JOE MANEELY, IL DISEGNATORE PREFERITO DA STAN LEE

JOE MANEELY, IL DISEGNATORE PREFERITO DA STAN LEE

Martin Goodman, il fondatore della Timely, la casa editrice che lanciò Capitan America, Sub-Mariner e la Torcia Umana, nel 1951 cambiò il nome della propria azienda in Atlas.
In quegli anni Stan Lee dirigeva alcune dozzine di albi, scrivendo anche diverse storie.

JOE MANEELY, IL DISEGNATORE PREFERITO DA STAN LEE


Lee, che aveva cominciato a lavorare con i grandi disegnatori della Golden Age, si trovava ora ad avere a che fare con i giovani rappresentanti di una nuova generazione. Disegnatori come John Romita, Gene Colan, Dick Ayers e Joe Sinnott stavano lentamente affacciandosi alla ribalta.
Insieme a loro c’era un giovane biondo di bell’aspetto dotato di un talento cristallino, il suo nome era Joe Maneely e divenne il disegnatore preferito di Lee.

Suscitava anche l’ammirazione dei suoi colleghi disegnatori.
Herb Trimpe una volta disse di Joe Maneely: “Le sue matite erano quasi inesistenti, erano come dei layout ruvidi e leggeri tracciati senza tratti sui volti… Erano ovali, bastoncini e cose del genere, e da quello inchiostrava. Disegnava inchiostrando”.
Stan Goldberg ha osservato che “Joe non era solo un grande artigiano, lavorava velocemente ed era uno dei pochi disegnatori che poteva passare traquillamente dal Cavaliere Nero a una storia di guerra. Aveva un talento incredibile…”.

JOE MANEELY, IL DISEGNATORE PREFERITO DA STAN LEE


Esagerando come spesso faceva, Stan Lee arrivò al punto di dire: “Joe Maneely per me sarebbe potuto essere il nuovo Jack Kirby. Sapeva anche lui disegnare qualsiasi cosa, far sembrare qualsiasi cosa eccitante, e in realtà penso che fosse anche più veloce di Jack”.

In ragione della sua personale amicizia con Lee, Maneely avrebbe quasi sicuramente contribuito alla creazione dell’Universo Marvel se fosse vissuto per qualche altro anno. Ma purtroppo morì tragicamente nel 1958.

Dopo aver trascorso una serata a cena con i disegnatori George Ward e John Severin, Joe Maneely era salito sul treno che faceva la tratta da Manhattan al New Jersey, per tornare a casa ben dopo mezzanotte. Avendo perso gli occhiali la settimana prima, aveva difficoltà a vedere chiaramente e mentre camminava tra due vagoni pieno zeppo di pendolari scivolò e cadde sui binari. Lo trovarono morto mentre ancora stringeva alcune tavole disegnate.

Solo dopo la sua morte, Stan Lee fece diventare Jack Kirby il disegnatore principale della casa editrice, inondandolo con le storie che altrimenti avrebbe continuato a far disegnare a Joe Maneely.

Di questo mancato autore Marvel, ricordiamo alcune delle storie più interessanti storie tra quelle realizzate in coppia con Stan Lee.

“Ghost in the House” (Adventures into Wild Worlds n. 11, 1952)

Adventures into Weird Worlds è uno dei numerosi albi che Martin Goodman ha immesso nel mercato all’inizio degli anni cinquanta cercando di occupare più spazio possibile nelle edicole. La serie pubblicò per circa due anni episodi di 4-8 pagine di genere fantascientifico. Nell’impostazione generale si rifaceva alle raffinate pubblicazioni della Ec Comics, differenziandosene abbastanza per quello che concerne i contenuti.

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Il tipo di fantascienza sviluppato dagli autori della Atlas, infatti, era intriso di una vena horror che a volte finiva per prevalere. Come in questo episodio di Stan Lee, su un tizio scettico sui fenomeni paranormali che partecipa a una seduta spiritica tenuta da morti. La storia di sole quattro pagine non si presta naturalmente a sviluppi approfonditi, puntando sul classico colpo di scena finale. I disegni di Joe Maneely sono molto precisi e dettagliati rispetto agli standard dell’epoca. Le inquadrature sono varie, evitano qualsiasi ripetitività. 

“Top Billing” (Astonishing n. 19, 1952)

Astonishing è una delle tante riviste dell’orrore del periodo. Leggere oggi queste storie può apparire anacronistico: svezzati da decenni di racconti e declinazioni del genere horror, l’elemento sorpresa è quasi sempre depotenziato e i disegni nella maggior parte dei casi affrettati e imprecisi. Mentre i testi di Lee si presentano solidi e scorrevoli, alternando toni cupi e neri con altri più scanzonati e divertenti, a conti fatti invecchiati meglio di come si potesse immaginare. Anche i disegni di Joe Maneely mantengono intatto il loro impatto grafico.

