LUIGI CHIATTI, IL “MOSTRO DI FOLIGNO”

LUIGI CHIATTI, IL

Il 4 ottobre del 1992, di domenica pomeriggio, scompare nel nulla Simone Allegretti, un bambino di 4 anni e mezzo. Abitava a Casale, un paesino vicino a Foligno (provincia di Perugia). Siccome la sua famiglia non è ricca (il padre fa il benzinaio), subito si pensa al gesto di un maniaco.

Le ricerche del piccolo si rivelano infruttuose, finché in una cabina telefonica di Foligno viente trovato un biglietto scritto su un foglio con il normografo (un particolare tipo di righello con intagliate le lettere dell’alfabeto).

C’è scritto: “Aiutatemi per favore! Ho commesso un omicidio. Ora sono pentito, anche se non mi fermerò qui. Il corpo nudo di Simone si trova vicino alla strada che collega Casale e Scopoli. Non cercate le impronte sul foglio, non sono stupido fino a questo punto. Ho usato i guanti. Saluti al prossimo omicidio, il Mostro”.

Nel luogo indicato il 6 ottobre viene trovato il corpo del bambino. Secondo l’autopsia, il piccolo Simone è stato strozzato e poi colpito alla gola con un coltello. Non ha subito una violenza sessuale vera e propria, ma è stato vittima di molestie. A occuparsi del caso viene inviato il superpoliziotto Achille Serra, che in seguito farà carriera come prefetto e diventerà senatore.

Il questore fa diffondere un numero verde, sfidando l’assassino a prendere contatto. Lo stratagemma sembra funzionare: il 13 ottobre i giornali scrivono che “il Mostro di Foligno” è stato catturato, Si tratterebbe di Stefano Spilotros, un ventiduenne agente immobiliare che viveva in provincia di Milano.

Spilotros aveva telefonato alla polizia una dozzina di volte accusandosi del delitto, e alla fine era stato individuato. Nel giro di una giornata, però, iniziano i dubbi. La confessione è piena di contraddizioni e i conoscenti del giovane giurano che la domenica del delitto era con loro. Ciononostante, gli inquirenti si dicono sicuri del fatto loro per dodici lunghi giorni.

Fanno anche riesumare il corpicino di Simone, nel tentativo di dipanare le contraddizioni del reo confesso. Intanto, dalla parte marchigiana dell’Appenino, Giampaolo Marsili, operaio di 31 anni, si impicca a Cingoli (Macerata) lasciando scritto “Sono io il mostro, perdonatemi”. In realtà si scopre che l’uomo soffriva da anni di esaurimento nervoso.

A scagionare Spilotros, ancora rinchiuso in carcere, ci pensa il vero Mostro, con un secondo, beffardo messaggio: “Aiutatemi! Non riesco a fermarmi! L’uccisione di Simone è stato un omicidio perfetto. Certo, è dura ammetterlo per le forze dell’ordine, ma analizziamo i fatti. 1°: io sono ancora libero. 2°: avete in mano un ragazzo che non ha nulla a che fare con l’omicidio. 3°: non avete la mia voce registrata perché non ho effettuato nessuna chiamata. 4°: le telecamere non mi hanno inquadrato durante il funerale di Simone, perché non ci sono andato. Siete completamente fuori strada. Vi consiglio di sbrigarvi, evitando altre figuracce. Non poltrite, muovetevi, perché ho deciso di colpire ancora. Tocca a voi evitare che succeda. Il Mostro”.

Non rimane che liberare Spilotros, il quale, si scopre ora, era caduto in un grave stato depressivo perché la fidanzata l’aveva lasciato.

Dieci mesi dopo il delitto, il 7 agosto 1993, scompare di casa Lorenzo Paolucci, 13 anni. Vengono formate alcune squadre di volontari per ispezionare la zona, che in breve trovano il cadavere del ragazzino in un boschetto. Si capisce subito che Lorenzo è stato ucciso con diverse pugnalate su tutto il corpo.

La polizia nota alcune scie di sangue lasciate dal corpo, evidentemente trascinato, che finiscono sotto la finestra di una villetta poco lontana. Si tratta dell’abitazione di Ermanno Chiatti, uno dei medici più noti di Foligno. Gli agenti bussano alla porta, li riceve Luigi, il figlio adottivo del dottore: i suoi genitori sono andati via per una gita di alcuni giorni.

Luigi Chiatti è un ragazzo di 24 anni, attualmente disoccupato. All’interno, il pavimento è stato appena lavato in maniera poco accurata: qua e là si notano alcune macchie di sangue, mentre altri schizzi sono sulle pareti del salotto. Inoltre, davanti alla casa viene trovato un orologio che si scoprirà essere appartenuto alla vittima.

A quel punto, gli agenti osservano con maggior attenzione Luigi e notano che anche i suoi jeans presentano diverse macchie, probabilmente di sangue.
Il ragazzo viene portato in commissariato e fatto spogliare: sulla sua schiena vengono riscontrate cinque ferite lineari e parallele, quasi sicuramente profondi graffi provocati da una mano.

In breve, si decide di arrestarlo per gli omicidi di Paolucci e Allegretti. Lui risponde in maniera sconcertante. “Non sono stato io, sono un bravo boy scout”, ma già il giorno dopo ammette le sue responsabilità. Anzi, secondo gli psichiatri che lo visiteranno, il giovane non vede l’ora di confessare i delitti: lo dimostrano anche i due messaggi che aveva scritto per farsi rintracciare dalla polizia.

