SOCIOLOGIA E CONTESTAZIONE TRA ’68 E TERRORISMO

Dalla facoltà di Sociologia dell’università di una città abbastanza periferica come Trento negli anni sessanta sono usciti molti giovani leader politici provenienti da organizzazioni cattoliche, alcuni dei quali hanno fondato Lotta Continua, uno dei principali movimenti dell’estrema sinistra, e altri il gruppo terroristico delle Brigate Rosse.
Sempre a Trento, a stretto contatto con il Movimento studentesco, sono affluiti i docenti che domineranno il dibattito culturale degli anni settanta.
L’istituzione della facoltà di Sociologia a Trento nel 1962 rappresenta un momento cruciale nella evoluzione della società italiana. Negli anni che vanno dal 1962 al 1968 diverrà una delle centrali della contestazione, quella dove forse più fu presente la componente cattolica dissidente.
Gli anni sessanta a Trento furono una specie di lungo happening collettivo che terminerà nella violenza. Alcune “delle migliori intelligenze di un’intera generazione” vi presero parte, in nessun altro posto di Italia era possibile in quegli anni ritrovare una simile concentrazione di intellettuali.
L’università fu una creazione di Bruno Kessler, Presidente della Giunta provinciale, che riuscì a convincere la sua Democrazia Cristiana (non troppo entusiasta) che il Trentino aveva bisogno di un centro di studi accademici. Il processo di ricostruzione del dopoguerra poteva considerarsi completato e aveva già iniziato a produrre risultati economici ragguardevoli, adesso necessitava di un supporto culturale.
Così nacque l’Istituto superiore di scienze sociali, in seguito divenuto la prima facoltà di Sociologia in Italia. La sede era in via Verdi e condivideva gli spazi con il Museo Tridentino di Scienze naturali. Nel novembre 1962 gli iscritti furono 226, dei quali 136 erano trentini, 65 di fuori Regione e 25 altoatesini.
Tra i 65 provenienti da fuori regione c’è Marianella Pirzio Biroli, brillante studentessa del liceo Serpieri di Rimini: una mattina legge l’annuncio e accorre a Trento. Chiede quanti sono gli iscritti fino a quel momento, la segretaria le risponde che la notizia è riservata. A novembre, quando le daranno il libretto d’esami, Marianella capirà il perché di tanta riservatezza: è l’iscritta numero due.
Nel 1965 lo studente Renato Curcio le presenta il collega Mauro Rostagno. Lei e Rostagno tirano l’alba a discutere degli esistenzialisti francesi della rive gauche, è amore a prima vista. Di lì a poco vanno ad abitare in una piccola mansarda in via Cavour dove passano le notti a fare l’amore e a parlare di politica, per un po’ è la classica storia due cuori e una capanna.
I genitori non condividono la sua scelta e le scrivono lettere piene di sdegno: «Ti rinneghiamo come figlia».
Da Rimini arriva a Trento una processione di prelati, alti dignitari del Vaticano e antichi amici di famiglia, che cercano di far rinsavire Marianella. Non riescono a capire come una ragazza bella e brillante possa perdere il suo tempo con un mezzo spiantato che vuole fare la rivoluzione.
La storia nel 1967 è comunque agli sgoccioli, lui la tradisce con le altre ragazze del Movimento, lei è stanca di Trento e se ne vuole andare. Quando si laurea nel maggio 1968 con una tesi sul proletariato torinese negli anni 1919-20, relatore Umberto Segre, correlatore Franco Ferrarotti, voto centodieci e lode, la storia è ormai finita da mesi.
Renato Curcio si era iscritto a Sociologia nell’autunno del 1963, a 22 anni era arrivato a Trento con un treno da Genova. Ha letto Camus, Kerouac e Baudelaire, ma ancora non sa cosa vuole dalla vita.
Non ha i soldi per mantenersi all’università, così deve lavorare. All’inizio viene assunto all’hotel Panorama come tuttofare, poi diventerà il segretario particolare del vicesindaco Iginio Lorenzi, socialista.
In questo periodo entra a far parte del Gruppo democratico intesa universitaria trentina (Gdiut) fondato da Marco Boato, in cui si ritrovavano giovani di ispirazione cristiana, ma politicamente laici.
