LA LUNGHEZZA IDEALE DI UN FUMETTO

Esiste un numero di pagine ideale per una storia a fumetti? Quanto dovrebbe durare un racconto disegnato per soddisfare le aspettative del lettore?
La lunghezza standard di un film si è attestata intorno ai 90 minuti di proiezione. Questa durata rappresenta un compromesso tra le esigenze narrative dell’autore e quelle del pubblico, che vuole essere sorpreso e coinvolto emotivamente.
Il tempo medio di lettura di un fumetto è di circa mezzo minuto a pagina. Per intrattenere il lettore per lo stesso tempo di un film dovrebbe avere circa 180 pagine. Ma il numero di pagine di un fumetto è sempre stato determinato da esigenze editoriali.
Il fumetto avventuroso nasce in America, come striscia (strip) di 3-4 vignette sulle ultime pagine dei quotidiani, tra gli anni venti e trenta del novecento.
Le massime possibilità dei disegnatori di fumetti in questi anni sono rappresentate dalla pagina a colori dell’inserto domenicale.
Lo spazio per raccontare una storia era davvero esiguo. La riuscita del fumetto era determinata solo dalle capacità creative degli autori.
Con l’avvento del comic book (gli albi a fumetti) negli anni trenta e quaranta, il fumetto trova per la prima volta un supporto autonomo interamente dedicato alle avventure disegnate.
Gli autori hanno ora a disposizione dalle 8 alle 12 pagine per esprimere la loro capacità di intrattenere il lettore, che in genere è un giovane maschio in età puberale senza grosse pretese.
Negli anni sessanta gli albi dei supereroi si attestano su storie di 22 pagine, che in qualche caso si estendendo su tre o quattro numeri.
Negli ottanta il pubblico dei fumetti diventa adulto e alcuni autori come Alan Moore e Frank Miller danno vita a storie complesse che richiedono parecchi albi per essere raccontate: 12 albi da 28 pagine per Watchmen, 4 albi da 46 pagine per Il ritorno del Cavaliere Oscuro.
Con l’arrivo delle graphic novel (romanzi grafici) negli anni novanta, tutto cambia.
Un romanzo grafico si compone generalmente di una storia a fumetti completa, che occupa tutta la lunghezza del libro.
Le graphic novel sono generalmente più lunghe degli albi a fumetti. La dimensione della storia è in genere completamente determinata dalle esigenze espressive dell’autore e può variare considerevolmente, all’interno di un range che va dalle quarantotto alle cinquecento pagine.
Alcune tra le graphic novel più riuscite, come Pyongyang di Guy Delisle e Polina di Bastien Vives, si sviluppano su un totale di circa 180 pagine, che come abbiamo notato equivalgono a un tempo di lettura di novanta minuti.
Vediamo come diversi maestri del fumetto hanno affrontato le problematiche legate al numero di pagine a disposizione, riuscendo ogni volta a proporci dei capolavori della letteratura disegnata.
1 pagina: Frank King
A un vero artista del fumetto una sola pagina può bastare per esprimere qualcosa di compiuto. È un compito difficile, quasi un numero di magia. Una magia che Frank King riusciva a rinnovare in ognuna della pagine domenicali della sua celebrata Gasoline Alley.
Nella tavola domenicale del 2 novembre 1930, Walt porta il nipote Skeezix a visitare un museo, dove ammirano il dipinto di un paesaggio realizzato in stile cubista ed espressionista.
“Il modernismo è un po’ al di là per me”, dice Walt. “Non vorrei vivere nel posto dipinto nel quadro”. “Sì, ma mi piacerebbe andarci”, risponde Skeezik.
“Andiamo, zio Walt”.
Detto questo, l’adulto e il bambino entrano nel dipinto, dove incontrano un nativo con una faccia da scimmia che sembra presa da Les Demoiselles d’Avignon di Picasso. Una serie di riflessi acquatici di Feininger, un violino di Chagall, una strada a strisce di colore presa da Le Raccoglitrici di patate di De Vlaminck.
La maggior parte dei fumettisti contemporanei di King avrebbe ridotto questa panoramica sull’arte moderna a una battuta beffarda. In King la scena è visivamente spiritosa, ben disegnata e fonte di un autentico momento di vicinanza tra l’adulto e il bambino.
2 pagine: Carlos Trillo, Eduardo Maicas e Jordi Bernet
Due pagine rappresentano una dimensione fumettistica più complessa rispetto a una sola. Permettono all’autore di suddividere una storia in due momenti diversi, con una introduzione e un finale.
Due pagine è la lunghezza della maggior parte delle storie di Chiara di notte (Clara… de noche), la giovane e avvenente prostituta creata da Carlos Trillo con Eduardo Maicas e disegnata da Jordi Bernet, nei primi anni novanta nella rivista spagnola El Jueves.
