IL CASO MURRI, REAZIONARI CONTRO PROGRESSISTI

Bologna, nella mattina del 2 settembre 1902 la polizia sfonda la porta dell’appartamento del conte Francesco Bonmartini in un palazzo in via Mazzini (oggi strada Maggiore). Da diversi giorni il conte sembra sparito, nessuno ne ha più notizia. E adesso gli agenti capiscono perché: qualcuno l’ha ucciso con tredici pugnalate. La sparizione di gioielli e di denaro farebbe pensare a una rapina.
Un omicidio che fa notizia, anche perché il conte era genero del professor Augusto Murri, uno dei medici più conosciuti del mondo. Uno scienziato dalla grande statura morale, punto di riferimento della cultura laica. Anche Bonmartini era medico e avrebbe voluto diventare assistente del grande suocero, ma quest’ultimo non lo stimava professionalmente e non era nemmeno soddisfatto per il trattamento dispotico che riservava alla figlia.

In meno di due settimane il caso viene risolto: il conte è stato ucciso dal cognato Tullio Murri, 29 anni. A rivelarlo è lo stesso professore in lacrime, dopo aver ricevuto la lettera-confessione che Tullio gli ha spedito dalla Svizzera, dove è scappato. «È successo al culmine di una lite durante la quale mio figlio rimproverava al cognato di maltrattare Linda, la sorella. Bonmartini ha estratto un pugnale, ma Tullio è riuscito a disarmarlo. Nel far questo, purtroppo, l’ha ucciso involontariamente».

L’avvocato Tullio Murri è un esponente di spicco del Partito socialista locale, nelle ultime elezioni amministrative aveva sconfitto il poeta Giosuè Carducci prendendo il doppio dei voti. Ma non è finita qui. Linda Murri, 31 anni, moglie da dieci anni della vittima e sorella di Tullio, viene arrestata il giorno dopo con l’accusa di essere la mandante dell’omicidio.

