DAMIEN ECHOLS, L’INNOCENTE SALVATO DA JOHNNY DEPP

DAMIEN ECHOLS

Siamo nel 1999, Johnny Depp è uno dei più famosi attori americani del momento, soprattutto per aver interpretato Jack Sparrow nel ciclo Pirati dei Caraibi. Da tempo l’attore di Hollywood si interessa al caso di Damien Echols, l’uomo su cui pende una condanna a morte perché accusato di aver ucciso tre bambini insieme a due suoi amici. Depp, come altri americani, non crede nella sua colpevolezza e decide di andare a trovarlo nel penitenziario.

Damien racconta all’attore la sua vita in carcere, di quando è stato pestato a sangue dalle guardie per futili motivi e di quando l’hanno rinchiuso in cella di isolamento, dove la luce è accesa per 24 ore al giorno. Gli spiega che i condannati nelle celle vicine sono tutti impazziti, nella snervante attesa della pena capitale.

Queste esperienze drammatiche lo hanno segnato profondamente, tanto da fargli abbracciare il buddismo zen, una dottrina religiosa contemplativa. “Qui dentro è l’unica terapia di cui dispongo per non impazzire anch’io”, dice Damien con un sospiro.

Per dimostrargli la sua solidarietà, Johnny Depp si fa tatuare gli stessi simboli mistici disegnati sulla pelle di Damien e partecipa ad alcune manifestazioni duranti le quali legge alcuni testi scritti dalll’amico incarcerato. Da quando è in prigione, Damien Echols scrive ogni giorno i suoi pensieri su un diario privo di date, perché non vuole rendersi conto dei troppi anni che trascorre prigioniero di quelle mura.

Però una data di inizio questa storia ce l’ha: il 15 maggio 1993. Alle ore 20 di quel giorno la preoccupazione di John Byers è alle stelle. Suo figlio Chris non è tornato a casa, dopo essere uscito per andare a scuola. Chris è un bambino ingenuo, che crede ancora nell’esistenza del coniglietto pasquale e di Babbo Natale: potrebbe essergli capitato di tutto.

All’appello mancano pure i due suoi amici più cari: Stevie Branch e Michael Moore. Siccome i tre hanno solo otto anni, la polizia trova l’inquietudine di papà John più che fondata e organizza subito le ricerche in tutta la zona. Nel pomeriggio del giorno seguente, i corpi senza vita dei piccoli vengono trovati in un torrente fangoso sulle colline vicine, chiamate romanticamente Robin Hood Hills.

I bambini, nudi e con i polsi legati dietro la schiena, sono stati picchiati selvaggiamente: uno è morto per le ferite, gli altri due per annegamento. Chris Byers è quello che presenta le maggiori mutilazioni, effettuate con un’arma da taglio.

Tutto questo accade a West Memphis, una cittadina dell’Arkansas di ventimila abitanti che il grande fiume Mississippi divide da Memphis, la metropoli del Tennessee. I pochi poliziotti del posto non sono abituati agli omicidi, per non dire alle orribili strage come questa, e commettono un sacco di errori irrimediabili. Soprattutto, rimuovono i tre corpicini senza delimitare l’area per impedirne l’accesso.

Così, quando una settimana dopo arriva la Scientifica da Little Rock, la capitale dell’Arkansas, la scena del delitto risulta contaminata dal viavai dei curiosi. La polizia locale, in mancanza di elementi concreti sui quali fondare le indagini, comincia a lavorare di fantasia.

Il tenente James Sudbury, a capo della piccola centrale di polizia, arriva alla conclusione che i bambini siano stati torturati a morte durante un rito satanico. E chi potrebbe essere stato a organizzarlo? Forse Damien Echols, un diciottenne schedato come giovane problematico.

Damien è cresciuto in una famiglia poverissima, in una capanna senza energia elettrica né acqua corrente e con due genitori alcolizzati. Le ristrettezze lo hanno trasformato in un ragazzo solitario, dal carattere cupo: veste alla maniera dark, ascolta heavy metal (da alcuni definita “musica satanica”) e si interessa di occultismo. Le sue passioni sono condivise da molti ragazzi delle metropoli americane ed europee, ma guardate ancora con un certo sospetto nei religiosi borghi di campagna degli Stati Uniti del Sud.

