LA P2 ANTICIPATA DA UN FUMETTO – LA POSTA

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007 contro la P2

Caro Direttore,
in un suo articolo accenna al misterioso disegnatore del primo numero di Diabolik, del quale non si conosce nemmeno il nome.
C’è qualche altro mistero interessante legato al fumetto?
Sofia

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Gentile Sofia,
se non ricordo male, di quel disegnatore si sa solo che aveva la moglie tedesca: si sarà trasferito in Germania con lei e per questo non avrà saputo del successo di Diabolik, del quale non rammenterà neppure il nome.
Di un altro “mistero” ne ho già parlato in un post del mio blog oggi praticamente inattivo, Sauro piace alle ragazze.
Si intitola
“Un P2 può fare una strage”.
Dany Coler è un fumetto tascabile di genere spionistico pubblicato nel 1965 dalla casa editrice Cofedit. Scritto da Furio Arrasich e illustrato da disegnatori vari, tra i quali il bravo Angelo Todaro (che molti anni dopo realizzerà alcuni miei albi di Ronny Balboa), uscì per soli 11 numeri.
Il tentativo di trasportare 007 nei tascabili del resto non riuscì neppure a Max Bunker e Magnus, che con il poco fantasioso Agente SS018 / Dennis Cobb fecero flop.
L’unica cosa interessante di Dany Coler è che, come recita la pubblicità, si tratta di un agente della P2. In questo caso non una loggia massonica, ma un’immaginaria organizzazione di controspionaggio.
Pier Carpi, sceneggiatore di Zakimort e altri tascabili pubblicati dall’ex avanguardista Gino Sansoni (marito della diabolika Angela Giussani), era un collaboratore del venerabile Licio Gelli, il quale la vera P2 l’aveva fondata e la dirigeva con propositi eversivi mai del tutto chiariti.
Parliamo di due case editrici di tascabili “per adulti” diverse, certo, ma nell’ambiente gli autori si conoscevano collaborando un po’ qua e un po’ là.
Strane coincidenze.
Avevo cercato di avere qualche notizia in proposito da Alfredo Castelli, che con Gino Sansoni e Pier Carpi aveva lavorato, ma non ne sapeva niente.

 

Alessandro Bilotta, difetti e virtù

Gentile Direttore,
che ne pensa di Bilotta? Io lo trovo noioso, pomposo e autoreferenziale. Si basa esclusivamente su se stesso non curandosi dei lettori. Ci sono episodi dove tratta solo di filosofia, storia e politica, per il resto privi di azione. In una storia aveva speso 20 pagine per parlare di vini pregiati.
Bilotta, per quanto spinto a dismisura dalla critica, non è un nome che può garantire il successo a una serie e infatti il nuovo progetto, chiamato Eternity, annunciato ai quattro venti, sembra non partire mai.
Signor Rossi

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Gentile Rossi,
Alessandro Bilotta ha creato lo sfortunato Mercurio Loi ed è autore di diverse storie di Dylan Dog. Per me è un buon sceneggiatore, anche se non così geniale come forse ritiene di essere. Anzi, direi che nella sostanza è un tradizionalista. Quando vuole fare l’originale a tutti costi diventa pesante e a quel punto difficilmente si riesce a seguirlo.
Lo penalizza l’insopprimibile ricerca di un registro alto, una propensione un po’ provinciale e fuori luogo nella lettura contemporanea. Per fortuna questo aspetto è meno evidente nei fumetti rispetto ai suoi articoli.
Sarebbe comunque un autore da valorizzare, essendo al di sopra del livello medio.

