LETIZIA BERDINI, UCCISA DA UN SASSO

LETIZIA BERDINI, UCCISA DA UN SASSO

History is littered with hundreds of conflicts over the future of a community, group, location or business that were “resolved” when one of the parties stepped ahead and destroyed what was there. With the original point of contention destroyed, the debates would fall to the wayside. Archive Team believes that by duplicated condemned data, the conversation and debate can continue, as well as the richness and insight gained by keeping the materials. Our projects have ranged in size from a single volunteer downloading the data to a small-but-critical site, to over 100 volunteers stepping forward to acquire terabytes of user-created data to save for future generations. The main site for Archive Team is atarchiveteam.organd contains up to the date information on various projects, manifestos, plans and walkthroughs. This collection contains the output of many Archive Team projects, both ongoing and completed. Thanks to the generous providing of disk space by the Internet Archive, multi-terabyte datasets can be made available, as well as in use by theWayback Machine, providing a path back to lost websites and work. Our collection has grown to the point of having sub-collections for the type of data we acquire. If you are seeking to browse the contents of these collections, the Wayback Machine is the best first stop. Otherwise, you are free to dig into the stacks to see what you may find. The Archive Team Panic Downloadsare full pulldowns of currently extant websites, meant to serve as emergency backups for needed sites that are in danger of closing, or which will be missed dearly if suddenly lost due to hard drive crashes or server failures. Una Mercedes fila sull’autostrada Torino-Piacenza, la sera di venerdì 27 dicembre 1996. Alla guida c’èLorenzo Bossini, geometra bresciano di 30 anni. Al suo fianco si trova la moglie,Letizia Berdini, impiegata marchigiana di 31 anni. La donna, nata a Civitanova, in provincia di Macerata, dopo essersi diplomata alle magistrali si era trasferita a Brescia per fare l’impiegata. Lì aveva conosciuto Lorenzo, titolare di uno studio tecnico. Era stato un incontro casuale in un piano-bar, dove ogni tanto lei andava a sfogare la sua grande passione: il canto. Aveva fatto la corista per Riccardo Cocciante e partecipato ad alcune trasmissioni televisive. Alla fine, però, aveva deciso che il canto sarebbe rimasto un semplice hobby e, dopo quattro anni trascorsi a Brescia, Letizia si era finalmente decisa a sposare il geometra.La loro casa non è ancora pronta, la stanno facendo ristrutturare, per questo la coppia abita provvisoriamente nell’appartamento di lei. Sono passati solo cinque mesi dal matrimonio, ma sembra l’altro ieri. Come tutti gli sposini, Letizia e Lorenzo sono sicuri di aver davanti una vita insieme lunga e felice. Una vita fatta di piccole gioie, come quella che li sta aspettando: sono partiti da Brescia per raggiungere alcuni amici a Torino e poi partire con loro per trascorrere il Capodanno a Parigi.Un modo per completare il viaggio di nozze, che era stato troppo breve a causa di impegni di lavoro. In quel momento, nell’abitacolo della Mercedes i due stanno scherzando perché, guardando l’orologio, si rendono conto di essere in ritardo all’appuntamento.“Come al solito!”, esclamano insieme scoppiando a ridere, mentre nella radio partono le note di un brano di Eric Clapton. Letizia fa un cenno al marito, vuole ascoltare in silenzio il suo musicista preferito. L’auto arriva in località Cavallosa, alla periferia di Tortona, e sta per passare sotto uno dei tanti cavalcavia. Un attimo dopo si sente un’esplosione: colpito da un grosso sasso piombato dall’alto, il parabrezza va in frantumi scagliando le schegge in tutte le direzioni. Miracolosamente, Lorenzo rimane illeso. L’uomo sente il sasso rimbalzare all’interno dell’auto e avverte l’aria gelida dell’inverno entrare dal parabrezza rotto. Si concentra unicamente sulla guida, perché se perdesse il controllo del veicolo a quella velocità sarebbe la fine.Riesce a portarsi sul lato destro della strada e a fermarsi, cento metri oltre il luogo dell’impatto. Tirando un sospiro di sollievo si volta verso la moglie, rendendosi conto all’improvviso che in quegli attimi drammatici Letizia non ha detto una parola. Poi la vede, accasciata verso la portiera con la testa abbassata.