Pubblicata in Italia dal 1992 dal settimanale Skorpio.
In questo episodio in sole due pagine gli autori riescono a entrare nel cuore della vita sessuale di uno dei tanti maschi, clienti più o meno paganti, che ruotano intorno al personaggio di Chiara.
Nella prima pagina la sessualità dell’uomo è vissuta come un sogno appassionato ed eccitante che ha Chiara come protagonista. Nella seconda pagina il sogno cede il passo a una realtà molto meno seducente, rappresentata da una moglie dominatrice, squallida e inappagante.
3 pagine: Marv Wolfman e Bernie Wrightson
Se i due esempi precedenti fanno riferimento a fumetti realizzati con uno stile fortemente stilizzato, con tre pagine anche lo stile realistico può entrare in campo.
Prendiamo per esempio l’esordio di Bernie Wrightson sul numero 179 di House of Mystery (1969), con la storia The man who murdered himself, ambientata in una classica dimora ottocentesca.
Il padrone di casa Andrew Darwood sparisce nel nulla, lasciando la sua magnifica magione a un certo Anton Dickerson.
Una notte lo spettro di Dickerson ritorna per raccontare che in verità Darwood e Dickerson sono la stessa persona. Egli decise di “uccidere” la sua vecchia identità e di acquisirne una nuova per sfuggire alla vendetta di chi aveva rubato i soldi per acquistare la casa.
Ovviamente tre pagine sono poche per un racconto del mistero, che deve necessariamente essere ridotto ai minimi termini.
Una prima pagina introduttiva, una pagina centrale dove il mistero prende forma con l’apparizione dello spettro e una pagina finale che spiega tutto.
4 pagine: Robert Crumb
Quattro pagine possono sembrare ancora poche per sviluppare una storia.
Se sei un genio come Robert Crumb, però, puoi addirittura farci stare dentro centocinquanta anni di storia.
A Short History of America di Robert Crumb (1979) è un piccolo miracolo di concisione e grazia, costituito da dodici vignette su quattro pagine di tre vignette orizzontali ciascuna (ma le ha poi combinate in diverse versioni).
Ogni riga, ogni segno in questo fumetto conferisce non solo consistenza, ma informazioni narrative vitali.
In un certo senso, questa piccola opera racchiude la forma d’arte stessa del fumetto: una vignetta diventa tre vignette che diventano una pagina, che diventa quattro pagine, che diventano una storia.
Qui lo sfondo non è una componente della storia, si potrebbe dire che è tutta la storia. Il treno, le case, le macchine, tutto concorre a sottolineare lo scorrere del tempo.
Una grande storia e una profonda riflessione sul progresso in sole quattro pagine.
7 pagine: Will Eisner
Con Spirit, il suo unico personaggio seriale, Will Eisner ha sperimentato tutto quello che si poteva, impartendo al mondo una lezione magistrale di arte fumettistica nel breve spazio delle sette pagine di ogni episodio.
Qualcuno sostiene che quelle sette pagine furono un limite che costrinsero l’autore a non prendersi troppo sul serio, non riuscendo così a essere né carne né pesce. Spirit menava pugni in modo ridicolo e si infilava in situazioni assurde con la massima serietà.
Alcune di quelle storie riuscirono lo stesso a generare un’intensa emozione nello spazio di sole sette pagine, rimanendo impresse nella memoria del lettore.
È il caso di The killer, dell’8 dicembre 1946.
Una storia dove Spirit non è presente come “eroe avventuroso”, ma svolge un ruolo da osservatore esterno lasciando le luci della ribalta a un personaggio marginale, prefigurando in qualche modo la struttura delle graphic novel che lo renderanno famoso.
È la vicenda di un uomo che dopo una vita di angherie decide di uccidere la moglie che lo opprimeva, trasformandosi da persona mite e rispettosa in killer.
8 pagine: Al Feldstein e Bernie Krigstein
Le storie a fumetti di 8 pagine erano una consuetudine ai tempi d’oro degli albi della Ec Comics, durante i primi anni cinquanta.
Gli albi pubblicavano quattro episodi per albo. Erano storie caratterizzate da una svolta drammatica nel finale, la cui scrittura si appoggiava spesso su cliché e luoghi comuni. Ma persino queste brevi storie standardizzate, nelle mani di sceneggiatori come Al Feldstein, potevano diventare capolavori.
È il caso di Master race, pubblicata sul n. 1 di Impact nel 1955.
Quando, nella primavera del 1954, Bernie Krigstein ricevette da Feldstein la sceneggiatura e i layout della storia la considerò «la cosa più esplosiva che avessi mai letto da quando lavoro nei fumetti».
