IL MEGLIO DELLA MARVEL ANNI SETTANTA 

IL MEGLIO DELLA MARVEL ANNI SETTANTA

Abbiamo spesso parlato degli anni settanta come di un periodo di crisi per la Marvel. Un periodo in cui nessuno aveva le idee chiare su dove stesse effettivamente andando il fumetto. Jack Kirby era passato alla Dc Comics e poco dopo Stan Lee aveva smesso di scrivere. In tanti stavano cercandosi un altro lavoro perché pensavano che il business del fumetto avesse i giorni contati. Ovunque regnava una confusione indescrivibile.

Ebbene, in questa atmosfera da fine del mondo ci furono alcuni (pochi) che continuarono a fare le cose per bene. Costoro realizzarono dei fumetti che se non vogliamo chiamare capolavori (ma alcuni lo sono) certamente dobbiamo considerare molto ben riusciti e in grado di affascinare anche a distanza di tempo.

Chi furono i migliori disegnatori della Marvel in quegli anni? E quali furono le loro migliori realizzazioni, spesso sostenute da buoni sceneggiatori?

Barry Smith – Conan the Barbarian n. 1-4

Quando il primo albo di Conan il Barbaro uscì nelle edicole nell’ottobre del 1970 fu uno shock.
Senza saperlo, il giovane Barry Smith (non ancora Windsor-Smith) aveva appena fatto una piccola rivoluzione. Conan era il primo “non supereroe” a uscire sotto il marchio Marvel dopo diversi anni, e Smith lo caratterizzò subito al meglio. Lo sguardo torvo di chi non si fida di nessuno, il braccio potente che impugna la spada, il coraggio sprezzante di fronte al pericolo.

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Il resto lo fecero i dialoghi melodrammatici che lo sceneggiatore Roy Thomas aveva imparato da Stan Lee: “Quel barbuto aesir, assediato da un trio di nemici abbaianti! Non è affar mio. Mi sono già guadagnato la mia giornata di lavoro per l’oro degli aesir. Tuttavia, perché un leone dovrebbe morire e tre sciacalli vivere? Per Crom! Non dovrebbero! E per Crom non lo faranno!”.
Era l’inizio di una leggenda che durò decenni, anche se l’odore pungente del mito che emana da questi albi iniziali andò a perdersi con il tempo.

Neal Adams – The Avengers n. 93-96

L’avventura di Neal Adams alla Marvel lascia un po’ d’amaro in bocca. Il disegnatore ebbe poco tempo a disposizione per mettere in luce il suo enorme talento. Di lui ci restano soltanto due gemme da ricordare e i rimpianti per quello che poteva essere e non è stato.
Le gemme sono l’arco narrativo su Uncanny X-Men e “La guerra Kree-Skrull”. Quest’ultima si sviluppa su The Avengers n. 89-97, di cui Adams disegna solo dal 93 al 96. Si tratta di una storia enorme, dai contorni epici che per la prima volta mette il gruppo dei Vendicatori al centro dell’universo Marvel.

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Neal Adams adotta qui uno stile decisamente cinematografico in varie meravigliose sequenze, come quella famosa del viaggio di Ant-Man all’interno del corpo di Visione. Roy Thomas, seguendo lo spirito della Contestazione giovanile, cerca di trasformare i Vendicatori in un gruppo di outsider che lotta contro il sistema.
La saga si presenta come un crescendo: prima arrivano i Kree, poi gli Skrull, poi gli Inumani, i Mandroidi, Maximus il Pazzo, Ronan l’Accusatore e l’Intelligenza Suprema… ogni numero aggiunge qualcosa di nuovo. La trama si infittisce, si complica, si arrotola su se stessa, mentre il disegno si fa via via sempre più magnifico.


Mike Ploog – Marvel Spotlight n. 2-4

L‘idea di costruire un personaggio basato su un B-movie degli anni cinquanta, I was a teenage Werewolf, fu del solito Roy Thomas. A Stan Lee piacque l‘idea ma non il titolo, che cambiò in Werewolf by Night (in Italia l’Editoriale Corno lo fece diventare “Licantropus”).
Il fumetto racconta le vicende di Jack Russel (che come molti lettori fecero notare è il nome di una razza canina), il quale apprende al suo diciottesimo compleanno di essere stato maledetto dalla malattia della licantropia.

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La storia è raccontata attraverso una narrazione in prima persona piuttosto originale, con Il protagonista che commenta gli accadimenti man mano che si verificano, comprese le riflessioni animalesche che fa quando si trasforma in un licantropo.
La serie è riuscita a metà. Interessanti sono soprattutto i disegni di Mike Ploog, che in questi numeri si afferma come la stella nascente del revival horror della Marvel. Maestro delle atmosfere notturne che realizza con un approccio assolutamente viscerale, Ploog riempie le vignette di cadaveri in decomposizione, fuggiaschi sbavanti, pazzi scatenati e orde di creature deformi che un tempo erano state umane. Deludono, invece, i testi piuttosto convenzionali e privi di pathos di Gerry Conway.


