MARISA MELL, L’EVA KANT DEL GRANDE SCHERMO

MARISA MELL, L’EVA KANT DEL GRANDE SCHERMO

L’attrice austriaca Marisa Mell viene adottata dal cinema italiano a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. La sua bellezza seduce gli spettatori per lo sguardo intenso e provocante, gli occhi di un verde intenso e i lunghi capelli neri e lisci la rendono unica. Oltretutto Marisa Mell è molto alta, le sue forme sono abbondanti e ben dosate, con misure da fare invidia alle odierne top model.

Il suo debutto nel cinema italiano avviene nel 1965 a fianco di Marcello Mastroianni per “Casanova 70” di Mario Monicelli, film che un caustico Mereghetti definisce “alimentare”, sia per il grande attore sia per il regista. Mastroianni è un ufficiale della Nato sempre a caccia di donne, che si eccita solo in situazioni di pericolo: non è a suo agio in una farsa che a tratti sfocia nel giallo e si conclude con un improbabile lieto fine. Tra i protagonisti ci sono anche Virna Lisi, Michèl Mercier, Enrico Maria Salerno, Liana Orfei e il regista Marco Fertreri, nei panni di un conte.

Il secondo film di Marisa Mell è “Le dolci signore” di Luigi Zampa (1967), che vede un cast di bellissime come Ursula Andress, Virna Lisi e Claudine Auger. Tra gli uomini citiamo Lando Buzzanca, Mario Adorf, Vittorio Caprioli, Luciano Salce e Jean-Pierre Cassel. Marisa Mell interpreta la spogliarellista Paola, una delle dolci signore che raccontano le loro confidenze e i tanti problemi che le affliggono. Vorrebbe essere una satira di costume, ma si scade nella commedia licenziosa che abbonda di scene maliziose interpretate dalle quattro attrici.

I due film sono modesti, ma bastano per lanciare Marisa Mell nel mondo della celluloide e, soprattutto, attirano sulla bella austriaca le attenzioni dei maschi italiani e della censura, in quel periodo fin troppo attenta a ciò che può turbare lo spettatore. Marisa Mell passa dalla commedia all’italiana al cinema di genere vero e proprio, diventando una delle più richieste star femminili dei film di azione e thriller. Ricordiamo la coproduzione italo-francese “New York chiama Superdrago” (1967) di Calvin Jackson Padget (il grande Giorgio Ferroni sotto pseudonimo), un fumettone che si lascia ancora guardare, dove la bella austriaca recita accanto a Margaret Lee e Solvi Stubing. Ray Danton è l’agente Superdrago: combatte un cattivone che sta lanciando sul mercato una terribile droga.


Il film che santifica Marisa Mell come attrice di culto è però “Diabolik” di Mario Bava (1968), dove lei interpreta (ossigenata al punto giusto) la bionda e sensuale Eva Kant, compagna del criminale. Rivisto oggi il film di Bava lascia sconcertati, ma tutto va storicizzato e al tempo fu un grande film, rivoluzionario e coraggioso, basti pensare ai modellini utilizzati da Bava per i trucchi di scena e per gli effetti speciali. John Phillip Law è un pessimo Diabolik, molto ingessato e poco spontaneo, Michel Piccoli è Ginko e Adolfo Celi è Valmont. Per il critico Teo Mora il film è un capolavoro, invece a Marco Giusti è piaciuto meno e avrebbe visto bene Catherine Deneuve nella parte di Eva Kant. Grazie, dico io. Anche Sean Connery non avrebbe sfigurato come Diabolik. In ogni caso, Marisa Mell si fa ricordare nella sua parte di donna fatale: una Eva Kant che colma di attenzioni il suo Diabolik versione pop e che lo accompagna verso mirabolanti avventure. Quando uscì il film fu un mezzo fiasco, forse l’attesa era troppo alta, ma con il tempo abbiamo assistito a una piena rivalutazione di quello che possiamo considerare una pietra miliare del cinema di genere italiano dedicato al fumetto.