Qui Curcio conosce Mara Cagol, affascinante ragazza di buona famiglia e di saldi principi cattolici che ama lo sci, il tennis e la chitarra classica, che vanta un passato nei boy scout e un presente nel volontariato sociale. La loro relazione diventerà molto nota alle cronache degli anni successivi.
Nel gennaio del 1966, Curcio è tra i promotori dell’occupazione dell’università per protestare contro il Parlamento, il quale ha deciso che a Trento ci si dovrà laureare in Scienze politiche a indirizzo sociologico e non in Sociologia. A prima vista sembra una protesta locale indirizzata contro un problema particolare, ma di fatto diventerà la miccia da cui partì la contestazione in Italia.
Negli ultimi mesi del 1967 Renato Curcio presenta insieme a Mauro Rostagno il “Manifesto dell’Università negativa”, il suo contributo teorico al Movimento. Ci ha lavorato tutta l’estate insieme a Mara. Nel documento si sostiene che “l’università non è altro che uno strumento di dominio al servizio della borghesia che reprime la dimensione critica del pensiero”.
Vengono organizzati due controcorsi: il primo sulla rivoluzione in Cina e il pensiero di Mao (con relazioni, tra gli altri, di Mario Cannella, Filippo Coccia, Giuseppe e Maria Regis); il secondo sull’attuale fase dello sviluppo capitalistico (consigliati testi di Sweezy, Baran, Shanfield, Sylos Labini, Meldolesi, Federico e Nicoletta Stame).
Ma gli eventi incalzano. All’inizio del 1968 scatta l’ennesima occupazione dell’Università, stavolta la contestazione non rimane limitata all’ambito accademico, ma si salda con le nascenti lotte operaie delle fabbriche locali Michelin, Sloi, Italcementi e Caborchimica.
I moti del 1968 stavano diffondendosi in tutta Europa, ma ormai la stagione trentina di Renato Curcio era al termine: completa tutti gli esami nel 1969 ma non si laurea per scelta politica. Ai primi di novembre è a Chiavari, al convegno all’hotel Stella Maris, dove si gettano le basi per l’avvio della “lotta armata” in Italia.
Venendo da Torino, Mauro Rostagno si iscrive a Sociologia il primo ottobre del 1963, ha 21 anni, è bello, scanzonato e dotato di un innegabile carisma. Con la barba nera e la giacca militare verde assomiglia a Che Guevara e affascina tutte le universitarie con un debole per i ribelli.
Diventa da subito un sodale di Curcio, benché diversissimi di carattere: estroverso e brillante Rostagno, introverso e ombroso Curcio. Come abbiamo visto, è Curcio a presentarle Marianella Pirzio Biroli, appassionata come lui di Camus e di Sartre, che aveva conosciuto un anno prima e con la quale il torinese formerà una coppia tutta amore e rivoluzione.
È proprio dal loro nido d’amore, la minuscola mansarda affittata in via Cavour, che Rostagno pone le basi per diventare il leader della rivolta giovanile.
Il 24 gennaio del 1966 è tra quei 60 studenti che, presa la decisione di occupare la sede universitaria, pernottano tra gli spifferi gelidi nel vecchio palazzo di via Verdi.
L’occupazione dura 18 giorni, durante i quali la popolazione firma a favore delle richieste degli studenti: la prima prova da leader di Rostagno è brillantemente superata.
Nel 1967 è tra i promotori della protesta degli studenti universitari contro la guerra in Vietnam. Dai problemi interni all’università si passa a protestare contro problemi legati alla politica internazionale.
Durante i duri giorni dell’occupazione del 1968 con un lungo documento intitolato “Università come istituto produttivo”, dove paragona il laureato a una merce, Rostagno consacra la sua aura di leader.
Verso la fine dell’anno Rostagno inizia a intravedere i limiti delle lotte studentesche che, nonostante l’impegno profuso, non sono riuscite a coinvolgere la grande massa del proletariato. Trento, inoltre, comincia a essere piccola per lui, ormai noto a livello nazionale.
