STARSHIP TROOPERS, IL MILITARISMO ANTIMILITARISTA

STARSHIP TROOPERS, IL MILITARISMO ANTIMILITARISTA

Starship Troopers (Starship Troopers – Fanteria dello spazio) gloriosa perla military sci-fi ad altissimo budget (i soldi solo per produrlo nel 1997 al netto dell’inflazione equivalgono a circa duecento e passa petrolmiliondollari di oggi) è un film abbastanza controverso. Divisivo, se vogliamo, come il romanzo da cui è tratto. 

Ancor di più se uno prende in considerazione un fatto piuttosto buffo: Starship Troopers romanzo di Robert A. Heinlein e Starship Troopers film di Paul Verhoeven aderiscono e si giustappongono nella forma, ma si contrappongono fortemente nella sostanza. Fatto che nel tempo ha portato schiere d’individui a trincerarsi dietro le proprie opinioni in merito sia al romanzo sia al film.

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Cerchiamo di andare con ordine, se no finisce che ci incartiamo. All’epoca il film andò una schifezza a causa di una serie di fraintendimenti che a loro volta portarono a una serie d’incomprensioni. Prima fra tutte, il fatto che Robert A. Heinlein fosse un fascio. Il problema è qui: se tutto quel che sai di Heinlein si limita alla versione cinematografica di Starship Troopers, chiaro che la prima cosa a venirti in mente sia questa.

In realtà, il pensiero di Heinlein era agli antipodi. Vero che mutò le sue opinioni politiche nel corso degli anni, ma rimaneva un democratico che con il tempo era diventato un liberalsocialista. Aveva qualche tendenza conservatrice, ma in ogni caso le sue posizioni riguardo la libertà personale e sul fatto che il governo dovesse restare fuori dai tuoi affari erano praticamente una bestemmia per i fascistoidi.

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Infatti, in Starship Troopers romanzo, uno dei temi ricorrenti è l’individualismo morale: nel futuro descritto nella storia, l’umanità prospera in una società stabile e organizzata, regolata dalla ragione. Questa società, viene costantemente messa a paragone con tutte le altre susseguitesi fino alla fine del Novecento nelle lezioni di storia e filosofia morale del signor Dubois, solo per evidenziare i come e i perché tutte le forme di governo adottate dall’umanità siano miseramente fallite.

In linea di massima, la critica maggiore (secondo Heinlein) sta nell’approccio passivo/permissivo che ha portato al declino morale e socio-culturale della società di fine Novecento. Questa, diciamo “morbidezza”, poteva assumere molte forme: tipo la convinzione che la punizione fisica dei bambini (le sculacciate) causasse danni psichici permanenti; oppure un eccesso di ufficiali non combattenti nell’esercito; oppure ancora ufficiali mai stati in battaglia al comando di un esercito.

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Per farla breve, il problema maggiore secondo questa prospettiva deriva dall’enfatizzazione dei diritti individuali anziché delle responsabilità personali. In altre parole, nessuna o quasi punizione per chi sbaglia; premi, troppi e di manica lasca, dati a chi non merita. Infatti, il grosso punto evidenziato nel romanzo sta nel fatto che tutto questo ha portato all’assicurazione del diritto di voto per chiunque, anche se non ha la saggezza necessaria per usare quel potere in modo appropriato.

Se poi ci vogliamo mettere pure gli insetti (sostanzialmente una metafora del comunismo) chiaro che a botta secca, cioè a una lettura superficiale, il pensiero di Heinlein espresso in Starship Troopers romanzo possa essere un attimo frainteso. Per dire, gli insetti sono una specie che condivide una mente alveare, sebbene questo “controllo centralizzato” permetta loro di lavorare in gruppi perfettamente efficienti, coesi e coordinati, presenta anche notevoli svantaggi.

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Gli insetti dipendono in modo assoluto dalla casta cerebrale: quando i Cervelli vengono storditi o uccisi, i guerrieri diventano automi indifesi e tremanti. Quando il sergente Zim, per esempio, rapisce un insetto cerebrale, i guerrieri non possono più attaccarlo. Perché ferire o uccidere il cervello sarebbe come suicidarsi. Inoltre, per gli insetti tutto e tutti sono semplici risorse: abbandonano o sacrificano i loro feriti durante le battaglie senza preoccupazioni o sensi di colpa.

Ora, già di suo, Starship Troopers romanzo si tirò appresso una valanga di critiche. Starship Troopers film, all’uscita, pure peggio. Perché fondamentalmente non venne capito. In sé, la trama del film è piuttosto semplice e aderisce in scala 1:1 a quella del romanzo: nel XXIII secolo, la razza umana è tecnologicamente molto avanzata, in grado di viaggiare nell’universo e colonizzare altri pianeti. Sulla Terra i governi si sono uniti in una sorta federazione di stampo militar-dittatoriale. 