Il disegnatore fu scosso dal soggetto e voleva rendergli giustizia nel migliore dei modi. Si batté per avere a disposizione almeno 12 pagine, ma ebbe le solite otto.
Con quelle otto creò la prima grande rappresentazione dell’Olocausto nella storia della narrativa grafica.
Spesso chiamato il Quarto potere dei fumetti, Master Race è uno sguardo potente agli effetti delle atrocità dei campi di concentramento nazisti sui sopravvissuti.
12 pagine: Bill Finger e Lewis Sayre Schwartz
Dodici pagine è la lunghezza standard delle storie di Batman negli anni quaranta e cinquanta. Su questo formato è stata scritta la maggior parte delle storie che ha contribuito a creare il mito del Cavaliere Oscuro.
Si tratta di una serie di episodi che hanno visto mutare profondamente l’immagine del personaggio, da eroe pulp oscuro e violento ad amichevole capo scout, alla fine degli anni cinquanta.
Le quattro pagine in più rispetto ai classici della Ec Comics permettevano di usare, oltre al classico finale a sorpresa, anche una qualche considerazione etico-morale che ha contribuito al successo del personaggio.
Un successo sostenuto in gran parte da una certa qualità di scrittura, che ritroviamo anche in The man behind the Red Hood nel n. 168 di Detective Comics (1951), scritto da Bill Finger e disegnato da Lewis Sayre Schwartz.
La storia, piuttosto complessa in rapporto al limitato numero di pagine a disposizione, narra le origini dell’arcinemico di Batman, il Joker, attraverso una doppia trasformazione.
La prima trasformazione (voluta) avviene quando Jack Napier decide di intraprendere la carriera criminale nei panni di Red Hood (Cappuccio Rosso).
La seconda, non voluta, quando Red Hood fuggendo da Batman cade in una vasca di sostanze chimiche: la pelle gli diventa bianca come il gesso, i capelli verdi e le labbra rosso vivo, mutandolo per sempre nel Joker.
20 pagine: Stan Lee e Jack Kirby
Gli episodi dei Fantastici Quattro, a seconda degli anni, scendono dalle 24 alle 20 pagine, la maggior parte ne ha 22. Si tratta di un numero quasi doppio rispetto alle 12 dei Batman del decennio precedente.
Negli anni sessanta le storie di supereroi, grazie anche all’aumentato numero di pagine, fanno un salto di qualità aggiungendo respiro e complessità alle trame.
Lo possiamo vedere in maniera evidente sul n. 51 dei Fantastici Quattro: Questo uomo, questo mostro, del 1966.
Stan Lee ha dichiarato spesso che si tratta della sua storia preferita. È facile capire perché.
Questo episodio rappresenta un riuscito esempio del mix magico tra senso dell’avventura e intimità quotidiana che fece la fortuna del quartetto.
Il titolo dell’episodio non si riferisce solo a Ben. Ci sono tre “uomini mostri” in questa storia.
Ben Grimm, mostro dalle sembianze e dal carattere autodistruttivo; Reed Richards, la cui ossessione per la scienza a volte lo porta a passare sopra l’amicizia per Ben; lo scienziato senza nome, prima deciso a uccidere per invidia e poi, resosi conto di che pasta è fatto Mr. Fantastic, disposto a dare la vita per lui.
Gli autori riescono a raccontare in sole 20 pagine il mostro che abita in tutti noi.
46 pagine: Yves Swolfs
Il fumetto francese ha da sempre prediletto storie piuttosto lunghe.
Queste storie venivano pubblicate a puntate su riviste antologiche, per poi essere raccolte su albi cartonati di 44-46 o più pagine. Oggi vengono pubblicate direttamente in albo.
Questa lunghezza da un lato permette una maggior complessità dell’intreccio, che può permettersi di trattare i temi in maniera dettagliata e dare profondità alle psicologie dei personaggi, dall’altro impone agli autori di creare una impalcatura strutturale adatta a sorreggere la trama.
La struttura delle storie di Durango è quasi sempre la stessa, ed è comune alla narrativa epica come ai film di Akira Kurosawa e Sergio Leone.
L’eroe giunge in una città sconosciuta, si misura con i personaggi del posto, viene a sapere di una situazione inaccettabile o di un ordine sociale sconvolto.
Risolve la situazione mediante la punizione o la redenzione dei malvagi e scompare verso il sole al tramonto.
Questa struttura è proposta pari pari in I cani muoiono d’inverno (1981), primo episodio della saga di Durango. Dove il solitario protagonista si batte, nelle lande innevate del Wyoming, contro gli scagnozzi del senatore Howlett.
