I 10 MIGLIORI DISEGNATORI MARVEL ANNI ’80

I 10 MIGLIORI DISEGNATORI MARVEL ANNI ’80

Siamo alla terza classifica dei disegnatori e come era previsto sono arrivate le polemiche (le due classifiche sugli anni sessanta e settanta sono qui e qui ). Non staremo a prendere in considerazione le critiche basate sui gusti personali, quelli sono indiscutibili e non ha molto senso parlarne. Piuttosto ci saremmo aspettati obiezioni più motivate, considerazioni articolate che spiegassero i motivi per cui un disegnatore avrebbe dovuto stare più in alto in classifica e un altro più in basso. Non sono pervenute, ma confidiamo nel futuro.

Due parole infine sull’impostazione basata sui decenni. È ovvio che si tratti di una forzatura, necessaria però a dare un impianto al lavoro di compilazione. Se è vero che la maggior parte dei disegnatori elencati ha lavorato in più decenni è anche vero che è sempre possibile individuare il decennio dove hanno dato il meglio di sé.

Per esempio, il John Byrne di Iron Fist è già un disegnatore notevole, ma non è paragonabile al John Byrne degli anni ottanta. Quindi Byrne lo troverete qui, nella classifica che riguarda quel decennio. Se questi elenchi dei disegnatori che sono riusciti a scaldarci il cuore riusciranno a stimolare discussioni positive avranno senz’altro raggiunto il loro scopo.

Decima posizione: MIKE ZECK

Mike Zeck lavorava per la piccola casa editrice Charlton prima di iniziare la sua run su Shang Chi, Master of Kung Fu. Il suo lavoro alla Marvel è rimasto legato al personaggio di The Punisher, anche se molti considerano il suo capolavoro “L’ultima caccia di Kraven”, con l’Uomo Ragno.
Mike Zeck è molto scrupoloso e finisce per impiegare più tempo del disegnatore medio per produrre le sue tavole. Per questo è stato impiegato soprattutto come illustratore delle copertine.

Il suo lavoro è noto per la tendenza di mettere in posa i personaggi in modo da drammatizzare la storia. Jim Thompson, storico e studioso di fumetti, definisce questa qualità “operistica”: “I personaggi fanno un sacco di smorfie, recitano, si esibiscono, le loro azioni sono esplicite”.

I 10 MIGLIORI DISEGNATORI MARVEL ANNI OTTANTA


Le composizioni di Mike Zeck tendono a essere orientate all’azione. A volte utilizza una linea più spessa, che compensa con dettagli strazianti e meravigliosi. Sa utilizzare in modo magistrale l’illuminazione per mettere in risalto i muscoli dei suoi eroi. Ha una reale comprensione del disegno al tratto necessario per muovere i capelli, e sa come rendere i muscoli sul viso di un soggetto per ottenere l’espressione desiderata.
La sua resa delle figure è potente e audace, influenzata dal classico stile Marvel basato sulle deformazioni prospettiche inventate da Jack Kirby.

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Mike Zeck sembra sempre catturare i propri personaggi in punti di estrema tensione con muscoli facciali tesi e posture contratte.

Dal punto di vista narrativo “L’ultima caccia di Kraven” è un racconto interamente costruito sulle sequenze. È composto da una serie di gruppi di vignette che si succedono le une alle altre, a volte intersecandosi e altre sovrapponendosi, in una specie di fuoco d’artificio lungo 132 pagine.
Mike Zeck fa sfoggio di bravura ricorrendo a una impaginazione dei gruppi di vignette sempre diversa, ci sono sequenze di vignette lunghe, corte, verticali, orizzontali, crescenti e decrescenti in un gioco di specchi e rimandi che affascina e cattura. 

Nona posizione: GENE DAY

Gene Day è uno di quei disegnatori che oggi pochi ricordano, soprattutto perché è morto molto giovane e prima dell’avvento di internet. Questo è un peccato, perché la qualità del suo lavoro era eccezionale.