“Ho cercato di chiamarla e le ho drizzato il capo”, racconterà in seguito,“ma le mancava tutta la parte sinistra e il cervello era sulle sue gambe”. Il grosso sasso l’aveva centrata in pieno. Mentre Lorenzo esce dall’auto gridando come un pazzo, si accorge che davanti a lui è ferma una Seat Marbella. All’interno, il guidatore sta chiamando i soccorsi con il telefonino.L’uomo si chiamaRaffaele Macera, un idraulico genovese di 26 anni: accanto a lui ci sono la moglie ventitreenne in stato interessante e il figlioletto di un anno. Pure il parabrezza della sua auto è stato sfondato e i frammenti di vetro l’hanno ferito al volto e a un braccio. Il suo viso è una maschera di sangue, ma non ha perso la lucidità. Al contrario della moglie, che non smette di urlare da quando ha visto la pietra cadere tra le gambe del figlioletto, sul seggiolino agganciato al sedile posteriore, per fortuna senza ferirlo. Ancora sconvolto, Lorenzo alza gli occhi verso il cavalcavia, dove quattro o cinque ombre continuano a gettare sassi. Sono figure umane, ma urlano e fanno versi belluini come un branco di scimmie impazzite.La sassaiola, che dura una decina di minuti, ferisce leggermente un terzo conducente,Luigi Riccardi, di 35 anni, e danneggia altre tre auto. A questo punto, le infernali figure sul cavalcavia continuando a dimenarsi e a sghignazzare, entrano in due auto parcheggiate con i fari accesi e si dileguano. Più sotto, sul manto autostradale, giacciono una decina di pietre dal peso di 2 o 3 chili l’una. La notizia della morte assurda di Maria Letizia scuote l’Italia. I paesini tra le province di Alessandria e di Pavia vengono invasi da poliziotti e carabinieri alla ricerca dei colpevoli.Incredibilmente, nei due mesi successivi, si scatena la moda del lancio di sassi dal cavalcavia. Vengono così danneggiate 266 auto, ed è solo un caso se nessun altro rimane ferito. I telegiornali, per evitare che i lanci criminali dilaghino ulteriormente, decidono di non parlarne più. Per lo stesso motivo, in un film della serie di Fantozzi proiettato al cinema, viene tagliata la scena dove il popolare personaggio interpretato da Paolo Villaggio scaglia un masso dal cavalcavia. Il fenomeno, del resto, non è nuovo. Prima della morte di Letizia Berdini erano state uccise in questo modo diverse persone.Per esempioMaria Ilenia Landrini, una bimba di due mesi e mezzo, sulla provinciale Milano-Lentate nel 1986. Il quarantenneGiuseppe Capruso, sull’autostrada di Molfetta nello stesso anno.L’elenco continua con gli anzianiconiugi Fornale, sull’autostrada del Brennero nel 1991, e conMonica Zanotti, centrata da una pietra lanciata dal cavalcavia sulla A22 il 29 settembre 1993. A metà gennaio 1997, una lettera anonima con i nomi degli assassini arriva ai magistati di Tortona. Si scopre subito che a scriverla è stata la torineseCarmela Giardino, di 29 anni, di professione baby sitter ed ex fidanzata di una delle persone accusate. Secondo la lettera, i capi della “banda dei sassi” sono i fratelliPaoloeSandro Furlan, di 25 e 22 anni, e il cuginoPaolo Bertocco, di 25.I Furlan provengono da una famiglia povera originaria di Rovigo: il padre è invalido, la madre cerca di guadagnare qualcosa facendo le pulizie. Con grande difficoltà, i due sono riusciti ad allevare otto figli. Uno di loro, Paolo, di professione imbianchino, è considerato la “mente” del gruppo. Gli piace praticare sport in palestra e sul campo di calcio, ma si è fatto notare per alcuni atti di vandalismo, ricevendo una condanna per aver danneggiato alcune cabine telefoniche. Il fratello Sandro, invece, non ha precedenti penali, ma pare sia stato lui a caricare sulla propria auto le pietre gettate dal cavalcavia.Un altro fratello,Gabriele, di 27 anni, durante il primo interrogatorio racconta di aver sentito gli altri mettersi d’accordo sulla versione da dare alla polizia. Mentre, secondo gli inquirenti, sul cavalcavia era presente pure lui. Il loro cugino, Paolo Bertocco, ha precedenti per danneggiamenti e la seconda auto parcheggiata accanto al cavalcavia era la sua.A scrivere la lettera anonima che denuncava il gruppo era stata proprio l’ex fidanzata di Bertocco, Carmela Giardino, dopo aver