LE MIGLIORI STORIE CLASSICHE MARVEL

LE MIGLIORI STORIE CLASSICHE MARVEL

Gli anni sessanta furono il periodo d’oro della Marvel. Sono gli anni in cui una piccola casa editrice a gestione quasi familiare divenne un gigante del settore. I primi tempi furono dedicati soprattutto all’invenzione di nuovi personaggi, sempre originali, diversi e avvincenti. In questa fase cruciale di crescita la quasi totalità del lavoro fu svolta da tre persone: Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko.

In questi pochi anni vengono creati tutti i personaggi che faranno la fortuna della casa editrice e la nutritissima galleria di variopinti antagonisti che ancora oggi affascina. Le storie, quelle sarebbero venute dopo.

Nella metà del decennio subentra un periodo di consolidamento durante il quale l’universo Marvel assume i contorni che lo definiranno per i decenni a venire. A questo periodo appartengono le storie migliori, quelle che hanno reso possibile la nascita della leggenda. Quelle che non dimenticheremo mai. Ricordiamole.



1965 – Strange Tales n. 130-141

Dottor Strange: La saga di Dormammu

Può essere sorprendente il fatto che di tutti i colorati eroi di quella che Stan Lee aveva chiamato “l’era Marvel dei comics” toccò al più atipico tra loro essere il protagonista della prima saga di un certo spessore. Il Dottor Strange era un eroe esistenziale: “Ho ottenuto il potere più grande di tutti… ho avuto il dono della conoscenza”, afferma nel n. 133.

Nella “Saga di Dormammu”, il Dottor Strange si trova a combattere quella che apparentemente sembra una battaglia senza speranza contro le forze combinate di Dormammu e del suo scagnozzo Mordo, ma in realtà si tratta di un lungo viaggio iniziatico alla ricerca di se stessi.

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Quando il Dottor Strange nel n. 138 va in pellegrinaggio dall’entità cosmica chiamata Eternità per chiedergli un aiuto contro i suoi strapotenti antagonisti, questi glielo nega: ”Possiedi già i mezzi per sconfiggere i tuoi nemici! Il potere non è l’unica risposta! La chiave è la saggezza!”.

Visivamente ci troviamo di fronte a quanto di meglio Steve Ditko abbia mai realizzato. Mescolando surrealismo, astrattismo e psichedelia, il disegnatore newyorchese dà vita a un cocktail fantasmagorico capace di affascinare a distanza di sessant’anni.

1965 – Devil n. 7
Devil contro Sub-Mariner

Questa è la storia dove Wally Wood prende Devil per mano e comincia veramente a metterci del suo. In primo luogo, ridisegna il costume e lo colora tutto di rosso, in modo da conferire al personaggio quell’aura misteriosa che ancora oggi lo caratterizza.

Namor il Sub-Mariner che contatta lo studio degli avvocati Matt Murdock e Foggy Nelson per fare causa all’umanità sembra una delle solite stravaganti idee di Stan Lee. L’interminabile, angosciosa, eroica battaglia finale che occupa le ultime dieci pagine dell’albo è, invece, farina del sacco di Wood.

La lotta tra Devil e Sub-Mariner è impregnata di reminiscenze bibliche, è un confronto che Devil non può vincere, una lotta assolutamente impari che ricorda quella di Giacobbe contro l’Angelo.

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Alla fine Namor, colpito dall’indomita resistenza di Devil, lo riconosce come l’avversario “più vulnerabile” ma anche il più “coraggioso” di tutti quelli con cui ha combattuto. È questo un momento cruciale che definisce una volta per tutte Devil, riconoscendo la sua grandezza proprio nella mancanza di potere fisico abbinata al grande coraggio.

Wally Wood prende il via da un’idea di Stan Lee descrivendo con immagini stupende ogni piccola emozione, senza mai sacrificare quel profondo senso di moderazione che caratterizza il suo stile. Devil cade ma non vediamo mai la sua espressione, Namor lo osserva dall’alto ma non esulta mai.



