuta di riprendere in mano qualsiasi personaggio condiviso con Stan Lee e sceglie di dedicarsi a Capitan America (inventato assieme a Joe Simon) e Pantera Nera (creato da lui solo sulle pagine dei Fantastici Quattro).
Cosa sarebbe successo se Kirby fosse tornato su Thor e i Fantastici Quattro?
Thor e i Fantastici Quattro sono probabilmente le due creazioni più importanti di Jack Kirby. Sono due titoli che hanno segnato profondamente la Silver age. Due archi narrativi probabilmente irripetibili. Riprenderli in mano avrebbe voluto dire per Kirby imbarcarsi in un’avventura dove aveva tutto da perdere e poco o nulla da guadagnare.
Ai dialoghi non ci sarebbe stato Stan Lee perché Jack Kirby a quei tempi esigeva il controllo totale su soggetto, sceneggiatura e disegni.
Del resto Lee aveva ormai smesso di scrivere, avendo preso il posto di Martin Goodman dopo che la Marvel era stata venduta a una grande compagnia.
Ma se l’avesse fatto? Cosa avremmo potuto aspettarci?
La situazione più prevedibile è quella di Thor, le cui avventure avrebbero seguito un’impostazione simile ai Nuovi Dei: un flusso narrativo ininterrotto che porta senza soluzione di continuità da una battaglia all’altra dove sono in gioco i destini dell’umanità, la vittoria del bene sul male e cose del genere.
Con dialoghi ora magniloquenti ora criptici, qualche volta solo sgangherati.
Per là qualità dei disegni possiamo basarci su quella messa in mostra sulla serie degli Eterni: splash page ricoperte interamente da macchinari complicatissimi, vignette che sfiorano costantemente l’astrazione corpi che ormai sono pure forme geometriche.
Una potenza grafica ancora pressoché intatta. Thor non sarebbe stato molto diverso da quello degli anni sessanta. Meno ingenuo sicuramente, più cupo, mai però senza speranza.
Più difficile è immaginare cosa sarebbe stato dei Fantastici Quattro.
La cosa più simile al quartetto fantastico tra le serie che Kirby fece alla Marvel dopo il suo ritorno sono forse la trasposizione e lo sviluppo a fumetti del film 2001 odissea nello spazio.
Il senso degli spazi cosmici è ancora vivissimo, l’energia è dappertutto, l’uomo sembra un semplice incidente nella roulette della vita.
Avremmo avuto dei Fantastici Quattro più riflessivi e meno leggeri, privati dai brillanti dialoghi di Lee, ma che sarebbe stata un’esperienza leggere.
Un Gil Kane lasciato libero avrebbe degnamente ricevuto il testimone lasciato da Ditko. Le sue pose inconfondibili, con quel tratto così riconoscibile, avrebbero reso giustizia al personaggio, che è puro movimento e dinamismo. I ritocchi di Romita andavano forse bene per i volti femminili, ma non per altro. Così come Buscema senza condizionamenti su Thor. Quando lessi gli episodi di Silver Surfer in appendice al Devil della Corno, dove apparivano gli F.Q. e il suo Thor con tutto il contorno Norreno (Heimdall, Fandral, Balder, Loki…) rimasi incantato. Così belli, eleganti e possenti! Devo ancora una volta dare ragione all’autore dell’articolo. Chissà cosa avrebbero realizzato, se lasciati al loro genio, questi magnifici artisti. Non lo sapremo mai. Sappiamo però che Andru, Buckler e Brown hanno segnato l’inizio della fine. La fine della magia! Disegni ben fatti, certamente, ma stile zero. Roba da catena di montaggio. Certo, venire dopo Kirby e Ditko era un ingrato compito, ma i fuoriclasse c’erano. E’ stato come cercare di ripetere la nazionale di Valcareggi e non capire che tra i tuoi giocatori hai Gentile, Cabrini, Conti e Tardelli (chi ha i mei anni mi può capire). Non c’è stata la lungimiranza di saper voltare pagina, e guardare avanti.