SCENEGGIATORE E DISEGNATORE CREANO MAGIE

Il fumetto nella sua essenza è quasi sempre stato un lavoro di coppia. Uno scenggiatore si occupa di scrivere un testo e un disegnatore si preoccupa di illustrarlo.
Funziona così dall’inizio dei comic book. Naturalmente il rapporto tra sceneggiatore e disegnatore è stato negli anni declinato in tutte le maniere possibili.

Una rarissima pagina scritta di Stan Lee riguardante l’introduzione dei Fantastici Quattro, dopo che la storia vera e propria era già stata disegnata da Jack Kirby
Alcuni autori fornivano al disegnatore pochi spunti che lasciavano sviluppare allo stesso. Altri, invece, elaborano pagine e pagine di dettagliatissime descrizioni.
Ovviamente tutte le vie di mezzo sono possibili. Il fattore più importante, per la realizzazione di un buon fumetto è sempre stata la “chimica” che si instaura tra scrittore e disegnatore.
È un fattore che quando si verifica può dare origine a veri e propri capolavori. La storia del fumetto americano è piena di coppie che hanno funzionato bene, altre molto bene e alcune come meglio non si può.
È proprio su queste ultime che abbiamo puntato i riflettori alla caccia di creazioni che si sono imposte come canoni assoluti per la loro qualità estetica, il loro impatto storico e la loro capacità di innovare il media.

Una dettagliata pagina della sceneggiatura di Watchmen, scritta da Alan Moore per Dave Gibbons (due inglesi al servizio dei fumetti americani)
Abbiamo selezionato dieci coppie di autori che sono stati capaci di realizzare opere storicamente significative, o individualmente eccellenti oppure entrambe le cose.
Sono tutte il risultato di un lavoro in coppia che ha saputo travalicare il semplice rapporto tra professionisti per attingere a motivazioni più profonde che legano gli esseri umani in maniera particolarmente stretta, come due alpinisti nella scalata in cordata.
Abbiamo scelto non episodi singoli, ma serie più o meno lunghe, in modo da trovarci di fronte a opere di un certo respiro. Ci siamo imposti di selezionare almeno una coppia per ciascuna delle età in cui è tradizionalmente suddiviso il fumetto americano: Golden age, Silver age, Bronze age…
Ecco a voi le 10 coppie più importanti del fumetto supereroistico americano e i loro capolavori.
Siegel & Shuster
La coppia che creò Superman, e quindi il fumetto supereroistico, era formata da due venticinquenni di Cleveland: Jerry Siegel e Joe Shuster.
La storia che apparve nel 1938 sul primo numero di Action Comics conteneva molti degli elementi che daranno vita al mito: l’identità segreta Clark Kent, la controparte femminile Lois Lane, il Daily Star (poi Daily Planet) e la città di Metropolis.
Fu effettivamente un lavoro di coppia, Siegel scrisse con impegno la storia e Shuster la disegnò al meglio delle proprie possibilità.
In seguito Jerry Siegel continuò a scrivere la sceneggiatura del personaggio, ma a causa di problemi agli occhi il co-creatore Joe Shuster non era già più l’artista principale dopo il secondo anno di pubblicazioni.
Shuster disegnò e inchiostrò completamente i primi 5 numeri, disegnò e co-inchiostrò i numeri dal 6 al 10 e disegnò o co-disegnò gli episodi dall’11 al 24. Shuster fece in tempo a dare vita alla prima nemesi di Superman, l’Ultra-Humanite, che compare sul numero 13 e viene apparentemente ucciso sul numero 21, per essere sostituito da Lex Luthor sul numero 23.
Joe Shuster, continuò a mantenere un certo controllo artistico su Superman sub-appaltandolo ad altri disegnatori del suo studio.
Siegel e Shuster lasciarono la Dc Comics, allora chiamata National Allied Publications, dopo la scadenza del loro contratto e persero la causa contro la casa editrice per il possesso del copyright di Superman. Solo negli anni settanta ottennero un modesto vitalizio.
Finger & Kane
L’altra coppia mitica della Golden age è quella formata dallo sceneggiatore Bill Finger e dal disegnatore Bob Kane. I due crearono il personaggio di Batman nel 1939, sul n. 27 di Detective Comics.
Poiché lo sceneggiatore Bill Finger era un collaboratore del disegnatore Bob Kane, che era il solo ad avere un contratto con la casa editrice, il nome di Kane è l’unico ad apparire nella prima pagina della serie.