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In questo nuovo statu quo, siccome i diritti politici sono un’esclusiva riservata a chi si arruola nelle forze armate, si è creata una divisione tra civili e militari. Tutto questo idillio, comunque, viene interrotto quando gli esseri umani si incontrano/scontrano con gli Aracnidi. Una razza aliena di insettoni giganti, colonizzatori di mondi a loro volta. Ed è subito guerra a prima vista, naturalmente.

Nel frattempo, sulla Terra conosciamo il nostro protagonista: Johnny Rico, un giovane Casper Van Dien che da lì in poi vedrà la sua carriera volare altissima (alternandosi tra i film di Uwe Boll e della Asylum). Alle sue spalle, la compagna di corso nonché maialona d’assalto Dizzy Flores (Dina Meyer). Alla sua destra, invece, si può notare il suo amico e compagno di classe Carl Jenkins (Neil Patrick Harris, oggi famoso per la serie How I Met Your Mother).

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Tutti insieme appassionatamente, si sciroppano bene bene la lezioncina del prof. Rasczak (Michael Ironside che più tenta di fare il gentile e più risulta inquietante). Tuttavia, al centro dell’universo di Rico c’è solo la fig… la sua compagna di classe/fidanzata Carmen Ibanez (Denise Richards), con cui sta talmente zerbinato che quando lei si arruola nell’esercito pure lui fa la stessa cosa pur di seguirla. Peccato che poi Rico si troverà più cornuto di un cesto di lumache, ma fa niente.

Il punto, adesso, sta nel fatto che la prima mezz’oretta di Starship Troopers non è che sia lenta. Solo che nell’impostazione del ritmo e della messinscena ricorda fin troppo da vicino le proto-soap adolescenziali alla Beverly Hills e Melrose Place che tanto andavano forte all’epoca: dialoghi e situazioni piuttosto blandi, sviluppo dei personaggi poco convincente, finte pubblicità inserite in finti notiziari che non legano benissimo con tutto il resto.

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Essenzialmente tutte cose che potrebbero portare a credere che Verhoeven si sia limitato giusto a riciclare gli assets di RoboCop a casaccio, senza avere idea di dove andare a parare con questo Starship Troopers. Invece l’idea di cosa stesse facendo ce l’aveva benissimo. Così, di botto, ti spara in faccia ‘sta bomba gore: un notiziario riporta la notizia di un attacco. A quanto pare, i “maledetti Aracnidi” hanno massacrato una “inerme e pacifica” colonia umana. 

Una cosa simile non può passare impunita. La macchina della propaganda si mette in moto, l’odio comincia a canalizzarsi. Nel frattempo, Rico per seguire Carmen si è arruolato e viene assegnato alla Fanteria Mobile finendo nel campo di addestramento sotto la supervisione del sergente istruttore Zim (Clancy Brown, il Kurgan in Highlander).

È uno che le parole abuso fisico, eccesso di violenza e lesioni personali manco sa cosa significhino.

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A ogni modo, il tempo passa e Rico si convince (dopo un incidente) che forse la vita militare non sia la scelta giusta, dopotutto; ma poi arriva la cagnara. Gli Aracnidi, che per colonizzare i pianeti usano dei meteoriti su cui sono presenti le loro spore/uova, colpiscono la Terra. Nella fattispecie Buenos Aires, la città natale di Rico, causando milioni di morti. Tra cui quella dei suoi genitori. Perciò adesso per Rico la guerra è questione di vendetta personale.

Quindi si ri-arruola e insieme agli amici, tutti galvanizzati dalla prospettiva di andare a prendere a calci in culo i nemici dell’umanità, si preparano a sferrare l’offensiva su Klendathu, il pianeta natale degli Aracnidi. Peccato che quella ampiamente pubblicizzata, propagandata, come una facile quanto soverchiante vittoria per l’umanità si trasformi in una strage: centinaia di migliaia di ragazzi, convinti di ottenere onore e gloria, vengono fatti a pezzi in una manciata d’ore. 



Centinaia di migliaia di ragazzi fatti a pezzi, morti senza manco rendersene conto. Una cosa simile non può (ri)passare impunita. La macchina della propaganda si (ri)mette in moto, l’odio comincia a (ri)canalizzarsi. Ecco, questo è sostanzialmente il punto in cui Starship Troopers romanzo di Robert A. Heinlein e Starship Troopers film di Paul Verhoeven cominciano a distaccarsi pesantemente nei temi e nei concetti.

Cerchiamo di capirci: al di là di tutto, Starship Troopers è comunque una pietra miliare della fantascienza, uno dei più influenti del genere, fosse anche solo per il merito di aver definito e generato l’intero concetto del sottogenere Power Suit militare. Perciò, ogni volta che un romanzo di successo (e di qualsiasi genere) viene adattato in un film, quelli appassionati del romanzo vanno nel pallone. Perché alla fine si spera nel meglio temendo il peggio.