Nato in Canada nel 1951, Gene Day è morto alla fine del 1982 per un attacco di cuore nel sonno all’età di 31 anni. Proveniente dal fumetto underground, inizia alla Marvel inchiostrando le matite di Mike Zeck su Master Of Kung Fu, per poi diventare il disegnatore della serie quando Zeck lascia.

Gene Day, però, era molto più veloce come inchiostratore che come matitista: quando divenne il disegnatore ufficiale di Master of Kung Fu dovette lavorare ancora più duramente per guadagnare gli stessi soldi.

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Emulo di Jim Steranko e di Paul Gulacy, infrangeva sistematicamente le regole imposte da Jim Shooter, il direttore generale dell’epoca. Shooter era un fanatico della griglia di sei vignette uguali per pagina, mentre Day se ne usciva ogni volta con splendide pagine o doppie pagine suddivise in un numero variabile di vignette disposte in modo sempre diverso.

A volte prevalevano le vignette orizzontali, a volte quelle verticali e a volte una combinazione delle due. Figurativamente i suoi disegni lasciavano a bocca aperta. Statue barocche sotto una pioggia incessante, spettacolari interni decorativi, sontuosi dettagli ogni dove ci fanno capire che l’autore sta disegnando qualcosa con l’ambizione di farla durare nel tempo.

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Ogni piega dei vestiti è perfetta, ogni particolare è al posto giusto, le scene di combattimento sembrano coreografie di danza. Gene Day ha sempre ammesso il suo debito con Steranko: “La bellezza dei suoi disegni mi ha portato a mettere molte ombre e soluzioni grafiche simili a quelle utilizzate in pubblicità”.

Riguardo al suo modo di narrare per immagini, specifica: “Penso che ogni disegnatore di fumetti avrebbe voluto essere un regista”. In effetti le sue sequenze sembrano film, vignette che si succedono come una serie di fotogrammi in modo da formare un insieme dotato di un’armonia che ha del soprannaturale. 

Ottava posizione: MICHAEL GOLDEN 

Sulle pagine della rivista antologica in bianco e nero Marvel Savage Tales, Doug Murray (testi) e Michael Golden (disegni), diretti dalla supervisione di Larry Hama, pubblicarono alcune storie brevi a sfondo bellico intitolate Fifth to the 1st.

La buona accoglienza riservata dai lettori a questa serie convinse Larry Hama a proporre a Jim Shooter un progetto ben più ambizioso: tentare il rilancio del genere bellico pubblicando una serie regolare mensile. Shooter fu subito entusiasta dell’idea, che approvò senza esitazioni a patto che la serie fosse la “più realistica possibile”.

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Doug Murray, un reduce della guerra del Vietnam, dal 1986 scrisse così storie molto realistiche per la nuova serie The ‘Nam, che Michael Golden rese al meglio con un disegno ricco di dettagli. Golden disegnò i primi dodici numeri della serie, ancora oggi considerati oggetto di culto da schiere di fan.

Il disegno di Golden, come quello di tanti grandi disegnatori, si presenta come un riuscito mix di realismo e sintesi cartoonesca, prestandosi alla rappresentazione delle svariate situazioni e stati d’animo. Quello che risalta subito dalle pagine di questi albi ambientati in Vietnam è il grande amore per il dettaglio e la cura quasi ossessiva messa nella realizzazione di ogni singola vignetta.

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Molte scene sono costituite da campi lunghi con paesaggi pieni di uomini, veicoli, fiumi, alberi e abitazioni: ogni cosa è riconoscibile e raffigurata con abbondanza di particolari. Tutto ciò fa si che anche l’impostazione visiva del racconto trasmetta al lettore lo stesso maniacale realismo presente nelle storie.

Le scene di battaglia sono quanto di più spettacolare si fosse visto in un fumetto di guerra sino ad allora. I protagonisti assoluti di queste scene sono naturalmente gli elicotteri “Huey” della Bell, disegnati con una potenza raffigurativa che rivela una attenta visione del film Apocalypse Now.