Sal Buscema – The Defenders n. 8-11

Dopo che la serie del Dottor Strange era stata cancellata nel 1970, lo sceneggiatore Roy Thomas per finire una storia che era rimasta a metà dovette farla proseguire sugli altri titoli che stava scrivendo. Ciò che era iniziato in Doctor Strange n. 183 nel novembre 1969 è quindi continuato in Sub-Mariner n. 22 del febbraio 1970 e si è concluso su The Incredible Hulk n. 126 dell’aprile 1970. In questa lunga vicenda, i tre valorosi eroi si erano uniti per combattere alcune divinità cosmiche in stile Lovecraft.

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I personaggi incontrati da Dottor Strange ottengono infine la testata collettiva dei Difensori a partire dal 1972.
Sal Buscema, desideroso di mettersi in mostra nella sua prima grande occasione professionale, produce le sue cose migliori nei numeri che vanno dall’otto all’undici. Sono quelli dell’epico scontro tra i Difensori e i Vendicatori che Sal Buscema sa rendere impareggiabile, in particolare quando illustra in modo molto dinamico la battaglia senza esclusione di colpi tra Thor e Hulk.
I Difensori erano un prodotto di fascia media, né di alto né di basso livello, come la maggior parte dei prodotti della Marvel negli anni settanta, a cui le matite di Buscema in stato di grazia hanno donato una patina di nobiltà.  


Gene Colan – Tomb of Dracula n. 26-28

Con Tomb of Dracula, la coppia formata dallo sceneggiatore Marv Wolfman e dal disegnatore Gene Colan realizzò uno degli apici della Marvel anni settanta. In quest’arco narrativo, Dracula si trova a competere con una misteriosa organizzazione per il possesso della statua mistica di una Chimera. La statua arriva in parti e le parti sono state assemblate da Joshua Eschol, un anziano ebreo.
Marv Wolfman si sforza di donare al vampiro profondità emotiva e complessità psicologica, senza riuscirvi fino in fondo. Lo stile di scrittura è molto diverso da quello supereroistico, i toni sono drammatici e il linguaggio non manca di una certa poeticità.

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Gene Colan crea per Dracula un look distintivo che lo rende il vampiro classico definitivo. La storia si svolge in un ambiente saturo di atmosfere malate e inquietanti che va al di là delle classiche qualità del fumetto horror.
Lo stile di Colan costruisce un avvincente viaggio visivo tra paesaggi immersi in ombre scure, cimiteri dagli alberi rinsecchiti e vecchi edifici vittoriani. Il disegnatore raggiunge in questa saga i livelli qualitativi più alti della sua lunga carriera. 


Jim Starlin – Warlock n. 9-15

La storia di Warlock è lunga e complessa. Come molti personaggi della Marvel è stato creato da Jack Kirby nel 1967 sulle pagine dei Fantastici Quattro. Dopo aver affrontato Thor nel 1969, viene ripreso nel 1972 da Roy Thomas che ne fa un personaggio messianico, unendo cristianesimo e cultura hippie sul modello del musical Jesus Christ Superstar.
La serie fa il suo esordio nel 1972 disegnata da un ispiratissimo Gil Kane, ma non ottiene successo e dura soltanto 8 numeri, concludendosi nell’ottobre del 1973. Alla Marvel pensano però che il personaggio meriti una seconda chance. Cosi nel febbraio 1975 sulle pagine di Strange Tales n. 178 ritornano le avventure di Warlock, scritte e disegnate da uno psichedelico Jim Starlin.


Questa volta siamo di fronte a un vero capolavoro. Il tema è quello della lotta contro un destino già scritto: ogni personaggio è predestinato a qualcosa, ognuno è stato scelto per giocare un ruolo nella scacchiera universale.
L’unico che può cambiare il proprio destino è Warlock, anche se per farlo dovrà uccidere se stesso. Dopo quattro episodi su Strange Tales, la Marvel riprende la serie originale di Warlock con il n. 9, che però non ebbe il successo sperato e dovette chiudere dopo 7 numeri.


Paul Gulacy – Master of Kung Fu n. 44-51

Il lavoro di Paul Gulacy illumina di luce i bui anni settanta della Marvel. Shang-Chi era un personaggio nato sull’onda della moda dei film di kung fu, che sulle prime non sembrava destinato a durare. Se sopravvisse a tutti gli emuli di Bruce Lee fu soprattutto perché ci mise le mani questo allievo di Jim Steranko.
Con il n. 23 di Shang-Chi Master of Kung Fu si crea per la prima volta la coppia dello sceneggiatore Doug Moench con Paul Gulacy, che porterà alla maturità il personaggio e ne realizzerà le storie più riuscite. Tra queste la più lunga si dipana attraverso otto numeri, che nel 1977 vinse l‘Eagle Award, un premio britannico assegnato al miglior fumetto dell’anno.


