RICHARD KUKLINSKI DETTO ICEMAN NE UCCIDE 200

RICHARD KUKLINSKI DETTO ICEMAN NE UCCIDE 200

In un bosco alla periferia di New York, a metà degli anni ottanta, viene ritrovato un cadavere con segni di congelamento. Si tratta del corpo di Louis Masgay, un commerciante che era stato visto l’ultima volta, due anni prima, insieme a Richard Kuklinski, un individuo sospettato di lavorare per la mafia.
Secondo la polizia l’intenzione dell’assassino, che in quei due anni deve aver tenuto il corpo nel frezeer, era di farlo trovare a una tale distanza di tempo da distogliere ogni sospetto da lui. Solo che la polizia lo ha rinvenuto in anticipo, quando sono ancora evidenti i segni del congelamento. Questo tentativo mal riuscito farà guadaganre a Kuklinski il soprannome di Iceman, “Uomo di ghiaccio”.

Richard Kuklinski è nato nel 1935 in una zona abitata da immigrati polacchi di Jersey City, nell’area metropolitana di New York. Da piccolo subisce continue percosse dai genitori, Stanley e Anna. L’uno è un ubriacone che fa il ferroviere, l’altra una fanatica religiosa che ha sofferto un’infanzia da orfana.
Il padre lo picchia con i pugni, la madre con il manico della scopa. Per risparmiare, gli comprano sempre vestiti con taglie molto grandi in modo che durino anni. Lo stesso trattamento viene riservato ai suoi tre fratelli.

Un giorno Florian, il maggiore, viene percosso violentemente dal padre finché perde i sensi. Siccome non torna in sé, viene chiamata un’ambulanza. Richard, che ha solo cinque anni, guarda con le lacrime agli occhi gli infermieri mentre portano via il fratello e prega per la sua salvezza. Non sarà sufficiente.

Alla polizia, che bussa alla porta dei Kuklinski per chiedere spiegazioni sulla morte di Florian, papà Stanley racconta che il figlio è caduto dalla tromba delle scale mentre giocava in modo spericolato. Gli agenti danno una veloce occhiata intorno e se ne vanno senza fare commenti.
Il piccolo Richard sente l’odio verso il padre montargli sempre di più. Crescendo, nelle sue fantasie uccide i genitori ogni notte, mentre nella realtà sfoga la rabbia iniziando a uccidere i cani randagi.

Un giorno, camminando per strada, ruba una bottiglia di vino. È il suo primo furto. Pian piano se la scola tutta anche se, essendo un bambino, non aveva mai bevuto alcolici prima. Poi rimane tappato in casa per una settimana, convinto che la polizia lo cerchi per arrestarlo. Ma non accade nulla e si convince che commettere un reato senza farsi scoprire sia molto facile.

A 13 anni è ormai stufo delle continue battute di Charley Lane, un ragazzo del quartiere che lo prende in giro per i suoi vestiti logori, chiamandolo barbone. Il giorno in cui Charley passa davanti a casa sua senza il codazzo degli amici, lo massacra a bastonate. Non vorrebbe ucciderlo, ma questo è il risultato che ottiene. E non gli dispiace proprio per niente.

Nasconde il cadavere e, appena scende la notte, lo getta da un ponte. Non verrà mai ritrovato. Quando alcuni ragazzi gli vengono a chiedere se ha visto Charley, prende a bastonate pure loro.
A questo punto Richard organizza una banda, con la quale irrompe nei supermercati per svuotare gli scaffali, soprattutto quelli degli alcolici.

Diventando sempre più esperta, la banda passa ai più remunerativi furti con scasso. Il resto del tempo Richard lo trascorre al bar, dove diventa un asso del biliardo. Nei primi anni cinquanta, un tizio che gioca con lui lo chiama “sporco polacco” (riferendosi alle origini del padre) per fargli sbagliare un colpo, allora Richard, approfittando del fatto che intorno a loro non c’è nessuno, lo colpisce ripetutamente con la stecca fino a ucciderlo.