Il giovane Damien ha abbandonato presto la scuola superiore per andare a lavorare in un’azienda che installa tetti. Ha precedenti penali per piccoli furti e atti di vandalismo. In passato sono corse voci su un “patto” che avrebbe stretto con una ragazza “strana” come lui: quello di fare un figlio per poi sacrificarlo a Satana.

Per questi comportamenti anomali, vero o presunti, Damien Echols era stato visitato da uno psichiatra, il quale aveva riscontrato in lui una forma di depressione e gli aveva dato i farmaci per curarla. Il tenente Sudbury decide di andare a trovare il ragazzo insieme a Steve Jones, un funzionario del carcere minorile della contea.

Il giovane, convinto che i due vogliano solo il suo parere sulla faccenda, dice che secondo lui uno dei bambini è stato castrato. Questa affermazione lo rende ancora più sospetto, dato che quel dettaglio sulle ferite ai genitali effettivamente inferte al ragazzino non è stato reso pubblico. Anche quando scopriranno che in realtà tutta la cittadinanza lo conosce e ne sta parlando da giorni, gli agenti non cambieranno idea.

Quando avviene un delitto clamoroso spunta spesso qualche mitomane alla ricerca di attenzione. In questo caso si tratta di ua ragazza, Vicki Hutcheson, la quale afferma di essere stata portata su una Ford Fiesta rossa da Admien Echols e da un amico comune, Jessie Misskelley, a “un rito neopagano”.

Damien non ha la patente e non ha una Fiesta o altre auto, del resto la ragazza non sa indicare i nomi delle altre persone che avrebbero partecipato alla singolare cerimonia e nemmeno dove si sia svolta. Cionostante alla “prova” del fatto che Damien conoscesse un “particolare segreto” del triplice omicidio, ora la polizia locale può aggiungere anche una “testimonianza” che dimostrerebbe la sua frequentazione dei satanisti.

Solo alla fine del processo la sciagurata ammetterà di essersi inventata tutto, nell’ingenua convinzione di intascare una ricompensa. Ma questo accadrà molto tempo dopo il delitto.

Intanto gli agenti vanno a interrogare Jessie Misskelley, il ragazzo di 17 anni che avrebbe partecipato al rito pagano, già noto alla polizia per la sua propensione a picchiare i coetanei. Durante un interrogatorio durato dodici ore e di dubbia legalità perché svolto in assenza del difensore, Jessie, un giovane dal quoziente intellettivo nettamente inferiore alla media, alla fine ammette di aver partecipato agli omicidi insieme a Damien e a Jason Baldwin, un ragazzino di 16 anni.

L’idea di fare una scampagnata nei boschi era venuta al più giovane, Jason. Qui il trio, alle 9 del mattino, aveva casualmente incrociato i bambini che stavano facendo un giro in bicicletta. Li avevano bloccati e violentati. Poi Jason li aveva sfregiati e mutilati con i coltello, mentre Damien ne uccideva uno a bastonate e ne strangolava un altro.

Tutto questo secondo il racconto di Jessie. Ma gli agenti gli fanno notare che non può essere accaduto alle 9, perché a quell’ora i bambini sono a scuola, Allora Jessie dice che, in effetti, è successo a mezzogiorno. Ma a quell’ora i tre alunni erano ancora in aula. Per tagliare la testa al toro, il giovane alla fine “ammette” che in realtà erano le 18.

Poi gli agenti gli chiedono se lui e i suoi amici abbiano mai fatto a parte di sette sataniche. Jessie risponde affermativamente: per tre mesi hanno partecipato a incontri notturni per fare orge e sacrificare cani, che poi mangiavano. Sembrano battute dettate dall’esasperazione dovuta al terzo grado, ma i poliziotti le prendono per oro colato.

Fuori dalle mani della polizia, Jessie ritratta immediatamente la confessione: ha dichiarato quello che volevano sentirgli dire, spiega, pur di far cessare la tortura di quell’interrogatorio infinito. Secondo alcuni psicologi che hanno sentito la registrazione, si tratta di una confessione estorta a una persona labile di mente, come si può capire dalle troppe contraddizioni.