1965 – Amazing Spider-Man n. 31-33
La trilogia del Coordinatore

Dopo il tour de force della “saga di Dormammu” un Steve Ditko in piena trance creativa regala anche all’Uomo Ragno il suo gioiellino. La cosiddetta “Trilogia del Coordinatore” rimane tra le storie Marvel più celebrate di ogni tempo.

Molto è stato detto a proposito di questo intensissimo arco narrativo, che come tutte le cose migliori di Ditko fa perno sul carattere delle persone. Nelle prime cinque pagine dell’ultimo numero, in uno sbalorditivo crescendo, Steve Ditko orchestra una delle più drammatiche sequenze della storia del fumetto.

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L’Uomo Ragno è intrappolato sotto un pesante macchinario apparentemente impossibile da spostare. Ma Ditko sostiene che la forza di volontà può spostare le montagne. E allora ecco che nella terza pagina, il macchinario, incredibilmente, inizia a spostarsi.  

Nella quarta pagina l’Uomo Ragno riesce addirittura a sollevare un ginocchio dal pavimento. La quinta pagina è un’apoteosi: con uno slancio ormai irrefrenabile, Peter si toglie l’immane peso dalle spalle. Una splash page con pochi rivali in casa Marvel. 



1966 – Fantastic Four n. 48-50

La trilogia di Galactus

Si era nel 1966. Stan Lee e Jack Kirby avevano realizzato quasi una cinquantina di numeri dei Fantastici Quattro. Avevano confezionato una dozzina di buoni numeri preparatori dove introducevano il quartetto dei protagonisti e le loro dinamiche interne, dei comprimari azzeccati e dei nemici formidabili. Poi i due si erano un po’ spenti.

Lee preferiva l’Uomo Ragno e comunque aveva troppe serie sulle quali scrivere i dialoghi, mentre Kirby confezionava piccole storie di fantascienza. Avevano continuato a barcamenarsi tra un ritorno di Namor e uno del Dottor Destino senza mai spingere sull’acceleratore. Da un po’ però le cose stavano cambiando, da quando avevano introdotto lo Spaventoso Quartetto e gli Inumani. Kirby stava raggiungendo il top.

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Quando Lee disse: “Facciamoli combattere con Dio!”, Kirby si inventò in un colpo solo il divino Galactus e il suo “messia” Silver Surfer. Due personaggi sopra le righe, iconici quanto basta per rubare letteralmente la scena ai Fantastici Quattro, che pure li ospitavano nel loro albo.

La “Trilogia di Galactus” diventa un mito sin da subito. Kirby vi introduce una serie infinita di concetti trascendentali, come il rapporto tra l’uomo e Dio, la lotta eterna tra il bene e il male, il conflitto tra obbedienza e coscienza. E lo fa continuando a intrattenere. Inizia qui il periodo migliore dei Fantastici Quattro. 

1966 – Amazing Spider-Man n. 39-40

Il vero volto di Goblin

La run di John Romita su Spidey non poteva iniziare in modo più spettacolare. La storia che si estende sui numeri 39-40 di Amazing Spider-Man è una vera bomba. Forse per rendere indolore l’abbandono di Ditko, Lee e Romita confezionano un racconto pieno di colpi di scena che resterà negli annali.

In primo luogo Stan Lee decide che è l’occasione perfetta per risolvere la questione dell’identità di Goblin a suo modo, e non come avrebbe voluto Dikto. Sembra una buona idea farlo subito, dal momento che Ditko avrebbe potuto ancora cambiare idea e tornare alla Marvel.

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Restava il problema della copertina: come avrebbero reagito i fan quando si fossero accorti che non c’era la mano di Ditko? Soluzione: avrebbero confezionato una copertina cosi shockante che i fan avrebbero afferrato l’albo al volo appena l’avessero visto in edicola, senza badare a chi fosse l’artista.

Romita disegna la copertina con Goblin che ha catturato Peter Parker, il cui costume balza all’occhio attraverso i suoi vestiti strappati. E sotto, la scritta “Un altro successo della Marvel: Spidey e Goblin entrambi smascherati!”. Non si poteva non acquistarlo, e cosi fu.