La storia inizia con un’entità misteriosa che ha preso di mira gli agenti che collaborano con Shang-Chi, cercando di eliminarli uno dopo l’altro. Il lavoro di Paul Gulacy si distingue per le inquadrature originali e le scene d’azione basate su tagli decisamente cinematografici.
Ultimata questa fantastica storia Gulacy lasciò il personaggio. La pressione derivante dalle scadenze era divenuta insostenibile per lui. Un dolore alla schiena insopportabile e la mancanza di una vita al di là del tavolo da disegno divenne intollerabile. Peccato.


John Byrne – Iron Fist n. 11-13

John Byrne negli anni settanta non era ancora l’asso pigliatutto che sarebbe diventato nel decennio successivo. Era ancora un giovane disegnatore in cerca di un’occasione. Iron Fist, tradotto dalla Corno in Pugno d’Acciaio, fu quella occasione: un personaggio anch’esso nato sull’onda della moda dei film di Kung Fu, che però era già in fase calante quando usci il primo numero nel novembre del 1975.
La serie ebbe il merito di mettere assieme per la prima volta l’acclamata coppia formata dallo sceneggiatore Chris Claremont e da John Byrne, che diventerà celeberrima con gli X-Men.
Il protagonista è Danny Rand, erede di un impero miliardario, maestro di arti marziali e detentore del potere del Pugno d’Acciaio, ottenuto dopo aver sconfitto un drago.

La serie non ebbe molto successo e terminò dopo soli 15 numeri. Non prima di aver piazzato alcune storie validissime. Come questa che ospita gli X-Men e che come nemico ci presenta il Demolitore.
In questo arco narrativo Claremont cerca inutilmente di smarcare il personaggio dalle sue origini marziali, provando a battere piste legate al supereroismo più classico, senza però riuscirci fino in fondo.
Il personaggio comunque continuerà nell’albo di Luke Cage, formando una coppia con lui.


George Perez – The Avengers n. 167-171

Dopo aver iniziato a lavorare nel mondo del fumetto all’inizio degli anni settanta come assistente del disegnatore Rich Buckler, il portoricano George Perez fece il suo esordio professionale per la Marvel nel 1974 su Astonishing Tales 25, con una breve storia del cyborg Deathlok.
Il suo primo incarico importante arrivò un anno dopo, quando divenne il disegnatore regolare dei Vendicatori su testi di Steve Englehart. Poi, a partire dal n. 160, si forma l’accoppiata con lo sceneggiatore Jim Shooter, assieme a cui realizzerà la “Saga di Korvac”, un racconto che si è meritato un posto nella Hall of Fame della Marvel.


L’idea che ebbe Jim Shooter per la Saga di Korvac fu geniale: Korvac, un’entita malvagia proveniente dal futuro, viaggia a ritroso del tempo per eliminare un eroe che mille anni dopo la sua nascita sarà fondamentale per la salvezza della galassia. Un’idea talmente ingegnosa che lo stesso concept venne ripreso nel 1984, consapevolmente o meno, dal primo Terminator di James Cameron.
George Pérez fece un lavoro strepitoso, apportando il suo stile meticoloso nella saga, soprattutto nelle scene corali, vero e proprio punto di forza del disegnatore noto per la sua grande abilità nel disegnare tavole piene di personaggi, tutti sempre molto ben riconoscibili e dettagliati. 


John Romita Jr. – Iron Man n. 120-128

Per molto tempo Iron Man è stato un personaggio di secondo piano. Si può dire che nei primi anni la sua figura risaltasse più sugli albi dei Vendicatori che sulla sua serie personale.
Furono lo sceneggiatore David Michelinie e il disegnatore John Romita Jr. a far diventare adulto il vendicatore d’oro. E lo fecero introducendo lo scottante tema dell’alcolismo nell’acclamata saga di “Demon in a bottle”. Michelinie tratta la dipendenza da alcool in modo progressivo, partendo dallo stile di vita da jet set di Tony Stark.

Raramente lo si vede senza un drink in mano e questo pian piano inizia a influenzare negativamente la sua capacità negli affari e la sua efficacia come Iron Man.
Qui lo stile del giovane John Romita Jr. è ancora lontano da quello che lo ha reso famoso, ma ci troviamo comunque di fronte a un lavoro sicuro e pulito che sprizza dinamismo da tutte le parti. Anche l’ambientazione è ben riuscita: le sedi e gli uffici di Romita Jr. sembrano finalmente dei luoghi che occuperebbe un vero industriale milionario. 




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2 commenti

  1. Bellissimo articolo.
    Quanti ricordi.
    Se mi e’ concesso aggiungo il Dr Strange di Frank Brunner/Englehart.

    C

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