A parte la questione degli orari, Jessie ha detto che i bambini erano stati legati con una grossa corda, mentre invece erano stati usati i lacci delle loro scarpe. Ha affermato che Damien Echols ne aveva strangolato uno, ma nessun bambino è stato ucciso così. Soprattutto, sui corpi delle piccole vittime non ci sono segni di violenza carnale.

Al processo, prove e testimonianze discutibili convincono comunque i giurati, che riconoscono i tre imputati colpevoli. La stessa convinzione deve averla il giudice, che condanna a morte Damien Echols, l’unico maggiorenne dei tre, e manda all’ergastolo i due minorenni.

Al di fuori della religiosa e sonnolenta West Memphis, la sentenza non viene accolta bene dall’opinione pubblica. I tre giovani sembrano essere stati presi di mira soprattutto per il loro abbigliamento, ispirato a quello dei gruppi rock metallari e “satanici”.

I colpevoli sono stati scelti tra gli emarginati e sono stati condannati sulla base di vaghi sospetti per far fare bella figura alle forze dell’ordine locali e tranqullizzare i cittadini. Di fatto, al processo non è stata presentata neppure una prova scientificamente valida.

Negli anni successivi, grazie anche a due documentari dedicati al caso dei ragazzi di West Memphis trasmessi dalla televisione, si forma un movimento spontaneo di cittadini che, da tutta l’America, manda fondi per pagare le spese legali dei ragazzi condannati.

Tra i sostenitori c’è Lorri Davies, una giovane donna di New York, che inizia a inviare libri da leggere a Damien e dopo due anni, nel 1999, finisce per sposarlo in carcere. Lorri si dà da fare per sensibilizzare numerose celebrità come, appunto, Johnny Depp. L’interessamento del divo e dei suoi colleghi, come Winona Ryder, combinato alle sempre più efficaci tecniche di rilevamento del Dna, permette di riaprire il caso nel 2007.

Si scopre che il materiale genetico rinvenuto su un paio di pantaloni tolti a uno dei bambini non appartiene a nessuno dei tre condannati, mentre chi li aveva sfilati non poteva che essere il vero assassino. Grazie a questa prova, l’unica incontrovertibile, nel 2010 la Corte Suprema dell’Arkansas acconsente allo svolgimento del processo d’appello (che in America avviene raramente, dato che il primo grado di giudizio è definitivo).

Invece di fare un processo vero e proprio, il pubblico ministero preferisce patteggiare con gli avvocati della difesa: se i tre accettano di dichiararsi colpevoli, lui è disposto a chiedere una condanna di 18 anni, in modo che vengano liberati subito (dato che li hanno già scontati interamente). Il compromesso permette allo Stato di non pagare risarcimenti milionari per tutti gli anni che i tre hanno passato in prigione, ma lascia l’amaro in bocca ai loro sostenitori.

Nel 2012, Peter Jackson, il regista di ll Signore degli anelli, produce un documentario nel quale accusa del triplice omicidio Terry Hobbs, il patrigno di uno dei bambini uccisi. A indicarlo come il vero colpevole, da anni, sono anche la sua ex moglie e un nipote, ma le loro parole non sono mai state prese in considerazione dalla polizia, forse perché si tratta un uomo in vista.

Damien Echols, che da quando è uscito di prigione indossa sempre gli occhiai scuri perché è diventato ipersensibile alla luce, ha raccontato la sua storia in un libro, “Il buio dietro di me”, uscito anche in Italia. “Chi sta in cella di isolamento”, vi si legge, “subisce violenze atroci, torture come la privazione del sonno. Eppure tutti sanno che un giorno molti detenuti torneranno a piede libero: voi li incontrerete nel vostro quartiere o al supermercato. Non è un’idea geniale, quella di farli impazzire in carcere”.


Immagine d’apertura tratta da
Devil’s Knot – Fino a prova contraria, un film del 2013 diretto da Atom Egoyan sulla vicenda di Damien Echols.


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