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“Una sull’altra” di Lucio Fulci, un film importante con protagonista Marisa Mell, è una coproduzione tra Italia, Francia e Spagna. Un bel thriller scritto e sceneggiato da Roberto Gianviti e Lucio Fulci che si avvale delle musiche di Riz Ortolani. Tra gli attori ci sono Jean Sorel (George Dumurrier), Marisa Mell (Susan Dumurrier e Monica Weston), Elsa Martinelli (Jane), John Ireland (isp. Wald), Alberto De Mendoza (Henry Dumurrier), Jean Sobiesbky (Larry), Faith Domergue (Martha), Riccardo Cucciolla (Benjamin Wormser), Bill Wanders (assicuratore), John Douglas (alias Giuseppe Addobbati, è mr. Brent), Jesus Puente (sergente), Georges Rigaud (avv. Mitchell), Franco Balducci, Felix De Fauce, Bobby Rhodes (secondino). Il giallo-thriller di Fulci comincia proprio da “Una sull’altra”, incursione nel genere da parte di un regista che, fino a quel momento, aveva realizzato pellicole comiche e spaghetti western conditi di un po’ di violenza. Fulci rivisita “La donna che visse due volte” (Vertigo di Afred Hitchcock, 1958), anche se lui nega, e ne ricava una vicenda inquietante e morbosa. Il filo conduttore è la storia di un innocente che sta per essere condannato a morte: tra colpi di scena inquietanti e momenti di pura suspense il ritmo è davvero incalzante. Fulci alla sua prima prova dimostra di saperci fare con gli strumenti tipici del film di tensione.

Il medico George Dumurrier, dopo la morte improvvisa della moglie Susan, eredita un milione di dollari grazie a una polizza assicurativa. Una sera va con l’amante Jane in un night club per assistere a uno spettacolo di strip-tease. La ballerina che fa lo spogliarello è identica a sua moglie, solo che si chiama Monica Weston e di mestiere fa, appunto, la spogliarellista. La polizia indaga sulla morte della moglie di George e scopre che la polizza assicurativa sulla vita di Susan è stata firmata da Monica. Non solo. Le indagini portano alla luce un altro elemento importante: Susan è stata avvelenata. Qualcuno ha obbligato Monica a firmare la polizza e tutti gli indizi portano al marito che l’ha incassata. La prova schiacciante è una busta di denaro, con le impronte digitali di George, che viene ritrovata a casa di Monica. George è condannato alla camera a gas e in carcere, mentre attende l’esecuzione, apprende la verità per bocca del fratello. Sono soli, nessuno li può sentire, quando Henry Dumurrier confessa di essere il vero colpevole. Susan non è mai morta e ha organizzato tutto insieme al cognato che è anche il suo amante. Monica non è mai esistita: era soltanto un personaggio creato da Susan. Fortunatamente Jane, l’amante del medico, si dà da fare e, con l’aiuto dell’avvocato, alla fine salva George dalla camera a gas. La verità viene a galla e i due amanti diabolici vengono uccisi a Parigi, mentre George è scagionato.


“Una sull’altra” è un giallo psicologico girato sulla scia del successo de “Il dolce corpo di Deborah” di Romolo Guerrieri. Un giallo all’italiana, anche se in realtà si dovrebbe definire alla francese perché debitore dell’intrigo alla francese (vedi “I diabolici” di Clouzot) e, meglio ancora, all’americana, perché lo schema di fondo viene da là e l’ispirazione è l’Hitchcock di Vertigo. C’è una donna che scompare e poi riappare misteriosamente e la trama pare proprio un remake de “La donna che visse due volte”. Fulci, però, inserisce nel suo lavoro una sessualità perversa, morbosa e ambigua, che Hitchcock non avrebbe mai osato raccontare. Gli attori di “Una sull’altra” sono quanto di meglio si poteva pretendere nel cinema di genere di quel periodo. Jean Sorel è un volto tipico del giallo italiano anni Sessanta-Settanta e Fulci lo scrittura dopo il successo ottenuto ne “Il dolce corpo di Deborah”. Sorel lo ricordiamo anche in “Paranoia” di Umberto Lenzi (1969) e in “La corta notte delle bambole di vetro” di Aldo Lado (1971). Jean Sorel non si può dire che sia un grande attore. Ha sempre la stessa espressione sciatta, sorpresa, un po’ da fotoromanzo, poi è molto impostato. Però funzionava a dovere e per quel tipo di film era molto ricercato.