Settima posizione: ALAN DAVIS

Nel 1985 Alan Davis ebbe la sua grande occasione e si trasferì dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti con il compito di disegnare Batman per la Dc Comics. Nel 1986 passò alla Marvel su richiesta dello sceneggiatore Chris Claremont, pure lui di origine inglese, che lo voleva su Uncanny X-Men.
Assieme a Claremont, realizza quello che molti considerano il suo capolavoro: la serie dedicata al supergruppo Excalibur, propagandato come “gli X-Men europei”.

Molti considerano Alan Davis uno dei disegnatori più talentuosi che abbiano lavorato alla Marvel. Merita elogi per le sue figure aggraziate e per la sua narrazione impeccabile. Nei suoi disegni si possono cogliere le influenze di Neal Adams nella raffigurazione dei corpi e di John Byrne in quella dei volti.

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Alla fine, però, Alan Davis riesce a mettere in mostra uno stile meraviglioso che è tutto suo. La sua ispirazione non viene soltanto dai supereroi della Silver Age, ma anche da tutti i fumetti britannici che ha letto crescendo.

Alan Davis è un maestro che combina una vasta conoscenza dell’anatomia con eccellenti capacità di composizione e, soprattutto, è dotato di una tecnica narrativa enorme. Davis ha lo stesso talento nel disegnare le scene piccole, silenziose ed emozionanti, e le scene d’azione gigantesche e frenetiche.

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Il suo lavoro su Excalibur è veramente degno di nota. Nessun altro era riuscito in modo così naturale a catturare le fantastiche abilità acrobatiche di Nightcrawler, facendolo sembrare veramente un demone. Il suo Captain Britain è grosso, forte e un po’ ottuso. Le donne hanno tutte le proprie peculiarità: Kitty è giovane e piena di spirito, Rachel è sexy e dura e Meggan è formosa e curiosa.

Alan Davis è perfettamente in grado di utilizzare diversi tipi di corporatura e diverse espressioni facciali per rendere unico ogni personaggio che disegna dando un’idea delle loro intenzioni, abilità o poteri.



Sesta posizione: JOHN ROMITA JR.

Figlio d’arte, John Romita Jr. inizia a farsi notare alla fine degli anni settanta sulle pagine di Iron Man, dove disegna la famosa run di “Demon in a Bottle”, sulla lotta di Tony Stark contro l’alcolismo. Negli anni ottanta lo troviamo su tre dei titoli più venduti della Marvel di allora: Amazing Spider-Man, Uncanny X-Men e Daredevil.

Su queste tre serie John Romita Jr. mette in mostra tre stili di disegno diversi, o meglio tre evoluzioni dello stesso stile. Ancora legato allo stile del padre su Amazing Spider-Man, più sintetico e spigoloso su Uncanny X-men, moderno, personale e geometrico su Daredevil.

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La maggior parte dei fumettisti trova presto il proprio stile e lo segue continuando ad apportarvi piccole o grandi modifiche nel corso degli anni. Il percorso di John Romita Jr. è stato differente. All’inizio non ha uno stile personale, il talento si intravede ma è ancora in parte inespresso. Eppure molti fan lo preferiscono in questa fase e criticano la sua evoluzione successiva, per aver introdotto uno stile troppo cartoonesco e “strano”.

Non c’è dubbio che il lavoro di John Romita Jr. sia diventato più stilizzato nel corso degli anni, ma è anche vero che è costantemente migliorato e il suo approccio spigoloso all’anatomia lo ha reso immediatamente riconoscibile. A questa evoluzione ha in parte contribuito il lavoro alle chine di un grande del fumetto come Al Williamson.

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A differenza dei precedenti inchiostratori di Romita Jr. che usavano il pennello, Al Williamson usa il pennino. Il suo lavoro alle chine trasforma le matite di Romita Jr. da tipici disegni Marvel classici e puliti in qualcosa di distintivo e grintoso. Williamson fa un ampio utilizzo del tratteggio incrociato, appiattisce le vignette e fa sembrare tutto più oscuro e più ambiguo, per riflettere l’ambiguità morale delle storie di Devil in quel momento.

Questo approccio all’inchiostrazione ha reso sì le figure più squadrate, ma anche più vive e personali. Lo stesso Romita Jr. ammette di essere maturato in modo significativo in quel periodo. Probabilmente non è un caso che sia stato proprio un inchiostratore spigoloso come Williamson ad aiutarlo a liberarsi dai limiti del look Marvel.