1966 – Strange Tales n. 150-159

Nick Fury contro l’Hydra

Alla fine del 1966 Jim Steranko ottiene da Stan Lee la possibilità di disegnare Nick Fury agente dello Shield, il personaggio nello stile di James Bond che condivide l’albo Strange Tales con il mistico Dottor Strange.

Come aveva fatto John Buscema prima di lui su Nick Fury, all’inizio Steranko lavora inchiostrando gli schizzi di Jack Kirby, “creatore grafico” della serie, per cercare di assorbirne lo spirito rivoluzionario. Poi esplode e fa di questo fumetto un classico: così innovativo che ancora adesso resta difficilmente superabile in quanto a fantasia.

Leggendo la saga di Nick Fury contro l’Hydra ci si accorge che il compito della rappresentazione visiva nel fumetto è quello di ottenere una risposta emotiva ancor prima che il lettore si accinga a decifrarne la componente narrativa. Ogni tavola di Steranko trasuda di una forza che è indipendente dalla storia narrata.

In questa fase il perfetto equilibrio tra lo sperimentalismo grafico delle tavole e il classicismo delle trame da vita a uno dei migliori prodotti Marvel del periodo. Successivamente l’autore degenererà in storie appesantite da un uso smodato di didascalie.



1968 – Thor n. 154-157  

La quadrilogia del Mangog

Tra quelli d’atmosfera puramente mitologica, si tratta del miglior lavoro di Stan Lee e Jack Kirby su Thor. Una saga epica sulla necessità di continuare a combattere anche quando la sconfitta sembra certa e la morte inevitabile. Si inizia con Hela, dea nordica della morte, che tenta Thor suggerendogli di abbandonare le miserie del mondo per la gloria del Valhalla, l’aldilà degli eroi, dove potrà combattere la battaglia infinita. Thor rifiuta sdegnosamente: “Il figlio di Odino combatte per uno scopo, mai per piacere!”.

Poi un avversario minore, il troll forzuto Ulik, libera inavvertitamente la mostruosa forza malvagia del Mangog dalla sua antica prigionia. Mangog ha un solo desiderio: distruggere Asgard e provocare Ragnarok, l’apocalisse degli dei. Si tratta di un vecchio nemico di Odino che è un’entità collettiva, l’incarnazione di un’antica razza morente con tutto il potere di un miliardo di miliardi di esseri.

La battaglia tra Thor e Mangog, che occupa gran parte del terzo numero, è a dir poco spettacolare, con solo brevi momenti di riposo per far avanzare le sottotrame. Una di queste ripropone la tentazione di sottrarsi alla battaglia. Questa volta è Karnilla, la regina delle Norne, che prega l’amato Balder di non tornare ad Asgard per battersi contro Mangog, ma di rimanere presso di lei dove potrà avere salva la vita. 

“Che cosa importa la vita”, risponde il fiero dio Balder, “se il suo prezzo è la perdita dell’orgoglio e dell’onore?”. Tutti sono ormai rassegnati al peggio quando Thor, usando il suo potere sulle tempeste, risveglia Odino che sconfigge Mangog. La risoluzione della storia sembra affrettata, potrebbe essere un indizio del fatto che Lee e Kirby non fossero d’accordo su come continuarla.



1969 – Capitan America n. 110-113

Capitan America contro l’Hydra

Si tratta degli unici tre albi di Capitan America illustrati da Jim Steranko, con in mezzo un fill-in di Jack Kirby. La storia inizia con una impaginazione poderosa. Una sottile striscia di cinque vignette occupa la parte superiore, dove un uomo avanza nella notte illuminata soltanto dalla luce di un lampione. L’atmosfera è cupa, simile a quella di un noir, ricorda certe vignette dello Spirit di Will Eisner.

Poi l’azione esplode in una splendida splash page che si estende su due pagine, dove Capitan America e il suo partner si trovano all’improvviso a dover affrontare ben ventotto agenti dell’Hydra. La storia continua con altre invenzioni grafiche: una pagina muta ambientata in una sala giochi, mostrata attraverso una serie di piccole vignette dai colori acidi. Nell’ultima, il responso che esce da una macchina che predice il futuro è il titolo dell’albo: “Domani tu vivi, stanotte io muoio”.