Marisa Mell si era conquistato un posto da torbida donna fatale nell’immaginario collettivo, dopo avere fatto Eva Kant in Diabolik. Pure lei non è che sia il massimo del sexy, ma al tempo era considerata una donna inquietante. Elsa Martinelli completa il trio e forse come attrice è la migliore, nel ruolo dell’amante androgina con capelli da maschiaccio non immune da desideri saffici. Il film si ricorda, infatti, per una scena lesbica tra le due donne (moglie e amante) che, in ogni caso, è appena accennata e resta a livello di sensazione epidermica. Nell’Italia bacchettona degli anni Sessanta non si poteva pretendere di più.

I temi del film sono comunque molto morbosi, caratteristica che si apprezza in tutti i gialli di Fulci. Ricordiamo su tutte la scena all’obitorio con un’esibizione della morte che non era facile vedere sul grande schermo. La fotografia è molto curata e contribuisce a dare consistenza al clima morboso della pellicola, così le musiche suggestive e dal timbro jazz di Riz Ortolani. Gli esterni sono girati in California, location estera preferita da Fulci. Il film è ben girato con inquadrature eleganti ed equilibrate, ci sono tante zoomate al contrario che partono dai volti (occhi soprattutto) dei protagonisti per allontanarsi. Fulci desume questa tecnica dagli spaghetti-western di Sergio Leone, la utilizza pure lui nel western e la porterà all’eccesso negli horror.

Piero Mereghetti dà una stella e mezza al film, giudicandolo “più erotico che thriller, zeppo di nudi messi in scena con un gusto kitsch privo di sensi inibitori”. Per il critico milanese, le musiche di Riz Ortolani sono soltanto “chiassose” e poi rincara la dose sul regista: “Fulci segue le sue ossessioni ma poi nell’ultima mezz’ora cerca di fare sul serio infilando un colpo di scena dopo l’altro, alla faccia della logica, quando ormai dei personaggi non importa più niente”. Marco Giusti, che ama esagerare, definisce il film “un lesbo pop-thriller che fu un grande successo erotico”. Ci ricorda, però, due scene importanti della pellicola che adesso sono considerate cult: Marisa Mell con parrucca bionda in uno strip sulla moto con due occhi dipinti sul sesso, e il momento lesbo con Mell – Martinelli che visto oggi non fa né caldo e né freddo. Vero è che il film fu costruito a tavolino sulla scia dei successi del tempo e venne girato negli Stati Uniti, invece che in Francia, per far risparmiare la produzione che voleva realizzare due film in contemporanea.

Per una donna della bellezza di Marisa Mell, l’ambiente del cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta è pure divertimento, mondanità e amori da rotocalco. Mentre gli ultimi fuochi della “dolce vita” romana si spengono per far posto alla triste stagione del terrorismo e della violenza, la bella Marisa diventa la nuova regina dei rotocalchi. Marisa appare in tutta la sua statuaria bellezza a fianco del produttore-playboy Pier Luigi Torri, coinvolto nel brutto scandalo del locale notturno “Number One” (cocaina, film porno e affini), e del connazionale Helmut Berger. Marisa Mell non si ferma agli amori da rivista scandalistica, e così la sua bellezza senza veli compare nel dicembre 1975 sull’edizione italiana di “Playboy”. All’epoca era un passaggio obbligato per il successo: cinema, televisione e “Playboy”. Un po’ come in seguito diventerà posare nuda per un calendario. A proposito del produttore-amante, c’è da dire che Torri produce proprio nel periodo della loro relazione il film “Senza via d’uscita” di Piero Sciumè (1971) che la bruna austriaca interpreta.

