MICHELE PROFETA FIRMAVA GLI OMICIDI COME IL JOKER

“Questo è un ricatto”, si legge testualmente nel messaggio arrivato alla questura di Milano il 10 gennaio 2001. “Vogliamo 12 miliardi di lire, altrimenti uccideremo delle persone a caso. Sarà un bagno di sangue. Entro il 15 di questo mese dovete pubblicare questa inserzione sul Corriere della Sera: ‘Offresi tornitore specializzato con dodici anni di esperienza’, insieme a un vostro numero di cellulare”.
Il testo è stato scritto a mano con il normografo, un particolare righello sul quale ci sono le sagomature delle lettere da seguire con la penna. Lo strumento è usato dai disegnatori tecnici e da chi, come in questo caso, non vuole rivelare la propria calligrafia.
Per prudenza, la questura accetta di pubblicare quanto richiesto, ma poi arrivano solo le chiamate da chi è effettivamente interessato all’annuncio.
A Padova, il 29 gennaio, viene trovato un uomo agonizzante dentro un’auto: Pierpaolo Lissandron, taxista di 38 anni, è stato ferito alla testa da un colpo di pistola. Morirà senza riprendere conoscenza. Si pensa a una rapina, dato che manca il suo portafoglio.
L’omicidio viene rivendicato il primo febbraio da un secondo minaccioso messaggio: “Continueremo fino a quando non pubblicherete questa inserzione: ‘Offresi tornitore specializzato con dodici anni di esperienza’, insieme a un numero di cellulare”.
Forse all’anonimo assassino era sfuggita l’inserzione fatta dalla questura, che ne fa subito un’altra.
L’11 febbraio Walter Boscolo, un agente immobiliare di 37 anni, viene ritrovato ucciso con tre colpi di pistola alla nuca in un appartamento nel centro di Padova.
Accanto al corpo senza vita, l’assassino ha lasciato le carte del re di quadri e del re di cuori. Elementi che indicano un uomo dedito al gioco d’azzardo e che, forse, da piccolo leggeva le avventure di Batman sul settimanale Nembo Kid, perché le carte sono il modo in cui il suo rivale, il Joker, firma i propri delitti.
L’assassino ha lasciato anche un messaggio scritto con il normografo: “Neppure stavolta è stata una rapina, contattate il questore di Milano”. Ecco, con i pochi indizi a disposizione ci vorrebbe davvero Batman.
Alle 12.30, l’ora del delitto, la vittima aveva un appuntamento con un certo signor Pertini, sicuramente un nome falso. Qualche anno prima sarebbe stata un’informazione inutile, adesso, con il sistema telefonico completamente informatizzato, non più.
Si sa di preciso, perché c’era un testimone, a che ora del giorno questo “Pertini” aveva chiamato Boscolo, e controllando sui tabulati si scopre che la telefonata era partita da una cabina pubblica presso il pronto soccorso dell’ospedale di Noventa Vicentina.
Altre telefonate erano state fatte dallo stesso telefono con la medesima scheda telefonica, una tessera magnetica che sta sostituendo i gettoni (fino a quando la rapida diffusione dei cellulari metterà in pensione le cabine pubbliche).
La polizia va a interrogare una delle persone che avevano ricevute queste telefonate. Si tratta di Leonardo Carrara, un agente immobiliare. Anche a lui l’interlocutore si era presentato con il nome di Pertini, chiedendogli di vedere delle case in vendita perché ne voleva comprare una, e questo fatto lo inchioda perché ora Carrara può descrivere l’aspetto dell’assassino.
Un’altra telefonata è stata fatta a un certo Maurizio Profeta, abitante a Palermo. Si sospetta che chi lo ha chiamato sia un altro siciliano trasferitosi nel Nord, magari il fratello minore dello stesso Maurizio: Michele Profeta, 53 anni, residente a Mestre. Sì, la sua foto corrisponde all’identikit fatto da Carrara.
Nella sua fedina penale, il sospettato ha quattro condanne per emissione di assegni a vuoto e una per truffa.
Intanto, il ricattatore (forse non più sconosciuto), si mette finalmente in contatto via sms con il cellulare indicato dal nuovo annuncio della questura. Comunicazioni che non portano a niente, dato che il ricattatore non si vuole ancora sbilanciare.
Ma la polizia può seguire tutti i suoi movimenti, ora che ha individuato il cellulare dal quale ha mandato gli sms. Ogni telefonino in funzione “aggancia” automaticamente le antenne più vicine, segnalando la propria posizione.
Così, il 16 febbraio, l’uomo viene fermato mentre torna a casa in auto dopo un colloquio di lavoro. L’assassino è proprio lui, Michele Profeta, uno dei primi criminali traditi dal telefono. E pensare che di cellulari ne possiede ben dieci.
L’arrestato si dichiara innocente, ma nell’appartamento in cui vive con l’amante Antonella Gemmati viene trovato il revolver calibro 32 con il quale ha ucciso Lissandron e Boscolo, e un mazzo di carte senza i quattro re. Il re di fiori viene ritrovato nella sua auto, insieme al normografo e allo stesso tipo di carta da lettere usato per i messaggi. Dove sia finito il quarto re, non ha più importanza.
Inoltre, un amico di Profeta ricorda di averlo accompagnato vicino all’ospedale di Noventa Vicentina l’8 febbraio, nell’ora in cui era stata fatta la telefonata alla sua seconda vittima.