Nel 1969 si trasferisce a Milano dove, in quello stesso anno, fonda Lotta Continua insieme a Marco Boato e Adriano Sofri. Tornerà a Trento solo nel 1970, quando si laurea in Sociologia con una tesi di gruppo su Rapporto tra partiti, sindacati e movimenti di massa in Germania, con una provocatoria discussione nonostante la quale consegue il massimo dei voti e la lode.
Tra gli iscritti del 1963 c’è anche Marco Boato: ha 19 anni, arriva da Venezia e ha una memoria prodigiosa. È stato un topo di biblioteca per tutto il periodo dell’adolescenza, durante il quale ha letto moltissimo.
Fervente cristiano, fonda nel 1964 il Gruppo democratico intesa universitaria trentina (Gdiut), movimento di politica universitaria di ispirazione cristiana, ma interamente laico sul piano programmatico.
Nel 1966, in seguito alla prima occupazione, viene chiamato, prima volta per uno studente, a far parte del consiglio di amministrazione dell’Università con voto consultivo. Boato è protagonista assoluto della lunga occupazione del 1968, la sua figura attira anche le telecamere della Rai.
Al cronista che gli chiede: “Vi ponete dunque fuori dall’università?”, Boato risponde: “Ci poniamo fuori dal sistema”.
Si laurea nel febbraio 1970 con una tesi intitolata “Analisi politica del movimento studentesco italiano” e viene arrestato due mesi dopo per i fatti accaduti durante i disordini di Trento del 17 aprile. L’accusa è di avere incitato gli studenti alla violenza. Vengono criticati metodi di indagine: “gli arresti sembrano ispirarsi più a un criterio di rappresentatività politica che al rispetto del principio costituzionale secondo cui la responsabilità penale è personale”.
Verrà scarcerato cinque giorni dopo, uscendo di galera con il pugno chiuso tra gli applausi scroscianti della folla.
È di educazione cattolica anche Mara (Margherita) Cagol. Capelli neri e occhi verdi, mamma bolognese e padre di Rovereto, si iscrive a Sociologia nel 1964. Ha militato negli scout e ha studiato chitarra classica, conosce Renato Curcio già al primo anno e si lascia affascinare dalla sua aria da cane bastonato. Durante la prima occupazione tiene un concerto di chitarra classica molto applaudito.
Il 2 agosto del 1969 alle sette e mezzo del mattino, all’età di 24 anni, sposa Renato Curcio nella piccola chiesa di San Romedio tra i boschi della Val di Non. Si è laureata cinque giorni prima con 110 e lode discutendo una tesi su la “Qualificazione della forza lavoro nelle fasi dello sviluppo capitalistico”, relatore Francesco Alberoni.
La sera stessa gli sposini si trasferiscono a Milano portandosi dietro soltanto una chitarra.
A Milano vivono in viale Sarca, a cento metri dalla Pirelli. Con Mario Moretti, tecnico della Siemens, e Alberto Franceschini, che studia ingegneria mineraria a Bologna fondano il Collettivo politico metropolitano, l’anticamera delle Brigate Rosse.
L’impatto con Milano cambia completamente Mara Cagol, il 28 novembre del 1969 invia una lettera alla madre dove le dice che: “Questa grande città che in un primo momento mi è apparsa luminosa e piena di attrattive mi appare sempre di più come un mostro feroce che divora tutto quello che di naturale, di umano e di essenziale c’è nella vita”.
Mara Cagol è convinta che Milano abbia bisogno di essere trasformata da un profondo processo rivoluzionario e che solo nel cambiare la società possa trovare il senso profondo della sua vita.
Anche Paolo Sorbi, di Firenze, si iscrive a Sociologia nel 1964, perché “curioso del mondo e dei suoi conflitti”. Anche lui è un cattolico del dissenso, discepolo di Giorgio La Pira e profondo conoscitore del pensiero del filosofo cattolico Jacques Maritain.
Nel gennaio del 1968 entra di soppiatto al liceo Prati, la scuola dei figli della borghesia trentina, e li incita a partecipare alla riunione di Potere studentesco che si terrà nel pomeriggio. “Dobbiamo scendere in lotta contro le strutture oppressive della scuola”, dice. Il preside chiama le forze dell’ordine.
