STEFANIA BINI, L’ANGELO DELL’AFFRESCO

STEFANIA BINI, L'ANGELO DELL'AFFRESCO

Questa è la storia triste di Stefania Bini, una bella sedicenne romana. Vivace e piena di vita, la ragazza è alta un metro e 65, ha gli occhi chiari e i capelli biondi. La sua è una famiglia normale, il padre Mauro è proprietario di un negozio di generi alimentari nel quartiere Trionfale.

Il 20 ottobre 1984, Stefania Bini prende i libri di scuola ed esce di casa per andare, come ogni mattina, al liceo Dante Alighieri. Viene vista alle 8.15 mentre attende l’autobus vicino a piazza Cavour, poi di lei non si sa più nulla.

Nei primi anni Ottanta la criminalità domina le strade di Roma. Questa è l’epoca della banda della Magliana, un’organizzazione che ha riunito tutti i delinquenti della capitale. Inoltre, da un po’ di tempo succedono cose strane. Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un impiegato del Vaticano, è scomparsa l’anno precedente.

Sempre nello stesso periodo della scomparsa della Orlandi, un’altra quindicenne, Mirella Gregori, era svanita come per magia. Insomma, cosa sta succedendo a Roma? Stefania Bini non appartiene a una famiglia ricca, in grado di pagare un forte riscatto.
Si comincia a sospettare l’esistenza di una “tratta delle bianche”, le ragazze verrebbero rapite per farle prostituire in qualche bordello del Medio Oriente.

Un negozio d’abbigliamento giovanile del centro rischia addirittura la chiusura, dato che qualcuno lo accusa, a torto, di essere coinvolto nelle sparizioni. Secondo una leggenda metropolitana che attecchisce rapidamente, nei suoi camerini ci sarebbero delle botole che ingoiano le ragazze mentre provano i jeans.

Dopo qualche giorno, alla famiglia Bini arriva una lettera piena di errori firmata da una fantomatica banda turca. La missiva però sembra attendibile, perché c’è allegata una pagina dell’agenda di Stefania: solo chi l’ha rapita può averla presa dal suo zainetto. I rapitori chiedono un riscatto di 600 milioni di lire, una cifra al di fuori dalla portata della famiglia.

Dopo questo primo approccio, scende il silenzio per alcune lunghe settimane. La mamma di Stefania va alla trasmissione televisiva “Pronto Raffaella”, condotta dalla Carrà, per supplicare i rapitori di riprendere i contatti.

Due mesi dopo il rapimento si fa avanti un nuovo personaggio che risulterà determinate nella vicenda. Si tratta di Mario Squillaro, uno zio di Stefania. Lei è una sua nipote acquisita, avendo Squillaro sposato la sorella di sua madre. Dalla quale, comunque, si era separato dopo pochi anni di matrimonio.

Emigrato da Salerno in cerca di lavoro, zio Mario ha 51 anni e fa il calzolaio dietro Porta Maggiore. Ripara le scarpe della gente del quartiere. Non tanto bene, secondo il giudizio dei suoi clienti. Però fa prezzi modici ed è un compagnone, offre un caffè e magari propone una partitella a carte. Inoltre, dà da mangiare ai gatti del vicolo.

Alla famiglia Bini, che in mancanza di notizie è sempre più disperata, il calzolaio dice: «Perché non avete pensato di rivolgervi a me? Sapete che sono amico di grossi camorristi, potrei darvi una mano». Nei giorni successivi, grazie all’aiuto della criminalità organizzata (almeno così sostiene lui), Squillaro riesce a stabilire un contatto personale con i rapitori.

Quando il questore di Roma, Nicola Cavaliere, gli chiede spiegazioni di questi maneggi, Squillaro risponde: «Sono appena stato a Istanbul e ad Ankara, dove ho saputo che Stefania è viva». Racconta che le hanno tagliato i capelli a zero, la drogano e la fanno prostituire. Il questore non sa cosa pensare.

Qual è il ruolo di questo calzolaio? Probabilmente dello sciacallo che vuole approfittarsi delle disgrazie altrui, infatti ha appena scroccato 6 milioni di lire alla famiglia Bini per le spese sostenute nel viaggio in Turchia. Il questore decide per il momento di lasciarlo fare, ma gli mette alle costole un maresciallo.

Squillaro viene pedinato in ogni suo spostamento, senza però che venga trovato alcun elemento utile per le indagini. Il calzolaio trascorre gran parte del tempo alla Baita, un bar vicino a via Veneto, un tempo famosa perché frequentata dai divi del cinema. Più interessante si rivela il suo passato, dato che era stato protagonista di alcune piccole truffe e di qualche furto.

Inoltre, da un controllo calligrafico, gli investigatori scoprono che a scrivere la prima lettera dei rapitori, e anche quelle arrivate più recentemente, è stata, in realtà, Vincenza Di Novi, la sua convivente di 39 anni. A questo punto è ormai accertato che si tratta di un imbroglione, ma c’entra anche con la scomparsa di Stefania Bini? Difficile pensare che una persona così modesta sia capace di gestire le complicate fasi di un rapimento.   

Dopo avere appreso dalla famiglia Bini che è riuscita, con molti sforzi, a trovare prestiti per 460 milioni di lire, Squillaro dice che adesso i rapitori vogliono proprio… 460 milioni. Quando lui glieli avrà consegnati, assicura ai Bini, la figlia verrà rilasciata in Turchia.