Sembra invece che sia stato proprio Bill Finger il creatore principale di Batman: sua l’idea del nome, della maschera con le orecchie a punta, del mantello, del costume di calzamaglia grigia e della batmobile.
Sua l’idea dell’origine del personaggio, di come Bruce Wayne perse i genitori durante una rapina. Sua perfino l’espressione Dark Knight, Cavaliere Oscuro.
Bill Finger scrisse i primi due episodi della serie, con il terzo episodio e per i sei successivi gli subentrò Gardner Fox, il quale introdusse elementi soprannaturali e fantastici che Finger eliminò al suo ritorno sul numero 35.
Finger scrisse tutti gli episodi di Batman su Detective Comics dal n. 35 al n. 59, i sette dal n. 60–68 e poi solo quattro dei successivi diciassette numeri, lasciando la serie dopo il n. 85 (marzo 1944).
Fu il principale artefice della creazione di personaggi fondamentali quali Robin, il Joker e Catwoman. Kane disegnò a matita tutti i numeri (tranne uno) dal 27 al 74 e poi quattro degli otto successivi, lasciando la serie dopo il numero 82 (dicembre 1943).
Bob Kane è sempre stato considerato l’unico autore di Batman, mentre il contributo di Bill Finger come co-creatore è stato riconosciuto soltanto recentemente.
La presidente della Dc Entertainment, Diane Nelson, comunicò nel 2015 che Finger sarebbe stato accreditato assieme a Bob Kane nei titoli di testa del film Batman Vs Superman: Dawn of Justice.
Marston & Peter
Wonder Woman compare per la prima volta nel 1941 sulle pagine di Sensation Comics (un albo antologico di 64 pagine come Detective Comics e Action Comics), lo stesso anno migra su All Star Comics e da qui passa a Comic Cavalcade.
Finalmente, nel luglio 1942, divenne il secondo personaggio femminile ad avere un albo con la testata dedicata a lei (dopo la tarzanide Sheena, che però non era una supereroina).
Spinto dal successo, l’autore delle storie venne allo scoperto: era lo psicologo William Moulton Marston, uno degli inventori della macchina della verità, all’epoca usata da alcuni tribunali americani.
William Moulton aveva scelto Harry G. Peter come disegnatore e si accreditò con lo pseudonimo congiunto di Charles Moulton.
Nelle sceneggiature originali, Marston descriveva le scene sado-maso, di cui il fumetto è pieno, con dettagli precisi in modo che Harry G. Peter potesse disegnarle esattamente.
Nella prima delle storie pubblicate sul numero 2 di Wonder Woman, la nostra eroina viaggia “in un paese devastato, dove gli uomini del dio Marte stanno raccogliendo prigionieri”. Anche lei viene fatta prigioniera.
Così recita la sceneggiatura: “Primo piano, figura intera di Wonder Woman. Mettici un bel po’ di catene qui: gli uomini di Marte sono dei veri esperti! Metti un collare di metallo su Wonder Woman con una catena che fuoriesce dalla vignetta, come se fosse incatenata nella fila dei prigionieri”.
“Tiene le mani giunte al seno con doppie fasce sui polsi, tra questi corre una corta catena, circa la lunghezza di una catena di manette: questo è ciò che la costringe a unire le mani. Quindi metti un’altra catena più pesante e più grande tra i suoi polsini, che pende in un lungo anello appena sopra le sue ginocchia. Alla altezza delle sue caviglie mostra un paio di braccia e mani che escono dalla vignetta, che si stringono intorno alle sue caviglie. L’intera vignetta risulterà debole e rovinerà la storia a meno che queste catene non vengano disegnate esattamente come ti ho descritto”.
Marston morì nel 1947, ma la sua firma continuò ad apparire fino a quando Robert Kanigher lo sostituì ufficialmente in Wonder Woman n. 31 (settembre 1948). Peter ha continuato la serie fino alla morte, le sue ultime matite e inchiostri sono apparsi nel numero 97 (1958).
Con Superman e Batman, Wonder Woman è uno dei soli tre personaggi della Golden age che mantennero le loro testate tra gli ultimi anni quaranta e i primi dei cinquanta, quando i supereroi entrarono in (temporanea) crisi a vantaggio di altri generi.
Lee & Kirby
Stan Lee e Jack Kirby sono senza ombra di dubbio la coppia delle coppie. I nove anni in cui realizzarono i Fantastici Quattro rappresentano una delle più lunghe collaborazioni continuative su un singolo titolo nella storia dei fumetti americani.