Quinta posizione: WALT SIMONSON

Walter Simonson da giovane voleva diventare un paleontologo per studiare i dinosauri, furono i fumetti Marvel di Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko letti durante gli anni sessanta a cambiargli la vita, facendolo diventare un disegnatore di fumetti.

Walter Simonson fu il terzo asso nella manica con cui Jim Shooter rilanciò la Marvel dopo la crisi degli anni settanta. Dopo che John Byrne rilanciò gli X-Men e Frank Miller fece altrettanto con Devil, Simonson rilanciò Thor realizzando uno degli archi narrativi più grandiosi degli anni ottanta. Da profondo conoscitore del Thor di Lee e Kirby, Simonson mise i suoi disegni al servizio dell’epica norrena e di quella dimensione mitica che avevano decretato le fortune del Dio del tuono.

I 10 MIGLIORI DISEGNATORI MARVEL ANNI OTTANTA

I migliori episodi di Thor di Kirby sembrano tratti dalla tetralogia wagneriana dell’Anello dei Nibelunghi. Simonson, più di qualsiasi disegnatore di Thor (tranne ovviamente Kirby), comprende il valore della messa in scena, e nei suoi momenti migliori è in grado di fondere questo spettacolo con un’eccellente narrazione, in modo che le emozioni che provano i personaggi non siano solo di facciata, ma diventino parte integrante del tutto.

Alla fine del suo primo numero di Thor (il 337 del novembre 1983) ci regala una splash page da brividi, dove il dottor Donald Blake, privato del suo potere, in piedi sotto una pioggia battente, urla al cielo dopo che Odino per errore ha richiamato su Asgard Beta Ray Bill, l’alieno che si era impadronito di Mjollnir, il martello di Thor.

I 10 MIGLIORI DISEGNATORI MARVEL ANNI OTTANTA

C’è una disperazione così intensa in Donald Blake, così reale, così umana, che arriva ad agitare i nostri cuori.
Con il suo disegno fortemente stilizzato e profondamente moderno Simonson riesce a immergerci nelle magnificenti atmosfere asgardiane così come nelle fragilità della condizione umana. Riesce in ultima analisi a farci provare delle emozioni. Cosa chiedere di più a un fumetto?

Quarta posizione: BILL SIENKIEWICZ

Immaginate Claude Monet, Ralph Steadman, Tex Avery e Lyonel Feininger, artisti diversissimi tra loro, che si fondono in un’unica entità… in un’opera di pura brillantezza firmata Bill Sienkiewicz.

Il fumetto è Moon Knight numero 23. Una copertina, nuda, in bianco e nero, il tratto nitido, con schizzi di inchiostro, alla maniera del nostro Dino Battaglia. Il personaggio è una figura incappucciata circondata dall’oscurità che si staglia sullo sfondo di una grintosa skyline urbana. È una delle prime prove di maturità di un disegnatore unico per senso del colore, comprensione e uso della forma, e capacità di combinare elementi disparati in un insieme coeso.


Nel lavoro di Bill Sienkiewicz si può trovare l’espressione di emozioni come amore, paura, isolamento e rabbia attraverso l’uso del colore. Nella copertina del numero 22 di New Mutants, per esempio, il protagonista è reso in stile cartoonesco, con toni caldi, mentre il cattivo è raffigurato con uno stile e una gamma cromatica diversa.

Al cuore della sua arte, però, c’è una profonda comprensione della forma che diventa la base per la creazione delle immagini. Bill Sienkiewicz inizia con le sagome, quindi usa il colore per spiegare, separare e talvolta fondere le forme in un insieme coerente ed evocativo.


Attraverso la deformazione tira, allunga e gonfia personaggi e altri elementi pittorici per esprimere drammaticità, umorismo, carattere ed emozione. Il suo lavoro può spesso apparire dicotomico nel senso che sembra attraversato da forze opposte. Un’immagine, o una serie di immagini, può essere allo stesso tempo terrificante e divertente, armoniosa e caotica.