Marisa Mell frequenta tutti i generi fondamentali del cinema italiano. Il lesbo-thriller pare la sua specialità e, dopo “Una sull’altra”, si cimenta in “Diabolicamente sole con il delitto” (1972) di Josè Antonio Nieves Conde, affiancata dalla prorompente bellezza slava di Sylva Koscina. Il film circola in televisione anche con il titolo “Nel buio del terrore”. Le parti maschili sono ricoperte da Stephen Boyd, Fernando Rey, Massimo Serato, Howard Ross (Renato Rossini) e Simon Andreu. La trama vede Marisa Mell nei panni di Carla, che si vuole vendicare di Silva Koscina (Lola) perché le ha portato via Fernando Rey (Luis) e, per far questo, viene a patti con il poco di buono Stephen Boyd (Alfred). Le cose non le andranno bene e il film si svilupperà secondo una falsariga erotico-morbosa che rende la pellicola pesante e abbastanza ostica. Paolo Mereghetti definisce il film “una pellicola invedibile dove per almeno cinquanta minuti non accade niente se non sguardi languidi e neppure in seguito le cose migliorano”. La sola nota di interesse sono le effusioni lesbiche di due bellezze così diverse e così affascinanti come Marisa Mell e Sylva Koscina. Si tratta comunque di cose di poco conto, che potevano scandalizzare soltanto un’Italia bacchettona e moralista come quella del 1972.

Marisa Mell interpreta anche un western all’italiana minore come “Amico, stammi lontano almeno un palmo…” (1971) di Michele Lupo, che nell’ambito della nostra trattazione interessa poco. “Bella, ricca, lieve difetto fisico, cerca anima gemella” di Nando Cicero (1973) è, invece, un’interessante commedia sexy nella quale si assiste alla trasformazione transessuale di Marisa. Tra gli attori ci sono anche l’ottimo Carlo Giuffré, Elena Fiore, Gina Rovere ed Erika Blanc. Il protagonista della commedia è Carlo Giuffré che, per mantenere la famiglia, prima seduce e subito dopo truffa donne con orribili difetti fisici, attirate con inserzioni sui giornali. Un bel giorno, però, si innamora della bella modella Teresa (Marisa Mell) e deruba persino il padre per rifarsi una vita con lei. In questa pellicola ci sono molte sequenze ai limiti del trash. Ricordiamo la lupa mannara che morde Giuffré nelle parti basse, la macellaia che al tavolino si lascia andare a rumori di ogni tipo e, infine, la riunione di femministe che vogliono marcare il culo nudo di Giuffré. Il protagonista finisce in galera. Quando ne esce scopre che Teresa è un transessuale, il quale nel frattempo si è unito sentimentalmente con sua moglie e l’ha messa pure incinta. Nel film il personaggio interpretato da Marisa Mell risente di influenze morbose e lesbiche, anche se tutto è appena accennato e ha la leggerezza della commedia. Piero Mereghetti definisce il film “una pochade qualunquista che mescola pruriti erotici alla più corriva satira del femminismo, pure se resta nel panorama del genere tra le farse meno squinternate”. Secondo noi si tratta di un film geniale e divertente che si può vedere con piacere ancora oggi, per merito del genio sregolato di Nando Cicero e delle penne salaci e irriverenti di Giancarlo Fusco e Alessandro Continenza.

Marisa Mell interpreta anche un horror satanico come “L’osceno desiderio” di Giulio Petroni (1978), noto anche con i titoli “Le pene del ventre” e “La profezia”. Ed è la protagonista assoluta di un film che ci lascia l’incertezza sul vero regista, dato che Petroni nega di essere lui il citato Jeremy Scott. Ma soggetto e sceneggiatura sono di Petroni e Piero Regnoli, quindi ci pare improbabile che il regista sia un altro. Di fatto, pare che Petroni abbia ripudiato il film, perché si è accorto di aver prestato il suo nome a un’operazione pessima che comincia come un gotico classico e finisce in uno pseudo esorcista insostenibile e goffo. Effettivamente il film fa il verso a “L’esorcista”, parla di messe nere, di prostitute uccise e di principi morali superiori che guidano un imprendibile assassino. Marisa Mell è Amanda Orsomandi che ha sposato Chris Avram (il serial killer), il prete esorcista (Padre Clark) invece è Lou Castel. Nella pellicola si ricordano solo alcune scene di sesso poco erotiche e parecchie donne indemoniate.