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Smith, un componente del duo comico “Sprinkle and Smith”, è molto seccato perché il suo nome viene sempre dopo quello del suo socio nell’intestazione. Chiede qundi più volte al suo partner di poter mettere il proprio nome per primo, ottenendo sempre un netto rifiuto. Esasperato, decide di uccidere il socio mentre è nel suo camerino e di dare fuoco a tutto quanto per farlo sembrare un incidente. Rimane però chiuso nel camerino, perdendo anche lui la vita.
Un destino beffardo fa sì che i due comici vengano sepolti nella stessa tomba dove campeggia la scritta: “Qui giacciono i resti di Sprinkle e Smith”.

“Nobody’s Fool” (Uncanny Tales n. 4, 1952)

Tra le “invenzioni” che Stan Lee ha introdotto nelle storie c’è probabilmente quella di avervi inserito dei personaggi che lavorano nel mondo del fumetto, in alcuni casi ha addirittura inserito se stesso.
I primi esempi risalgono agli anni quaranta, mentre nei cinquanta diventano sempre più numerosi. In Astonishing n. 4, del 1951, nella storia intitolata “The Nightmare” uno sceneggiatore di fumetti ricava le idee per le storie dai propri incubi.

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In Adventures into Terror n. 5 (1951) troviamo un vecchio redattore pubblicitario chiamato Lee Stanton. E in Mystery Tales n. 24 (1954) Stan Lee compare nei panni di se stesso mentre paga uno dei suoi sceneggiatori horror, ignaro che fosse segretamente un vampiro.
Non è da meno “Nobody’s Fool”, uscita su Uncanny Tales n. 4, dove un timido sceneggiatore si presenta nell’ufficio di un burbero editore proponendogli una storia di lupi mannari. Va da sé che le cose prenderanno una piega inconsueta.

“The Raving Maniac” (Suspense n. 29, 1953) 

In questo numero Stan Lee e Joe Maneely confezionano un attacco diretto al famigerato Dr. Wertham e alla sua crociata contro i fumetti.
Un uomo sovraeccitato e spettinato irrompe nell’ufficio di un editor di fumetti per accusarlo di aver stampato storie spaventose. L’editor gli mostra il giornale del giorno, pieno di titoli terrificanti, come “La nuova bomba H può distruggere la Terra” e gli dice: “Almeno i lettori sanno che le nostre storie non sono vere! Dopo averle lette possono dimenticarsele…”.

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“… Mentre possono essere spaventati a morte leggendo un quotidiano di oggi!”.
Inoltre, dice al tizio agitato che se non gli piacciono le storie horror può benissimo non leggerle. Un istante dopo, alcuni inservienti di un istituto psichiatrico vengono a portare via il “maniaco”.
La storia si conclude con l’editor che tornato a casa racconta a suo figlio una favola della buonanotte che inizia: “C’era una volta un ometto sovreccitato…”.
Il lavoro di Maneely è godibilissimo, il suo tratto al pennino è sempre molto pulito nonostante l’abbondanza di dettagli.

“John Doe” (Strange Tales n. 18, 1953)

Strange Tales fu uno dei primi albi pubblicati con l’etichetta Atlas nel giugno del 1951. Inizialmente è una pubblicazione antologica di racconti horror sulla falsariga della Ec Comics. Poi, nel 1954, ammorbidisce drasticamente i toni con l’istituzione del Comics Code, il nuovo ente autocensorio degli editori. Inizia a presentare soprattutto storie di mostri “radioattivi” dopo il ritorno di Jack Kirby alla Marvel e ha il suo momento di gloria quando ospita gli esordi del Dr. Strange e di Nick Fury agente dello Shield.

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In questo episodio un criminale tenta di rubare il robot di un inventore per rivenderlo, ma quando tenta di eliminare la figlia dell’inventore, il robot lo attacca e lo uccide. Il finale rivela che l’inventore stesso è un robot vivente.
L’episodio di sette pagine risulta più articolato della media di queste storie, dando modo a Joe Maneely di mettere in mostra la sua abilità nel rappresentare le emozioni dei personaggi tramite le espressioni facciali.

“The Lizard-Man” (Menace n. 8, 1953)

Nel 1953, Stan Lee cura e scrive le storie dei i primi otto numeri di una nuova serie horror chiamata Menace, che debutta con la data di copertina di marzo 1953. Per un po’ Menace fu la pubblicazione preferita da Lee, il quale si rivolgeva direttamente ai lettori all’inizio e alla fine di molte storie. Farà lo stesso in modo più sistematico negli anni sessanta alla Marvel. Per i disegni utilizza i suoi preferiti: Bill Everett, Russ Heath e naturalmente Joe Maneely.


In questa storia che ha come protagonista un uomo lucertola, colpisce una soluzione narrativa di grande impatto: le didascalie, abbondanti e fondamentali per dare un tono inquietante, sono tutte declinate alla seconda persona singolare. In pratica, il fumetto dà del “tu” al lettore, scaraventandolo dentro agli eventi e rendendolo direttamente protagonista, accompagnandolo verso l’orribile fine.