In Elektra Assassin, c’è una vignetta in cui Elektra sta viaggiando su una jeep attraverso una foresta tropicale. Nella parte posteriore del veicolo c’è un leone. C’è un’assurdità totale in questa immagine che ricorda i vecchi film di Tarzan, ma che allo stesso tempo crea qualcosa di nuovo. Tanto di cappello, Bill.

Terza posizione: DAVID MAZZUCCHELLI

La parabola di David Mazzucchelli alla Marvel è piuttosto breve. Si svolge nell’arco di soli cinque anni, tra il 1983 e il 1988, durante i quali realizza 31 albi. Come mai lo troviamo tra i primi tre, allora? La risposta è piuttosto ovvia. Perché insieme a Frank Miller ha realizzato quello che è unanimemente considerato uno dei migliori archi narrativi della Marvel di tutti i tempi: la saga di “Born again” su Devil.

Qualcuno penserà che sia stata questa storia iconica e pressoché perfetta di Frank Miller a proiettare il disegnatore di Providence sul podio aldilà dei suoi meriti personali. No, “Born again” ha raggiunto negli anni il suo status di oggetto di culto proprio perché i disegni sono dello stesso livello della storia: unici e meravigliosi.


Il n. 227 del febbraio 1986 di Daredevil inizia con una sequenza da brividi: una irriconoscibile Karen Page fuma nell’ombra, illuminata soltanto dalle strisce di luce che filtrano dalle veneziane. Mazzucchelli utilizza la tempera bianca per realizzare delle striscie di luce irregolari, dai bordi smangiati che aggiungono atmosfera al racconto. A pagina 4, dove compare il titolo dell’albo, abbiamo la prima di una serie di magistrali inquadrature dall’alto che diventeranno il leit motiv dello storytelling di questa saga.

Un’altra caratteristica dello storytelling di Mazzucchelli sono le sequenze. Nel n. 228 ne abbiamo uno splendido esempio nelle quattro pagine dove Matt Murdock affronta Kingpin. Matt è disperato, frustrato, fortemente provato nel fisico e nella mente. Kingpin è sicuro di sé, arrogante, altezzoso, sorridente. In queste condizioni l’antagonista ha vinto la battaglia ancora prima che sia cominciata. Murdock, infatti, verrà massacrato di botte e gettato nel fiume Hudson.


David Mazzucchelli fa un utilizzo innovativo e quasi impressionistico della sequenza. Quello che tiene assieme le singole vignette spesso non è immediatamente percepibile e gli accostamenti possono apparire a prima vista del tutto gratuiti o incongruenti, ma guardando meglio ci si accorge della loro assoluta coerenza e logicità. 

Nel n. 229 compare la prima di una lunga serie di splash page che in quest’opera incredibile sono utilizzate a scopi narrativi nei momenti culminanti del racconto quando è necessario fermarsi per riprendere fiato. Questa si ispira alla pietà di Michelangelo. 

Seconda posizione: JOHN BYRNE

La seconda posizione di John Byrne in questa classifica è una dimostrazione del fatto che chi scrive ha cercato nel compilarla mettendo davanti i dati oggettivi ai propri gusti personali. Il lavoro del disegnatore inglese non mi ha mai entusiasmato, ma è innegabile che Byrne sia stato uno dei dominatori del fumetto anni ottanta, non solo alla Marvel ma anche alla Dc Comics. Cerchiamo di capire perché.

Quella che non manca a John Byrne è una visione individuale. Si contano sulle dita di una mano i disegnatori che hanno dato una nuova vitalità a serie ormai bollite, se non addirittura moribonde. Frank Miller l’ha fatto in Devil, Walt Simonson l’ha fatto in Thor, John Byrne l’ha fatto su più di un titolo.


Nel corso della sua carriera, John Byrne ha infranto più volte gli schemi, scegliendo di dare libero sfogo ai suoi impulsi artistici piuttosto che seguire orme già tracciate. Quando Byrne ha iniziato a lavorare su Uncanny X-Men, questo era un titolo che stava ancora lottando per distinguersi dalla massa. I nuovi X-Men potevano vantare alcuni dei personaggi più intriganti e riusciti dei fumetti: tutto ciò di cui la serie aveva bisogno era una spinta nella giusta direzione.