La bellezza nordica di Marisa è accoppiata alle fattezze, decisamente mediterranee, di Antonio Sabàto nel giallo argentiano “Sette orchidee macchiate di rosso” di Umberto Lenzi (1972). Sono molte le belle donne presenti nel cast e vengono quasi tutte massacrate dall’imprendibile serial killer. Citiamo tra gli altri attori: Uschi Glass, Pier Paolo Capponi, Rossella Falk, Marina Malfatti, Renato Romano, Claudio Gora, Gabriella Giorgelli, Petra Schurmann, Linda Sini e Carla Mancini. Il killer è un prete protestante che uccide giovani donne e lascia accanto al loro corpo una mezzaluna. I delitti avvengono tutti in un albergo: il prete vendica la morte del fratello avvenuta anni prima, proprio in quello stesso albergo. Il film si lascia vedere ancora oggi ed è una buona prova artigianale di Umberto Lenzi, che dimostra tutta la sua abilità soprattutto nel mostrare terrificanti uccisioni di donne.

“Tutti fratelli nel west… per parte di padre” di Sergio Grieco (1972) è un western comico che parla di un cercatore d’oro e ha, di memorabile, solo una serie di nudi parziali dell’icona trash Salvatore Baccaro.
Marisa Mell è ancora a fianco di Antonio Sabàto nel noir poliziesco “Milano rovente” di Umberto Lenzi (1973), scritto dal celebre giallista Franco Enna e diretto dall’esperto Umberto Lenzi. Nel cast ci sono anche Philippe Leroy, Tano Cimarosa, Carla Romanelli, Antonio Casagrande e Franco Fantasia. Il film esce sulla scia del successo di “Milano calibro 9” di Fernando Di Leo e segue la moda imperante del noir violento. Si parla di un racket della prostituzione controllato da un boss (Sabàto) che rifiuta il giro della droga e, per questo, entra in conflitto con un altro criminale (Leroy). Tra i due litiganti sarà un mafioso italoamericano a godere… Milano è descritta come una piccola Chicago inquieta e violenta ed è il perfetto scenario di un noir dove la polizia sta davvero a guardare. Paolo Mereghetti assegna due stelle e mezzo a una pellicola nella quale Lenzi (come sempre) mostra tutto il suo talento e lascia la sua impronta d’autore. “La Milano notturna e segreta che fa da sfondo al film non manca di un certo fascino” (Pietro Bianchi). Marisa Mell è la causa della rovinosa caduta di Sabàto alla guida del suo “onesto” racket della prostituzione e sia lei che Carla Romanelli sono due belle presenze che valorizzano la pellicola.

Nel poliziesco all’italiana che, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, nasce e si codifica come genere consolidato, la donna ha la stessa importanza che aveva per i registi e gli sceneggiatori del western americano più ortodosso, dove era vista come un elemento che rallentava l’azione. Infatti, nel poliziesco italiano classico, la donna o è un elemento di contorno o è la vittima designata di brutalità, violenze e stupri. Non sfugge alla regola Marisa Mell, torturata ne “L’ultima volta” di Aldo Lado (1976), un regista esperto in scene di violenza atroce quanto ingiustificata (si veda per tutti lo stupendo “L’ultimo treno della notte”, 1975). In questo film Marisa Mell lavora accanto a Massimo Ranieri, Joe Dallesandro, Eleonora Giorgi e Pino Colizzi, contribuendo a dare risalto a una pellicola che è piaciuta a tutti, persino a un critico difficile come Mereghetti.

