LA CENSURA DELLE OPERE D’ARTE

LA CENSURA DELLE OPERE D’ARTE

Come spesso avviene per altri temi, anche nel caso della censura alle opere d’arte scoppia una polemica, violenta quanto breve, solo in occasione di eventi eclatanti, come la visita del presidente iraniano Rohani a Roma nel 2016, di cui avremo modo di parlare. Questo episodio ha avuto ampia risonanza sui media, conquistandosi i titoli dei quotidiani, ma altri non meno importanti sono rimasti confinati nelle pagine interne, quando non relegati nell’ambito di una discussione tra studiosi, senza raggiungere un pubblico più vasto.

La censura delle opere d’arte coinvolge principalmente gli ambiti della pittura, della scultura e della letteratura. Qui parleremo solo delle prime due, poiché la terza meriterebbe un discorso a parte. L’applicazione della censura non è, com’è ovvio, un’invenzione dei nostri tempi, ma risale a molto indietro: è però necessario tenere presente il contesto storico che l’ha originata.

Per buona parte dell’antichità l’arte non era concepita come qualcosa che avesse un valore di per se stessa, ma era il risultato di esigenze di altro tipo: religiose, quando bisognava creare la statua di una divinità da collocare in un tempio; politiche, quando si commissionava il ritratto di una personalità eminente; o semplicemente quotidiane, quando un artigiano realizzava vasi decorati o gioielli. Non esistevano musei nel senso moderno del termine, in cui raccogliere queste creazioni per offrirle all’ammirazione del pubblico.

Le cose iniziarono a cambiare quando Roma conquistò la Grecia. Siamo nel secondo secolo avanti Cristo. Gli aristocratici romani acquistarono o rubarono statue un po’ dappertutto nel mondo greco, e con esse adornarono le proprie residenze. Anche i Bronzi di Riace erano con ogni probabilità destinati alla villa di qualche ricco patrizio. Questi atti di rapina da parte dei romani furono comunque il primo caso di “arte per l’arte”, di “ricerca del bello” così come la intendiamo oggi.

I romani non applicarono mai una vera e propria censura. Al massimo, quando decidevano di operare la damnatio memoriae (“condanna della memoria”) dopo la morte di un imperatore malvisto, ne decapitavano le statue e ne cancellavano il nome dalle iscrizioni: ma era un atto solo politico, diretto contro il personaggio raffigurato, non contro l’opera d’arte stessa.

Ben peggiore fu quello che avvenne alla fine dell’Impero, con la definitiva affermazione del cristianesimo come religione di Stato. Non c’è dubbio che l’instaurazione della nuova religione spinse molti, presi dallo zelo, a voler distruggere statue e templi, che venivano visti come rappresentazioni del Demonio.
Nei secoli del Medioevo non si registrano episodi di rilievo. Dobbiamo arrivare al Rinascimento per trovare il primo caso eclatante, rimasto ancora oggi nella memoria di tutti: il Giudizio Universale di Michelangelo.

Roma, 1565. Il grande artista è morto l’anno prima. Si è da poco concluso il Concilio di Trento, emblema della reazione conservatrice della Chiesa nota come Controriforma. La necessità di rispondere in maniera energica alla sfida di Lutero e della Riforma Protestante porta a vari pronunciamenti: tra questi, il divieto di rappresentare figure umane nude in dipinti di carattere religioso. Venne quindi chiamato un pittore al quale fu affidato il compito di “coprire le vergogne” delle figure di Michelangelo. Daniele da Volterra, questo era il suo nome, aveva fino a quel momento avuto una carriera tutt’altro che disprezzabile, e aveva lavorato a stretto contatto con lo stesso Michelangelo: ma quell’incarico gli valse il soprannome, rimasto nei secoli, di Braghettone.

Facciamo un altro salto di qualche secolo e arriviamo all’Ottocento. Precisamente nel 1866, e ovviamente a Parigi, capitale mondiale dell’arte. Gli Impressionisti non sono ancora comparsi sulla scena. La corrente pittorica in voga in quegli anni è chiamata Realismo: il suo massimo esponente è Gustave Courbet. Questi realizza il dipinto che vedete qui sotto, dal titolo L’Origine del Mondo.

LA CENSURA DELLE OPERE D'ARTE

Benché famoso fin da subito, non fu visto dal vivo che poche volte, per il semplice motivo che venne consegnato al committente, un diplomatico turco, ed ebbe poi vari proprietari privati fino ad approdare, dopo la Seconda guerra mondiale, al Musée d’Orsay, dove si trova tuttora. Si sottrasse quindi alle accuse di scandalo che, all’epoca, colpirono altri dipinti di Courbet, e anche oggi è esposto in maniera permanente nelle sale del museo, visibile a tutti.

La censura, in questo caso, è dei nostri tempi. E l’inflessibile esecutore ha un nome: Facebook. L’algoritmo del social network lo classifica come immagine pornografica, e si affretta a rimuoverlo ogni volta che viene postato, anche nelle discussioni più serie ed innocenti.