Ma la più grossa la combina il 26 marzo 1968, durante la Settimana santa. Sono le 19.15, padre Iginio Sbalchiero, dei frati minori francescani di Firenze, celebra la messa nel duomo di Trento e durante l’omelia si scaglia contro l’Unione Sovietica e i suoi gulag. Sorbi si alza dalla sua panca a metà della navata gridando “Non è vero! Non è vero!”. Succede il finimondo, viene circondato dai fedeli, preso a pugni e costretto a uscire dalla chiesa.
Ormai il sasso nello stagno è stato lanciato. Ai giornalisti che accorrono, Sorbi racconta che il suo gesto è motivato unicamente da motivi religiosi, perché “non vi può essere rivelazione senza rivoluzione”.
Nei giorni successivi la polemica si gonfia, gli studenti organizzano controquaresimali sul sagrato della cattedrale con il sostegno di una parte del mondo cattolico. Di li a poco Sorbi si laureerà con una tesi su “Urbanesimo e lavoro”, relatore Umberto Segre.
A metà 1968 la tensione all’università di Trento è a un punto di non ritorno, la lunga occupazione del febbraio-aprile 1968 ha “bruciato” irrimediabilmente il direttore dell’Istituto Mario Volpato, la conflittualità tra gli studenti e il corpo insegnanti è arrivata a un livello insostenibile.
È Norberto Bobbio a suggerire il nome di Francesco Alberoni come unica persona capace di disinnescare la situazione esplosiva a Sociologia.
Sulle prime Alberoni nicchia, insegna a Milano, alla Cattolica, non gli va di trasferirsi sulle montagne. È laureato in medicina, ma alla cattolica padre Agostino Gemelli lo ha indirizzato verso la sociologia, perché “è una disciplina che diventerà molto importante negli anni a venire”.
Il 3 luglio 1968, Alberoni si presenta a Trento in un’aula stipata all’inverosimile dove Fernando, un “rivoluzionario” spagnolo ospite del movimento, gli si avvicina, lo saluta con il pugno chiuso e lo abbraccia. I due si conoscono e si stimano da tempo, l’aula ammutolisce.
Alberoni esordisce con il botto: “Non sono qui per parlare di me, sono qui per ascoltare voi”. Alberoni ha accettato la direzione dell’Università di Trento a patto di poter fare di testa sua e i politici gli danno carta bianca.
Il periodo della direzione Alberoni (dalla “svolta” del 1968 al 3 marzo 1970, quando diede le dimissioni e lasciò Trento) rappresentò il momento più significativo dell’esperienza politico-culturale della facoltà di Sociologia. Alberoni rinnovò completamente il parco insegnanti, chiamando molti giovani che arrivavano soprattutto dalle università di Milano e Bologna.
Ricordiamo Gian Enrico Rusconi, Bruno Manghi, Franco Fornari, Tullio Aymone, Carlo Tullio Altan, Giorgio Galli, Ettore Rotelli, e Paolo Ungari, a cui si aggiunse nel 1969-70 il giovane Mario Monti (per un solo anno). Mentre nel 1972-73 iniziò la sua carriera accademica proprio a Trento l’altrettanto giovane Mario Draghi, nella neo-costituita Facoltà di Economia.
Alberoni prese sul serio il dialogo con gli studenti, costruendo insieme a loro l’esperienza inedita della “Università critica”, con una discussione collegiale sui contenuti dei corsi e sui metodi non “cattedratici” della didattica.
Fu un’esperienza innovativa, anche se incontrò molte difficoltà per la progressiva radicalizzazione politico-ideologica di parte del Movimento studentesco. L’esperienza di Trento come situazione singolare e irripetibile nel 1970 era ormai terminata, stavano iniziando gli anni di piombo.
Leggere tutti questi nomi del bel mondo intellettuale e della upper class cattocomunista italiana di quegli anni e degli anni a venire – dai brigatisti storici fino a Monti e a Draghi! – mi fa venire voglia di due cose: rivedermi i primi tre film di Fantozzi, e cambiare Paese.