96 pagine: Castelli e Alessandrini
Il formato della Bonelli si consolida sull’esperienza degli albi di Tex, che dopo i primi numeri di 160 pagine con le ristampe degli episodi presentati inizialmente in formato striscia, scendono dapprima a 128, per stabilizzarsi infine su un formato di cm 16 x 21 per 112 pagine brossurate.
Tutti gli albi della Bonelli verranno stampati su quel formato, sebbene quasi sempre con 16 pagine meno.
Anche la storia del n. 1 di Martin Mystère, Gli uomini in nero, si sviluppa su 96 pagine. Si tratta di un numero di pagine doppio rispetto al classico cartonato francese. C’è però da dire che mentre le pagine di un bonellide sono suddivise solitamente in 6 vignette ognuna, quelle di un cartonato francese hanno una media di 10 vignette.
In realtà, quindi, la storia di un bonellide risulta solo leggermente più lunga di quella di un cartonato francese (circa 600 vignette contro 480).
Queste pagine in più permettono all’autore di plasmare la storia dosando le parti di azione con quelle introspettive, introducendo qua e là anche divertenti siparietti.
La prima storia di Martin Mystère inizia con due prolungate sequenze di azione che si protraggono fino a quasi metà albo.
Segue una succinta presentazione del personaggio, poi si parte per l’avventura.
L’elevato numero di pagine permette anche l’introduzione dei cosiddetti “spiegoni” tanto cari ad Alfredo Castelli, sequenze dove vengono fornite al lettore informazioni utili per una miglior comprensione della storia.
Cento pagine possono essere troppe, quando non si hanno tante cose da dire, e si è costretti a diluire il racconto per riempirle tutte.
164 pagine: Hugo Pratt
Hugo Pratt nel 1967 lascia il Corriere dei Piccoli per accettare la proposta dell’editore genovese Florenzo Ivaldi di realizzare una nuova rivista di fumetti che si chiamerà Sgt. Kirk.
Pratt accetta questa avventura perché sa che gli verrà concesso il massimo della libertà espressiva. L’autore veneziano ha in mente un fumetto del tutto nuovo, una “ballata”, che deve rappresentare una sorta di atto corale in cui il singolo si perde nel tutto.
Per realizzarla Pratt ha bisogno di spazio. Non esiste un contenitore preformato in grado di contenere le sue fantasie, queste devono essere lasciate libere di fluire, di cercarsi da sole i territori in cui prendere vita.
Hugo Pratt con Una ballata del mare salato realizza un opera “monstre” di ben 164 pagine, una lunghezza inconsueta per il fumetto di quegli anni.
Grazie a questa lunghezza insolita Pratt riesce a inserire in un fumetto nuove e stimolanti strutture narrative. Lunghe riflessioni e dialoghi con frasi a effetto si alternano a prolungate sequenze di vignette mute e ad ambientazioni esotiche, che permettono di viaggiare con la fantasia.
Come afferma il critico Luca Boschi, Pratt nella ballata “crede di scrivere solo una storia insolitamente lunga, con tempi più lenti e più trascinanti della norma. Invece senza saperlo inventa un prototipo di graphic novel”.
582 pagine: Craig Thompson
Con l’avvento delle graphic novel il fattore lunghezza si libera delle limitazioni di carattere editoriale e viene determinato dalle esigenze narrative degli autori.
Dove l’urgenza di raccontare prende la mano all’autore possono prendere vita storie di notevole lunghezza, come nel caso di Blankets di Craig Thompson, che raggiunge le 582 pagine.
A dispetto della notevole lunghezza, ogni pagina di questo capolavoro della letteratura disegnata ha un suo perché.
Ogni pagina è funzionale all’obiettivo di raccontare gli anni di formazione di un adolescente che si trova a vivere una delle storie d’amore più belle che siano mai state raccontate.
Il numero rilevante di pagine a disposizione dell’autore gli permette di arricchire il racconto con artifici grafici e narrativi che donano profondità e capacità di coinvolgimento.
Sequenze mute, vignette ripetute, sogni psichedelici, immagini metaforiche, invenzioni compositive, labirinti illustrati.
Tutti gli strumenti dello storytelling, che sono il risultato di oltre un secolo di sperimentazioni nel campo del fumetto, sono utilizzati dall’autore all’interno della storia, per raggiungere notevoli risultati espressivi.
La graphic novel è riuscita ad abbattere la limitazione del numero di pagine a disposizione dei fumettisti, offrendo agli autori una libertà espressiva di cui i loro predecessori non avevano goduto.
Speriamo ne facciano un buon uso.
eh, le tante domeniche da adolescente a leggere storie Bonelli di 3-4 albi, spesso quelle scritte da Nolitta, il cui stile mi è rimasto nel cuore :))… anche se oggi lo spirito di leggere storie lunghe non ce l’ho più, per tutta una serie di motivi…