In America, il film andò male. Molto male. Dal budget di cento e passa milioni di dollari spesi per produrlo arrivò a incassarne appena una cinquantina. La situazione andò leggermente meglio sul mercato internazionale, portando l’incasso del film a circa centoventi milioni, ma la cosa comunque non portò a un guadagno. Venne anche criticato in quanto ritenuto un adattamento non fedele al romanzo e un film, in generale, insipido e poco riuscito. 

A quanto pare, all’epoca pochi avevano capito realmente il… chiamiamolo messaggio, va’, di Paul Verhoeven. Perché Starship Troopers è forse la più grande presa per il culo di tutti i tempi. Cosa che darebbe di diritto il titolo di re dei troll a Paul Verhoeven. In pratica il film è una scatola cinese nel gioco degli specchi. Una satira spietata a più livelli che critica a 360° il complesso militare-industriale, la politica estera americana e la cultura che privilegia la violenza alla sensibilità e alla ragione.



Il fatto è che la maggior parte dei fraintendimenti e delle critiche a Starship Troopers romanzo riguardano concetti come l’esaltazione di un mondo gerarchizzato e la visione fin troppo romantica e idealizzata della vita militare. Mentre Verhoeven ha passato l’infanzia a L’Aia, nei Paesi Bassi, durante la guerra. Casa sua era nei pressi di una base missilistica tedesca che fu ripetutamente bombardata dagli alleati. 

In un raid lui e i genitori stavano per rimanerci secchi. Insomma, da ragazzino Paul Verhoeven ha probabilmente visto più morte e violenza del necessario. Chiaro che a uno come lui, cioè un tizio che guerra e militari non glieli devi manco menzionare, il pensiero di Robert A. Heinlein possa stare leggermente sulle palle. Allora com’è che si è ritrovato a girare un film simile? Semplice: in realtà, il progetto nacque come opera solo vagamente ispirata al romanzo. 



In un secondo momento, dopo aver acquisito i diritti, film e romanzo si allinearono nella trama. A questo punto Verhoeven provò a leggere pure il romanzo, ma arrivò svogliatamente solo a qualche capitolo, definendolo brutto, noioso e deprimente. Più o meno come andava a finire la storia se lo fece raccontare dallo sceneggiatore Edward Neumeier. Ciò che non si fece scappare, invece, fu l’occasione di farsi pagare per prendere per il culo tutto e tutti. 

A partire dall’impostazione del film che ricalca bellamente quella degli sci-fi anni cinquanta, fino a tante minuzie che a una prima visione possono anche sfuggire. Come il fatto che i protagonisti non sono i soliti americani-tipo. Cioè, i classici personaggi alla John Wayne, “americani” duri e puri unici in grado di salvare il mondo. No, Rico e gli altri sono latino-americani, filippini e così via. Oppure, il fatto che a frustare Rico per l’errore commesso durante l’addestramento sia un uomo di colore. 



Un nero che frusta un bianco è un’immagine concettualmente e visivamente molto forte. Se nel romanzo la più alta espressione di umanità è l’individualismo morale dimostrato dai soldati della Fanteria Mobile che rischiano la propria vita per il bene del gruppo, ma mantengono la loro capacità di pensare e agire in modo indipendente, nel film ogni minima traccia di retorica anche solo vagamente accostabile al fascismo viene gonfiata e portata all’iperbole per essere ridicolizzata. 

Anziché uomini e donne di altissima levatura morale, nel film i soldati vengono messi sotto una prospettiva diametralmente opposta, trattati come oggetti monouso. Tutti assolutamente contenti, galvanizzati da insipidi spot di propaganda, di andare a farsi massacrare in battaglia con il sorriso sulle labbra. Starship Troopers, il film dall’inizio alla fine, non smette mai, nemmeno per un secondo, di prendere per il culo. Soprattutto nel finale.



Non esiste nessun senso di eroismo o valore. I protagonisti, sopravvissuti per miracolo, tornano di nuovo in battaglia. Nell’ennesimo glorioso video di reclutamento il sottinteso è che in guerra l’unica ricompensa per una battaglia ben combattuta è la prospettiva di una ulteriore battaglia. Pertanto bambini, ricordatevi di prendere i proiettili e avere i fucili carichi, in modo che pure voi potrete dire con orgoglio di aver fatto la vostra parte.

Tecnicamente, Starship Troopers dovrebbe essere un pessimo adattamento, e come direbbe Anton Chigurh, di fatti lo è. Tuttavia, a prescindere dalla storia, dalla finzione, dalle intuizione e tutto il resto appresso, il romanzo è interessante per le idee di Heinlein e della sua visione romantica, forse troppo maudlin, della vita militare. Paul Verhoeven è uno cresciuto sotto le bombe, di guerra e militari non gli devi neanche parlare.

Perciò il film, al di là del fatto che i suoi valori siano altissimi e reggano sorprendentemente bene ancora oggi, non lo si può definire adattamento nel senso stretto del termine. Romanzo e film sembrano complementari, tesi e antitesi, due interessanti punti di vista sullo stesso argomento da prendere in considerazione.

Ebbene, detto questo credo che anche stavolta sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.



(Da Il sotterraneo del Retronauta).


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