Poi se ne va in tutta tranquillità, lasciando il corpo riverso sul biliardo. Ormai ci ha preso gusto a uccidere, gli basta ricevere un’occhiata storta per togliere la vita a una persona.
Non è ancora maggiorenne quando assume l’abitudine di andare, di notte, nelle vie più malfamate di Manhattan alla ricerca di prede. Individua un vagabondo o un gay, lo segue e, appena si presenta l’occasione giusta, lo uccide.

Non che ce l’abbia con queste due categorie in particolare, sa solo che può sfogarsi più facilmente con loro che con altri perché la polizia, in questi casi, spesso chiude velocemente le indagini. Le forze dell’ordine si chiedono il motivo di tutte queste morti, ma alla fine si convincono che deve trattarsi di regolamenti di conti all’interno della mala.
“Quello che mi piaceva di più era la caccia”, dirà anni dopo Richard Kuklinski, “l’uccisione in sé era un fatto secondario”.

A 19 anni, nel 1954, è diventato un ragazzone alto due metri per 135 chili di peso. È questo l’anno in cui inizia a frequentare una ragazza italoamericana. L’essersi messo insieme a lei in un’epoca in cui l’area di New York è ancora divisa in quartieri etnici, gli permette di incontrare i mafiosi più in vista.

Il primo è Roy De Meo, con il quale litiga subito, tanto che il boss ordina ai suoi uomini di picchiarlo. In seguito, i due diventano amici. Saputo dell’hobby sanguinario di Richard Kuklinski, De Meo lo mette alla prova indicandogli una persona a caso e chiedendogli di ucciderla. Richard obbedisce senza battere ciglio, ottenendo così un posto nella mafia.

Lavorerà anche per la famiglia dei De Cavalcante e poi per quella dei Gambino, la più potente di New York. Naturalmente gli viene assegnato il ruolo di killer, che lui accetta volentieri perché non avrebbe mai sperato che qualcuno lo pagasse per svolgere l’attività che più lo diverte.

Il mafioso Sammy Gravano gli ordina di uccidere un capomafia rivale, e il boss John Gotti lo assume per torturare e assassinare il vicino che aveva investito il figlio.
Kublinski viene mandato ovunque si trovino i nemici dei mafiosi, soprattutto a New York, ma anche nel resto degli Stati Uniti e perfino in Brasile e in Svizzera, a Zurigo.

La maggior parte delle vittime sono mafiosi essi stessi, venuti in conflitto con gli altri per qualche sgarro. Con grande piacere, il killer accetterà di uccidere anche Roy De Meo, quello che lo aveva assunto per primo, per vendicarsi del pestaggio subito a causa sua.

Deciso a mettere su famiglia, Richard Kuklinski si innamora di un’altra italoamericana, la remissiva Barbara Pedrici, e la sposa.
In breve, la donna gli dà tre bambini: due femmine, Merrick e Chris, e un maschio, Dwayne, che lui copre di attenzioni. Gli amichetti dei figli dicono che vorrebbero avere anche loro un papà affettuoso come Richard. Sono colpiti, soprattutto, per le amorevoli cure che riserva alla primogenita Merrick, cagionevole di salute.

Tuttavia, pur essendo un padre esemplare, spesso Richard ha violenti attacchi di collera che scarica picchiando la moglie. La quale ignora l’attività di assassino professionista del marito: lo ritiene un imprenditore di successo.
Non può sapere che lui ha deciso di vivere con la famiglia ai margini di un bosco perché li può far sparire facilmente le sue vittime.

Richard Kuklinski continua a perfezionare la sua tecnica omicida. Ama il coltello, un’arma che definisce “intima”, ma è in grado di uccidere anche con la pistola, il fucile, le bombe, le mazze e lo spaccamascelle. Per un omicidio particolare, addirittura, usa la balestra, lo strumento medievale che lancia le frecce.