Il questore, dopo avergli dato corda per otto mesi, decide che è arrivato il momento di entrare in azione. Anche se non ha ancora alcuna prova che sia stato lui a portare via la ragazza, lo può comunque mettere in prigione per estorsione.

Il 13 agosto 1985, Mario Squillaro viene arrestato mentre si trova, come al solito, alla Baita. Stava aspettando i genitori di Stefania, che gli avrebbero dovuto consegnare la prima rata di 40 milioni. Nel borsello che gli sequestrano vengono trovati dieci milioni in contanti e una serie di biglietti da visita con le intestazioni (false) di ingegnere e cavaliere del lavoro.

La tattica dell’interrogatorio è quella classica, con il poliziotto “buono” e quello “cattivo” che si danno il turno. Il secondo gli grida in faccia che ormai sanno tutto: è stato lui a uccidere la nipote. Poi interviene l’altro, che con aria complice spiega che non deve preoccuparsi troppo perché sanno bene che non l’ha fatto apposta, che il suo è stato solo un momento di follia. Lo spiegheranno al magistrato. Certo, dovrà andare in carcere, ma lì potrà vedere la sua compagna tutte le volte che vorrà.

Squillaro resiste una notte intera e a un numero imprecisato di caffè. Le parole, quelle rudi e quelle mielate, non sembrano scalfirlo. Finché un ufficiale della mobile gli urla in napoletano: «Guaglio’, tu si proprio nu’ strunzo», dandogli un buffetto sulla guancia. L’espressione “buffetto” è quella che userà la polizia per descrivere il contatto fisico, che non sappiamo se sia stato veramente così lieve.

In ogni caso Squillaro si spaventa, pensando che sia l’antipasto di un trattamento molto più duro. Di botto, scoppia a piangere e inizia ad ammettere qualcosa. Prima riconosce di avere tentato la truffa, negando comunque di essere coinvolto nella scomparsa della ragazza.

Poi ammette di aver scritto le lettere alla famiglia, e allora gli inquirenti gli domandano come fosse entrato in possesso della pagina dell’agenda di Stefania Bini che vi aveva allegato. A questo punto l’indiziato racconta di averla rapita per poi venderla ai turchi. Finché, crollando definitivamente, passa all’ultima versione.

Quella mattina di dieci mesi prima, mentre era a bordo del suo furgoncino da calzolaio, Squillaro aveva atteso la nipote Stefania alla fermata dell’autobus. Lei aveva accettato il passaggio offertole dallo zio, il quale, però, invece di portarla a scuola, l’aveva condotta nella propria abitazione, un modesto seminterrato in via Sessoriana dove svolge anche il suo lavoro.

Quel giorno la compagna Vincenza era assente, perché era andata a trovare la famiglia a Salerno con il figlio di sette anni avuto da lui. Cosa sia successo in quei momenti, l’uomo non lo spiega bene. Dice solo che, dopo dodici ore, Stefania aveva preso sonno.

«Le ho sparato mentre dormiva, non ha sofferto». Racconta di avere avvolto il suo corpo senza vita nel cellophane per poi chiuderlo in un baule. Quindi ha scavato una fossa sotto il pavimento della camera del figlio, ci ha infilato il baule e ha rimesso le piastrelle.

Solo dopo gli è venuta l’idea di imbastire la messinscena del rapimento, per estorcere i soldi. Il questore non sa cosa pensare. Mario Squillaro è davvero l’assassino o solo un mitomane, che si è inventato quella storia perché non ne poteva più dell’interrogatorio? In ogni caso bisogna andare a controllare.

Nell’ufficio della sezione omicidi della squadra mobile c’è un armadio pieno di arnesi per recuperare i cadaveri sepolti nei luoghi più impensati. Vengono presi un martello pneumatico e un piccone. Alle quattro del mattino, i poliziotti entrano nell’appartamento del calzolaio. Vicino alla porta c’è la gabbietta dei canarini, sui muri sono appese alcune stampe ritagliate dalle scatole dei cioccolatini.

«La punta del piccone inizia ad abbattersi sulla moquette», racconterà il questore Nicola Cavaliere, «sfondando a poco a poco lo strato di mattonelle e di cemento». Si scava con fatica per più di un metro, tirando fuori terra, fil di ferro e altro cemento ancora, fino ad arrivare a un baule verde. Appena viene aperto, un tremendo odore di morte invade l’appartamento. Il cadavere della ragazzina, uccisa con un colpo di Browning calibro 7,65 alla tempia, si trova davvero lì.

Squillaro viene arrestato per omicidio e altri reati minori. La convivente, Vincenza Di Novi, va in prigione solo per concorso in estorsione, perché non si sa se sapeva della fine della ragazza. Quanto al loro bambino, viene portato in un istituto. Il vero motivo del rapimento e dell’uccisione della ragazza rimane poco chiaro, anche se la posizione anomala della biancheria intima sul cadavere farebbe pensare alla violenza carnale.  

Il 22 agosto 1985 si possono finalmente celebrare i funerali di Stefania Bini nella sua parrocchia, la chiesa di Sant’Ambrogio. Lo stesso giorno, la chiesa decide di commissionare un affresco raffigurante la glorificazione di Dio tra gli angeli, uno dei quali avrà le sembianze della povera ragazza uccisa.

Nel 1987, Mario Squillaro viene condannato all’ergastolo. La sua complice, Vincenza Di Novi, a otto anni di reclusione. «È giusto così», commenta sottovoce Squillaro assentendo pesantemente con la testa durante la lettura della sentenza.



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