Passiamo ora al Novecento e spostiamoci nella Germania nazista. Siamo nel 1937, quattro anni dopo l’ascesa di Adolf Hitler al potere. Il Fuhrer ordinò che dai musei tedeschi fossero tolte tutte le opere considerate di “arte degenerata”: un concetto, questo, presente nel dibattito intellettuale fin dall’Ottocento, e che tra le altre cose citava a sostegno delle proprie tesi le teorie di Cesare Lombroso sulla propensione atavica alla delinquenza. L’arte degenerata era tale non solo perché gran parte degli artisti bollati con questo marchio erano ebrei, ma perché le opere non rispecchiavano gli ideali della “razza ariana”. Tra i nomi famosi colpiti da questo tipo di censura possiamo citare Chagall, Kandinsky, Mondrian e Van Gogh. In realtà le opere prelevate dai musei non vennero distrutte. Venne organizzata una grande mostra, prima a Monaco e poi in tutte le principali città del Reich, per insegnare al popolo tedesco da quali eccessi si doveva guardare: questo aspetto era considerato così importante che, allo scopo di attrarre il maggior pubblico possibile, l’ingresso alla mostra fu reso gratuito.

Pensare che certi eccessi possano appartenere solo al regime nazista sarebbe un grave errore. Anche oggi, nelle nostre società democratiche, ci sono esempi di censura delle opere d’arte. Ma le motivazioni non sono solo ideologiche. A volte si tratta di eccesso di zelo, un volersi fasciare la testa prima di essersela rotta. A volte è pura e semplice stupidità, dettata da ignoranza.

New York, 2017. Il Metropolitan Museum, una delle più importanti istituzioni culturali degli Stati Uniti, viene investito da una polemica riguardante un dipinto esposto nella sue sale. Questo.

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Thérèse Dreaming (“Therese sta sognando”) è stato realizzato nel 1938 da Balthus, uno degli artisti più importanti del Novecento. Sul web si diffuse una petizione per chiedere al museo di rimuoverlo, sostenendo che inneggiava alla pedofilia. Un’accusa non nuova per questo artista, scomparso nel 2001: bambine e ragazze preadolescenti sono infatti uno dei temi principali delle sue opere. Nel 2014, in Germania una mostra di sue fotografie, ritraenti una ragazzina in pose giudicate provocanti, fu cancellata dallo stesso museo che l’aveva organizzata.

Il Metropolitan si difese rivendicando il ruolo dei musei, il cui compito è conservare testimonianza dell’intera storia dell’arte. Si può e si deve discutere su un artista, sulla sua vita e sulla sua poetica, ma la rimozione, la censura, la cancellazione e l’oblio delle sue opere non sono mai giustificabili.

Roma, 2016. Il presidente iraniano Hassan Rohani è in visita di Stato in Italia. Tra gli impegni programmati (un incontro con il Presidente Mattarella, uno con l’allora premier Matteo Renzi, uno con Papa Francesco e vari altri con numerosi imprenditori italiani) c’è anche un discorso da tenersi in una sala dei Musei Capitolini. Qui sono esposte celebri opere dell’antichità classica, tra cui la famosa statua equestre dell’imperatore Marco Aurelio, ma soprattutto varie figure femminili nude. I componenti della delegazione iraniana si lamentarono con i responsabili del cerimoniale, i quali prontamente “oscurarono” con pannelli tutte le statue che avrebbero potuto risultare offensive per l’illustre ospite. Fu una censura solo temporanea, ma bastò per scatenare la prevedibile polemica nel nostro Parlamento.

Pisa, 2018. Il nuovo Assessore alla Cultura di Pisa, Andrea Buscemi, pubblica con un editore locale un libro programmatico già dal titolo: Rivoglio Pisa. Nel testo, tra le altre cose, si scaglia contro un’opera d’arte che in città è conosciuta da tutti, perché non chiusa in un museo ma offerta alla vista di chiunque per volontà dello stesso autore. Si tratta di Keith Haring, uno dei più celebri esponenti del graffitismo: nota anche come Street Art, è una vera e propria corrente artistica come il cubismo e l’impressionismo. Importanti musei di tutto il mondo ne hanno acquisito le opere, e gli artisti sono diventati delle icone pop. Keith Haring è il più famoso di tutti: lo stile immediatamente riconoscibile ha portato le sue opere a essere riprodotte su ogni supporto possibile, dalle borse alle t-shirt, dalle tazze alle penne.

A Pisa Keith Haring realizzò, trent’anni fa, un grande affresco sul muro posteriore della Chiesa di Sant’Antonio, in pieno accordo con il Comune, dunque in perfetta legalità. Lo intitolò Tuttomondo, in italiano, e fu l’ultima opera che completò prima di morire.

Oggi fa parte del paesaggio urbano di Pisa, ed è stato anche restaurato in tempi recenti. Volerlo eliminare significa, come ha spiegato su La Stampa il critico Francesco Bonami, non solo manifestare una mancanza di cultura in materia di storia dell’arte, ma anche arrogarsi il diritto di imporre i propri gusti personali approfittando del ruolo istituzionale.

 

FONTI
Sui Cristiani e l’arte antica: Catherine Nixey, Nel nome della Croce. La distruzione cristiana del mondo classico, Bollati Boringhieri 2018
Su Daniele da Volterra detto “Il Braghettone”: http://www.treccani.it/enciclopedia/ricciarelli-daniele-detto-daniele-da-volterra_(Dizionario-Biografico)
Sull’ “arte degenerata”: Maria Passaro, Artisti in fuga da Hitler, Il Mulino 2018
Su Thérèse Dreaming di Balthus: http://temi.repubblica.it/micromega-online/balthus-e-il-sesso-dei-bambini/
Sull’opera di Keith Haring: Francesco Bonami, “Pisa, l’assessore leghista che vuole cancellare Haring”, su La Stampa del 18 Luglio 2018 https://www.artribune.com/arti-visive/street-urban-art/2018/07/pisa-nessuno-tocchi-quel-murale-lassessore-leghista-keith-haring-e-i-radicalchic/

 

 

 

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