Quando può, adopera una particolare miscela di cianuro di sua invenzione, perché uccide rapidamente ed è difficile da scoprire nell’autopsia. Ma ammazza anche soffocando le vittime con un sacchetto, buttandole dalla finestra di un palazzo, o affogandole. Alcune volte, per immobilizzarle, rompe loro la spina dorsale con un cacciavite.

“Ho sempre voluto che l’ultima immagine vista dalle vittime fosse il mio volto”, dirà in seguito.
Nella maggior parte dei casi fa sparire i cadaveri, altre volte li lascia dove sono o ancora, con una certa dose di humor nero, li mette “seduti” sulle panchine del parco.
Tutti questi metodi, l’uno così diverso dall’altro, impediscono alla polizia di trovare un filo conduttore negli omicidi perché, in genere, gli assassini operano sempre alla stessa maniera.

Dagli anni settanta, ormai diventato espertissimo nel suo mestiere, accoglie anche richieste particolari. Quando un cliente gli chiede di far soffrire molto una vittima prima di finirla, in cambio di un sovrapprezzo lui la ferisce, poi la lega in una grotta stracolma di topi e accende una telecamera. Il giorno dopo porta la videocassetta al mandante per fargli vedere il suo nemico ucciso lentamente dai roditori.

Richard Kuklinski non conosce pietà. Un uomo che sta per essere ucciso gli dice: “In nome di Dio, ti scongiuro di non farlo”. Lui risponde. “D’accordo, ti lascerò mezz’ora di tempo per pregare, così, se Dio vorrà, scenderà tra noi per salvarti la pelle”.
Anche un killer come lui ha qualche limite “etico”. Seguendo i dettami tradizionali della mafia italoamericana, non uccide i bambini e le donne.

Richard Kuklinski potrebbe vivere da nababbo con i dollari che incassa per i suoi servizi, ma brucia tutti i guadagni nel gioco d’azzardo. Decide quindi di svolgere, con successo, un secondo lavoro, quello del distributore all’ingrosso di videocassette porno.

Dopo la scoperta del cadavere di Louis Masgay, rimasto congelato in un frezeer per due anni, la polizia mette alle calcagna di Richard Kuklinski, l’ultima persona che lo aveva visto vivo, un agente infiltrato nella mafia, Domenico Polifrone. L’infiltrato registra le chiacchierate che fa con lui, nelle quali il killer si vanta dei suoi ultimi delitti.
Il 17 dicembre 1987, la polizia arresta Kuklinski accusandolo di cinque omicidi e di altri reati minori.

Al processo viene riconosciuto colpevole e condannato a cinque ergastoli; per sua fortuna nel New Jersey, lo Stato confinante a quello di New York dove è stato processato, non c’è la pena di morte.
Viene rinchiuso nel penitenziario statale di Trenton, dove da qualche anno si trova anche suo fratello Joseph, condannato per avere stuprato e ucciso una dodicenne. Il killer evita sempre di salutarlo quando lo incrocia perché secondo il suo codice, come abbiamo detto, bambini e donne sono intoccabili.

Richard Kuklinski scrive alla moglie chiedendole perdono, e la invita a divorziare per rifarsi una vita.
In carcere diventa famoso, scrive libri e partecipa a programmi televisivi di successo, confessando di avere ucciso più di duecento uomini.
Una produttrice televisiva dichiara: “Richard sa essere al tempo stesso affascinante e spaventoso come il più terribile degli incubi. Rappresenta il peggio di noi. Malgrado ciò, starlo ad ascoltare è tremendamente sconvolgente”.

Il killer muore in carcere a 71 anni, nel 2006. Si sospetta che sia stato avvelenato dalla mafia, come lui stesso ha affermato prima di morire.

I familiari dell’assassino non hanno mai preso le distanze da lui. “Non potevo far a meno di voler bene a mio padre: lo amavo tantissimo! Non aveva niente che non andasse, credo che avesse solo sposato la donna sbagliata”, afferma la figlia maggiore, la cagionevole Merrick.

 

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