Con il numero 108, il primo disegnato da John Byrne, gli X-Men ebbero quella spinta. Il suo segno modernissimo, inizialmente ispirato a Neal Adams ma diventato ormai unico e personale su Iron Fist, fece diventare gli X-Men il supergruppo degli anni ottanta proiettandoli ai vertici dell’universo Marvel.

E che dire dei Fantastici Quattro. Il fantastico quartetto che aveva dato origine a tutto, reinventando il fumetto supereroistico all’inizio degli anni ottanta era ormai intrappolato in un limbo fatto di assurde banalità e creatività sotto lo zero. Nel luglio 1981 apparve il numero 232 dei Fantastici Quattro, intitolato (abbastanza appropriatamente) “Ritorno alle origini”. Da allora, la serie potè di nuovo fregiarsi del sottotitolo originario “Il più grande fumetto del mondo”.

Infine due parole su Alpha Flight: si tratta del terzo supergruppo su cui ha lavorato il nostro dimostrando che orchestrare le dinamiche di molte persone all’interno di un unico insieme armonico sia il suo forte. La diversità delle caratterizzazioni e i loro insoliti rapporti reciproci ci mostrano un autore che ama i suoi personaggi almeno quanto noi li amiamo.

Prima posizione: FRANK MILLER

L’allampanato Frank Miller, come lo definisce Jim Shooter sul n. 158 di Daredevil (maggio 1979), viene subito presentato sin dal suo esordio come un grande disegnatore. Il suo stile a prima vista sembra essere ispirato a quello di Neal Adams, gettonatissimo ai tempi, ma in realtà c’è già qualcosa di diverso.

Frank Miller ha un modo di raccontare più moderno, basato su sequenze che si succedono le une alle altre senza apparente soluzione di continuità. Inoltre, forse anche per sveltire il suo lavoro, ma con un impatto grafico straordinario, costruisce intere pagine formate da silhouette nere che costruiscono elaborati arabeschi.

Le evoluzioni di Devil sono altrettanto dinamiche di quelle di Gene Colan, ma hanno una resa pittorica superiore perché sono meno fini a se stesse e più integrate nel ritmo generale della pagina. Dopo qualche numero di assestamento, la serie spicca il volo con l’arrivo di Elektra sul n. 168.


Il modello principale era una vecchia femme fatale dello Spirit di Will Eisner, la spia internazionale Sand Saref, ma la recente fascinazione di Miller per le arti marziali giapponesi arricchiva il tutto di sviluppi nuovi e visivamente interessanti.
Frank Miller iniziò a riempire le sue tavole di treni sopraelevati, acquedotti, grattacieli di vetro e bar malfamati stipati all’interno di piccoli, claustrofobici rettangoli.


Le pagine di Devil diventano sempre più complesse, la loro stessa struttura, costituita da un numero quasi sempre elevato di vignette disposte nei modi più bizzarri, inizia a contribuire all’effetto grafico finale, come in seguito risulterà evidente con il suo Batman anziano in “Dark Knight Returns”.

Con il n. 175 Devil cominciano a comparire le pose iconiche, immagini uniche mai viste prima, tipiche degli artisti di valore assoluto. Ma è con il n. 181, “Last Hand”, che Frank Miller raggiunge uno dei suoi vertici assoluti. La splash page iniziale ci mostra un Devil colpito a morte. Disegno e storia si integrano alla perfezione in un epico racconto che ha i toni della tragedia greca.

I due momenti cruciali, la lotta tra Bullseye ed Elektra e poi quella tra Devil e Bullseye, sono resi attraverso una serie interminabile di sequenze mute che rimarranno nella storia. Ogni vignetta gronda di emozione e di ineluttabilità, fino agli sguardi fissi e rassegnati del finale sospeso.





