CHRISTA WANNINGER UCCISA NELLA DOLCE VITA

CHRISTA WANNINGER UCCISA NELLA DOLCE VITA

Alle ore 14,40 del 2 maggio 1963, in un edificio di via Emilia a Roma il silenzio viene lacerato da una serie di urla strazianti. Sette inquilini escono di corsa dai loro appartamenti per vedere cosa stia succedendo, ma quando si apprestano a salire le scale le grida provenienti dall’alto cessano.

Pochi istanti dopo scende un uomo sui trent’anni di corporatura atletica, con un elegante completo blu. Ci si aspetterebbe di vederlo turbato per le urla disumane di poco prima, invece appare assolutamente sereno. Tenendo una mano infilata nella tasca, sembra voler sottolineare la sua completa estraneità alle convulse vicende del palazzo.

Uno dei sette inquilini, perplesso davanti a un atteggiamento così fuori luogo, gli si rivolge con asprezza: “Cosa diavolo succese di sopra?”. “Niente”, risponde l’uomo in blu, sempre imperturbabile, rivelando una leggera cadenza romana. “C’è solo una donna che strilla”.
Mentre tutti riprendono a salire le scale, lui scende e si dilegua.

Arrivati sul pianerottolo del quarto piano, gli inquilini trovano una ragazza trafitta da sette coltellate. Sta agonizzando con le gambe dentro l’ascensore e le braccia protese verso la porta chiusa dell’appartamento antistante. La giovane muore poco dopo.

Si chiama Christa Wanninger, una tedesca bionda di 23 anni che era alla ricerca di lavoro come attrice a Cinecittà. Del resto, il delitto è avvenuto a due passi da via Veneto, cuore della “dolce vita” descritta dal famoso film di Federico Fellini, uscito nelle sale nel 1960.

Un mondo apparentemente dorato, fatto di figli di papà annoiati e attricette desiderose di sfondare. Un mondo che arriverà bruscamente alla fine anche a causa del clamore sollevato da questo delitto.

Nata a Monaco di Baviera, figlia di un grosso commerciante di tabacco e orfana di madre, Christa Wanninger si era impiegata in una società cinematografica tedesca. I vecchi amici ricordano che amava il jazz e la fotografia.

Da due anni si era trasferita a Roma, che all’epoca, almeno in fatto di pettegolezzi, non era seconda a Hollywood. Sono i tempi raccontati da Fellini nella famosa scena dove Anita Ekberg fa il bagno nella fontana di Trevi e chiama Marcello Mastroianni.
Lo scandalo in via Veneto è di casa e i paparazzi inseguono attori italiani e star internazionali che flirtano sotto il cielo della Capitale.

Non si sa bene quale professione facesse Chista Wanninger per mantenersi, l’appartamento a Roma le era stato messo a disposizione da un ricco rappresentante di liquori. Come modella lavorava pochino. Aveva posato anche per alcune foto osé, mostrandosi in atteggiamenti forzatamente sexy.

Il suo fidanzato ufficiale era Angelo Galassi, un bel ragazzo fiorentino. Anche lui aveva un paio di sogni irrealizzati, diventare calciatore o attore, e in passato qualche tiro al pallone era riuscito a darlo.
Aveva trascorso la notte precedente al delitto con Christa e poi, al mattino, l’aveva riaccompagnata a casa prima di partire per Genova.

Il giovane era molto innamorato, al punto da perdonare alla fidanzata le sue frequentazioni maschili. “Avevamo litigato e per un certo periodo l’avevo lasciata”, spiega Galassi agli inquirenti. “Le volevo bene anche se mi tradiva. Avrei voluto sposarla, ma lei preferiva continuare a condurre il suo stile di vita avventuroso”.

Gli amici più disincantati raccontano che Christa era venuta a Roma per lavorare al cinema, ma alla fine, delusa, si era accontetata di frequentare locali eleganti insieme a uomini facoltosi.

Secondo la stampa, l’assassino è un maniaco che la ragazza, a causa della sua esistenza disordinata, ha involontarimanete attirato. Sicuramente è “l’Uomo in blu” che si è volatilizzato dal luogo del delitto. Bisogna catturarlo a ogni costo, prima che commetta altri omicidi. Per questo alcuni giornali offrono una ricompensa in denaro a chi saprà fornire notizie utili sul suo conto.

Le indagini della polizia sono affidate a Domenico Migliorini, il capo della Squadra mobile di Roma, un osso duro che si dimetterà clamorosamente nel 1978, durante il rapimento di Aldo Moro, per disaccordi con l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga.

Migliorini si trova davanti a un numero interminabile di uomini che conoscevano e frequentavano Christa: troppo lungo sarebbe scandagliare a fondo tutti i loro alibi.
Tanto per iniziare, il fidanzato, Angelo Galassi, l’alibi ce l’ha di ferro, dato che all’ora del dalitto stava pranzando a Genova con una dozzina di persone.

Più produttivo sembrerebbe partire dall’amica del cuore della Wanninger, la coetanea tedesca Gerda Hoddap, nata ad Aquisgrana. Anche lei avvenente e desiderosa di entrare nel mondo dello spettacolo.

Il giorno in cui fu uccisa, Christa stava uscendo dall’ascensore proprio per bussare alla porta di Gerda, che abita appunto in quel palazzo di via Emilia. Fatto strano, malgrado quelle urla a mezzo metro dal suo appartamento, la Hoddap afferma di non aver sentito nulla perché stava dormendo.

Non si era alzata nemmeno quando le auto della polizia erano arrivate a sirene spiegate davanti al condominio.
Quando la ragazza si era degnata di aprire agli agenti, che avevano suonato a lungo il suo campanello, si era mostrata infastidita più che scossa di fronte al sangue fresco lasciato lì dall’amica.