Avrebbe dato la chiave di casa alla guardarobiera Rosina Bonetti, per farla consegnare al fratello in modo che questi potesse introdursi nell’appartamento. Rosina non aveva saputo dirle di no perché ama Tullio. Quest’ultimo, avrebbe commesso il delitto per compiacere la sorella Linda, la quale era ancora innamorata del suo primo fidanzato, Carlo Secchi, un otorinolaringoiatra di venti anni più grande di lei.
Linda si vedeva di nascosto con Secchi in un piccolo appartamento preso in affitto nello stesso palazzo dove viveva con il marito. Tullio Murri, dopo aver vagato per mezza Europa, alla fine torna in Italia per essere arrestato insieme all’amico Pio Naldi, un medico rovinato dal gioco in perenne stato confusionale, che viene accusato di complicità nell’omicidio.
Gabriele D’Annunzio prende spunto da questo appassionate delitto per scrivere il romanzo “L’innocente”, portato sul grande schermo in maniera rielaborata negli anni settanta da Visconti. Nello stesso decennio, Bolognini girerà un film sull’episodio reale, con Catherine Deneuve e Giancarlo Giannini nella parte dei due fratelli, intitolandolo un po’ moralisticamente Fatti di gente per bene.
Nel primo Novecento l’attenzione si concentra soprattutto su Linda Murri. Era una donna non proprio bella, magra e malaticcia, ma anche raffinata e affascinante. Una intellettuale che legge i libri degli autori più impegnati, che conosce latino, greco, francese e inglese, in un’epoca in cui le donne dovranno aspettare decenni prima di ottenere il diritto di voto.
In realtà le cose sono più complesse. Linda ha avuto una madre priva di affetto, Giannina, che non l’ha mai fatta uscire di casa prima dei 17 anni, e soffre di depressione. La madre le aveva praticamente imposto di sposare quel conte che non amava e con il quale, ormai, stava insieme solo per non dover rinunciare ai due figli.
Di fatto erano separati da tempo, ma per salvare il matrimonio era intervenuto il cardinale di Bologna stilando personalmente un documento: “I coniugi abiteranno nello stesso appartamento, con un unico ingresso e due ali separate, l’una per il marito, l’altra per la moglie e i bimbi”.
Francesco, invece, era un personaggio d’altri tempi, un aristocratico legato ai terreni che la sua famiglia era riuscita a conservare nei secoli. Era anche un uomo rozzo, bigotto e reazionario che odiava le donne istruite e faceva della propria ignoranza un vanto. Neppure diplomato, aveva ottenuto la laurea in medicina con la corruzione.
Infine c’è Tullio, l’omicida, un personaggio romantico che, con quel gesto, forse voleva liberare la sorella dall’uomo che la tiranneggiava. È legato a Linda da un profondo affetto che alcuni definiscono morboso.
Sono due le circostanze che determinano l’enorme interesse per questo delitto. La prima è il recente fenomeno dei quotidiani a grande diffusione, che non presentano più solo gli scarni comunicati della questura, ma sguinzagliano i loro giornalisti a caccia degli “scoop”. L’altra è la presenza di una stampa clerical-reazionaria molto forte, che non vedeva l’ora di dare addosso a quella famiglia nota per il suo laicismo. Tanto per fare un esempio, il professor Murri si batteva per abolire l’ora di religione nelle scuole.
Finisce così che la stampa accusi Linda Murri di incesto, lesbismo, sadismo e pratiche orgiastiche a causa della sua educazione “libera da freni religiosi”. Linda, insomma, avrebbe ucciso il marito per dare sfogo alle sue pulsioni sessuali. Non si dice che, invece, la donna aveva ricevuto un’educazione strettamente religiosa, avendo studiato dalle suore. Su di lei aveva sempre deciso tutto la madre, Giannina, che diversamente dal marito era religiosissima.
La poetessa Ada Negri interviene in difesa di Linda, scrivendo la poesia “Per un’accusata”: “Tu cerchi, nel sogno, due teste di bimbi -i tuoi bimbi- lontani: non v’è sangue sulla tua veste, non v’è sangue sulle tue mani”. Il Corriere della Sera evidenzia come si stia ripetendo in Italia una sorta di “affare Dreyfus”, che aveva pochi anni prima infiammato la Francia. In quel paese gli ambienti più retrogradi avevano accusato di spionaggio e fatto condannare un ufficiale dell’esercito solo perché di fede ebraica, come se i veri patrioti potessero essere solo cattolici.
La campagna politica innestata sull’assassinio del conte Bonmartini, però, ha talmente successo che alle elezioni bolognesi del 1904 trionfano i reazionari e nessun socialista viene eletto. Il problema sta diventando di ordine pubblico, per questo si decide di celebrare il processo a Torino.
Sono presenti, oltre ai giornalisti di tutti i quotidiani italiani, anche i corrispondenti di sette giornali di Parigi e quelli delle altre capitali europee. Al termine di ogni seduta i giornalisti corrono al telefono per dettare i loro articoli. Il clima è così acceso che, all’esterno del tribunale, per evitare i tafferugli tra innocentisti e colpevolisti occorrono le cariche di cavalleria.
Durante il dibattimento vengono utilizzate le tecnologie più avanzate, compresa una rudimentale “macchina della verità” alla quale vengono sottoposti con esito incerto i fratelli Murri. A un certo punto, la tesi dell’omicidio involontario sembra venir smontata dalla scoperta che Tullio Murri e Carlo Secchi, l’amante della sorella, avevano sperimentato il curaro iniettandolo in un agnello. Per quale motivo, se non pensando all’avvelenamento del conte?
Quanto a Linda, risulta essere stata lei, senza alcun motivo reale, a far tornare improvvisamente il marito dalle vacanze per lasciarlo nelle mani del fratello.
La sentenza arriva l’11 agosto 1905. Tullio Murri e l’amico Pio Naldi vengono condannati a trent’anni per omicidio, Linda Murri e l’amante Carlo Secchi a dieci per complicità, la guardarobiera Rosina Bonetti a sette. Le prove, però, non sono saltate fuori. C’è solo la lettera di Tullio al padre, dove aveva scritto di avere ammazzato il conte, sì, ma solo per difendersi. E tutti gli altri accusati si erano dichiarati innocenti.
“La giustizia italiana continua a dare uno spettacolo di cui il paese non ha ragione di andare orgoglioso”, commenta amaro il Times. Secondo i sondaggi, nemmeno gli italiani sono d’accordo con la sentenza. Il re Vittorio Emanuele III accoglie le perplessità dei sudditi concedendo, a solo un anno dalla condanna, la grazia a Linda. I maligni dicono che l’abbia fatto perché il professor Murri aveva salvato la principessa Mafalda da una malattia considerata inguaribile.
Tullio otterrà la grazia solo nel 1919, insieme all’amico Naldi. Meno fortunati di loro, Carlo Secchi muore in prigione nel 1919 per una polmonite e Rosina Bonetti, impazzita a causa della vita carceraria, finisce reclusa in manicomio.
Il professor Augusto Murri, dopo che il pubblico ministero aveva cercato in tutti modi di coinvolgerlo nel delitto, riceve in forma ufficiale la solidarietà del mondo universitario, delle associazioni professionali e operaie, delle amministrazioni dei principali municipi. Il suo mito ne esce rafforzato e il tentativo di frenare il progresso dell’Italia, da parte delle forze politiche più retrive, fallisce miseramente.
Nel 1926, Linda sposa il precettore dei suoi figli, intanto è diventata giornalista e scrittrice, interessandosi soprattutto di “parapsicologia”. Muore nel 1957, ventisette anni dopo il fratello.
L’11 marzo 2003, a 100 anni e 6 mesi dall’uccisione del conte Francesco Bonmartini, l’anziana figlia di Tullio Murri, Gianna, rende pubblica una nuova verità. Ritorniamo a quel giorno. Tullio apprende che la sorella ha assoldato un sicario per eliminare il marito, dopo che questi aveva minacciato di toglierle i bambini e portarseli via, se suo padre non si fosse deciso a prenderlo come assistente.
Quando Tullio arriva nell’appartamento, il conte è già stato ucciso da un facchino chiamato La Bella, detto il Biondino. A questo punto, per evitare che Linda venga condannata e che al papà Augusto, legatissimo a lei, si spezzi il cuore, il fratello decide di assumersi la responsabilità invocando la legittima difesa.
Un’ipotesi suggestiva, quella di Gianna Murri. Già all’epoca si parlò di un certo “biondino”, che sparì subito dopo il delitto e che fu visto, per l’ultima volta, insieme a Tullio durante la sua fuga all’estero. Chissà.
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