 

Ancora sulla trasformazione di Dylan Dog

Egregio direttore,
non so a lei, ma a me non è mai interessato l’approfondimento psicologico di Dylan Dog e dei suoi comprimari.
Negli anni d’oro Sclavi si serviva di Dylan per esprimere la sua visione del mondo. L’occhio di Dylan era il suo occhio (ma anche l’occhio del lettore) e al centro della storia c’era l’indagine o il caso del mese. C’era ciò che Dylan guardava, non Dylan stesso.
Paola Barbato e Roberto Recchioni, invece, tendono a trasformare Dylan in oggetto anziché soggetto delle storie. Passi il farlo occasionalmente, ma è inutile imbastire il rilancio della serie (Fase 2, Meteora, 666 e ora questo nuovo ciclo) come una infinita auto-analisi psicologica di Dylan e degli altri personaggi.
Del resto, non è bastato il numero 400 a risolvere il complesso edipico celebrando l’”ammazzamento del padre”? Che senso ha perpetuare questo “ammazzamento” tutti i mesi, consentendo a ciascun autore di trasformare in fumetto le proprie riflessioni personali sul modo di scrivere Dylan?
Davvero il mondo in cui viviamo non offre spunti narrativi più interessanti della psicoanalisi metafumettistica di Dylan?
Franco

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Gentile Franco,
credo anch’io che inizialmente Dylan Dog non fosse un personaggio vero e proprio, ma la proiezione del lettore all’interno delle storie. Alla fine, però, lo stesso Tiziano Sclavi ha cercato di dare spessore a un personaggio unidimensionale rendendo per questo le storie convenzionali. L’ultima cosa che mi interessava di Dylan era la sua relazione con Abraxas (o come si anagramma) e Morgana.
Gli sceneggiatori che sono seguiti hanno sviluppato questa malaugurata tendenza dell’ultimo Sclavi.

 

La rivista più bella

Caro Direttore,
qual è stata la più bella rivista a fumetti del passato? Ritiene che se tornasse a essere pubblicata avrebbe ancora successo?
Serena


Gentile Serena,
sicuramente la rivista storicamente e qualitativamente più importante è stata L’Avventuroso, il settimanale che nel 1934 ha presentato per la prima volta in Italia i fumetti “realistici” come Flash Gordon di Alex Raymond. Ma al giorno d’oggi non sarebbe proponibile un contenitore di fumetti originariamente pubblicati come strisce o tavole singole per i quotidiani americani, a parte il fatto che in pratica non ne fanno più di genere avventuroso.
Allora propendo per il Corriere dei Piccoli tra il 1968 e il 1970, che era un “Avventuroso” in chiave moderna con alcuni dei migliori personaggi francobelgi dell’epoca, come i primi Puffi, Lucky Luke di Goscinny e Luc Orient del ciclo di Terango. Oltre al geniale Jacovitti. Solo che neppure queste storie non le scrivono più per mancanza di sceneggiatori, mentre di disegnatori ne abbiamo fin troppi. Quindi, in pratica, si dovrebbe pubblicare molto materiale dell’epoca. Se questo materiale fosse in un settimanale con episodi divisi in puntate corpose e un prezzo di copertina basso (1 euro) sono sicuro che venderebbe.

 

Sauro Pennacchioli

 

 

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7 commenti

  1. Se con Andrea Pazienza il Signor Rossi aveva torto con Bilotta ha ragione. Ma si può scrivere una storia di Dylan dog parlando per più di 20 pagine di vini?

  2. Non so se ti scredita di più come giornalista il fatto che scrivi “buon sceneggiatore” invece di “buono” o che ignori che il mistero di Zarcone/”Il Tedesco” è stato risolto ancora due anni fa a una Lucca primaverile!

    • Il documentario del 2019 su “Zarcone” è una sorta di fiction. Di lui non si sa ancora niente di preciso.

      • Nulla è più reale della fiction! Viva Pier Carpi!

  3. Mi piace contraddire: il Nicola Pesce editore è nato nel 1984, l’altro si faceva fotografare negli Stati Uniti nel 1980. Non possono essere la stessa persona.

  4. Caro Sauro, il post sulla P2 è sparito, potresti ripubblicarlo?
    Grazie!

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