Luigi Chiatti non ha avuto un’infanzia qualunque.
Il 27 febbraio 1968, Marisa dà alla luce un bambino a Narni, in provincia di Terni. Marisa è una cameriera di 24 anni, non saprebbe come allevare da sola quel piccolo che ha chiamato Antonio. Decide quindi di portarlo all’orfanotrofio, dove le suore si prendono cura di lui. All’inizio va a trovarlo spesso, poi sempre meno, finché autorizza le religiose a darlo in adozione.

Antonio ha già sette anni, quando un’anziana coppia senza figli viene a visitarlo. Il medico Ermanno Chiatti non sembra molto propenso ad adottare un bambino già grandicello, ma cede alle insistenze della moglie, la maestra in pensione Giacoma Ponti. Così, dal 1974 il piccolo ha una famiglia e un nuovo nome: Luigi Chiatti.

La vita in famiglia non si rivela facile: il padre, il dottor Ermanno, è molto preso dal lavoro e in casa impone il silenzio assoluto, non parla nemmeno durante i pasti.
“Mi faceva rabbia: fuori dalla famiglia era un tipo aperto e scherzoso”, racconterà il figlio, “mentre a me, che pure cercavo di parlargli, non diceva niente”.

Con la madre, almeno all’inizio, c’è un dialogo, ma presto il rapporto si incrina anche con lei: Luigi dimostra di essere un bambino violento e più volte prende a calci la nonna anziana. E lui, dal canto suo, si isola sempre di più. Quando compie 10 anni viene fatto seguire da una psicologa, ma, temendo che la donna riferisca tutto ai genitori, il ragazzino non si apre nemmeno con lei. I compagni di scuola, da parte loro, fanno caso a quel coetaneo così strano solo quando devono prendere in giro qualcuno. Nel 1987, Luigi si diploma e diventa geometra.

I due anni successivi di praticantato sono anche gli unici nei quali svolgerà un mestiere. “Sul lavoro ero silenzioso e mi applicavo poco”, dirà, “mi chiedevo come avrei potuto fare il geometra con il mio carattere chiuso”.

Un giorno, in alcuni scatolini del figlio, la mamma trova montagne di pannolini e di vestitini per bambini. Allarmata, telefona alla psicologa, la quale risponde che il comportamento del giovane è soltanto la conseguenza di una carenza affettiva.

Nel 1982, Luigi Chiatti parte per il servizio militare. Tornato alla vita civile, rimane disoccupato e questa sua condizione lo spinge sempre di più nell’isolamento.
Il 4 ottobre i coniugi Chiatti vanno nelle Marche per una gita e il figlio approfitta della casa libera per dare sfogo alle sue perverse fantasie.

Girando in macchina nella periferia di Foligno, si imbatte in un bambino di nemmeno cinque anni seduto sotto un albero accanto alla sua bicicletta. Si chiama Simone, gli dice il piccolo stesso, e Luigi lo invita a fare un giro in auto. Il bimbo accetta, purché poi venga riportato indietro. Invece Luig Chiatti lo conduce a casa sua dove inizia a molestarlo.

Il bambino scoppia a piangere e il suo rapitore, per paura che i vicini lo sentano, gli mette le mani al collo e inizia a stringere. Quando capisce che il piccolo non respira più, l’assassino lo nasconde in un sacco e lo trasporta in auto fino a un precipizo, dove ha l’impressione (sbagliata) che Simone sia ancora vivo. Allora, prima di buttarlo tra gli arbusti, lo pugnala alla gola.

Dieci mesi dopo, di nuovo a casa senza i genitori, Luigi Chiatti invita il tredicenne Lorenzo Paolucci a giocare a carte con lui: dopo due partite, colto da un raptus improvviso, Chiatti lo colpisce per ben sei volte con un forchettone da cucina, poi getta il corpo ormai inanimato dalla finestra e lo trascina nel boschetto vicino.

Non molto tempo dopo si organizzano le ricerche per Lorenzo, alle quali partecipa anche il suo assassino. Durante il tragitto, Luigi Chiatti ne approfitta per sbarazzarsi dei sacchetti con i vestiti sporchi di sangue del ragazzino e della foto di Simone Allegretti, trafugata alcuni mesi prima dalla sua lapide.
Catturato poco dopo, ammette le proprie colpe e dichiara ai magistrati che desiderava essere arrestato.

Al processo, che si tiene nel 1994, Luigi Chiatti deve rispondere dei due omicidi compiuti con “crudeltà e per motivi abietti”. Nel caso di Simone Allegretti, con l’ulteriore aggravante degli atti di libidine.

Viene condannato a due ergastoli, ma nel 1996, al processo d’appello, la pena diminuisce a 30 anni di reclusione perché all’imputato viene riconosciuta la seminfermità mentale. Lo sconto è dovuto alla testimonianza di un uomo che da bambino era nell’orfanotrofio insieme a Luigi, il quale ha raccontato che entrambi avevano subito violenze sessauli.

In prigione, il comportamento di Luigi Chiatti, giudicato da tutti arrogante, irrita carcerati e guardie. Una delle guardie finisce anche per litigare con lui e per questo motivo viene punita dai superiori.
Il “Mostro” scrive una lettera di perdono ai genitori delle due piccole vittime: “Le sue non sono parole genuine, deve restare in carcere”, commenta Franco Allegretti, papà del piccolo Simone. Mentre Luciano Paolucci, il padre di Lorenzo, dice “di avere perdonato Chiatti perché da bambino è stato violentato”, precisando però che “chiunque lo farà uscire di prigione se ne dovrà assumere la responsabilità”.

Nel 2015 Luigi Chiatti ha terminato di scontare la sua pena in carcere ed è stato internato in una Rems, la struttura che ha sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari.


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