Marisa Mell, però, raggiunge il massimo come vittima di percosse e continuati stupri, da parte di un Helmut Berger efferato e scatenato, nell’ottimo “La belva col mitra” di Sergio Grieco (1977). Sul set del film i connazionali Helmut Berger e Marisa Mell si ritrovano in un periodo di reciproche difficoltà. Helmut Berger, provato da alcol e prostrato dalla morte del suo amante Luchino Visconti, nel marzo del 1977 tenta il suicidio. Marisa Mell, antica e sbandierata fiamma di Helmut Berger, parla di una sua resurrezione professionale, del rifiuto di molte offerte non dignitose, ricorda di avere recitato a Broadway, in “Mata Hari”, per la regia di Vincente Minnelli e spera, prima o poi, di “vincere l’Oscar, naturalmente” (da “Il Messaggero del 26 giugno del 1977). Marisa Mell non vincerà l’Oscar con “La belva col mitra”, ma ci lascia un’interpretazione convincente di donna perversa e diabolica.

Il film racconta le gesta di Nanni Vital (Helmut Berger) che, una volta evaso con altri complici dal penitenziario, compie gesta efferate. Tra gli amici di Berger si ricorda Nello Pazzafini, e gli altri interpreti sono Richard Harrison, Vittorio Duse, Claudio Gora, Ezio Marano e Marina Giordana. Richard Harrison è il poliziotto che dà la caccia alla belva che gli ha rapito il padre e la sorella. Questo film è sadico e perverso, cattivo, violento e gratuito, spesso lento e monotono, la colonna sonora è di Umberto Smaila (sic) e deve la sua fama a Quentin Tarantino che lo cita nel suo Jackie Brown (1997).

Per dare solo un’idea del sadismo di cui è pervasa la pellicola basta dire che la prima vittima di Berger è un certo Bergamaschi. Il delinquente, prima di uccidere l’uomo a cazzotti e seppellirlo nella calce viva, violenta la sua donna dandoci l’occasione per vedere una stupenda Marisa Mell in tutta la sua bellezza, poi la porta via con sé. Marisa Mell diventa succube della belva, vorrebbe fuggire da lui ma non ci riesce, lo teme, quindi sta al gioco e diventa la sua donna. Neppure lei è del tutto immune da difetti, perché stava con Bergamaschi solo per interesse e con Berger continua a fare il doppio gioco, sino al giorno in cui non trova il coraggio di denunciarlo alla polizia. Il commissario George Harrison non riesce ad arrestare Berger, che continua a uccidere e a recitare la parte del delinquente senza scrupoli, un po’ alla Giulio Sacchi (Tomas Milian) di “Milano odia”. Berger è il bello, ma implacabile omicida privo di sentimenti, che elimina chi si trova sulla sua strada e lo tradisce. Da citare alcune spettacolari sequenze di fughe, inseguimenti e scontri tra auto per le vie della città, ma ai nostri fini sono interessanti soprattutto le numerose scene erotiche velate di sadismo che vedono protagonisti Berger e la Mell.

La musica soft a base di tromba, composta da Umberto Smaila, risulta adatta all’atmosfera morbosa della pellicola che, dopo il tradimento di Marisa Mell, mette in primo piano una caccia alla donna da parte di un Berger sempre più spietato. A un certo punto viene ferita a una gamba dal criminale, che prende la mira da un palazzo vicino con un fucile ad alta precisione. Marisa Mell, in questo film, è all’apice della sua bellezza sensuale ed equivoca, ma come recitazione lascia un po’ a desiderare. Harrison è anche peggiore di lei, da quanto è impostato e compassato. Si salva Helmut Berger, anche se ha fatto di meglio. I dialoghi di Enzo Milioni non sono il massimo dell’originale e toccano il punto più basso in un dialogo telefonico tra Marisa Mell e il commissario George Harrison, quando lei dice: “Stai attento, quell’uomo è una belva”. Se non ce lo ricordava lei non lo avevamo capito. Il film ha anche il difetto di essere molto lento, ci sono sequenze interminabili basate su primi piani dei protagonisti che, per quanto belli, da soli non reggono la storia.