10 commenti

  1. E Bob Layton, il creatore grafico del moderno Iron Man?

  2. Queste classifiche ovviamente risentono molto del gust personale di chi le fa e di chi le critica come ha giustamente osservato il redattore
    Che John Byrne non abbia dato il meglio su Iron Fist puo’ essere vero ed obiettivo , ma direi che invece su X Men il suo meglio lo ha dato eccome ed erano anni 70 prima che 80 ! Cosi’ come alcuni ottimi episodi di Avengers e Fantastic Four e Marvel Team up. Ma Byrne sta benissimo negli 80 senza dubbio
    Anche che il Miller anni 80 come disegnatore venga prima di Byrne, Romita Junior e forse anche di Alan Davis è discutibile ma anche qui i gusti personali potrebbero farmi muovere critiche non oggettive . Che Barry Smith negli anni 70 facesse meglio di Perez e Byrne è ancor piu’ discutibile, ma anche qui sono gusti, ma ……
    c’è una cosa che mi colpisce ; sembra essere stato sempre trascurato un fattore importantissimo e cioè la piu’ o meno massiccia produzione regolare degli artisti. Chi piu’ lavorava su base mensile e assicurava il futuro della casa editrice troppo spesso è stato sottovalutato per premiare altri artisti che hanno lavorato in marvel con il contagocce (e qualcuno non solo in marvel). Ecco questa è stata una caratteristica comune di queste classifiche. Anche aver portato al successo alcuni personaggi o averli rilanciati o mantenuti in alto per anni e anni ha contato poco e si sono preferiti autori di cicli brevi o brevissimi talvolta anche di successo trascurabile (non sempre ma spesso)
    Ma ora ripeto sotto la critica molto motivata e dettagliata e direi quasi anche oggettiva che avevo mosso alla classifica anni 60 :
    come tanti altri hanno detto, e come lo stesso redattore già ben sapeva, l’errore piu’ grosso di queste classifiche sono le posizioni quasi invertite di Romita e Wood (e a Wood sarebbe già andata di lusso)
    John Romita, disegnatore simbolo della miglior marvel in nona posizione non puo’ assolutamente essere condivisibile.
    Anche la motivazione del redattore che ha tentato di giustificare la sua scelta e cioe’ i pochi personaggi creati è alquanto discutibile dato che sono creazioni grafiche di John alcuni tra i personaggi di maggior successo della Marvel come Wolverine, il Punitore , Luke Cage, nonchè i villain piu’ epici di Devil portati all’attenzione del grande pubblico dalla TV come Kingpin, Bullseye e il Gladiatore, poi ci sono anche Nova, Daimon Hellstrom, Satan, Tigra etc. etc.
    Curioso poi come questo comunque discutibile criterio sia invece stato ignorato per altri disegnatori che in marvel non hanno inventato nulla come Wally Wood ! Ah no lui ha creato il Matador e il duca di Liechtembad…
    Unica controreplica che mi si potrebbe fare a questa considerazione è che la maggior parte dei succitati personaggi sono anni 70 e non 60 come le bellissime strisce per quotidiani anch’esse dei 70 e spesso molto piu’ “adulte” dei comic book di quel periodo. Ma rispetto a Wood è comunque tutto oro che cola dato che lui non ha creato nessun personaggio degno di nota in marvel ne negli anni 60 ne negli anni 70 !

  3. Il Punisher di Romita batte qualsiasi disegno di Miller

  4. Chi ha seguito gli artisti Marvel anni 60, questi sono solo squallide caricature. Tutti messi insieme non valgono una tavola di Kirby o di Kane o Buscema o Colan o ….. di altre decine di artisti. Bisogna essere onesti: Dopo gli anni settanta la nobiltà dei vecchi fumetti ė tramontata! Un po’ come voler comparare quelle pippe dei Maneskin con i Led Zeppelin o con i Pink Floyd.

  5. Tutte le critiche sono bene accette. Se ho ben capito le cose più indigeribili sono state la troppo bassa posizione di Romita e la troppo alta di Wood. Il disegno di Romita è senz’altro molto piacione ma poi? Come se la cava con lo storytelling? L’impostazione della pagina? Campi e controcampi? Sequenze di vignette? Molte pagine le risolveva con una sequenza di facce tutte della stessa grandezza. La sua New York è schematica e impersonale, manca completamente di atmosfera. Il suo Kingpin è ridicolo in confronto a quello di Miller. Eppure lo ho amato anche io come tutti. Soprattutto per Gwen e MJ. Quanto a Wood è quasi impossibile sopravvalutarlo. Come disegnatore poteva superare chiunque. L’unica cosa che NON ha fatto è stato rivoluzionare il disegno a fumetti. Questo è l’unico motivo perché ha davanti Jack Kirby e Neal Adams.