“My Name is Death” (Adventures into Terror n. 16, 1953)

Adventures into Terror è l’ennesimo albo della Atlas che cavalca il successo dei fumetti dell’orrore. Gli autori erano consapevoli di non stare realizzando pietre miliari del fumetto, ma semplici storie destinate all’intrattenimento. Tuttavia, il dover catturare l’attenzione del pubblico nel breve spazio di una manciata di pagine rende queste avventure ancora avvincenti e gradevoli a oltre settanta anni dalla loro pubblicazione.


Questa storia che narra le vicende legate all’invenzione della vergine di Norimberga, la famosa macchina di tortura. Si tratta di un un sarcofago con all’interno punte metalliche che avrebbero avuto la funzione di ferire il condannato postovi all’interno, teoricamente senza lederne gli organi vitali per prolungarne l’agonia fino alla morte.
Lee non sapeva che, in realtà, la vergine di Norimberga è un fake moderno: nel medioevo non esisteva.

“The Tough Guy” (Journey into Mystery n. 8, 1953)

Journey into Mystery, la storica rivista antologica della Atlas che diverrà famosa negli anni sessanta per l’esordio del mitico Thor, è nata nel 1952. Era uno dei cinque titoli horror lanciati nel giro di sei mesi che espansero la linea Atlas. Venne poi cancellata per un periodo di circa un anno, in seguito al fallimento del distributore.
Per “The Tough Guy“ Stan Lee prese ispirazione dalle pubblicità nei comic book dove apparivano noti culturisti.


Il protagonista è un culturista narciso che guarda tutti dall’alto in basso. Mentre è ricoverato in ospedale sente due medici parlare di un siero in grado di fortificare e indurire il corpo. Decide di impadronirsene e di provarlo su se stesso. Diventa ancora più forte, ma quando è vittima di un’infezione i medici non riescono a curarlo perché la sua pelle è diventata così dura da non poter essere penetrata da un ago ipodermico. 

“The Menace of Modred the Evil” (Black Knight n. 1, 1955)

Usando le leggendarie storie di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, Stan Lee e il suo disegnatore preferito Joe Maneely nel maggio 1955 co-crearono il Cavaliere Nero per la Atlas Comics. Il personaggio era un eroe in armatura che, come Zorro e la Primula Rossa, si nascondeva dietro un’identità segreta (il mite Sir Percy di Scandia, cugino di re Artù) in modo da poter contrastare meglio i nemici del regno.


Il Cavaliere Nero collabora con il mago Merlino per proteggere e difendere Re Artù dagli intrighi del malvagio Modred. Nonostante l’impegno di Lee e Maneely la serie durò solo cinque numeri. In questa prima storia, dove Maneely raggiunge uno dei suoi apici grafici, il malvagio Modred trama con i normanni per detronizzare Artù
In Italia, questi episodi piuttosto convenzionali sono stati pubblicati negli anni settanta dal’Editoriale Corno in appendice agli albi dei ben più moderni superoi Marvel.

“Origin of the Two-Gun Kid” (Two-Gun Kid n. 41, 1958)

Two-Gun Kid ha la particolarità di essere apparso nei fumetti per alcuni decenni: la serie consta di 136 numeri, usciti dal marzo 1948 all’aprile 1977.
Dagli anni settanta, con l’espediente dei viaggi nel tempo, Kid è poi apparso in diverse serie di supereroi moderni, tra cui Avengers, Champions, Daredevil e Falcon. Ha anche militato nei Vendicatori e ha collaborato con She-Hulk.
Puntare sul western nella seconda metà degli anni cinqunata fu quasi un passo obbligato da parte delle case editrici di fumetti, dopo la messa all’indice delle riviste horror.


Il fumetto western americano, a differenza di quello italiano e francese, vede spesso il protagonista coinvolto in combattimenti e duelli. Il tono delle avventure più che il western classico ricorda il genere supereroistico, dove tutto si basa sull’abilità del protagonista di superare sfide o uscire da situazioni improbabili. Forse anche per questo non ebbe molto successo quando venne pubblicato in Italia negli anni cinquanta.
L’intento principale degli autori è quello di sorprendere il lettore mettendo l’eroe in condizioni di inferiorità e mostrare come riesce a ribaltare la situazione. Lo stile di Joe Maneely risulta credibile quando disegna il West come con l’horror e le storie medievali, anche se appare un po’ antiquato e pesante.

Dopo l’Atlas avrebbe potuto avere un ruolo importante anche nella Marvel, come sosteneva Stan Lee? Possiamo riflettere su questa ipotesi guardando uno dei pochi disegni “supereroici” che ebbe modo di realizzare.






1 commento

  1. Non ho mai apprezzato particolarmente Joe Maneely. Inizialmente lo ritenevo antiquato, troppo anni 50, poi invece mi sembrava troppo underground. Oggi ne apprezzo la versatilità, l’indiscutibile efficacia scenica, ma sono certo che non sarebbe stato l’artista giusto per la Marvel degli anni 60.

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