sentito la banda dei balordi vantarsi dell’impresa. Nel corso dell’indagine, gli inquirenti scoprono che i lanci andavano avanti da mesi e alcune auto erano già state colpite da sassi più piccoli.A parteciparvi, come in un macabro videogico, erano ragazzi e ragazze della zona che non sapevano come trascorrere le serate: quando un’auto veniva centrata, si festeggiava tutti insieme, cenando al ristorante.Si sospetta che ci sia sotto un giro di scommesse, ma non si riuscirà a provarlo. Ecco come viene ricostruita quella sera del 27 dicembre daAldo Cuva, il procuratore capo di Tortona:“Alcuni giovani si ritrovano davanti a un supermercato vicino al cavalcavia. Sono quattro fratelli Furlan: Paolo e Sandro, più Franco, il primogenito di 30 anni, e Gabriele. Ci sono anche il cugino Paolo Bertocco, Loredana Vezzaro (la fidanzata 19enne di Sandro che lavora nel centro commerciale) e un amico del gruppo, Roberto Siringo. A loro si uniscono altre tre persone, che rimangono ignote. I ragazzi, lì per lì, decidono di raccogliere i sassi davanti al supermercato per tirarli sull’autostrada. I due Paolo e i tre sconosciuti sono quelli che lanciano materialmente le pietre, mentre Franco e Gabriele Furlan fanno la guardia ai due lati del cavalcavia”. Una ricostruzione a cui si è giunti con difficoltà, perché i conoscenti dei ragazzi hanno intralciato in tutti i modi le indagini, tanto che 25 di loro verranno accusati di falsa testimonianza. Gli stessi imputati, dopo aver confessato le loro colpe, ritratteranno tutto. Come se non bastasse, il procuratore Aldo Cuva viene accusato di non avere fatto trascrivere diligentemente i verbali delle confessioni e di aver cercato, in seguito, di falsificarli per impedire che il fatto venisse scoperto. A causa di questo dovrà lasciare la magistratura. La sua inchiesta, comunque, viene considerata attendibile daMaurizio Laudi, il nuovo pubblico ministero, che nel 1998 porta gli accusati davanti al tribunale di Alessandria.Contro di loro c’è sempre la testimonianza dell’ex fidanzata di Paolo Bertocco, Carmela Giardino. La giovane donna conferma in aula di aver sentito i componenti della banda parlare di quello che avevano combinato e spiega che aveva mandato la lettera in forma anonima per paura di ritorsioni.Contro gli imputati gioca anche il fatto che, dopo aver ritirato le confessioni, avevano cambiato fino a sei volte le loro versioni, man mano che queste venivano smontate dalla procura. Il pubblico ministero chiede trent’anni di carcere per i quattro fratelli Furlan (Paolo, Sandro, Franco e Gabriele) e per il cugino Paolo Bertocco. Mentre chiede l’assoluzione per la fidanzata di Sandro, Loredana Vezzaro, che sarebbe rimasta in auto, e Roberto Siringo, perché si sarebbe rifiutato di partecipare ai lanci.Rimarranno senza nome i restanti tre ragazzi. Alla fine, i fratelli Furlan e il loro cugino vengono condannati a 27 anni e 6 mesi per omicidio volontario aggravato e per altri sei tentati omicidi sempre con il lancio dei sassi, mentre gli altri due vengono assolti, come richiesto dal pubblico ministero. Nel processo d’appello i difensori chiedono il rito abbreviato, appena entrato in vigore nel nostro codice penale, per ottenere uno sconto della pena. La quale, infatti, scende a 18 anni e 4 mesi.Inoltre, uno dei fratelli Furlan, Gabriele, viene assolto. Era stato il primo a confessare, accusando i fratelli, anche se poi aveva ritrattato tutto. Per la Corte d’appello il suo alibi è credibile: durante la sassaiola era in un bar a telefonare alla sua ragazza. I quattro condannati lasciano gli arresti domiciliari per andare in prigione, dove vengono divisi in due celle, l’una di fronte all’altra.Nel 2009, otto anni dopo, grazie ai normali benefici e all’indulto, tornano in libertà. “La liberazione anticipata di quegli assassini mi ha fatto stare male”, dichiara a caldoVincenzo Berdini, padre di Letizia, tecnico elettronico in pensione.“Quelli non si sono pentiti, non hanno mai chiesto perdono a nessuno. Al processo uno di loro ha ricambiato il mio sguardo come per dirmi:‘Che cavolo vuoi?’. Da dodici anni vado ogni giorno a trovare Letizia al cimitero, però stavolta non ce l’ho fatta. Cosa le vado a raccontare?”. (Per leggere gli altri articoli sui delitti famosi pubblicati daGiornale POPcliccaQUI).