Non potevano mancare pagine surrealiste alla Salvador Dalì, marchio di fabbrica del disegnatore della Pennsylvania.

Terminiamo segnalando un’immagine iconica dove Capitan America troneggia su una piramide di membri dell’Hydra che cercano di ucciderlo. I dialoghi di Stan Lee sono all’altezza del disegno, sia pure con una buona dose di retorica: “Un uomo può essere distrutto, ma come si fa a distruggere un sogno?”. Ovviamente non si può.



1969 – Silver Surfer n. 5

Silver Surfer contro lo Straniero

Questa storia, che per molti rimane insieme a “Brother take my hand” di Devil la più bella di Stan Lee, è infarcita dall’inizio alla fine di riferimenti alla tradizione religiosa ebraica e cristiana. Tuttavia Lee non è un ebreo particolarmente devoto.

Quando il nostro surfista alieno viene in aiuto di un uomo ferito che giace in un vicolo, non può non venire in mente la parabola del buon samaritano. Dove un detestato samaritano, l’“altro” per gli ebrei ortodossi dell’epoca, offre soccorso a uno straniero derubato, picchiato e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada.
Più avanti, quando Silver Surfer si sottomette alla brutalità dei suoi assalitori, viene in mente la sottomissione di Gesù Cristo, alle umiliazioni, percosse e ferite durante la sua passione.

Il dialogo successivo tra lo Straniero e il surfista d’argento ci riporta direttamente al Libro della Genesi, quando Dio rivela al patriarca Abramo  la sua intenzione di radere al suolo le città “peccaminose” di Sodoma e Gomorra. Abramo allora implora il suo Signore di non spazzare via il giusto assieme al malvagio.

Allo stesso modo Silver Surfer implora lo Straniero di  risparmiare gli esseri umani della Terra: “Sebbene gli uomini sembrino pazzi… non sono senza speranza!”. Infine è quasi impossibile non vedere nel sacrificio finale, solitario ed eroico di Al Harper un parallelo con il sacrificio redentore di Gesù.



1969 – Uncanny X-Men 58-61

La saga di Havok

In questo arco narrativo, Havok, il fratello di Ciclope, non riesce a controllare i propri poteri e si considera un pericolo pubblico, pertanto fugge dagli X-Men e si nasconde. Mentre si nasconde, viene catturato dalle Sentinelle. In questi quattro albi assistiamo all’apice della collaborazione artistica del grande Neal Adams con la Marvel.

Sfogliando queste pagine tutti si accorsero che qualcosa nella rappresentazione grafica dei super-eroi Marvel era cambiata per sempre. In particolare il lavoro di Adams diventa in quei giorni un punto di riferimento per tutti i disegnatori Marvel che si apprestano ad affrontare il nuovo decennio in contrapposizione con la stilizzazione che aveva ispirato i disegnatori negli anni sessanta: quella di Jack Kirby.

Per esempio, un classico disegnatore della Silver Age come Jack Kirby raramente inseriva ombre sui volti dei personaggi (un po’ come nella linea chiara francofona), mentre i volti di Adams sono pieni di ombre per creare i volumi, rendere realistiche le espressioni e aumentare la drammaticità. Jack Kirby disegnava quasi sempre ad altezza uomo, mentre le prospettive di Adams erano quasi sempre inusuali: spesso dall’alto o dal basso, per aumentare l’espressività delle scene. Jack Kirby preferiva riprendere i suoi personaggi di fronte o di lato per ottenere il massimo di leggibilità, Adams preferiva i punti di vista da tre quarti, per evidenziare meglio i volumi. Le anatomie di Kirby erano inventate, la realtà era piegata creativamente alle esigenze espressive, Adams era rispettoso delle proporzioni anatomiche per raggiungere un risultato ultrarealistico.

L’estetica Marvel cominciò a virare decisamente da una dimensione stilizzata, ripresa dalla pop art degli anni sessanta, a un realismo ancora non completamente fotografico che influenzerà quasi tutti i disegnatori a venire.



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