La serie dei Fantastici Quattro, iniziata nel 1961, ha ridefinito il genere dei supereroi introducendo, numero dopo numero, così tante novità che non è possibile elencarle tutte in un singolo articolo.
Finché furono una coppia Lee e Kirby funzionarono come una delle più perfette macchine produttrici di fumetti che si fosse mai vista in giro. Erano complementari. Quello che mancava a l’uno, l’altro lo aveva. La loro collaborazione ha ancora oggi dell’incredibile.
Non si erano mai visti fumetti così leggeri eppure profondi, quotidiani eppure straordinari, rigorosi e allo stesso tempo folli, ancorati al passato e nello stesso tempo proiettati verso il futuro.
I Fantastici Quattro furono un fenomeno pop che seppe catturare in modo unico tutta la magia degli anni sessanta.
Burattinai, uomini impossibili, russi con tre scimmie, pensatori pazzi, faraoni del futuro, uomini molecola, pesti dello spazio, uomini con pistole che sparano colla… il bestiario dei personaggi apparsi su queste pagine è quanto di più colorato e psichedelico si fosse mai visto prima in un fumetto.
I 102 numeri che i due realizzarono insieme rappresentano ancora oggi l’espressione più compiuta di tutto ciò che il fumetto può essere.
Lee & Ditko
Sebbene Jack Kirby abbia disegnato le prime prove dell’Uomo Ragno, Stan Lee scelse infine di farlo fare a Steve Ditko, ritenendolo più adatto a disegnare un adolescente non ancora completamente sviluppato fisicamente (o comunque così gli sembrava di ricordare).
L’editore Martin Goodman aveva poca fiducia nel personaggio, soprattutto perché gli adolescenti nei fumetti, dai tempi di Robin, erano generalmente rappresentati come aiutanti degli eroi principali.
Il primo episodio venne inserito nell’ultimo numero dell’albo antologico Amazing Fantasy.
Il successo di pubblico permise a Lee di reintrodurre il personaggio sei mesi dopo in un nuovo albo lanciato per l’occasione: The Amazing Spider-Man n. 1 (marzo 1963), che in poco tempo portò l’arrampicamuri a diventare il personaggio di punta della Marvel.
All’inizio la collaborazione funziona meravigliosamente, i caratteri dei due autori sembrano rispecchiarsi nelle due identità del personaggio: il timido e introverso Steve Ditko si rispecchia nel taciturno e pensieroso Peter Parker, mentre il sorridente e ottimista Stan Lee si rispecchia nel logorroico e sfrontato Uomo Ragno.
Ben presto però i due furono in disaccordo su tutto. Lee avrebbe voluto creare un’atmosfera più rilassata e premeva per avere più scene con l’Uomo Ragno in azione. Ditko, al contrario, era più interessato al mondo pieno di problemi degli adolescenti e alle traversie di Peter Parker.
Con il n. 18 i nodi vennero al pettine, Ditko rifiutò di discutere con Lee i soggetto e cominciò a disegnare senza alcuna traccia, mentre Lee, come al solito, aggiungeva i dialoghi alla fine. Con il n. 38, ormai ai ferri corti, Ditko lasciò l’albo. Lee continuò a scrivere la serie con John Romita e altri disegnatori fino al numero 110 (luglio 1972).
O’Neil & Adams
A fine anni sessanta, la serie di Lanterna Verde era a rischio chiusura a causa delle scarse vendite. Il direttore della Dc Comics, Carmine Infantino, e l’editor della testata, Julius Schwarz, decisero di fare un ultimo tentativo introducendo nella serie un personaggio minore: Freccia Verde.
La serie fu ribattezzata Green Lantern / Green Arrow e fu affidata a due giovani promesse: Dennis O’Neil e Neal Adams, che già avevano collaborato nelle storie di Batman su Detective Comics.
I due riuscirono a portare sulle pagine di un fumetto temi che in quegli anni erano al centro della Contestazione giovanile o di cui parlavano i giornali, come l’inquinamento, le tensioni razziali, la sovrappopolazione, la povertà delle periferie e la diffusione delle droghe pesanti.
L’esperienza di O’Neil, che veniva dal giornalismo, e l’estremo realismo del disegno di Adams resero la proposta assolutamente credibile.“Quando lavori con qualcuno e scopri che è semplice lavorarci, allora puoi prendere certe scorciatoie che altrimenti non potresti percorrere”, ha osservato Neal Adams in una intervista.