    • Mi fa piacere che le critiche siano state ben accette; le mie precedenti obiezioni erano difficilmente contestabili perchè basate su fatti oggettivi, e vedo che ha preferito modificare in parte le critiche mosse a jazzy Johnny che sono ora molto piu’ soggettive e basati sul gusto personale;
      anche la mia controreplica per quanto argomentata sarà inevitabilmente di questo tenore e quindi in buona parte soggettiva.
      Lei chiede come era lo storytelling di Romita ?
      Era eccellente e sicuramente ben piu’ efficace di quello di Wood in marvel (di questo si parlava)
      Era uno storytelling del tutto derivato da Kirby e Caniff, ma piu’ “riflessivo” ed adattato perfettamente all’action romance di Spider-man che tanto apprezzavano i lettori di tutto il mondo oltre a Stan Lee e a Gerry Conway che ha imparato l’arte di narrare in stile marvel proprio da Romita come da lui dichiarato.
      Per il resto direi che non a caso il suo stile per il personaggio piu’ importante della casa editrice è rimasto quello di riferimento per 20 anni fino all’avvento di Todd McFarlane
      Riguardo Kingpin noto con stupore che in genere qui si loda il creatore del personaggio e non chi lo ha migliorato, mentre stavolta avviene il contrario…
      io sarei piu’ che d’accordo !! Ma allora lo stesso metro di giudizio dovrebbe valere sempre e per tutti.
      A cominciare dall’evoluzione di altri personaggi, magari di Norman Osborn/Goblin per dirne uno in “spectacular spider-man 2” magari, un albo in cui ambientazioni e tavole non sono certo schematiche o impersonali, anzi, e l’atmosfera di tensione è palpabile e resa alla perfezione come Sam Raimi ben sa.
      Su Wood non mi cita fatti ma opinioni personali; piu’ che legittimo ed anche ovvio direi dato che lo scarno lavoro svolto per marvel da Wally non ha lasciato il segno in nessuno dei campi succitati (creazione di personaggi, storytelling, ambientazioni)
      Personalmente avrei fatto davvero fatica ad inserirlo nei primi 10 (in marvel) per una sola storia degna di nota e comunque anch’essa criticabile sotto diversi aspetti

  6. A parte l’inclusione dello sfortunato Gene Day – di cui non ho mai letto nulla e che quindi non conosco affatto – sono abbastanza d’accordo con la classifica stilata dall’autore dell’articolo. Qualcuno nei commenti ha notato – più che giustamente – l’assenza di Bob Layton (che su Iron Man fece davvero un buon lavoro). Io avrei incluso quindi sia lui che Paul Smith, che a sua volta fece bene sia su Uncanny X-Men, che su Doctor Strange.

  7. Sono curioso di vedere quella dei ’90.

  8. Questa anni 80 è finora la classifica con cui sono meno in disaccordo. Mi pare solo che Romita junior sia stato parecchio sottovalutato nel miglior periodo della sua variopinta carriera proprio come in precedenza era stato ENORMEMENTE sottovalutato il suo ben piu’ mitico e favoloso papà !
    Che ci sia del malcelato astio dell’autore degli articoli verso la famiglia Romita ?
    Eppure sono stati per decenni le vere colonne portanti della marvel assieme ai fratelli Buscema e a Sinnott, nonchè la storia con la S maiuscola della casa delle idee !
    A parte le battute il podio lo meritava anche Junior con Byrne e Miller. Invece a mio parere è corretto l’inserimento del poco noto ma bravo Gene Day.

  9. Non capisco perché non è stato inserito affatto Mark Bagley ,secondo me meritava di stare tra i primi tre in classifica …mah…

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