Michele Profeta dichiara enfaticamente agli agenti che «se non si reagisce alle difficoltà della vita non si è veri uomini, per questo terrò i nervi saldi», ma il caso è risolto. Alla fine si convince pure lui che non può farla franca e ammette i due omicidi.
Nel 2002, la Corte di Assise di Padova condanna Michele Profeta all’ergastolo e a due anni di isolamento. Solo in seguito viene sottoposto a una perizia psichiatrica approfondita.
Si scopre che il detenuto ha manie di grandezza, perché racconta la sua vita come una serie di successi, anche se è semmai vero il contrario. E rivela un forte senso di inferiorità nei confronti delle persone agiate. Cercava di rimediare alla situazione con il suo aspetto sempre impeccabile ed elegante, tanto che chi lo conosceva lo chiamava “il professore”.
I fallimenti, sommati alla sua personalità ambiziosa e narcisista, lo avevano portato alla frustrazione e al desiderio di affermarsi a ogni costo.
Ecco la sua storia.
Michele Profeta nasce a Palermo nell’ottobre del 1947, in una famiglia della classe media. Ha la sfortuna di ritrovarsi una madre autoritaria, che ha avuto i suoi due figli dopo i 40 anni. Sin da piccolo, la donna presenta a Michele l’esempio del fratello maggiore Maurizio, un ragazzino molto giudizioso.
La donna e il marito sono sempre esigenti con loro, vogliono a tutti i costi che emergano nella vita, che diventino persone importanti. Per questo li iscrivono a una severa scuola privata, ma il loro successo negli studi è relativo. Maurizio si ferma al diploma, anche se subito dopo trova un lavoro in banca, sistemandosi.
Michele, invece, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza senza però terminare gli studi universitari. Intanto ha dovuto lasciare la fidanzata Concetta, perché per la madre non è alla sua altezza, dato che appartiene a un ceto sociale più basso.
Deve ripiegare su un’altra ragazza, Adriana. La sposa e con lei ha due figli, ma poi chiede il divorzio.
Sentendosi soffocato dalla famiglia non voluta e dai genitori troppo esigenti, Michele fugge da tutti i parenti per sposare finalmente, nel 1979, la sempre amata Concetta e avere altri due figli da lei.
Le cose iniziano ad andargli bene, anche professionalmente. Va a lavorare in una società immobiliare, per la quale riesce a combinare buoni affari. Fino al giorno in cui Michele ha la malaugurata idea di andare a leggere il diario della moglie, che la donna tiene nascosto in libreria. Da quelle pagine si rende conto che l’adorata Concetta è completamente diversa da come la immaginava e che, in fondo, neanche gli vuole bene.
A quel punto la vita per lui perde d’interesse. Va al lavoro svogliato, non riesce più a chiudere i contratti e un giorno un cliente lo denuncia contestandogli una caparra.
Il tribunale condanna Profeta e, per le irregolarità che emergono sul suo modo di condurre gli affari, gli vieta anche di continuare l’attività di agente immobiliare.
Michele Profeta cerca comunque di fondare una nuova società immobiliare attraverso un socio, ma i due spendono troppo in pubblicità prima di avere dei guadagni, e così sono costretti a chiudere. Michele decide allora di cambiare settore, di provare con il mondo della finanza.
Proprio in un’agenzia finanziaria fa la conoscenza della segretaria Antonia Gemmati, che diventa sua amante.
Non avendo la forza di lasciare Concetta, alla quale è (nonostante il diario) pur sempre affezionato, inizia una doppia vita sentimentale con entrambe le donne, le quali rimarranno sempre inconsapevoli della reciproca esistenza.
Negli anni novanta, Profeta si trasferisce in Veneto, mandando la moglie Concetta ad abitare ad Adria e l’amante Antonia a Mestre. Lui trascorre un po’ di giorni con l’una e un po’ con l’altra.
Siccome lavora in una società di servizi finanziari che lo paga bene, riesce a far quadrare i conti. Ma dopo alcuni anni di tranquillità, nel 2001 viene licenziato.
Si trova così senza lavoro con due famiglie a carico, senza contare i figli avuti dal primo matrimonio. Inizia a indebitarsi fortemente, anche perché gli piace giocare d’azzardo.
Ormai, per raggranellare qualche soldo è costretto a fare volantinaggio, come uno studente o un extracomunitario, anche se lui lo fa sempre in giacca e cravatta.
Ritornare a galla sembra un’impresa impossibile, senza un’idea geniale. L’idea, come abbiamo visto, sarà addirittura folle: ricattare la questura di Milano per estorcere 12 miliardi di lire.
Un’idea che lo porterà a scontare l’ergastolo nel carcere di Padova. Ma nemmeno lì Profeta si arrende. Riesce a portarsi in cella una piccola lima, nascondendola nel suo portaocchiali. Ogni notte va a segare un poco le sbarre del bagno, finché non viene scoperto e trasferito nel supercarcere di Voghera.
Il 16 luglio 2004, Michele Profeta deve sostenere il suo primo esame di Filosofia, dopo aver ripreso gli studi e rinunciato del tutto a terminare Giurisprudenza.
Per l’occasione lo trasferiscono a Milano, in una tranquilla saletta del carcere di San Vittore. A interrogarlo arriva un professore dell’università Statale del capoluogo lombardo. Il detenuto è molto agitato, come quasi tutti coloro che devono sostenere degli esami.
A un certo punto sobbalza violentemente e si accascia a terra. Non c’è più nulla da fare: Michele Profeta è morto per un attacco cardiaco. Del resto, era sempre stato sofferente di cuore.
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