“Ci capivamo senza parlare, in questo modo Denny perdeva meno tempo in lunghe descrizioni e mi forniva solo una breve traccia da seguire, così poteva dedicare più tempo ai dialoghi. In questo modo credo di aver tirato fuori da Denny i migliori dialoghi possibili. Tiravamo fuori il meglio l’uno dall’altro”.
Nonostante l’impegno del duo e l’apprezzamento della critica, le vendite continuarono a rimanere deludenti e il titolo fu cancellato con il numero 89 (maggio 1972).
A dispetto degli sconfortanti esiti commerciali la serie negli anni fu ristampata varie volte, fino a diventare un oggetto di culto e a far scrivere nel 2018 al critico Abraham Riesman sulla rivista Vulture: “Green Lantern n. 76 fu il momento in cui i fumetti di supereroi si svegliarono”.
Claremont & Byrne
Il merito di Chris Claremont e John Byrne, quando reinventarono assieme gli X-Men, fu quello di trasportare in una serie mainstream le idee che avevano contraddistinto il lavoro di Jim Starlin e Steve Englehart e degli altri creativi degli anni settanta: meditazioni su corruzione, mortalità, misticismo e totalitarismo.I due si destreggiarono in più sottotrame di quante non ne avessero aperte Stan Lee e Jack Kirby sui Fantastici Quattro, e si intrufolarono in un sacco di drammi personali, per i quali i personaggi affascinanti di John Byrne, con zigomi alti, labbra carnose, fossette e occhi a mandorla, erano veicoli perfetti.
Come soap opera fu forse superiore persino all’Uomo Ragno di Stan Lee e Steve Ditko, piena di storie d’amore agonizzanti, crisi di fiducia in se stessi, conferenze sulla moralità, cicatrici psichiche e preoccupazioni.
Ancora una volta i due autori funzionarono bene perché erano molto diversi. Byrne odiava molte cose di Claremont, come il corsivo dilagante per aggiungere enfasi ai dialoghi, gli infiniti balloon pieni di pensieri e i dialoghi cupi.
“L’idea di Chris per un numero perfetto degli X-Men”, disse una volta Byrne, “sarebbe 22 pagine di loro che passeggiano per il Village o nell’appartamento di Scott o qualcosa del genere, dove si siedono senza costume, in jeans e t-shirt, e continuano a parlare, parlare, parlare…”.
Claremont ha sempre ammesso che ciò che lo interessava di più erano le interazioni umane e le relazioni emotive. Persino la potente reincarnazione di Jean Grey nei panni di Fenice Nera fu al centro di molti disaccordi tra Claremont e Byrne, che avrebbe piuttosto preferito concentrarsi su Wolverine, il suo personaggio preferito.
Anche se lo sceneggiatore e il disegnatore sembravano spesso lavorare per scopi diversi, quando i frutti della loro collaborazione raggiungevano la pagina stampata era sempre magia pura. Il pubblico gradì e trascinò le vendite di X-Men verso il primo posto per molti anni.
Moore & Gibbons
Alan Moore ha fatto coppia con diversi disegnatori, alcuni molto dotati, altri alle prime armi, altri ancora a fine carriera. Con tutti costituiva un’accoppiata sbilanciata, dove la sua figura era molto più importante di quella del disegnatore. Salvo forse in un caso: quando fece coppia con Dave Gibbons su Watchmen.
Ora non ci metteremo a tessere le lodi di Watchmen, non c’è n’è proprio bisogno. Siamo qui solo per capire come mai la chimica tra i due funzionò così bene.
Gibbons sostiene che fu perché Moore è uno sceneggiatore molto visivo e lui un disegnatore molto letterario. Immaginiamo di sì, ma vediamo cosa vuole dire.
Dave Gibbons lavorò a lungo per trovare il look del Comico: “Alla fine decisi per un vestito di pelle nera, ma non sembrava molto comico e quindi gli disegnai un piccolo distintivo giallo brillante con su una faccia sorridente. Alan lo vide e disse: Ah, quello può essere l’inizio della storia, se gli spruzziamo del sangue simboleggerà la morte del Comico”.
“E così ci mettemmo sopra una spruzzata di sangue. Poi, guardandolo, ci rendemmo conto che quello che avevamo appena creato sarebbe stato il simbolo dell’intera serie”.
Una altra volta a Gibbons scappò detto riguardo Watchmen: “Forse in questo mondo non leggono i fumetti dei supereroi, leggono i fumetti di pirati”. Era solo un dettaglio usa e getta, ma Moore lo trasformò in un’intera sottotrama che fa da contrappunto alle altre per l’intera serie.