La violenza e il sadismo sono il filo conduttore di un tipico film di genere come non se ne fanno più e direi che proprio questo è il suo valore. Quando Berger rapisce il padre del poliziotto (Vittorio Duse) e la sorellina (Marina Giordana), la spirale di violenza aumenta e c’è una certa dose di tensione. Una sequenza da film western, girata al rallentatore, vede Berger in auto con i due ostaggi e la polizia che insegue. Ci scappano due agenti uccisi a colpi di pistola che portano ancora un po’ di sangue sullo schermo, anche se una delle sequenze memorabili del film resta un rapporto sessuale ai limiti dell’hard tra Berger e la Mell, con lei completamente nuda e lui sopra a sedere scoperto che spinge. Il sadismo riprende il sopravvento con Berger che tagliuzza la Giordana sul viso e sul corpo, a colpi di coltello, una scena scioccante sulla quale il regista insiste parecchio. Viene ucciso un ragazzino, la Giordana resta per qualche minuto a seno nudo e piena di sangue e, alla fine, c’è lo scontro finale tra Harrison e Berger che termina con la scontata vittoria del bene sul male. La scena della sconfitta di Berger, però, è molto cruda e la scena della scazzottata davvero intensa. Il commissario assicura la belva alla giustizia e si trattiene per non ucciderlo a pugni nudi.

Gli ultimi film di Marisa Mell non sono certo memorabili. Citiamo il pessimo “La compagna di viaggio” di Ferdinando Baldi (1980). L’austriaca lavora accanto a tre starlettes del cinema erotico come Anna Maria Rizzoli, Serena Grandi e Annie Bell, e alle future pornostar Marina Frajese e Moana Pozzi. Altri attori sono il bravo Gastone Moschin, il caratterista radiofonico Giorgio Bracardi, Pino Ferrara e il pessimo Raf Luca. Si svolge tutto in un vagone letto dove impazza un onorevole in fregola (Moschin) che vuole portarsi a letto la Rizzoli. Una volta tanto diamo ragione a Paolo Mereghetti, quando dice che si tratta di “un film pessimo condito da sketch noiosissimi da pochade stantia e topless di attrici non ancora famose”. Unico motivo di interesse la presenza di una giovanissima Moana Pozzi, in una delle sue prime prove non hard.

“La liceale al mare con l’amica di papà” (1980), di Marino Girolami, è una tarda sexy commedia che vede Marisa Mell nella parte della protagonista Violante, sposata con Massimo Castaldi (Renzo Montagnani). L’insolita coppia ha come figlia la giovanissima Sabrina Siani (quindici anni e al suo primo film), che in seguito diventerà un’icona del fantasy all’italiana. Marisa Mell è ormai invecchiata e ha l’aria di una matrona che conserva solo poche tracce di quello sguardo languido ed equivoco che ne aveva fatta una torbida regina sexy. Nel film ricordiamo la presenza di Alvaro Vitali che, in coppia con Gianni Ciardo, prova a rinvigorire la storia con surreali trovate comiche, ma il duo fallisce miseramente e si perde nella pochezza del contesto. Cinzia De Ponti è invece la sexy amante di Renzo Montagnani che giunge al mare travestita da suora per dare ripetizioni a Sabrina Siani. Da ricordare soltanto il sedere della De Ponti, unica cosa degna di nota di un pessimo prodotto della tarda commediaccia.

“La dottoressa preferisce i marinai” di Michele Massimo Tarantini (1981) è ancora un tentativo di lanciare la squinternata coppia comica Alvaro Vitali e Gianni Ciardo, che vede una Marisa Mell appesantita dagli anni, infatti cede il passo agli spogliarelli delle fresche e giovanissime Sabrina Siani, Cinzia De Ponti e Paola Senatore. Il film non merita certo la visione e si ricorda in negativo anche per la presenza del televisivo Renzo Palmer, che poteva andare bene solo per la tv dei ragazzi. Una Marisa Mell, ormai alla fine della carriera, appare in due pellicole dirette da Amasi Damiani (che si firma A. Van Dyke): “Peccati a Venezia” (1980) e “Corpi nudi” (1983), uscite con molta probabilità, vista la presenza nel cast delle pornostar Laura Levi (alias Gabriella Tricca), Guia Lauri Filzi (alias Barbara De Massi) e Marina Frajese, in versioni con inserti hard per il circuito del cinema a luci rosse.