Solo alcuni giorni dopo, con un ritardo inspiegabile, la polizia l’aveva scomodata di nuovo per una doverosa perquisizione del suo appartamento. Secondo Migliorini, l’assassino era in attesa della sua vittima proprio dietro la porta di Gerda.

Lei gli risponde che non ne sa niente perché, come ha già detto, dormiva. Il capo della Mobile le contesta che alle 14,45, quindi pochi minuti dopo il delitto e prima che arrivasse la polizia, lei aveva telefonato a un amico dicendogli che Christa si era sentita male. Come lo spiega?
La tedesca si chiude nel silenzio. Dopo un estenuante quanto inutile interrogatorio durato 25 ore, viene messa in prigione con l’accusa di reticenza.

Si indaga anche sul fidanzato di Gerda, un uomo in contatto con funzionari dei ministeri argentini e americani, considerato sospetto e messo sotto controllo dal Sifar, il nostro servizio segreto dell’epoca.

Secondo l’Interpol, inoltre, alcuni amici tedeschi di Christa a Roma sono coinvolti nel traffico d’armi, di segreti industriali e di Stato.
Come se non bastasse, la famiglia di Christa è a sua volta legata a una società americana il cui nome ricorre in diversi delitti internazionali a sfondo politico.

Christa Wanninger era un’avvenente spia eliminata nel bel mezzo di un intrigo internazionale? Può essere, ma Migliorini, a questo punto, non riesce a fare altri passi avanti. Deve scarcerare Gerda e occuparsi anche di altri casi.

Nel marzo 1964 un anonimo telefona al quotidiano romano Momento Sera offrendo, in cambio di cinque milioni di lire, rivelazioni sensazionali. “Sono il fratello dell’assassino”, afferma lo sconosciuto, “ho il suo diario. È tutto scritto lì”.

Il giornalista lo lascia parlare mentre, con alcuni cenni, invita i colleghi ad avvisare i carabinieri. “Mio fratello colpirà ancora”, continua l’anonimo, mentre i tecnici dell’Arma risalgono al suo numero di telefono, “ha una lista di donne che vuole uccidere”.
In breve, i carabinieri arrivano a casa del sedicente fratello dell’assassino.

Si tratta di Guido Pierri, un trentacinquenne di Aversa, pittore dilettante e aspirante scrittore. Addosso gli trovano un coltello a serramanico, forse l’arma del delitto.
Dipinge quadri con donne torturate e in un quaderno ha descritto episodi di sesso a dir poco estremo. È il “diario” dell’assassino, contiene infatti il resoconto dell’uccisione della Wanninger, che Pierri intendeva vendere al giornale.

“Mi sono inventato tutto perché avevo un disperato bisogno di soldi. Non c’entro nulla con quella tedesca”, spiega il pittore alla polizia. Siccome non corrisponde alla descrizione dell’Uomo in blu, i magistrati gli credono e lo accusano solo di tentata truffa.
“Per me la storia era finita lì, ci scherzavo persino con gli amici”, spiegava Pierri all’epoca.

Il caso dell’omicidio di Christa Wanninger finisce in un vicolo cieco. Passano gli anni finché, nel 1971, il settimanale tedesco Quick manda due inviati, sotto le mentite spoglie di critici d’arte, nella nuova casa di Guido Pierri, a Carrara.

I giornalisti indagano e pubblicano un’inchiesta in cui sostengono che l’assassino di Christa è proprio il pittore.
Il sasso è stato lanciato e le conseguenze non si fanno attendere. Renzo Mambrini, ex maresciallo dei carabinieri, accusa Guido Pierri di omicidio: sostiene che nel suo diario c’erano particolari del delitto che non erano stati resi noti, quindi se ne deduce che solo il colpevole poteva conoscerli.

Mambrini promette altre “rivelazioni sensazionali”, ma non potrà esibirle: il 26 novembre del 1971 muore in un incidente stradale. La disgrazia presenta dei punti oscuri e i giornali ritornano a indagare sul delitto della Wanninger: alcuni sospettano che Mambrini abbia accusato Pierri per conto dei servizi segreti, allo scopo di coprire il vero colpevole.

L’inchiesta prosegue con lentezza e, nel 1977, Guido Pierri viene rinviato a giudizio, anche per l’inconsistenza del suo alibi. Al processo, l’anno dopo, viene assolto per insufficienza di prove.

Per il processo d’appello bisogna attendere il 1985: il pittore viene giudicato colpevole dell’omicidio di Christa Wanninger, ma non imputabile in quanto ritenuto seminfermo di mente al momento del delitto. Sentenza confermata in cassazione nel 1985.

Guido Pierri non va in carcere, ma è distrutto dalla lunga vicenda giudiziaria e continua a negare di essere l’Uomo in blu.
“La mia supposta pazzia è stata certificata dalle perizie psichiatriche nel 1976, tredici anni dopo il delitto”, spiega il pittore. “Ma nei test che mi fecero nel 1964 risulta che il sottoscritto era assolutamente sano di mente”.
In seguito, uno dei periti che avevano “diagnosticato” la pazzia di Pierri affermò di avere subito pressioni dall’alto.

Il mistero di Christa Wanninger, insomma, non è mai stato veramente chiarito. La ragazza frequentava personaggi equivoci e, se non è stato Pierri a ucciderla, rimane in piedi l’ipotesi che sia rimasta coinvolta in un complicato caso di spionaggio internazionale.
La sola persona che forse avrebbe potuto rivelare qualcosa di importante era l’amica Gerda Hoddap, ma di lei si sono perse le tracce da tempo.

 

 

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