Anche Moore e Gibbons alla fine litigarono, per esempio quando ci fu da discutere sui diritti derivanti dall’uscita del film Watchmen di Zack Snyder, che Moore per protesta non voleva assolutamente e ai quali invece Gibbons non intendeva rinunciare.
Miller & Mazzucchelli
Frank Miller è ovviamente un autore completo fatto e finito, uno dei più grandi assieme a Hugo Pratt e a Hergé. Nondimeno ha spesso realizzato degli ottimi testi che sono stati realizzati da altri disegnatori, spesso dei mostri sacri come Bill Sienkiewicz e Geof Darrow. Eppure quasi tutti hanno fatto rimpiangere il fatto che quei fumetti non li avesse disegnati Miller stesso. Tutti i disegnatori meno uno: David Mazzucchelli.
David Mazzucchelli ha disegnato Devil Born Again e Batman Year One come li avrebbe disegnati lo stesso Frank Miller. Con un segno così essenziale da rasentare l’astrazione, ma talmente espressivo da catturare l’emozione che danza ogni momento sui volti dei protagonisti.
Se il Batman di Dark Knight è troppo vecchio, cinico e disilluso come tutti i vecchi, quello di Anno Uno è troppo giovane, arrogante e imprudente come tutti i giovani. Chi ha l’età giusta è il commissario Gordon, che infatti è il vero protagonista della miniserie.
Preannunciando le atmosfere di Sin City, questo fumetto è un neo noir. Una storia di criminali e poliziotti come se ne facevano tante negli anni trenta, quando Batman nacque.
E allora Mazzucchelli, che aveva disegnato Devil in Born Again confidando soprattutto sulla linea, qui torna alle ombre dense e sporche del fumetto degli anni della guerra, andando oltre Frank Robbins e Alex Toth, tornando indietro fino a Milton Caniff e Noel Sickles.
Il risultato è una perfetta integrazione tra forma e contenuto, che fa di Anno Uno uno dei fumetti più importanti di sempre.
Busiek & Ross
Nel pieno della follia anni novanta, quando la bolla speculativa delle mega vendite si stava sgonfiando e tutti cominciavano ad accorgersi che eravamo pieni solo di fumetti dai disegni scenografici basati su storie senz’anima, due giovani promesse decidono di tuffarsi a capofitto in un’operazione nostalgia che cambierà il fumetto americano: Marvels.
Nel 1993 al disegnatore Alex Ross, che si caratterizza per uno stile pittorico ultrarealistico, viene l’idea di realizzare una serie di racconti di 12 pagine con protagonisti i principali eroi della Marvel dalla Golden age in poi. Ne parla a Kurt Busiek, sceneggiatore freelance che conosce da poco.
Kurt Busiek non crede all’idea dei racconti brevi, preferisce una storia lunga con un filo conduttore che unifichi le varie trame e che dia una struttura all’intero lavoro.
Si inventa così il personaggio di Phil Sheldon, un giornalista di cronaca che per lavoro deve incontrare i super-eroi Marvel.
Busiek e Ross pensavano di realizzare storie nuove, ma fu Tom De Falco, direttore della Marvel negli anni novanta, a dare loro il suggerimento finale: “Perché non raccontate gli eventi principali dell’universo Marvel visti attraverso gli occhi di un reporter?”.
“Quando Tom De Falco ci suggerì di farlo, trovai la sua idea al contempo eccitante e spaventosa. Eccitante perché sapevo che avrebbe reso il tutto molto più interessante. Spaventosa perché capii che avrei dovuto fare un sacco di ricerche”, ricorda Kurt Busiek.
Negli anni in cui spopolavano mutanti dai capelli lunghi, cloni, copertine dalle mille varianti e costumi tamarri, il ritorno al sense of wonder, alla meraviglia, aveva tutta l’aria di una piccola rivoluzione.
Kurt Busiek e Alex Ross, in un certo senso, hanno chiuso il cerchio ricordando a noi tutti da dove veniamo.
i fumetti che realizzo, del tutto amatoriali (anche se non mi dispiacerebbe fare il “salto di qualità”) li realizzo tutti da solo, sia testi che disegni…questo mi permette di unire la passione per il disegno a quella per la scrittura, non so se dividendo il lavoro con un altro autore mi troverei bene…forse mi troverei meglio se fossi io lo sceneggiatore e il disegnatore un altro, più che il contrario, giusto per qualche mio limite tecnico che ho nel disegnare… Poi sono rapporti, umani e professionali, che vanno anche vissuti 🙂