Marisa Mell, a questo punto, torna in patria per dedicarsi a teatro e televisione, ma nel 1985 riappare improvvisamente in Italia per turbare l’immaginario erotico degli italiani dalle pagine di una nota rivista hard. Si tratta di una trovata episodica, perché Marisa Mell non segue l’esempio di Lilli Carati, Paola Senatore e Karin Schubert, e il suo nudo su carta non porta come conseguenza il passaggio al cinema hard. Marisa Mell muore nel 1992, dopo una breve e dolorosa malattia.

FILMOGRAFIA DI MARISA MELL

Casanova 70 di Mario Monicelli (1965)
Le dolci signore di Luigi Zampa (1967)
New York chiama Superdrago di Calvin Jackson Padget (1967)
Diabolik di Mario Bava (1968)
Una sull’altra di Lucio Fulci (1969)
Senza via d’uscita di Piero Sciumè (1971)
Diabolicamente sole con il delitto di Josè Antonio Nieves (1972)
Amico, stammi lontano almeno un palmo… di Michele Lupo (1971)
Bella, ricca, lieve difetto fisico, cerca anima gemella di Nando Cicero (1973)
L’osceno desiderio di Giulio Petroni (1978)
Sette orchidee macchiate di rosso di Umberto Lenzi (1972)
Tutti fratelli nel west… per parte di padre di Sergio Grieco (1972)
Milano rovente di Umberto Lenzi (1973)
L’ultima volta di Aldo Lado (1976)
La belva col mitra di Sergio Grieco (1977)
La compagna di viaggio di Ferdinando Baldi (1980)
La liceale al mare con l’amica di papà di Marino Girolami (1980)
La dottoressa preferisce i marinai di Michele Massimo Tarantini (1981)
Peccati a Venezia di Amasi Damiani (1980)
Corpi nudi di Amasi Damiani (1983)

 

 

Di Gordiano Lupi è appena uscito “Storia della Commedia Sexy – Volume 2 da Carnimeo a Bottari”, Sensoinverso 2018, Pag. 200 – Euro 16

 

6 commenti

  1. […] Rizzoli e il “barone” Gastone Moschini, Giorgio Bracardi, Raf Lucas, Pino Ferrara, Loris Peota, Marisa Mell, Marina Lothar Frajese, Moana Pozzi e Annie Belle. Questo film chiave del porno e dell’Italian […]

  2. […] Sabrina Siani e insieme garantiscono una certa tenuta erotica al film che gode della presenza di Marisa Mell. La frase di lancio del film è di pessimo gusto: “Alvaro Vitali vi dà la garanzia di due ore di […]

  3. […] che truffa le donne conosciute tramite inserzioni sui giornali, ma che un giorno ne incontra una (Marisa Mell) di cui si innamora. Scritto dal regista insieme ad Alessandro Continenza e Gian Carlo Fusco, è […]

  4. […] (Renzo Ozzano), un generale organizza un incontro con l’amante (Paola Senatore) ma la moglie (Marisa Mell) lo scopre, un uomo (Renzo Montagnani) tenta invano di suicidarsi, un cameriere (Lucio Montanaro) […]

  5. […] di Marino Girolami prima della svolta (si fa per dire) pierinesca. Renzo Montagnani è sposato con Marisa Mell, e oltre ad una splendida figlia (Sabrina Siani) ha anche una giovane amante (Cinzia De Ponti). Per […]

  6. […] una spogliarellista che somiglia in maniera impressionante alla defunta. Gli interpreti sono Marisa Mell, Jean Sorel, Elsa Martinelli e John […]

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